Giacomo Oberto

(Traccia della relazione)

 

Sommario: 1. Introduzione. Esiste un diritto europeo della famiglia? – 2. Il rilievo universale («extraUE» o «ecumenico») dei Regolamenti sul diritto di famiglia. – 3. La genesi del Regolamento Roma III. – 4. Procedure e materie cui il Regolamento è applicabile. – 5. La definizione delle nozioni di separazione e divorzio in relazione al carattere giurisdizionale o meno della procedura. – 6. L’esclusione dell’annullamento del matrimonio. – 7. La (mancata) definizione del matrimonio e il problema dei matrimoni celebrati tra persone del medesimo sesso. – 8. La (mancata) definizione del matrimonio e il problema delle unioni registrate. – 9. Principali materie cui il regolamento non è applicabile. In particolare: gli effetti patrimoniali del matrimonio. – 10. Le obbligazioni alimentari. – 11. L’internazionalità del rapporto matrimoniale. – 12. La scelta delle parti sulla legge applicabile. – 13. Le soluzioni in caso di mancata scelta. – 14. Il peculiare caso della presenza di coniugi con pluralità di cittadinanze. – 15. La posizione degli apolidi. – 16. Il criterio della lex fori.

 

1. Introduzione. Esiste un diritto europeo della famiglia?

 

·       Esiste (o esisterà mai) un diritto europeo della famiglia?

·       Se si intende un codice di famiglia europeo, probabilmente no

·       Certo non oggi, alla luce del trattato istitutivo dell’UE (titolo V: spazio di libertà, sicurezza e giustizia)

·       Leggere qui artt. 67 e 81 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (dopo Lisbona).

 

TITOLO V

SPAZIO DI LIBERTÀ, SICUREZZA E GIUSTIZIA

CAPO 1

DISPOSIZIONI GENERALI

Articolo 67

(ex articolo 61 del TCE ed ex articolo 29 del TUE)

1. L’Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri.

2. Essa garantisce che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne e sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi. Ai fini del presente titolo gli apolidi sono equiparati ai cittadini dei paesi terzi.

3. L’Unione si adopera per garantire un livello elevato di sicurezza attraverso misure di prevenzione e di lotta contro la criminalità, il razzismo e la xenofobia, attraverso misure di coordinamento e cooperazione tra forze di polizia e autorità giudiziarie e altre autorità competenti, nonché tramite il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie penali e, se necessario, il ravvicinamento delle legislazioni penali. 4. L’Unione facilita l’accesso alla giustizia, in particolare attraverso il principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali in materia civile.

 

(…)

 

CAPO 3

COOPERAZIONE GIUDIZIARIA IN MATERIA CIVILE

Articolo 81

(ex articolo 65 del TCE)

1. L’Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali. Tale cooperazione può includere l’adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.

2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano, in particolare se necessario al buon funzionamento del mercato interno, misure volte a garantire:

a) il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali e la loro esecuzione;

b) la notificazione e la comunicazione transnazionali degli atti giudiziari ed extragiudiziali;

c) la compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri ai conflitti di leggi e di giurisdizione;

d) la cooperazione nell’assunzione dei mezzi di prova;

e) un accesso effettivo alla giustizia;

f) l’eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, se necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati membri;

g) lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie;

h) un sostegno alla formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari.

3. In deroga al paragrafo 2, le misure relative al diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali sono stabilite dal Consiglio, che delibera secondo una procedura legislativa speciale. Il Consiglio delibera all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. Il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che determina gli aspetti del diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali e che potrebbero formare oggetto di atti adottati secondo la procedura legislativa ordinaria. Il Consiglio delibera all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. I parlamenti nazionali sono informati della proposta di cui al secondo comma. Se un parlamento nazionale comunica la sua opposizione entro sei mesi dalla data di tale informazione, la decisione non è adottata. In mancanza di opposizione, il Consiglio può adottare la decisione.

 

·       Quali sono i settori in cui si può parlare oggi di diritto europeo della famiglia?

·       Tutto nasce dall’idea della cooperazione giudiziaria in materia civile, nelle cause transfrontaliere: evitare che più giudici decidano la stessa questione, con evidente conflitti di giudicati.

·       Ottica di «Bruxelles» e ottica di «Roma»

·       Dalla sola questione processuale dell’individuazione del giudice competente, del riconoscimento e dell’esecuzione (libera circolazione) delle decisioni, alla questione del diritto applicabile

·       Ergo: se non esiste (ancora) un vero e proprio diritto europeo di famiglia, si può dire che esista già oggi un diritto europeo sulla famiglia (rectius: su alcune limitate questioni attinenti alla famiglia).

 

 

2. Il rilievo universale («extraUE» o «ecumenico») dei Regolamenti sul diritto di famiglia.

 

·       Importanza del diritto comunitario della famiglia, che assume un valore non più solo «limitato ai rapporti intra-EU».

·       La questione della valenza extracomunitaria o universale (o… ecumenica) dei Regolamenti (rectius: di alcune norme dei Regolamenti in tema di diritto di famiglia è stata affrontata in primo luogo con riferimento alle disposizioni del Regolamento n. 2201 del 2003 (Bruxelles II bis, in particolare in tema di determinazione della competenza giurisdizionale):

 

Articolo di Roberta Clerici sulla rivista Aiaf

 

 

Sentenza della Corte giustizia CEE 29 novembre 2007 (Sundelind c. Lopez):

22 Certamente, tale disposizione, che prevede che un convenuto che ha la residenza abituale in uno Stato membro o che è cittadino di uno Stato membro può essere citato dinanzi ai giudici di un altro Stato membro, tenuto conto del carattere esclusivo delle competenze definite agli artt. 3‑5 del regolamento n. 2201/2003, solo in base a tali disposizioni – e, di conseguenza, ad esclusione delle norme di competenza fissate dal diritto nazionale – non vieta, al contrario, che un convenuto che non ha né la sua residenza abituale in uno Stato membro né la cittadinanza di uno Stato membro possa, a sua volta, essere citato dinanzi ad un giudice di uno Stato membro in base alle norme di competenza previste dal diritto nazionale di tale Stato.

