Giacomo Oberto

 

VINCOLI DI DESTINAZIONE

EX ART. 2645-TER C.C.

E RAPPORTI PATRIMONIALI TRA CONIUGI

 

Sommario:

1. Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e rapporti patrimoniali tra coniugi. Impostazione del problema.

2. Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e fondo patrimoniale.

3. Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e convenzioni matrimoniali.

4. Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e regimi patrimoniali della famiglia. Forma dell’atto costitutivo e norme applicabili.

5. La costituzione di un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. su beni in comunione legale o convenzionale, ovvero su beni costituiti in fondo patrimoniale.

6. Vincoli di destinazione e crisi coniugale: i rapporti con il trust.

7. I vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. nel sistema delle garanzie delle prestazioni postmatrimoniali.

8. La forma di costituzione dei vincoli ex art. 2645-ter c.c. nella crisi coniugale. Il trattamento fiscale dell’atto.

 

1. Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e rapporti patrimoniali tra coniugi. Impostazione del problema.

 

L’art. 39-novies della l. 23 febbraio 2006, n. 51, di conversione con modifiche del d.l. 30 dicembre 2005, n. 273 («Recante definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti. Proroga di termini relativi all’esercizio di deleghe legislative»), ha introdotto nel nostro ordinamento l’art. 2645-ter c.c., volto a consentire «atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela» [1]. A prescindere dalle gravi questioni generali di inquadramento dell’istituto e dai suoi collegamenti con il trust, così come dallo specifico tema della sua applicabilità alla famiglia di fatto – argomenti, questi, che lo scrivente ha sviluppato in due distinte sedi [2] – viene a porsi il problema circa le possibili interferenze dell’istituto novellamente introdotto sulla disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi.

Sia consentito ribadire qui che il vero problema posto dalla norma consiste nell’esatta identificazione delle facoltà concesse al «conferente»: vale a dire se, mercé l’istituto in oggetto, sia possibile esclusivamente prevedere la costituzione di un vincolo su beni di proprietà del costituente medesimo, ovvero se la norma ammetta anche l’effettuazione di trasferimenti di diritti in capo ad un distinto «esecutore della destinazione» e, soprattutto, se tale soggetto possa ulteriormente vincolarsi a trasferire, una volta giunto a scadenza il periodo di durata del vincolo stesso, i beni ad un soggetto distinto, secondo quanto avviene nelle ipotesi di trust non autodichiarato [3]. E’ evidente che la risposta positiva ad un siffatto interrogativo consentirebbe di dar vita non solo, come si vedrà tra breve, ad un nuovo tipo di «fondo patrimoniale», così come ad una nuova forma di garanzia delle prestazioni postmatrimoniali, ma addirittura di prevedere, nell’ambito endofamiliare, attribuzioni di cespiti patrimoniali in occasione di determinati eventi, quali il raggiungimento della maggiore età da parte dei figli, la crisi del rapporto, o lo scioglimento di esso per divorzio o per la morte di uno dei coniugi.

Peraltro – e rinviando ad altra sede per i necessari approfondimenti [4]i concetti di «destinazione per un determinato periodo» e di «vincolo», contenuti nella norma novellamente introdotta nel nostro codice civile, sono ben distinti da quello di «trasferimento di un diritto». Un bene può essere vincolato ad uno scopo senza essere trasferito ad un soggetto diverso dal suo titolare, come avviene, ad esempio, nel fondo patrimoniale su beni dei coniugi o nel trust autodichiarato, nel quale è lo stesso costituente a porsi quale trustee. Vincolo di destinazione significa che il bene può essere amministrato solo in vista della realizzazione di quello scopo e che tale bene è aggredibile dai soli creditori i cui diritti si fondano su atti di gestione compiuti in vista della realizzazione dello scopo medesimo. Ma tutto ciò, con il trasferimento del bene dal costituente ad un terzo, e con l’eventuale successivo ritrasferimento ad un beneficiario finale, nulla ha a che vedere [5].

Altrove si è cercato di dimostrare l’inidoneità dello strumento in esame a determinare di per sé trasferimenti di diritti, pur ammettendosi la validità di atti traslativi finalizzati all’attuazione, per un determinato periodo di tempo, del vincolo. Il vincolo di cui si discute, infatti, per la sua intrinseca temporaneità, non può esaurirsi se non in un impiego del bene perché il suo reddito (o il suo uso temporaneo) realizzi scopi meritevoli di tutela denunziati nell’atto costitutivo: tale impiego non può dunque risolversi un un’attribuzione del diritto dominicale (o di altri diritti reali) a vantaggio del beneficiario, una volta esaurita la funzione per cui il vincolo era stato creato [6].

Ma escludere l’idoneità dello strumento ex art. 2645-ter c.c. ad operare trasferimenti di diritti, magari in deroga ai principi che vietano i patti successori o la sostituzione fedecommissaria, non significa ancora negare che la disposizione possa giocare un ruolo importante, tanto nella fase fisiologica, che in quella patologica del rapporto coniugale. Questo è precisamente il tema che forma oggetto del presente scritto.

 

 

2. Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e fondo patrimoniale.

 

Iniziando dunque dal ruolo che l’art. 2645-ter c.c. può svolgere nella fase fisiologica del rapporto coniugale, v’è da chiedersi se il vincolo di destinazione contemplato dalla norma in esame possa costituire una sorta di succedaneo del fondo patrimoniale, il che comporta necessariamente un raffronto tra i due istituti.

Per assolvere a funzioni analoghe a quelle descritte dagli artt. 167 ss. c.c., invero, il vincolo ex art. 2645-ter c.c. dovrebbe essere creato, dai coniugi o da terzi, a beneficio della famiglia, cioè a dire di quella determinata famiglia costituita dai coniugi e dai figli nati e/o nascituri. Peraltro, come appare evidente dalla lettura dell’art. 2645-ter c.c., la destinazione va necessariamente disposta a favore di uno o più soggetti determinati. Ad avviso di chi scrive, la meritevolezza dell’interesse, per le ragioni solidaristiche lumeggiate in altra sede [7], è di tale evidenza da consentire anche di collocare la famiglia nel suo complesso tra uno di quegli «altri enti» cui fa richiamo la norma citata, magari valorizzando quell’indirizzo che ormai unanimemente considera tanto la famiglia legittima come quella di fatto quali «formazioni sociali» riconosciute dall’art. 2 Cost.

E’ chiaro che la soluzione, la quale individua come beneficiario del vincolo di destinazione la famiglia nel suo complesso (ed analogo discorso potrebbe valere, ovviamente, per la famiglia di fatto), eviterebbe la necessità di un riferimento specifico ai membri attuali del nucleo in considerazione, e, conseguentemente, il ricorso a non agevolmente ipotizzabili atti di revoca e/o modifica, qualora il nucleo medesimo avesse ad ampliarsi o ridursi.

Ai sensi dell’art. 2645-ter c.c. sarà quindi ipotizzabile la costituzione di un vincolo nell’interesse della famiglia più «forte» di quello da fondo patrimoniale, per via dell’opponibilità nei confronti di tutti i creditori dei coniugi, anche a prescindere dalla ricorrenza delle condizioni, per così dire, «soggettive» descritte dall’art. 170 c.c., nonché per la diversa ripartizione dell’onus probandi delle condizioni «oggettive».