 

Trib. Belluno su coniugi indiani.

TRIBUNALE DI BELLUNO, 6 marzo 2009, n. 106, in Fam. dir., 2010, p. 179

 

Nel caso di domanda di divorzio proposta da coniugi che non sono cittadini italiani e che hanno contratto

matrimonio nel paese d’origine (nella specie, in India) va affermata la giurisdizione del giudice italiano, in forza

del Regolamento CE n. 2201/2003 in materia matrimoniale che trova applicazione a prescindere dalla cittadinanza

europea delle parti ed indipendentemente dalle norme sulla giurisdizione previste dal diritto nazionale.

Nella fattispecie, la giurisdizione italiana (di carattere esclusivo, ai sensi dell’art. 6 del Regolamento) va affermata

a norma dell’art. 3, 1 comma, lett. a), del citato Regolamento, il quale fissa il criterio generale della residenza,

e in particolare, nella specifica ipotesi di domanda congiunta, il criterio della «residenza abituale di uno

dei coniugi» che sussiste nel caso in esame poiché entrambe le parti risiedono nel territorio italiano.

 

A norma dell’art. 31, comma 1, l. n. 218 del 1995, lo scioglimento del matrimonio è regolato dalla legge nazionale

comune dei coniugi al momento della domanda e non osta all’accoglimento della domanda l’assenza di

una precedente sentenza di separazione, in quanto la norma straniera che non prevede tale requisito ai fini del

divorzio non è contraria all’ordine pubblico italiano.

 

Trib. Belluno su coniugi ucraini.

TRIBUNALE DI BELLUNO, 5 novembre 2010, in Banca Dati Giurisprudenza di merito De Agostini – Leggi d’Italia.

 

I coniugi, entrambi cittadini ucraini, hanno contratto matrimonio in Ucraina.

Con ricorso la moglie, residente a Belluno, ha proposto domanda di separazione giudiziale nei confronti del marito, anch’egli residente a Belluno.

Sebbene la domanda di separazione riguardi due coniugi che non sono cittadini italiani e che hanno contratto matrimonio nel paese d’origine, il Trib. di Belluno afferma la giurisdizione del giudice italiano in forza del Regolamento CE del Consiglio n. 2201/2003, che trova applicazione a prescindere dalla cittadinanza europea delle parti ed indipendentemente dalle norme sulla giurisdizione previste dal diritto nazionale (come l’art. 32 della legge 31.5.1995 n. 218), le quali restano applicabili soltanto in via residuale, ai sensi dell’art. 7 del Regolamento, qualora nessun giudice di uno Stato membro sia competente in base agli artt. 3-5 del Regolamento (cfr. Corte giustizia CE, sez. III, 29.11.2007 n. 68, nel procedimento C-68/07, Sundelind Lopez V. Lopez Lizazo, ove è precisato che il Reg. CE n. 2201/2003 "si applica anche ai cittadini di Stati terzi che hanno vincoli sufficientemente forti con il territorio di uno degli Stati membri", in conformità dei criteri di competenza previsti dallo stesso Regolamento, che si fondano sul principio della necessità di un reale nesso di collegamento tra l’interessato e lo Stato membro che esercita la competenza).

Nella fattispecie, la giurisdizione italiana (di carattere esclusivo, ai sensi dell’art. 6 del Regolamento) va affermata a norma dell’art. 3, 1° comma, lett. a), del citato Regolamento CE n. 2201/2003, il quale fissa il criterio generale della residenza, ed in particolare, tra le varie ipotesi, individua la competenza dell’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel cui territorio si trova "la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda".

Tale criterio opera nel caso in esame poiché l’attrice risiede dal 14.2.2005 a Belluno (V. certificato di residenza rilasciato in data 8.2.2007 dal Comune di Belluno, doc. 2 dell’attrice), ove ha inizialmente abitato anche con il figlio V., fino a quando questi non è stato accolto dal padre a vivere con lui a Belluno, mentre il figlio più piccolo R., sofferente di grave malattia, è stato affidato all’Opera della Provvidenza di S.A.P.; l’attrice ha inoltre affermato di svolgere attività lavorativa a Belluno (V. pg. 2 del ricorso introduttivo). Tenuto conto della nozione autonoma di "residenza abituale" nell’ambito del diritto comunitario, deve pertanto ritenersi, sulla base di una valutazione di natura sostanziale, che l’attrice abbia effettivamente fissato, con carattere di stabilità, il centro stabile e permanente dei propri interessi e relazioni a Belluno, quale luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale e lavorativa, da più di un anno alla data di proposizione della domanda (V. Cass. sez. un. 17.2.2010 n. 3680).

Va dunque affermata la giurisdizione del giudice italiano in ordine alla domanda di separazione giudiziale proposta dall’attrice.

 

·       Ci chiediamo se questa ratio decidendi (questa «valenza ecumenica» riconosciuta ai criteri del regolamento Bruxelles II bis sulla determinazione del giudice dotato di competenza giurisdizionale) sia estensibile (e la risposta ritengo debba essere positiva) anche ad altri casi, ad es.:

§       al Regolamento n. 1259/2010 («Roma III»), il quale contiene del resto un art. 4 del seguente tenore:

Articolo 4

Carattere universale

 

La legge designata dal presente regolamento si applica anche ove non sia quella di uno Stato membro partecipante.

 

§       I primi commenti sono in questo senso:

 

 

Si ricorderà che l’art. 31 stabiliva quanto segue:

Art.  31

Separazione personale e scioglimento del matrimonio

1. La separazione personale e lo scioglimento del matrimonio sono regolati dalla legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda di separazione o di scioglimento del matrimonio; in mancanza si applica la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale risulta prevalentemente localizzata.