La formulazione di tale ultima norma, invero, impone, per l’opponibilità del vincolo al creditore, non solo l’obiettiva estraneità del credito ai bisogni della famiglia, ma anche la conoscenza, in capo al creditore, di tale estraneità. Stato soggettivo, questo, il cui onere probatorio ricade sul debitore [8]. Al contrario, l’art. 2645-ter c.c. si limita a stabilire che «I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo». Ciò significa, in primo luogo, che sul debitore non graverà l’onere di fornire alcuna prova (e sovente si tratta di vera e propria probatio diabolica) sullo stato soggettivo del creditore al momento della nascita del rapporto obbligatorio e, in secondo luogo, che spetta al creditore dimostrare che il debito è stato contratto «per la realizzazione del fine di destinazione», posto che qui tale fatto viene descritto in positivo, quale elemento costitutivo della fattispecie rappresentata dalla realizzazione in executivis della pretesa creditoria, laddove l’art. 170 c.c. si riferisce ad un elemento impeditivo (descritto in negativo: «l’esecuzione … non può avere luogo…»), che individua inevitabilmente il debitore quale soggetto onerato [9].

Per queste ragioni non appaiono condivisibili le affermazioni di chi sostiene che la norma in tema di destinazione è analoga all’art. 170 c.c. [10]. Tesi, questa, che può accettarsi, a tutto concedere, solo limitatamente ai crediti nascenti ex delicto, in relazione ai quali, come esattamente rilevato in dottrina [11], l’obbligazione nasce indipendentemente dalla conoscenza o conoscibilità del vincolo di destinazione, oltre che al di fuori di qualsiasi scelta del creditore, mancando una situazione affidante che giustifichi la limitazione della responsabilità [12]. Così, pur in assenza di una norma analoga all’art. 2447-quinquies, terzo comma, c.c., dovrà affermarsi che, come per il fondo patrimoniale [13], così nella fattispecie in esame i beni vincolati rispondono ove siano fonte di danni, perché, in entrambi i casi, è il vincolo di destinazione, quale elemento distintivo, a fornire il criterio di riferimento per stabilire le categorie di creditori interessate dalla vicenda destinatoria [14]. 

Altro effetto è sicuramente quello – lasciando da parte, ovviamente, l’ipotesi della revocatoria – dell’esclusione dei beni vincolati dalla eventuale massa fallimentare, se non in relazione a quei debiti contratti «per la realizzazione del fine di destinazione»: ciò in forza del generale riferimento, nella norma in esame, ai «terzi», a prescindere dalla sede nella quale (e dalle modalità con cui) essi facciano valere i loro diritti, nonché avuto riguardo a quella già ricordata parte della disposizione secondo la quale «I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo». Tale effetto, derivando direttamente dall’art. 2645-ter c.c., non abbisogna di alcuna interpretazione analogica dell’art. 46, primo comma, n. 3, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, così come modificato dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, che, per il fondo patrimoniale, prevede l’inclusione dei relativi beni nella massa fallimentare nel caso di ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 171 c.c., inapplicabile, come si è detto, al caso di specie. Inapplicabile appare inoltre, per la sua specialità, l’art. 155, r.d. cit., che attribuisce al curatore, nel caso di patrimonio destinato ad uno specifico affare, ex art. 2447-bis c.c., l’amministrazione del patrimonio medesimo.

D’altro canto, per ciò che attiene agli eventuali atti dispositivi, se il vincolo ai sensi dell’art. 2645-ter c.c. può sembrare a tutta prima più «debole» di quello da fondo patrimoniale, avuto riguardo alla non necessità di autorizzazione giudiziale per gli atti ex art. 169 c.c. in presenza di figli minorenni, è anche vero che la regola appena citata risulta, quanto meno secondo l’opinione dominante, derogabile [15]. Inoltre, l’effettuazione della pubblicità rende comunque il vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. opponibile verso ogni subacquirente, a differenza di quello che accade allorquando i coniugi si siano riservati la facoltà di alienazione dei beni del fondo patrimoniale senza autorizzazione (ovvero quando, in presenza della necessità di autorizzazione, quest’ultima sia stata rilasciata), posto che, in tal caso, il terzo acquista il bene certamente libero dal vincolo.

L’art. 2645-ter c.c. permette poi anche la costituzione di un vincolo nell’interesse della famiglia al di là delle ipotesi in cui l’istituto ex artt. 167 ss. c.c. è consentito: a parte la (in altra sede) ricordata ammissibilità di un vincolo in favore di un ménage di fatto [16], il conferente potrà, anche in relazione ad una famiglia fondata sul matrimonio, derogare a quanto stabilito dall’art. 171 c.c., stabilendo ad esempio che il vincolo non cessi (ed anzi, questa sarà la regola, atteso il principio che autorizza una durata dello stesso per novanta anni o per tutta la vita della persona fisica beneficiaria) in caso di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, pur in assenza di figli minori.

 

 

3. Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e convenzioni matrimoniali.

 

Una volta provata l’idoneità, quanto meno in astratto, della destinazione di uno o più beni, ai sensi dell’art. 2645-ter c.c., a realizzare gli interessi di un determinato nucleo familiare, tratteggiate le differenze tra questo tipo di vincolo e quello creato dal fondo patrimoniale, occorre però inevitabilmente porsi l’interrogativo sul rapporto tra il negozio istitutivo del vincolo e la categoria delle convenzioni matrimoniali.  

Sul punto sarà appena il caso di premettere che il problema non avrebbe, con ogni probabilità, neppure ragione di porsi, qualora si dovesse ritenere di limitare in via tassativa le convenzioni matrimoniali a quelle regolate nel capo sesto del titolo sesto del libro primo del codice. Ma è noto che la tesi ormai prevalente afferma il carattere atipico delle convenzioni e dei relativi regimi patrimoniali [17]: se dunque all’autonomia negoziale è concesso di liberamente dar vita a convenzioni matrimoniali disegnanti regimi diversi da quelli previsti dagli artt. 159 ss. c.c., a maggior ragione sarà consentito ai coniugi di avvalersi di strumenti negoziali tipici (ancorché non previsti da norme tipicamente giusfamiliari) per conseguire il risultato di ottenere un regime divergente da quelli legislativamente nominati come tali.

Non sembra che significative obiezioni possano insorgere avuto riguardo al carattere essenzialmente unilaterale dell’atto costitutivo del vincolo. La questione è già stata affrontata dallo scrivente con riguardo al trust, rispetto al quale si era osservato che le più approfondite trattazioni in materia evidenziano come – a parte la questione della dinamica contrattuale esistente nel mondo dei trusts – anche per il diritto inglese dall’accettazione del trustee (ancorché eventualmente in forma implicita) non possa prescindersi, prevedendo del resto l’equity procedure per sostituire un trustee che sia mancato e per nominare un altro trustee qualora quello indicato dal disponente non abbia accettato [18]. Se ne era quindi concluso che,  per diritto italiano, un accordo che vedesse un coniuge (o un terzo) costituire beni in trust, nominando trustee l’altro, andrebbe qualificato alla stregua di un negozio bilaterale e dunque di una «convenzione matrimoniale», se diretto alla creazione di un regime patrimoniale, intendendosi per tale (come, del resto, già specificato sopra), non solo l’insieme delle regole che precostituiscono la sorte di una serie indeterminata d’acquisti (determinabili unicamente ex post), compiuti dai coniugi, bensì anche l’insieme di quelle regole che precostituiscono (e qui il fondo patrimoniale docet) l’eventuale separazione patrimoniale di una certa massa determinata di beni apportati ad onera matrimonii ferenda, oltre che i principi per la loro amministrazione ed alienazione.

Allo stesso modo potrà dunque riconoscersi nella creazione del vincolo ex art. 2645-ter c.c., alle condizioni predette, la natura di convenzione matrimoniale, allorquando il negozio costitutivo nell’interesse della famiglia assuma una struttura bilaterale o plurilaterale (si pensi alla costituzione di un vincolo su beni di entrambi i coniugi e/o di terzi, sulla base di un accordo tra tutti i soggetti coinvolti) e pertanto possa qualificarsi come «convenzione», cioè accordo di due o più soggetti. Probabilmente alle medesime conclusioni potrà pervenirsi anche in relazione ad una manifestazione puramente unilaterale di volontà, posto che strettissima connessione esistente tra i concetti di convenzione matrimoniale e di regime patrimoniale della famiglia (di cui si dirà tra poco) può forse consentire di ampliare la prima delle due nozioni, al punto da comprendere ogni tipo di atto idoneo, secondo la legge, a dar vita ad un regime, a prescindere dalla struttura unilaterale, bilaterale o plurilaterale dell’atto stesso.

        L’ostacolo potrebbe essere, semmai, un altro. Se, invero, dovesse seguirsi quell’opinione dottrinale secondo cui la convenzione può dar vita solo ad una scelta tra un regime comunitario o un regime separatista [19], con assoluta esclusione di qualsiasi altro tipo di effetto, vuoi reale, vuoi obbligatorio, non potrebbe esservi spazio per una convenzione matrimoniale che si limitasse invece a porre, nell’interesse della famiglia, vincoli su beni determinati, che si trovino già nella titolarità dell’uno e/o dell’altro dei coniugi o di terzi. Ed in effetti i sostenitori di quella tesi si vedono, per coerenza, costretti a negare la natura di convenzione matrimoniale del negozio inter vivos costitutivo di fondo patrimoniale, così come la natura di regime, propria dell’istituto ex artt. 167 ss. c.c. [20].

Questa tesi, però, appare chiaramente smentita non solo – se ci si passa l’espressione – dalla «topografia» [21] e dalla «toponomastica» [22] legislative, ma anche dal fatto che, per i beni sottoposti a tale vincolo, vigono regole (di «regime») difformi rispetto a quelle valevoli per la comunione legale: il negozio che al fondo dà vita è pertanto riconducibile alla definizione che del concetto di convenzione matrimoniale risulta estrapolabile dall’art. 159 c.c., come di quel negozio idoneo a dar luogo ad un regime patrimoniale della famiglia [23].

 

 

4. Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e regimi patrimoniali della famiglia. Forma dell’atto costitutivo e norme applicabili.

 

Il fatto è che occorre intendersi sul concetto di regime: se per tale si dovesse ritenere esclusivamente la regola che assegna alla proprietà comune o personale dei coniugi i futuri ed eventuali acquisti, è chiaro che la convenzione ex artt. 167 ss. c.c. non apparirebbe idonea all’uopo, posto che il vincolo del fondo – e, oggi, quello ex art. 2645-ter c.c. – non può per definizione costituirsi se non su beni predeterminati. Seguendo dunque il principio secondo cui la convenzione matrimoniale è necessariamente fonte di un regime patrimoniale della famiglia (arg. ex art. 159 c.c.), se ne dovrebbe concludere che tale non potrebbe essere l’accordo diretto a costituire un fondo patrimoniale. Ma la disciplina della comunione legale dimostra che il concetto di «regime» non si esaurisce nella regola del coacquisto; essa si risolve anche in una serie di precetti e di vincoli che vengono ad influenzare la «vita» stessa dei beni nel corso dell’unione matrimoniale: dall’amministrazione all’alienazione, al pignoramento e, più in generale, alle vicende che coinvolgono terzi creditori e/o aventi causa.

E puntuale giunge, anche sul punto, la conferma dall’analisi storica, dalla quale si ricava che l’espressione régime (dal latino regere: governare, amministrare), utilizzata per secoli in Francia per contrapporre il régime en communauté (proprio delle regioni di droit coutumier) a quello dotal (caratteristico delle regioni di droit écrit), e dunque nell’accezione, generalissima, di «regola», dopo la codificazione napoleonica venne intesa dalla dottrina come «l’ensemble des règles qui régissent l’association conjugale quant aux biens» [24]. Regole che, come icasticamente posto in evidenza dalla dottrina contemporanea d’Oltralpe, attengono non solo ad una question de propriété, ma anche ad una question de pouvoirs [25].

Se così stanno le cose, è evidente che anche la convenzione costitutiva del fondo patrimoniale, in quanto diretta a dettare regole speciali di amministrazione, vincoli e «vita» di beni della famiglia, in (parziale) deroga ai principi propri della comunione (o della separazione dei beni), viene a costituire proprio uno di quei possibili negozi in deroga al regime legale che l’art. 159 c.c. raggruppa sotto l’espressione «diversa convenzione» [26].

Ne discende dunque ulteriormente che, per identiche ragioni, alle stesse conclusioni deve pervenirsi con riguardo ad un vincolo costituito ex art. 2645-ter c.c. nell’interesse della famiglia.

        Riconosciuta la natura di convenzione matrimoniale propria dell’atto costitutivo di un vincolo di destinazione in favore di una determinata famiglia, dovrà ulteriormente concludersi che, ai sensi dell’art. 48 l. notar. [27], l’atto richiederà, per la sua validità, non solo la forma dell’atto pubblico, ma anche la presenza di due testimoni. Inoltre, al negozio saranno applicabili le norme di cui agli artt. da 160 a 166-bis c.c. [28], il che non dovrebbe determinare insormontabili problemi di coordinamento, se si eccettua la questione, indubbiamente seria, della «concorrenza» tra il sistema pubblicitario (contraddittoriamente) disciplinato dagli artt. 162, quarto comma, e 2647 c.c. [29], da un lato, e quello, incontrovertibilmente imperniato sulla trascrizione con effetti di pubblicità dichiarativa, di cui all’art. 2645-ter c.c., dall’altro.

 

 

5. La costituzione di un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. su beni in comunione legale o convenzionale, ovvero su beni costituiti in fondo patrimoniale.

 

        L’eventuale costituzione di vincoli ex art. 2645-ter c.c. (vuoi nell’interesse della famiglia, vuoi di terzi) su beni in comunione legale costituisce sicuramente atto di straordinaria amministrazione, con conseguente applicabilità degli artt. 180 ss. c.c. ed in particolare del rimedio dell’annullabilità dell’atto, ex art. 184 c.c., se compiuto senza il necessario consenso del coniuge [30].

Peraltro potrebbe revocarsi in dubbio la stessa ammissibilità di un’operazione diretta a vincolare beni della comunione legale per effetto di un atto posto in essere da entrambi i coniugi, nella veste di «conferenti», alla luce della tesi che contesta la possibilità di estromettere singoli beni dalla comunione, durante la vigenza di quest’ultima. Il risultato dell’operazione sarebbe invero costituito dall’assoggettamento di uno o più beni, destinati a rimanere di proprietà comune dei coniugi, a regole diverse da quelle proprie della comunione legale.

L’argomento appare strettamente connesso alla vexata quaestio dell’ammissibilità di un rifiuto preventivo del coacquisto ex lege previsto dall’art. 177 lett. a), d) e cpv. c.c., controversia rinfocolata dall’ultima decisione di legittimità sul tema che, andando di contrario avviso rispetto ad un precedente del 1989, si è spinta ad affermare che, manente communione, «il coniuge non può rinunciare alla comproprietà di singoli beni acquistati durante il matrimonio (e non appartenenti alle categorie elencate nell’art. 179, co. 1°, c.c.) salvo che sia previamente o contestualmente mutato, nelle debite forme di legge e nel suo complesso, il regime patrimoniale della famiglia» [31]. Rinviando ad altra sede la critica di tale opinabilissima conclusione [32], basterà dire che, qualora essa dovesse venire trasposta alla materia qui in esame, dovrebbe ritenersi inibito – sempre, ovviamente, nell’ottica, da chi scrive non condivisa, della Cassazione – ai coniugi in comunione di vincolare uno o più beni del patrimonio comune, se non previa stipula di convenzione di passaggio al regime di separazione. E’ innegabile infatti che la sottoposizione di beni al vincolo, pur senza espropriare i coniugi della contitolarità del diritto dominicale sui beni stessi, sottrarrebbe questi ultimi al regime proprio della comunione legale (si pensi alle norme in tema di amministrazione e di rapporti con i creditori, tanto comuni che personali dei coniugi), così determinandone una forma di «estromissione» dalla massa soggetta all’applicazione degli artt. 177 ss. c.c.