2. La separazione personale e lo scioglimento del matrimonio, qualora non siano previsti dalla legge straniera applicabile, sono regolati dalla legge italiana.

 

Ad avviso della dottrina, il regolamento ha provocato anche la disapplicazione del comma 2° dell’art. 31, secondo cui «la separazione personale e lo scioglimento del matrimonio, qualora non siano previsti dalla legge straniera applicabile, sono regolati dalla legge italiana». Si dovrà invece seguire la corrispondente disposizione, contenuta nell’art. 10 del Regolamento, che prevede l’applicazione della lex fori qualora la legge applicabile ai sensi degli artt. 5 o 8 «non preveda il divorzio o non conceda a uno dei coniugi, perché appartenente all’uno o all’altro sesso, pari condizioni di accesso al divorzio o alla separazione personale».

Da notare che il tenore dell’art. 10 pare più limitato del cpv. dell’art. 31, facendo riferimento solo al divorzio, ma la dottrina rileva che anche la separazione deve intendersi compresa, trattandosi di un’ «ipotesi, per così dire, minore compresa in quella maggiore che fa capo alo scioglimento definitivo del matrimonio».

Dunque la legge italiana, quale lex fori, andrà applicata dal giudice italiano non solo nel caso in cui la lex causae non dovesse contemplare la separazione o il divorzio, ma anche nell’ipotesi in cui si tratti di lex causae discriminatoria.

Da notare che al medesimo risultato si potrebbe pervenire anche con l’applicazione del criterio dell’ordine pubblico. In realtà, si è giustamente detto che l’art. 10 cit. reca una valvola di salvaguardia del principio di parità tra i coniugi, non agganciata alle oscillazioni del limite dell’ordine pubblico: una sorta di affermazione, dunque, del principio di uguaglianza quale principio fondamentale in materia di diritti umani.

 

§       oppure

§       al Regolamento n. 4 del 2009 sulle prestazioni alimentari, anch’esso incentrato sul concetto di residenza abituale:

Articolo 3

Disposizioni generali

 

Sono competenti a pronunciarsi in materia di obbligazioni alimentari

negli Stati membri:

a) l’autorità giurisdizionale del luogo in cui il convenuto risiede

abitualmente; o

b) l’autorità giurisdizionale del luogo in cui il creditore risiede

abitualmente; o

c) l’autorità giurisdizionale competente secondo la legge del

foro a conoscere di un’azione relativa allo stato delle persone

qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia

accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata

unicamente sulla cittadinanza di una delle parti; o

d) l’autorità giurisdizionale competente secondo la legge del

foro a conoscere di un’azione relativa alla responsabilità genitoriale

qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare

sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza

sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti.

 

·       Con riguardo a questo problema dell’ «universalità» dei Regolamenti dell’UE in punto statuizioni relative alla competenza giurisdizionale potrà segnalarsi anche la proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, mirante ad una «rifusione» del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2001, COM/2010/748 (c.d. Regolamento «Bruxelles I»);

§       La proposta è disponibile al sito web seguente: http://www.parlamento.it/web/docuorc2004.nsf/a4f26d6d511195f0c12576900058cac9/5dd102ff4c931152c12578010061407a/$FILE/COM2010_0748_IT_2.pdf.

§       La proposta parte tra l’altro dal rilievo per cui nelle controversie con convenuti di paesi terzi l’accesso alla giustizia nell’UE è nel complesso insoddisfacente. Fermo restando che la competenza spetta al giudice dello Stato membro in cui è domiciliato il convenuto, indipendentemente dalla cittadinanza di quest’ultimo, rimane il fatto che, nel sistema attualmente vigente, fatte salve alcune deroghe, il Regolamento Bruxelles I si applica solo quando il convenuto è domiciliato nel territorio dell’UE. Negli altri casi la competenza è disciplinata dal diritto nazionale. La diversità delle legislazioni nazionali comporta un accesso ineguale alla giustizia per le imprese dell’UE che operano con partner di paesi terzi: alcune possono facilmente stare in giudizio nell’UE, altre no, anche quando non c’è un altro foro competente che garantisca il diritto a un giudice imparziale. Per giunta, se il diritto nazionale non concede l’accesso alla giustizia nelle controversie con controparti di paesi terzi, non è garantita l’applicazione delle disposizioni imperative del diritto dell’Unione che tutelano, ad esempio, i consumatori, i lavoratori dipendenti o gli agenti commerciali.

§       Da tale constatazione nasce quindi il suggerimento di estendere alle controversie con convenuti di paesi terzi le norme del regolamento «Bruxelles I» sulla competenza, incluse quelle che disciplinano i casi in cui la stessa questione è pendente dinanzi a un giudice dell’UE e a un giudice di un paese terzo.

§       La modifica consentirà in generale alle imprese e ai cittadini di citare in giudizio nell’UE soggetti di paesi terzi, in quanto in tali casi sarà applicabile la norma speciale sulla competenza che, ad esempio, stabilisce la competenza del giudice dello Stato in cui deve essere eseguito il contratto (art. 5, par. 1). Più specificatamente, grazie alla modifica, le norme sulla competenza che tutelano i consumatori (cfr. sez. 4, artt. da 15 a 17), i lavoratori dipendenti (cfr. 5, artt. da 18 a 21) e gli assicurati (cfr. sez. 3, artt. da 8 a 14) saranno applicabili anche quando il convenuto è domiciliato al di fuori dell’UE. La proposta intende anche rafforzare la tutela dei consumatori nelle controversie in cui il convenuto ha sede in un Paese terzo. Pertanto, nei rapporti tra consumatori stabiliti nell’UE e imprese stabilite in Paesi terzi sarà sempre competente il giudice del luogo in cui il consumatore ha il domicilio, anche quando il convenuto ha sede in un Paese terzo.

 

·       Vi è da notare poi che il carattere universale dei Regolamenti in oggetto non è tale con riguardo ad ogni aspetto di essi. In effetti tale universalità va riconosciuta solo con riguardo ai casi in cui tale requisito sia concretamente desumibile dal modo in cui è formulata la norma.