Lo stesso discorso dovrebbe valere anche in relazione alla comunione convenzionale, per lo meno con riguardo ai beni che formerebbero comunque oggetto della comunione legale. Con riferimento a questi ultimi, infatti, l’art. 210 c.c. vieta che si predispongano norme d’amministrazione difformi da quelle ex artt. 180 ss. c.c. Il risultato sarebbe quindi ottenibile solo mediante estromissione di tali beni dalla comunione. Per questo motivo sarebbe con ogni probabilità nulla una convenzione che volesse sottoporre al vincolo ex art. 2645-ter c.c. i beni (immobili o mobili registrati) di futura acquisizione destinati a ricadere in comunione legale o convenzionale [33].

Per quanto riguarda invece i beni già caduti in comunione convenzionale, ma non interessati dal limite posto dall’art. 210 c.c. (si pensi a quelli, per esempio, di cui all’art. 179, lett. a), c.c.), non dovrebbero sussistere problemi di sorta, non potendosi paventare qui la possibilità – prospettata in relazione al trust familiare – di una violazione dell’art. 166-bis c.c. per la convenzione che, «ampliando l’oggetto della comunione convenzionale, attribuisca, in relazione a beni diversi da quelli che avrebbero formato oggetto di comunione legale, il potere di amministrazione al coniuge che non sia il proprietario del bene conferito nella comunione convenzionale» [34]. In proposito sarà il caso di ribadire che, qualora si supponga che la convenzione sia del tipo «ampliativo», ciò significa che il coniuge (eventualmente) unico amministratore è contitolare della proprietà sui beni che amministra. L’ipotesi è dunque diversa da quella «paradigmatica» della dote che, come si è visto in altra sede [35], è caratterizzata da un completo «scollamento» tra titolarità del diritto reale e potere di amministrazione sui relativi beni. Ne consegue che, ad avviso dello scrivente, i coniugi in regime di comunione convenzionale potranno senz’altro vincolare beni che non avrebbero fatto parte della comunione legale, prevedendo quale beneficiario la famiglia, ovvero anche uno solo dei suoi membri (oltre che, ovviamente, terzi familiari e/o estranei), senza curarsi in modo alcuno delle regole in tema di amministrazione della comunione legale.

La costituzione di un vincolo ex art. 2645-ter c.c. su beni già costituiti in fondo patrimoniale presuppone la previa estinzione del vincolo ex artt. 167 ss. c.c. L’operazione necessita dell’autorizzazione ex art. 169 c.c., qualora essa non sia stata esclusa dal titolo costitutivo [36]. Al riguardo potrà soccorrere la giurisprudenza in tema di trust, con particolare riguardo a quella decisione di merito [37] che ha respinto un ricorso tendente a consentire lo scioglimento anticipato del fondo patrimoniale affinché i beni in esso inclusi fossero vincolati nel trust. La decisione poggia sul rilievo secondo cui, nonostante l’analogia di effetti tra trust e fondo patrimoniale, al potere di disposizione del trustee non veniva posto alcun limite né, conseguentemente, onere di richiedere autorizzazione giudiziale (come invece richiesto, nel caso di specie, ai sensi dell’art. 169 c.c. nel caso del fondo patrimoniale). E’ evidente che, in una situazione analoga, anche la sottoposizione a vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. di beni oggetto di fondo patrimoniale (in caso il titolo costitutivo non escludesse la necessità dell’autorizzazione ex art. 169 c.c.) priverebbe il vincolo delle garanzie proprie del regime autorizzativo previsto dalla norma in esame e pertanto non potrebbe essere autorizzata.

 

 

6. Vincoli di destinazione e crisi coniugale: i rapporti con il trust.

 

Passando dalla fase fisiologica a quella patologica del rapporto matrimoniale vi è ora da prendere in considerazione il ruolo che la norma sui vincoli di destinazione potrebbe giocare nella crisi coniugale. Lo spunto appare avvalorato dalla considerazione dei rilievi critici che lo scrivente ha avuto modo di rivolgere all’utilizzo del trust in questo delicato settore [38], secondo quanto invece suggerito da diverse voci. Così, per esempio, non è mancato chi ha affermato che il trust potrebbe costituire uno strumento di estrema importanza allo scopo di intervenire efficacemente nella genesi della crisi della coppia, e quindi, nel momento antecedente l’inizio del procedimento di separazione o divorzio o in un secondo momento, successivo alla conclusione di questi procedimenti, una volta che la volontà delle parti (in sede consensuale) o la determinazione del giudice (in sede contenziosa) abbiano imposto un contributo di mantenimento o un assegno a carico di un coniuge [39].

L’effetto segregativo proprio del trust consentirebbe di opporre il vincolo ai creditori del disponente, così garantendo il pagamento delle prestazioni periodiche in favore del coniuge e/o alla prole anche di contro a possibili azioni esecutive di terzi, fatte salve, beninteso, eventuali domande revocatorie [40]. A ciò s’aggiunga che il trasferimento del bene al trustee, nel caso di immobili, titoli azionari o altri beni soggetti a forme di pubblicità, comporta formalità che da sole impediscono atti di disposizione illegittimi: chiunque sia il trustee (il coniuge obbligato o un terzo) sarebbero pertanto prevenuti atti di disposizione in danno degli interessi protetti [41].

Ove si dovesse ammettere il trust interno [42] e, in ogni caso, per il trust creato in situazioni caratterizzate dalla obiettiva presenza di un elemento di estraneità, siffatto vincolo potrebbe essere costituito nell’ambito dello stesso negozio di separazione consensuale, di separazione di fatto, o di divorzio su domanda congiunta: le parti verrebbero così a porre in essere lo strumento attraverso il quale determinare le modalità di adempimento degli obblighi ex artt. 155 ss., 156 c.c., 5 e 6 l. div. D’altro canto e sempre, ovviamente, sulla base di un accordo inter partes, un trust potrebbe rappresentare il mezzo per garantire l’esecuzione di obblighi di mantenimento e di assegni già determinati, precedentemente, dalle parti medesime (in sede, per l’appunto, di separazione consensuale omologata, di separazione di fatto, ovvero di divorzio su domanda congiunta, ovvero ancora in sede di crisi coniugale contenziosa). Per questa specifica ipotesi andrà tenuto presente che, secondo l’opinione ormai prevalente in dottrina e giurisprudenza [43], le condizioni della separazione e del divorzio ben possono essere mutate dai coniugi senza dover ricorrere ad alcun tipo particolare di procedura giudiziale [44].

Si è poi anche rimarcato che «l’istituzione di un trust avrebbe una valenza estremamente garantista relativamente ai diritti alimentari o di mantenimento vantati da coniuge e prole, in quanto consentirebbe di isolare le risorse del coniuge obbligato al mantenimento, o agli alimenti, affinché non possano essere distolte dall’adempimento di queste obbligazioni». Il primo positivo effetto sarebbe infatti quello di evitare qualsiasi conflitto fra i creditori del coniuge obbligato e i creditori della prestazione alimentare, posto che questi ultimi sarebbero pienamente garantiti [45]. Siffatte indicazioni sono già state recepite nella prassi, che annovera verbali di separazione omologati, contenenti la previsione di trusts [46].