§       Così i sopra citati esempi di richiamo alla residenza abituale, anziché alla nazionalità, non paiono lasciare dubbi. Vi sono però altre ipotesi in cui il riferimento non può essere se non ad una situazione «europea». Si potrà riportare ancora una volta il precedente del Trib. Belluno 5 novembre 2010. Qui il marito, resistente, aveva opposto che la domanda di separazione della moglie era inammissibile perché un tribunale ucraino aveva già pronunziato il divorzio inter partes. Ora, il tribunale ritiene non applicabile l’art. 21 del Regolamento Bruxelles II bis sul riconoscimento automatico delle sentenze straniere di divorzio, perché tale riconoscimento è accordato solo ed espressamente alle sentenze di uno «Stato membro». Ne discende quindi la necessità di applicare le norme di d.i.p. italiano. Peraltro anche in base a tali disposizioni la sentenza ucraina di divorzio va riconosciuta e pertanto la domanda di separazione personale della moglie va dichiarata inammissibile.

§       Trib. Belluno su coniugi ucraini.

TRIBUNALE DI BELLUNO, 5 novembre 2010, in Banca Dati Giurisprudenza di merito De Agostini – Leggi d’Italia.

 

Il marito ha eccepito preliminarmente che il matrimonio è già stato sciolto in data 30.1.2007 dalla Corte Provinciale di Lviv, con sentenza che è stata confermata dalla Corte d’Appello di Lviv in data 16.4.2007 (V. doc. 2-3 prodotti dal convenuto nel testo originale ucraino, con relativa traduzione giurata), tanto che in data 1.5.2008 egli ha contratto nuovo matrimonio in Ucraina (V. certificato di matrimonio, doc. 7 del convenuto) con la donna con cui attualmente coabita a Belluno (V. dichiarazione presentata in data 10.5.2008 all’ufficiale dell’anagrafe di Belluno, doc. 8 del convenuto).

Il convenuto ha quindi chiesto che la domanda di separazione proposta dall’attrice sia dichiarata inammissibile, per essere già intervenuta una pronuncia di scioglimento del matrimonio.

L’attrice ha tuttavia affermato la contrarietà all’ordine pubblico della sentenza di divorzio, ai sensi dell’art. 16 della legge 31.5.1995 n. 218, per mancanza di statuizioni sull’affidamento dei figli e sull’assegno di mantenimento in favore dei figli e della stessa attrice.

Va innanzitutto rilevato che la sentenza di scioglimento del matrimonio pronunciata dall’autorità giudiziaria ucraina non può formare oggetto del riconoscimento automatico previsto dall’art. 21, 1° comma, del Regolamento CE n. 2201/2003, dato che tale disposizione si applica soltanto alle "decisioni pronunciate da uno Stato membro" dell’Unione Europea, ma non a quelle di Stati terzi. In sostanza, il Regolamento CE n. 2201/2003 - la cui disciplina della giurisdizione prescinde dalla cittadinanza europea delle parti (art. 3) - non trova invece applicazione, nel caso in esame, per quanto riguarda il riconoscimento della sentenza di divorzio, perché a tal fine presuppone che la decisione sia pronunciata da uno Stato membro dell’Unione.

Essendo sorta contestazione, nel corso del processo, in ordine al riconoscimento della sentenza di divorzio pronunciata dalla Corte ucraina, viene allora in considerazione l’art. 67, 3° comma, della legge 31.5.1995 n. 218, che prevede l’accertamento incidentale dei requisiti per la riconoscibilità, con efficacia limitata al presente giudizio in cui il riconoscimento è stato contestato.

Si deve procedere pertanto alla verifica dei presupposti del riconoscimento della pronuncia di divorzio, nella forma semplificata prevista dall’art. 65 della legge 31.5.1995 n. 218, che trova applicazione "ratione materiae" nel caso in esame.

Sul punto è stato precisato che "il nuovo complesso della disciplina del riconoscimento delle sentenze straniere in Italia, così come configurato dalla legge di riforma del sistema italiano di diritto privato italiano n. 218 del 1995, non ha delineato un trattamento esclusivo e differenziato delle controversie in tema di rapporti di famiglia riconducendole obbligatoriamente nell’ambito operativo della disciplina di cui all’art. 65 (e perciò anche dei suoi presupposti), ma ha descritto, con l’art. 64, un meccanismo di riconoscimento di ordine generale (riservato in sé alle sole sentenze), valido per tutti tipi di controversie, ivi comprese perciò anche quelle in tema di rapporti di famiglia e presupponente il concorso di tutta una serie di requisiti descritti nelle lettere da a) a g) di questa ultima disposizione normativa; rispetto ad un tale modello operativo di ordine generale, la legge ha affidato poi all’art. 65 la predisposizione di un meccanismo complementare più agile di riconoscimento - allargato, di per sé e questa volta, alla più generale categoria dei provvedimenti - riservato all’esclusivo ambito delle materie della capacità delle persone, dei rapporti di famiglia o dei diritti della personalità - il quale, nel richiedere il concorso dei soli presupposti della non contrarietà all’ordine pubblico e dell’avvenuto rispetto dei diritti essenziali della difesa, esige tuttavia il requisito aggiuntivo per cui i provvedimenti in questione siano stati assunti dalle autorità dello Stato la cui legge sia quella richiamata dalle norme di conflitto" (V. Cass. 28.5.2004 n. 10378).

Ciò premesso, il riconoscimento è innanzitutto subordinato all’accertamento che la sentenza sia stata pronunciata "dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme" della legge 31.5.1995 n. 218: nella specie, si deve fare riferimento al criterio di collegamento previsto dall’art. 31, 1° comma, della legge 31.5.1995 n. 218, il quale dispone che lo scioglimento del matrimonio "è regolato dalla legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda", per cui la sentenza in esame, pronunciata dall’autorità giurisdizionale dello Stato dell’Ucraina, del quale entrambi i coniugi sono cittadini, soddisfa il primo requisito.