Ora, se non vi è dubbio che il trust – sempre, ovviamente, a condizione che lo si ritenga ammissibile nella versione «interna» e salvo l’eventuale esperimento dei rimedi revocatori – consente il vantaggio di una separazione patrimoniale, in grado di tutelare adeguatamente i creditori delle prestazioni postmatrimoniali nei confronti dei possibili creditori dell’obbligato, altrettanto condivisibile non appare l’affermazione secondo la quale l’ordinamento civilistico italiano non offrirebbe alternative all’istituto di matrice anglosassone per il raggiungimento di siffatta finalità di garanzia del coniuge separato e della relativa prole.

 

 

7. I vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. nel sistema delle garanzie delle prestazioni postmatrimoniali.

 

        Si è avuto modo di evidenziare in altre sedi [47] quanto possa dirsi articolato il complesso sistema di garanzie apprestato dall’ordinamento per l’adempimento degli obblighi derivanti dalla separazione o dal divorzio: basti pensare all’obbligo di prestare idonea garanzia reale o personale, all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’articolo 2818 c.c., al sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato, all’ordine ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto (ex artt. 156, quarto, quinto e sesto comma, c.c., 8, primo, secondo e settimo comma, l. div.), alla distrazione dei redditi ed all’azione diretta esecutiva ex art. 8, terzo, quarto, quinto e sesto comma, l. div., al decreto ex art. 148, secondo, terzo, quarto e quinto comma, c.c., ai rimedi (malamente) apprestati dall’art. 709-ter c.p.c. In proposito, va detto che il rilievo secondo il quale i limiti del sistema di garanzia così delineato emergerebbero proprio nelle ipotesi in cui il soggetto debitore non sia, invece, intestatario di beni, non vale ad attribuire alcuna specifica ragione di preferenza all’istituto del trust [48]: in mancanza, invero, di una titolarità di beni in capo al coniuge obbligato, non sarebbe evidentemente possibile neppure l’istituzione di un trust o il conferimento di beni da parte di quest’ultimo [49].

        A ciò s’aggiunga che nulla esclude che, in considerazione del carattere negoziale (e, per quanto attiene agli accordi di carattere patrimoniale, contrattuale), delle intese in discorso, possano trovare applicazione le garanzie e gli strumenti di induzione all’adempimento previsti in generale dal codice: dalla fideiussione, all’ipoteca volontaria (si pensi alle intese concluse nell’ambito di una separazione di fatto, ove l’art. 2818 c.c. non può, evidentemente, trovare applicazione), alla clausola penale, alla caparra confirmatoria [50].

Se, dunque, il vero problema è quello di poter vincolare un determinato patrimonio in vista della soddisfazione degli obblighi oggetto del contratto della crisi coniugale, va preso atto che ai «tradizionali» rimedi cui si è appena accennato viene ora ad aggiungersi lo strumento delineato dall’art. 2645-ter c.c., di sicura applicazione (anche nelle situazioni non caratterizzate dalla presenza di un elemento di internazionalità) ai casi di specie. L’intento di garantire l’adempimento delle obbligazioni assunte nella predetta sede, o di sopperire alle necessità abitative del residuo nucleo familiare, appare infatti senza dubbio meritevole di tutela.

A differenza di quanto accade con il trust [51], non sarà però possibile, ad avviso dello scrivente, prevedere ex art. 2645-ter c.c. un trasferimento del bene al beneficiario finale. Ciò che del resto, anche rispetto al trust [52] viene sovente a porre, con riguardo alla nostra legislazione, seri problemi di compatibilità con taluni istituti del diritto successorio (e di ammissibilità stessa del trust, ai sensi dell’art. 15 della Convenzione de L’Aja): la clausola di ritrasferimento, se legata alla morte del trustee, potrebbe invero incorrere in nullità per violazione del divieto dei patti successori e, se contenuta in una disposizione mortis causa, per violazione del principio che fa divieto di creare nelle successioni un ordo successivus.

 

 

8. La forma di costituzione dei vincoli ex art. 2645-ter c.c. nella crisi coniugale. Il trattamento fiscale dell’atto.

 

L’art. 2645-ter c.c. prevede che il vincolo di destinazione sia costituito per atto pubblico, senza peraltro specificare che debba necessariamente trattarsi di atto notarile. Il fatto che l’art. cit. non menzioni espressamente l’intervento di un notaio consente di fare tesoro di quella evoluzione dottrinale e giurisprudenziale, che, a partire dai lavori dello scrivente, ha portato a riconoscere natura a tutti gli effetti di atto pubblico ex art. 2699 c.c. al verbale d’udienza di separazione consensuale o di divorzio su domanda congiunta [53].

Dovrà dunque ritenersi consentito, nell’ambito di un contratto della crisi coniugale (e dunque a patto che le relative intese possano intendersi alla stregua di condizioni della separazione  o del divorzio), proporre al cancelliere, sotto la direzione (art. 130 c.p.c.) del giudice (vuoi monocratico, vuoi collegiale, a seconda dei casi), la creazione di un vincolo nell’interesse di uno dei coniugi e/o dei figli (maggiorenni o minorenni che siano), o anche, a seconda dei casi, di taluni soltanto di essi. Il tutto, naturalmente, a condizione che il complesso delle condizioni concordate soddisfi il canone irrinunciabile dell’interesse dei minori eventualmente coinvolti e sul presupposto (non richiesto tanto dalla legge, quanto dalle necessità pratiche e dalla complessità del sistema) che le parti stesse siano sul punto adeguatamente assistite e consigliate. Il relativo verbale costituirà dunque titolo idoneo per la trascrizione, anche ai sensi dell’art. 2645-ter c.c.

Da un punto di vista più generale, anzi, non è escluso che – anche al di fuori dei procedimenti di separazione e di divorzio – il cancelliere, sotto la direzione del giudice, possa ricevere la costituzione di un vincolo di destinazione, purché siffatta costituzione s’inquadri in una di quelle attività negoziali che il cancelliere è espressamente chiamato dalla legge a documentare. Ci si intende qui riferire in particolare al verbale di conciliazione giudiziale (e in proposito si noti che l’art. 185 c.p.c. prevede, al capoverso, che in caso di conciliazione giudiziale, si formi «processo verbale della convenzione conclusa»; cfr. inoltre art. 88 disp. att. c.p.c.), il quale ben potrà contenere un siffatto negozio, nel quadro di un più ampio accordo transattivo, sempre a condizione, beninteso, che il vincolo risponda ad interessi meritevoli di tutela, secondo quanto specificato altrove [54]. Così, ad esempio, si potrà stabilire che l’attore rinunzia agli atti processuali ed all’azione, in cambio dell’impegno del convenuto a costituire su determinati immobili un vincolo di destinazione in favore di una certa fondazione benefica o del figlio disabile dell’attore medesimo.

Sotto il profilo fiscale vi è, infine, da ribadire che le attribuzioni patrimoniali operate nel quadro di un ipotetico trust postconiugale (ovviamente, sempre a condizione che si ritenga ammissibile – come invece qui si nega – il trust interno) ricadrebbero comunque [55], ove «relative» ad un procedimento di separazione o divorzio, sotto il disposto dell’art. 19, l. 6 marzo 1987, n. 74, esteso, come noto dalla Corte costituzionale alla separazione legale [56]. Identiche argomentazioni valgono sicuramente anche per gli atti costitutivi di vincoli ex art. 2645-ter c.c., nonché per gli eventuali trasferimenti ad essi collegati, se e nella misura in cui questi si ritengano ammissibili [57]. Il tutto, naturalmente, a patto che tali negozi possano dirsi parte delle condizioni della separazione consensuale (o «consensualizzata»), ovvero del divorzio su domanda congiunta (o su conclusioni congiunte delle parti) e, come tali, per l’appunto, «relativi» a siffatte procedure [58].