L’art. 65 richiede inoltre che gli effetti della sentenza "non siano contrari all’ordine pubblico" e che "siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa".

Quanto al primo di questi due requisiti, si deve rilevare che il capo della sentenza con cui è disposto lo scioglimento del matrimonio non presenta alcun profilo di contrarietà all’ordine pubblico: la stessa attrice, nel proporre la domanda di separazione, non ha censurato la pronuncia di divorzio in quanto tale, bensì la mancanza di specifiche statuizioni accessorie sull’affidamento dei figli e sull’assegno di mantenimento in favore dei minori e della ricorrente. La sentenza di divorzio pronunciata dal giudice straniero non può quindi essere considerata in sé contraria all’ordine pubblico per l’omissione di una determinata previsione, vale a dire per il solo fatto di non contenere disposizioni in merito all’affidamento ed ai rapporti economici tra le parti.

A questo proposito si deve altresì sottolineare che, alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, l’assenza di una precedente sentenza di separazione, in quanto non richiesta dalla legge straniera che regola il rapporto, non preclude il riconoscimento della pronuncia di divorzio in applicazione di tale legge - i cui effetti, anche sotto questo specifico profilo, non possono quindi ritenersi contrari all’ordine pubblico, in riferimento all’art. 16 della legge 31.5.1995 n. 218 - risultando sufficiente il riconoscimento dell’impossibilità della ricostituzione della comunione spirituale e materiale (cfr. Cass. 25.7.2006 n. 16978: "la circostanza che il diritto straniero - nella specie, il diritto di uno Stato degli USA - preveda che il divorzio possa essere pronunciato senza passare attraverso la separazione personale dei coniugi ed il decorso di un periodo di tempo adeguato, tale da consentire ai coniugi medesimi di ritornare sulla loro decisione, non costituisce ostacolo al riconoscimento in Italia della sentenza straniera che abbia fatto applicazione di quel diritto, per quanto concerne il rispetto del principio dell’ordine pubblico, richiesto dall’art. 64, comma 1, lett. g, della legge 31.5.1995 n. 218, essendo a tal fine necessario, ma anche sufficiente, che il divorzio segua all’accertamento dell’irreparabile venir meno della comunione di vita tra i coniugi"; cfr. Cass. 28.5.2004 n. 10378).

Quanto al rispetto dei diritti essenziali della difesa, va rilevato che, come emerge dalle due decisioni delle Corti ucraine (di primo grado e d’appello), la moglie ha effettivamente partecipato al giudizio di divorzio, promosso in Ucraina, nell’ambito del quale avrebbe dunque potuto tempestivamente svolgere le domande che ha invece proposto davanti a questo tribunale.

Poiché risultano soddisfatti tutti i requisiti previsti dall’art. 65 della legge 31.5.1995 n. 218 con riferimento al capo principale della decisione pronunciata dall’autorità giudiziaria dell’Ucraina, riguardante lo scioglimento del matrimonio, tale statuizione deve essere riconosciuta in questa sede, con la conseguenza che la domanda di separazione proposta dall’attrice (che sarebbe comunque soggetta alla legge ucraina, quale legge nazionale comune dei coniugi, a norma dell’art. 31 della legge 31.5.1995 n. 218) è preclusa dall’intervenuto divorzio e va senz’altro dichiarata inammissibile, restando assorbita ogni ulteriore questione ad essa conseguente in merito agli altri capi della decisione (quale la mancata disciplina dell’affidamento e dei rapporti patrimoniali tra le parti), che potranno eventualmente formare oggetto di autonomo procedimento di revisione delle condizioni di divorzio, qualora ne sussistano i presupposti.

In ragione della natura della domanda, riguardante lo status coniugale, e dell’obiettiva peculiarità delle questioni esaminate, appaiono sussistere i presupposti per disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti.

 

 

3. La genesi del Regolamento Roma III.

 

·      Il Regolamento «Roma III» è strettamente legato a «Bruxelles II bis» e al fatto che quest’ultimo offre un’ampia scelta di criteri giurisdizionali, stabilendo il riconoscimento automatico delle decisioni tese in uno Stato membro anche in tutti gli altri Stati membri (ovviamente eccetto la Danimarca). Ora, il funzionamento di queste disposizioni, non accompagnate da norme di conflitto uniformi, aveva sollevato perplessità, anche da parte della stessa Commissione europea.

·      La prima iniziativa per l’adozione di norme uniformi anche in materia di legge applicabile, con l’intento di aumentare la certezza del diritto in questa materia, risale ad uno studio dal titolo Study on the possible practical problems resulting from the non-harmonization of choice-of-law rules, disponibile alla pagina web seguente:

·      http://www.asser.nl/upload/ipr-webroot/documents/cms_ipr_6_1_Final%20report%20divorce%20matters%20111202.pdf

·      Allo studio fece seguito un Libro verde pubblicato dalla Commissione nel 2005:  Libro verde sul diritto applicabile e sulla giurisdizione in materia di divorzio, disponibile alla pagina web seguente:

·      http://www.personaedanno.it/attachments/allegati_articoli/AA_002120_resource1_orig.pdf

·      Nel 2006 venne varata una proposta di modificare ulteriormente il Reg. n. 2201/2003 per ridefinire i criteri di competenza giurisdizionale ed introdurre norme sulla legge applicabile. Si trattava della proposta di regolamento (17.7.2006, COM(2006) 399, 2006/0135 (CNS)) che modifica il regolamento (CE) n. 2201/2003 limitatamente alla competenza giurisdizionale e introduce norme sulla legge applicabile in materia matrimoniale, approvata il 17 luglio 2006.

 

·      La procedura legislativa prevista in materia di diritto di famiglia richiede, secondo quanto stabilito dalI’art, 81 TFUE (e, all’epoca dell’esame della proposta, dall’art, 67 deI Trattato che istituisce la Comunità europea), l’unanimità del Consiglio dell’Unione previa consultazione del Parlamento europeo.

·      Dopo un acceso e lungo dibattito in seno al Consiglio, fu costatata l’impossibilità di ottenere la richiesta unanimità. La Danimarca, come noto, non partecipa all’adozione di atti in materia di famiglia, e Irlanda e Regno Unito, che si sono riservati di decidere caso per caso, avevano comunicato che non avrebbero preso parte all’adozione dell’atto. Ma anche altri Stati che prevedono una legislazione in materia di divorzio molto liberale, quali gli Stati scandinavi, avevano espresso forti riserve all’adozione di un regolamento che li avrebbe costretti ad applicare ad un divorzio regole più restrittive.

·      Si è rilevato al riguardo che il motivo per cui alcuni paesi membri non hanno accettato di partecipare all’adozione di norme dell’Unione in materia di legge applicabile al divorzio e alla separazione è da individuare nel fatto che numerosi ordinamenti applicano a questa materia la legge interna, anche ad ipotesi caratterizzate da elementi di estraneità. Ciò è dovuto al fatto che sino ad anni non troppo lontani molti ordinamenti non prevedevano l’istituto del divorzio, per cui quelli che l’ammettevano si sono orientati a regolare l’istituto sulla base della lex fori. Quegli stessi paesi non hanno ritenuto opportuno rinunciare alla propria tradizione consolidata e così non hanno accettato di partecipare all’adozione del regolamento, che li avrebbe portati in alcuni casi ad applicare leggi che ammettono il divorzio solo in presenza di condizioni molto rigorose.

·      Vista la situazione di stallo, si è così proceduto all’adozione della procedura di cooperazione rafforzata.

·      I Trattati prevedono che un gruppo composto da almeno nove Stati membri possa essere autorizzato a procedere ad una «cooperazione rafforzata». Si tratta di una disposizione, introdotta dal Trattato di Amsterdam, che non aveva sino a quel momento mai ricevuto applicazione. La cooperazione rafforzata viene definita possibile dall’art. 20 del Trattato sull’Unione europea solo «in ultima istanza», cioè quando «gli obiettivi ricercati da detta cooperazione non possono essere conseguiti entro un termine ragionevole dall’Unione nel suo insieme».

·      Così, nel luglio 2010 il Consiglio dell’Unione ha autorizzato quattordici Stati membri, fra cui per l’appunto l’Italia, a stabilire fra loro una cooperazione rafforzata nel campo della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale fra coniugi.

·      I paesi sono: Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna e Ungheria. Gli altri Stati membri potranno aderire in un secondo momento, qualora dovessero decidere di accettare le disposizioni uniformi, e continuano nel frattempo ad applicare il proprio sistema nazionale di diritto internazionale privato.

·      Va ancora notato che il meccanismo della cooperazione rafforzata implica che i relativi regolamenti non possono abrogare né modificare regolamenti preesistenti. Ciò spiega perché «Roma III» non si occupa della competenza giurisdizionale (come invece si era previsto in un primo momento, nella proposta di Regolamento non approvata, ove si voleva, molto correttamente, e parallelamente rispetto alla legge applicabile, attribuire un ruolo rilevante alla scelta delle parti del giudice di fronte al quale proporre la domanda di separazione o divorzio), ma solo di diritto applicabile.

 

 

4. Procedure e materie cui il Regolamento è applicabile.

 

·      Applicabilità temporale:

Il Regolamento, entrato in vigore il 21 dicembre 2010, è divenuto appicabile il 21 giugno 2012.

La data che rileva, normalmente, per gli operatori del diritto, è quella dell’applicabilità. L’entrata in vigore (anteriore) è prevista solitamente per l’immediata operatività di disposizioni accompagnatorie e preparatorie, usualmente a carico delle amministrazioni dei paesi membri.

In base alle disposizioni transitorie l’applicabilità non determina però il principio del tempus regit actum, nel senso che essa è, invece, riferita solo ai procedimenti «avviati» a partire dal 21 giugno 2012.

Va però aggiunto che, poiché il Regolamento si applica comunque agli accordi di scelta di legge «conclusi a decorrere da tale data», qualora la legge del foro ammetta la scelta in corso di procedimento, è possibile che i coniugi possano accordarsi sull’applicabilità di una legge di loro scelta ta anche con riferimento a procedimenti iniziati prima del 2l giugno 2012.

 

·      Materie cui il regolamento è applicabile:

Si deve tener conto del fatto che il Regolamento non è applicabile a tutte le questioni che si possono discutere in una causa di separazione o di divorzio, cioè non è applicabile a tutti i possibili risvolti processuali e sostanziali di una crisi coniugale.

Esso è infatti limitato ai presupposti di separazione e divorzio e ai loro effetti personali, come segue:

o    ammissibilità di separazione e divorzio,

o    cause di separazione e divorzio,

o    effetti che produce la presentazione della domanda di separazione o divorzio,

o    possibilità di convertire la separazione in divorzio,

o    periodo di attesa eventualmente necessario per ottenere il divorzio,

o    possibilità o meno di separazione e divorzio consensuale e regime applicabile nel caso di disaccordo tra i coniugi,

o    effetti personali (come il venir meno dell’obbligo di coabitazione) della pronunzia di separazione personale e divorzio.

 

·      Materie cui il regolamento non è applicabile:

 

 

5. La definizione delle nozioni di separazione e divorzio in relazione al carattere giurisdizionale o meno della procedura.

 

Poiché il Regolamento non fornisce alcuna definizione né della separazione, del divorzio, rilevante per lo stesso, si tratta di vedere quali «procedure» della crisi coniugale conosciute dai vari Paesi membri vengano in rilievo.

Sicuramente è chiaro ai redattori del Regolamento che a tali concetti non può essere riportato l’annullamento del matrimonio, che è espressamente escluso (v. infra). Meno chiara è invece la soluzione del problema per quelle procedure sicuramente di divorzio, ma che non sono qualificabili come giurisdizionali, poiché non prevedono un’istanza dinanzi ad un’autorità giurisdizionale.