 

HOME PAGE

INIZIO ARTICOLO

SOMMARIO

 



[1] Più esattamente, secondo la disposizione in esame, «Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo». Per i primi commenti sull’art. 2645-ter c.c. v. Bartoli, Prime riflessioni sull’art. 2645 ter c.c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e trust, in Corr. merito, 206, p. 697 ss.; M. Bianca, L’atto di destinazione: problemi applicativi, testo dattiloscritto agli atti del Convegno sul tema «Atti notarili di destinazione dei beni: Articolo 2645 ter c.c.», organizzato dal Consiglio Notarile di Milano il 19 giugno 2006; De Nova, Esegesi dell’art. 2645 ter cod. civ., testo dattiloscritto agli atti del Convegno sul tema «Atti notarili di destinazione dei beni: Articolo 2645 ter c.c.», cit.; D’Errico, Trascrizione del vincolo di destinazione, testo dattiloscritto agli atti del Convegno sul tema «Atti notarili di destinazione dei beni: Articolo 2645 ter c.c.», cit.; Fanticini, L’articolo 2645-ter del codice civile: “Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche”, in Aa. Vv., La tutela dei patrimoni, a cura di Montefameglio, Santarcangelo di Romagna, 2006, p. 327 ss.; Franco, Il nuovo art. 2645-ter cod. civ., in Notariato, 2006, p. 315 ss.; Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, disponibile alla pagina web seguente: http://www.judicium.it/news_file/news_glo.html (l’articolo è pubblicato anche in Giust. civ., 2006, II, p. 165 ss.); Lupoi, Gli “atti di destinazione” nel nuovo art. 2645-ter cod. civ. quale frammento di trust, in Trusts e attività fiduciarie, 2006, p. 169 ss.; Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, dattiloscritto agli atti del Convegno organizzato a Firenze dalla Associazione Italiana Giovani Notai il 24 giugno 2006 sul tema «Gli atti di destinazione e la trascrizione dopo la novella» (l’articolo è pubblicato anche in Riv. dir. civ., 2006, II, p. 161 ss.; le citazioni di quest’opera nel presente lavoro si riferiscono al dattiloscritto).

[2] Cfr., rispettivamente, Oberto, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e differenze, in Contratto e impresa/Europa, 2007 (in corso di stampa), nonché Id., Famiglia di fatto e convivenze: tutela dei soggetti interessati e regolamentazione dei rapporti patrimoniali in vista della successione, in Fam. dir., 2006, p. 661 ss. (cfr. in particolare i §§ 7 ss., sui rapporti tra vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e famiglia di fatto).

[3] Sul punto si fa rinvio per tutti a Lupoi, I trust nel diritto civile, nel Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 2004, p. 237 ss., 277 ss.

[5] In questo senso sembra anche orientata la circolare n. 5/2006 della Direzione dell’Agenzia del Territorio, del 7 agosto 2006, la quale rimarca, testualmente, quanto segue: «Quanto ai profili di merito, sembra opportuno ribadire preliminarmente la circostanza che detti atti di destinazione producono soltanto effetti di tipo “vincolativo”. Come già in parte accennato, infatti, i beni oggetto degli atti di destinazione, pur venendo “segregati” rispetto alla restante parte del patrimonio del “conferente” – al fine di garantire la realizzazione degli interessi meritevoli di tutela cui è preordinato il vincolo – restano comunque nella titolarità giuridica del “conferente” medesimo».

[8] Cfr. da ultimo Cass., 15 marzo 2006, n. 5684. V. inoltre, per la giurisprudenza dimerito, Trib. Parma, 7 gennaio 1997, in Nuova giur. civ. comm., 1998, I, p. 31, con nota di Mora.

[9] Anche Di Sapio, Patrimoni segregati ed evoluzione normativa: dal fondo patrimoniale all’atto di destinazione, Relazione tenuta al convegno di studi su Attualità e problematiche in materia di donazioni, patrimoni separati e fallimento organizzato dal Comitato Regionale fra i Consigli Notarili Distrettuali della Puglia, tenutosi a Pozzo Faceto, Fasano (Brindisi) il 23-24 giugno 2006, in corso di pubblicazione nei relativi atti (testo dattiloscritto cortesemente inviato dall’Autore), p. 31, rileva che «L’art. 2645-ter è una disposizione scritta “in positivo” (ci dice chi può rivalersi su quei beni). L’art. 170 è invece una disposizione scritta “in negativo” (ci dice chi non può rivalersi su quei beni). C’è una bella differenza. Manca inoltre ogni riferimento allo stato soggettivo del creditore la cui tutela risulta, dunque, affievolita. Anche il tema dell’onere della prova andrà rivisitato: non si chiede più una prova negativa (non essere stato a conoscenza dell’estraneità del credito rispetto allo scopo: art. 170), ma una prova positiva (l’attinenza del debito rispetto allo scopo). Se non ho preso un abbaglio, mi pare ci siano ampi margini per argomentare che il creditore, prima di contrarre, deve accertarsi se l’obbligazione risponda allo scopo: in sede esecutiva l’onere della prova graverà sul medesimo (art. 2697)».

[10] In questo senso v. invece Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 9.

[11] Cfr. Di Sapio, op. cit., p. 14 s.

[12] Come osserva Di Sapio, op. loc. ultt. citt., «Il creditore non sceglie nulla. Subisce un danno ingiusto. Se potesse scegliere, ragionevolmente sceglierebbe dell’altro: che il fatto illecito non si verifichi».

[13] Cfr. Cass., 5 luglio 2003, n. 8991, in Riv. notar., 2003, p. 1563; Cass., 18 luglio 2003, n. 11230, in Giur. it., 2004, 1615; Trib. Sanremo, 29 ottobre 2003, in Dir. fam. pers., 2004, p. 101; in dottrina cfr. Lenzi, I patrimoni destinati: costituzione e dinamica dell’affare, in Riv. notar., 2003, p. 566.

[14] Cfr. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 9, secondo cui «la limitazione della responsabilità [non] opererà, in caso bene destinato, in favore dei soli crediti risarcitori sorti, ad esempio, da circolazione dell’autoveicolo adibito a trasporto del disabile o da rovina dell’edificio o, sempre nel quadro della destinazione, da uso di un bene mobile registrato di natura pericolosa».

[15] Cfr. per tutti Oberto, Contratto e famiglia, in Aa. Vv., Temi e problemi del contratto, a cura di Roppo, Milano, 2006 (in corso di stampa), cap. III, § 7.

[17] Sul punto cfr. per tutti Oberto, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia, 2003, p. 636 ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., cap. II, § 5.

[18] Cfr. per tutti Lupoi, Trusts, Milano, 2001, p. 155 ss., 161 ss., 164 s. (l’Autore mette tra l’altro in evidenza come la mancata indicazione del trustee nelle disposizioni inter vivos sia causa di nullità del trust).

[19] Questa, in pratica, è la tesi di  E. Russo, Le convenzioni matrimoniali, in Il codice civile. Commentario, fondato e già diretto da Schlesinger, continuato da Busnelli, Milano, 2004, p. 172 ss.; per una critica al riguardo v. Oberto, Contratto e famiglia, cit., cap. II, §§ 1 ss.

[20] L’assunto è sviluppato da E. Russo, Le convenzioni matrimoniali, cit., p. 77, 124 ss., 136 ss. essenzialmente sulla base del rilievo secondo cui il codice non qualifica expressis verbis il negozio costitutivo del fondo patrimoniale alla stregua di una convenzione matrimoniale.

[21] Il fondo patrimoniale si trova collocato nel codice tra la parte generale delle convenzioni matrimoniali e la comunione legale, all’interno di una sezione posta sullo stesso piano di quelle dedicate alla comunione legale, alla comunione convenzionale, alla separazione dei beni e all’impresa familiare.

[22] Gli artt. 167 ss. fanno pur sempre parte del capo sesto (del titolo sesto del libro primo del codice), intitolato «del regime patrimoniale della famiglia», dopo una parte generale che, come si è appena detto, è interamente dedicata alle convenzioni matrimoniali.