Ora, secondo il 10° considerando, il Regolamento concerne «l’allentamento o lo scioglimento del vincolo matrimoniale», mentre si prescinde in base al 13° considerando, dalla «natura dell’autorità giurisdizionale adita».

In particolare, ai sensi dell’art. 3, n. 2, sono autorità giurisdizionali «tutte le autorità degli Stati membri partecipanti competenti per le materie rientranti nell’ambito di applicazione del (...) regolamento».

Vengono dunque in rilievo i procedimenti dinanzi ad autorità

·      giurisdizionali,

·      amministrative o

·      notarili,

·      ad esclusione delle autorità religiose che non agiscano nella veste di rappresentanti dello Stato.

Così, non potrebbe essere considerato divorzio un ripudio avvenuto dinanzi a un tribunale rabbinico o a un’autorità religiosa islamica, mentre è incluso nella nozione di divorzio fatta propria dal regolamento lo scioglimento del matrimonio avvenuto con atto notarile o attraverso procedimento amministrativo, come previsto, nell’ambito degli Stati membri dell’Unione, dalla legislazione danese e da quella dei paesi scandinavi.

 

 

6. L’esclusione dell’annullamento del matrimonio.

 

Si rileva in dottrina che la ragione per cui il Regolamento ha espressamente escluso le procedure di annullamento del matrimonio risiede nell’ovvia constatazione che esse  sono strettamente legate alla validità del matrimonio. Profilo, quest’ultimo (quello, cioè della validità del matrimonio), espressamente escluso dalla sfera di applicazione del Regolamento medesimo, dal momento che tale materia appare generalmente regolata dalla lex loci celebrationis o dalla legge nazionale dei coniugi.

Va notato poi che l’annullamento del matrimonio non è previsto da tutte le legislazioni degli Stati membri, facendo infatti eccezione la Finlandia e la Svezia (che peraltro non sono partecipanti a questo Regolamento).

Si è pure rimarcato da parte di taluno che l’esclusione dell’annullamento è dovuta anche al fatto che le norme relative a quest’ultimo sono generalmente improntate al favor matrimonii, ed appaiono dunque difficilmente conciliabili con lo spirito del Regolamento n. 1239, ispirato invece al favor divortii.

Ancora, particolarmente poco adatta a una materia quale quella dell’annullamento del matrimonio sembra la possibilità, accordata ai coniugi dal reg. UE n. 1259/2010, di scegliere la legge applicabile all’allentamento o scioglimento del vincolo matrimoniale. 

 

 

7. La (mancata) definizione del matrimonio e il problema dei matrimoni celebrati tra persone del medesimo sesso.

 

Oltre a non definire i concetti di separazione e divorzio, il Regolamento non specifica neppure cosa debba intendersi per matrimonio, ciò che ha alimentato dubbi sulla riferibilità al caso dei matrimoni celebrati in quei Paesi che ammettono la creazione del vincolo coniugale tra persone del medesimo sesso: cioè

·      Olanda,

·      Belgio,

·      Spagna,

·      Portogallo e

·      Svezia.

Il Regolamento prevede però espressamente che uno Stato non è tenuto a pronunziare il divorzio quando «non considera valido il matrimonio in questione». Secondo l’art. 13, invero, «nessuna disposizione del (...) regolamento obbliga le autorità giurisdizionali di uno Stato membro partecipante la cui legge non prevede il divorzio o non considera valido il matrimonio in questione al fini del procedimento di divorzio ad emettere una decisione di divorzio in virtù dell’applicazione del regolamento stesso».

Ciò pone dunque il problema della celebrazione, in Italia, dei divorzi dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, così come dei matrimoni poligamici.

La questione va vista alla luce del notorio atteggiamento della giurisprudenza italiana, posto che, se è vero che la sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010 sottolinea che requisito essenziale del matrimonio sarebbe la diversità di sesso dei coniugi e che il parere motivato del Senato della Repubblica italiana sulla proposta di regolamento in materia di rapporti patrimoniali tra coniugi ribadisce la chiusura del nostro ordinamento ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, è altrettanto vero che la decisione della Cassazione del 2012 sul tema si sbarazza della categoria dell’inesistenza, così come di quella dell’invalidità, per approdare ad una (per il vero assai fumosa) categoria qualificata come «inidoneità a produrre effetti nel nostro ordinamento» (nel nostro ordinamento, appunto, ma certo non in quello di origine!).

Va aggiunto anche in ordinamenti aperti a forme di unione non matrimoniale tra persone dello stesso sesso l’atteggiamento nei confronti del matrimonio omosessuale sembrerebbe, almeno in apparenza, non dissimile. La giurisprudenza tedesca (cfr. la decisione del 20 gennaio 2010 dell’Amstgericht Muenster)  ha in effetti negato che due soggetti dello stesso sesso sposatisi all’estero potessero ottenere il divorzio in Germania, dal momento che anche la Corte costituzionale tedesca considera requisito essenziale del matrimonio la differenza di sesso tra gli sposi e ha sostenuto che in ipotesi di questo genere il matrimonio contratto all’estero debba essere considerato dall’ordinamento tedesco un’unione registrata, con la conseguente possibilità per i partner di ottenere in Germania non il divorzio, bensì lo scioglimento dell’unione stessa.

Va però aggiunto ancora, che, secondo la giurisprudenza di Strasburgo (caso Schalk and Kopf v. Austria), una soluzione del genere soddisfa i criteri della Convenzione europea solo se l’ordinamento in esame prevede un istituto come l’unione registrata, palesandosi in caso contrario una violazione del diritto fondamentale di creare una famiglia, riconosciuto dalla predetta Corte, «riletta» dai giudici europei alla luce della Carta di Nizza.