[23] Sulla definizione di convenzione matrimoniale e sull’inscindibile legame tra i concetti di convenzione matrimoniale e di regime patrimoniale della famiglia cfr. per tutti Oberto, Le convenzioni matrimoniali: lineamenti della parte generale, in Fam. dir., 1995, p. 596 ss.; Bargelli e Busnelli, voce Convenzione matrimoniale, in Enc. Dir., Agg., IV, Milano, 2000, p. 436 ss., 442 ss.; Ieva, Le convenzioni matrimoniali, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, III, Regime patrimoniale della famiglia, Milano, 2002, p. 27 ss.; Oberto, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia, 2003, p. 617 ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., cap. II, § 1.

[24] Così Laurent, Principes de droit civil, XXI, Bruxelles, 1878, p. 8.

[25] Cfr. Flour e Champenois, Les régimes matrimoniaux, Paris, 1995, p. 5.

[26] Per non dire poi che una conferma della natura di convenzione matrimoniale propria del negozio inter vivos costitutivo del fondo patrimoniale sembra venire dalla riforma dell’art. 48, l. not., di cui all’art. 12, lett. b) e c), l. 28 novembre 2005, n. 246 («Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005»), laddove la disposizione novellata si limita a menzionare, tra gli «atti familiari» bisognosi dell’assistenza di due testimoni, le convenzioni matrimoniali e le dichiarazioni di scelta del regime di separazione dei beni, così rendendo evidente che il fondo patrimoniale non può ascriversi se non alla prima delle due tipologie, apparendo altrimenti assurda l’esclusione del negozio in esame (che ex art. 167 c.c., deve stipularsi per atto pubblico), dalla sfera di operatività della disposizione.

[27] Così come riformato dall’art. 12, lett. b) e c), l. 28 novembre 2005, n. 246, cit.

[28] Con particolare riferimento all’applicazione al trust familiare di siffatte disposizioni cfr. Oberto, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, in Fam. dir., 2004, p. 201 ss., 310 ss.; Id., Il trust familiare, dal 10 giugno 2005 disponibile al seguente indirizzo web:

http://utenti.lycos.it/giacomo305604/milano11giugno2005trust/relazionemilano.htm, §§ 15 ss.

[29] Su cui v., ex multis e per ulteriori richiami, Oberto, Annotazione e trascrizione delle convenzioni matrimoniali: una difficile coesistenza, in Riv. dir. ipotecario, 1982, 127 ss., 148 ss.; v. inoltre Id., Comunione legale, regimi convenzionali e pubblicità immobiliare, in Riv. dir. civ., 1988, II, 187 ss., 206 ss.; Id., Pubblicità dei regimi matrimoniali, in Riv. dir. civ., 1990, II, 236 ss.; Id., La pubblicità dei regimi patrimoniali della famiglia (1991-1995), ivi, 1996, II, 229 ss.; cfr. inoltre, per ulteriori approfondimenti, Barchiesi, Il sistema della pubblicità nel regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1995, 25 ss.; Bocchini, Rapporto coniugale e circolazione dei beni, Napoli, 1995, p. 193 ss.; De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, II, Milano, 1995, p. 108 ss.; Santosuosso, Beni ed attività economica della famiglia, Torino, 1995, p. 216 ss.; Ieva, La pubblicità dei regimi patrimoniali della famiglia, in Riv. notar., 1996, p. 413 ss.; Feola, La pubblicità del regime patrimoniale dei coniugi, in, Aa. Vv., Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, II, Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1997, p. 411 ss.; Gabrielli, voce Regime patrimoniale della famiglia, in Digesto disc. priv., Sez. civile, XVI, Torino, 1997, p. 396 ss.; Gabrielli e Cubeddu, Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, 1997, p. 321 ss.; Bocchini, La pubblicità delle convenzioni matrimoniali, in Riv. dir. civ., 1999, I, p. 439 ss.; Ieva, Le convenzioni matrimoniali e la pubblicità dei regimi patrimoniali della famiglia, in Riv. notar., 2001, I, p. 1259 ss.

[30] Per un’applicazione della disposizione citata al caso del trust costituito da un solo coniuge su beni comuni cfr. Trib. Bologna, 1 ottobre 2003, in Trusts att. fid., 2004, p. 67; la pronunzia è inoltre disponibile al seguente indirizzo web:

http://www.filodiritto.com/notizieaggiornamenti/20ottobre2003/TBOlegittimitatrustinterno.htm.

[31] Cass., 27 febbraio 2003 n. 2954, in Foro it., 2003, I, c. 1039, con nota di De Marzo; in Riv. notar., 2003, II, p. 412, con nota di Lupetti; in Fam. dir., 2003, p. 559, con nota di F. Patti. Per ulteriori richiami e approfondimenti v. Oberto, Lezioni sull’oggetto della comunione legale, § III. 19, 20, disponibile al sito web seguente:

https://www.giacomooberto.com/lezionisucomunione/lezionisuoggettocomunionesommario.htm.

[32] Cfr. Oberto, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), cit., p. 656 ss., 659 ss.

[33]  L’art. 2645-ter c.c. sembra applicabile anche a beni futuri o di futura acquisizione, magari determinati solo per relationem (per esempio: gli immobili che acquisterò in un dato anno, o in un dato territorio, ecc.). Sull’applicabilità della norma ai beni futuri cfr. Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 9 s. Sulla possibilità di costituire, ora per allora, trusts su beni di futura acquisizione v., in senso discordante, Tucci, Trusts, concorso dei creditori e azione revocatoria, p. 7 (lo scritto è disponibile all’indirizzo web seguente: http://www.il-trust-in-italia.it/Relazioni/Congresso_2002/Tucci.pdf), che sembra ammettere tale possibilità, e  Calò, Dal probate al family trust, Problemi di diritto comparato, Milano, 1996, p. 39 ss., secondo cui il trust, «proprio per gli effetti immediati che (…) produce, non può esistere senza proprietà e i beni futuri non possono esserne oggetto».

[34] Verde, Le convenzioni matrimoniali, Torino, 2003, p. 162.

[35] Cfr. Oberto, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, cit., p. 207 ss.

[36] Cfr. per tutti Oberto, Contratto e famiglia, cit., cap. III, § 7.

[37] Cfr. Trib. Firenze, 23 ottobre 2002, in Trusts att. fid., 2003, p. 406.

[38] Cfr. Oberto, Il trust familiare, cit.; Id., Trust e autonomia negoziale nella famiglia, cit.

[39] Cfr. Nassetti, Il trust: applicazioni pratiche (Aggiornamento in pillole per il consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna – Relazione tenuta a Bologna il 16 febbraio 2001), disponibile all’indirizzo web seguente:

http://www.filodiritto.com/diritto/privato/civile/IlTrustApplicazionipratiche.htm.

[40] Ai fini dell’esperibilità dell’actio pauliana è necessaria, ovviamente, una corretta qualificazione dell’atto quale atto a titolo gratuito, a titolo oneroso ovvero atto dovuto, che si sottrae, in quanto tale, al rimedio revocatorio. Sul punto, le soluzioni prospettate sono assai diversificate e dipendono dalle differenti individuazioni della causa che caratterizza questa categoria di negozi. Sul tema della causa dei contratti della crisi coniugale cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 634 ss., 709 ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., cap. IV, § 9; sulla revocatoria degli atti traslativi tra coniugi in crisi cfr. per tutti Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Milano, 2000, p. 214 ss.; in giurisprudenza da ultimo cfr. Cass., 23 marzo 2004, n. 5741, in Arch. civ., 2004, 1026; Cass., 12 aprile 2006, n. 8516.

[41] Così Lupoi, Trusts, cit., p. 643.

[43] Cfr., anche per i rinvii, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 328 ss.; Id., Gli accordi a latere nella separazione e nel divorzio, in Fam. dir., 2006, p. 150 ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., cap. IV, § 4.

[44] Un altro vantaggio offerto dal trust viene poi indicato in quello di evitare «l’interferenza indebita degli interessati e le spiacevoli situazioni, anche psicologiche e morali, che spesso vengono a crearsi» (pure questo profilo è messo in luce da Nassetti, op. loc. ultt. citt.): un vantaggio che, peraltro, le parti pagherebbero assai caro, posto che appare assai difficile reperire un trustee disposto a prestare gratuitamente la propria attività, specie in siffatte situazioni, normalmente, dal punto di vista dei rapporti umani, assai poco gradevoli. Vi è del resto  da chiedersi se siffatto ruolo di «intermediario» non possa essere svolto (come lo è stato per anni con successo, per lo meno in presenza di operatori caratterizzati da professionalità e da un sufficiente grado di distacco rispetto all’emotività delle parti) dagli stessi legali e/o da strutture di mediazione familiare. D’altro canto, la prassi mostra come sovente sia designato quale trustee uno dei coniugi: il che comprova come la necessità della presenza di siffatto «mediatore» non sia, a ben vedere, avvertita con assoluta urgenza. Su quest’ultimo punto rileva Viglione, Vincoli di destinazione nell’interesse familiare, Milano, 2005, p. 128, che appare assai discutibile che i beni del trust siano amministrati dallo stesso obbligato in favore dell’altra parte; è ben evidente, infatti, che la patologia della relazione coniugale coincide generalmente con l’instaurarsi di difficili situazioni di conflittualità, tali da sconsigliare il totale affidamento al coniuge obbligato dei poteri di gestione dei beni (vede con favore, invece, questa ipotesi F. Patti, I trusts: utilizzo nei rapporti di famiglia, in Vita notar., 2003, p. XIV, secondo il quale «la istituzione del trust potrebbe trovare una più facile realizzazione con riguardo alla circostanza che potrà essere nominato trustee lo stesso coniuge proprietario dei beni e obbligato alla prestazione, giacché la natura del trust e la trascrizione del provvedimento giudiziale non consentiranno atti di disposizione in danno degli interessi tutelati»).

[45] Così Nassetti, op. loc. ultt. citt.; nello stesso senso cfr. anche Lupoi, Trusts, cit., p. 641 ss.; F. Patti, I trusts: problematiche connesse all’attività notarile, in Vita not., 2001, p. 548.

[46] Per una disamina critica di taluni di questi v. Oberto, Il trust familiare, cit., § 21.

[47] Cfr. Oberto, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, cit, p. 317; Id., Il trust familiare, cit., § 21.

[48] in questo senso, invece, Dogliotti e Piccaluga, I trust nella crisi della famiglia, in Aa. Vv., Il trust nel diritto delle persone e della famiglia. Atti del convegno. Genova, 15 febbraio 2003, a cura di Dogliotti e Braun, Milano, 2003, p. 138, i quali, al fine di individuare uno spazio di operatività del trust al di là degli strumenti tradizionali, sostengono che il sequestro, benché più agile di quello conservativo, è pur sempre assai macchinoso e comunque inefficace quando il soggetto non sia intestatario di beni.

[49] Cfr. Viglione, op. cit., p. 127 s.

[50] Per una proposta diretta ad applicare la penale non solo alle intese di carattere patrimoniale, ma anche a quelle di tipo personale relative all’affidamento della prole e ai diritti di visita cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1112 ss. Sia quindi consentito rinnovare in questa sede l’invito ai pratici a provare ad inserire siffatto genere di clausole negli accordi diretti a disciplinare le conseguenze della crisi coniugale con riguardo alla prole minorenne. L’operazione potrebbe, quanto meno, assumere il valore d’un ballon d’essai per saggiare le reazioni al riguardo della giurisprudenza, mentre è sicuro che le statistiche registrerebbero un assai più diffuso rispetto delle intese raggiunte e, forse, anche una diminuzione dei procedimenti esecutivi in un campo così delicato. Per la risposta ad una critica dottrinale al riguardo cfr. Oberto, La responsabilità contrattuale nei rapporti familiari, Milano, 2006, p. 61 s., nota 18.

[51] Sul fatto che nel trust vi possano essere, rispetto ad un medesimo vincolo di destinazione, beneficiari immediati e beneficiari finali, v. Lupoi, L’atto istitutivo di trust, Milano, 2005, p. 94 ss.; Petrelli, Formulario notarile commentato, III, 1, Milano, p. 1024, 1036; Id., La trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 13.

[52] E a prescindere, lo si ripete ancora una volta, dai seri dubbi sull’ammissibilità dell’istituto, qualora si sia in assenza di elementi di estraneità, diversi dal mero capriccio del costituente nella scelta di una legge straniera

[53] Sul tema, cui non è possibile dedicare neppure un accenno in questa sede, si fa rinvio a Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, in Fam. dir., 1995, p. 155 ss.; Id., I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1211 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 3 ss.; Id., I trasferimenti patrimoniali in occasione della separazione e del divorzio, in Familia, 2006, p. 181 ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., cap. V, §§ 7-9; cfr. inoltre T.V. Russo, I trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio, Napoli, 2001; P. Carbone, I trasferimenti immobiliari in occasione della separazione e del divorzio, in Notariato, 2005, p. 627 ss.

[54] Cfr. Oberto, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e differenze, cit., § 8. Nel senso che il verbale di conciliazione giudiziale può contenere una transazione con cui si disponga l’immediato trasferimento di diritti su di uno o più beni, e che, come atto (pubblico) immediatamente traslativo, ben può costituire titolo per la trascrizione cfr. Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, 1, Milano, 1966, p. 80; Tondo, Sull’idoneità dei verbali di conciliazione alle formalità pubblicitarie, in Foro it., 1987, I, c. 3134; per il carattere di atto pubblico e di titolo esecutivo di un verbale di conciliazione giudiziale tra coniugi v. Trib. Firenze, 26 agosto 1987, in Giur. merito, 1988, p. 756, con nota di Pazienza. Nel senso che «Quanto (...) all’atto documentato, il contenuto sostanziale del processo verbale può essere il più vario: può essere dato, indifferentemente da attività materiali che vengono descritte, ovvero da osservazioni che vengono riportate, ovvero da dichiarazioni aventi o meno contenuto negoziale. E’ altresì indifferente che le attività siano state compiute dallo stesso pubblico ufficiale che forma il processo verbale, ovvero da altri soggetti, anche privati» cfr. anche Massari, Processo verbale (diritto processuale civile), in Noviss. dig. it., XIII, Torino, 1966, p. 1221. Il tema è sviluppato, con riguardo ai contratti della crisi coniugale, nelle opere citate alla nota precedente, cui si fa rinvio anche per la determinazione del concetto di «condizioni della separazione e del divorzio».

[55] E a prescindere dalle questioni circa l’applicabilità o meno agli atti istitutivi di trusts dell’imposta di registro a tassa fissa, su cui v. Nassetti, op. loc. ultt. citt.; più in generale sui profili tributari dei trusts cfr. Lupoi, Trusts, cit., p. 753 ss.

[56] Cfr. Corte cost., 10 maggio 1999, n. 154, in Foro it., 1999, I, c. 2168; in Giur. it., 1999, p. 2187; in Riv. notar., 2000, II, p. 657, con nota di Lucariello.

[58] Sull’interpretazione di tale espressione cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 299 ss.; Id., Trasferimenti patrimoniali in favore della prole operati in sede di crisi coniugale, nota a Trib. Salerno, 4 luglio 2006, in Fam. dir., 2007 (in corso di pubblicazione sul fascicolo n. 2).

1