Si noti poi anche che ostinarsi a considerare inesistente, invalido o comunque inefficace il matrimonio tra persone del medesimo sesso, pur se concluso in conformità con i canoni di un ordinamento straniero, rischierebbe di portare ad un’altra odiosa discriminazione verso gli omosessuali, con il risultato per cui l’autorità giurisdizionale italiana eventualmente adita potrebbe rigettare la domanda di divorzio presentata da coniugi del medesimo sesso, anche se regolato dalla legge di un paese che lo prevede. Così si potrebbe dare il caso di una coppia omosessuale che non riesce a far pronunziare il proprio divorzio.

Si pensi a coniugi, di cui uno cittadino belga e uno spagnolo. Se la coppia risiede e ha sempre risieduto in Italia, poiché i criteri di competenza giurisdizionale di cui al regolamento Bruxelles II bis non consentono ai coniugi di adire un’autorità giurisdizionale diversa da quella del paese di conmne residenza, essi non potranno far pronunziare il divorzio e si vedranno costretti ad eludere il regolamento sulla giurisdizione, fissando la loro residenza, fittiziamente, in uno Stato che ammette tale tipo di matrimonio, per... poterne chiedere ed ottenere lo scioglimento!

Persuasiva appare dunque l’opinione già espressa in dottrina secondo cui, quanto ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, ammessi nell’Unione europea dalle legislazioni olandese, belga, spagnola, portoghese e svedese, il dato testuale non porta in questo caso a ritenere che essi siano trattati in modo differente rispetto al matrimonio tradizionale.

Il regolamento, utilizzando l’espressione «scioglimento o allentamento del vincolo matrjmoniale», non specifica infatti se questo debba riguardare unicamente coppie eterosessuali o anche omosessuali. La soluzione adottata dal legislatore dell’Unione in tale ipotesi sembra essere stata pertanto quella di consentire che all’espressione «matrimonio» sia attribuito un significato generale, atto a includere anche i matrimoni tra persone dello stesso sesso.

 

 

8. La (mancata) definizione del matrimonio e il problema delle unioni registrate.

 

La mancata definizione del concetto di matrimonio potrebbe in astratto porre anche un problema di applicabilità del Regolamento alle procedure legate alla crisi di un’unione registrata.

Per tali si intendono, come noto, quelle unioni di carattere non matrimoniale, tra persone dello stesso sesso o di sesso differente, consentite ormai, se pur in forme differenti, in molti Stati membri dell’Unione europea.

Condivisibile appare la soluzione della dottrina unanime, secondo cui il Regolamento non è applicabile alle situazioni in esame. E invero, ogniqualvolta il legislatore dell’Unione europea ha inteso far riferimento alle unioni registrate, lo ha in effetti fatto in modo espresso o indicandole come rapporti «con effetti comparabili al matrimonio», accuratamente evitando sempre di includere nell’espressione «matrimonio» le unioni di questo genere.

Così, nel Regolamento CE n. 593/2008 del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali («Roma I»), all’art. 1, relativo al campo di applicazione del Regolamento, si legge che quest’ultimo non è applicabile alle «obbligazioni derivanti dai rapporti di famiglia o dai rapporti che secondo la legge applicabile a tali rapporti hanno effetti comparabili» e alle «obbligazioni derivanti da regimi patrimoniali tra coniugi, da regimi patrimoniali relativi a rapporti che secondo la legge applicabile a questi ultimi hanno effetti comparabili, nonché alle successioni».

Lo stesso si può dire a proposito degli atti in via di adozione in materia di cooperazione giudiziaria civile: la Commissione ha infatti presentato nel marzo 2011 una proposta di regolamento relativo alla competenza giurisdizionale, alla legge applicabile e al riconoscimento di decisioni sul regime patrimoniale tra coniugi e una separata proposta di regolamento sui medesimi profili relativamente al regime patrimoniale delle partnerships registrate.

 

·      Proposta di un Council Regulation on jurisdiction, applicable law and the recognition and enforcement of decisions in matters of matrimonial property regimes (COM)2011 (126)

·      Proposta di un Council Regulation on jurisdiction, applicable law and the recognition and enforcement of decisions regarding the property consequences of registered partnerships (COM)2011 (127)

 

Per quanto attiene alla prima delle due proposte, fermo restando il rilievo che essa attribuisce alla volontà delle parti nella determinazione (o, addirittura, predeterminazione) della competenza giurisdizionale in relazione alle controversie attinenti al regime patrimoniale delle coppie coniugate transfrontaliere, il criterio della comune residenza abituale emerge come la regola fondamentale di carattere suppletivo sia per la determinazione dell’ufficio giudiziario dotato di competenza giurisdizionale (cfr. art. 5 della Proposta n. 126, in relazione al caso di mancato accordo sulla competenza del tribunale determinato in base a Bruxelles II-bis: cfr. art. 4), sia per la scelta del diritto applicabile (art. 16), sia per la determinazione di quest’ultimo in difetto d’accordo (art. 17), sia, ancora, per possibili mutamenti della scelta del diritto applicabile (art. 18), sia, infine, per la determinazione di possibili elementi formali ulteriori per la validità del contratto di matrimonio (art. 20).

 

Anche la seconda proposta attribuisce in primo luogo rilievo fondamentale alla volontà delle parti nella determinazione (o, addirittura, predeterminazione) della competenza giurisdizionale in relazione alle controversie attinenti al regime patrimoniale delle coppie transfrontaliere legate da rapporto di registered partnership, ma pure in questo caso il criterio della comune residenza abituale emerge come la regola fondamentale di carattere suppletivo per la determinazione dell’ufficio giudiziario dotato di competenza giurisdizionale (cfr. art. 5 della Proposta n. 127, in relazione al caso di mancato accordo sulla competenza del tribunale investito per la causa di scioglimento del vincolo: cfr. art. 4), mentre per la determinazione del diritto applicabile (art. 15) vige la sola regola dell’applicazione della «law of the State in which the partnership was registered».

Per ulteriori informazioni sulle due proposte si fa rinvio alla pagina web seguente:

http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/11/320&format=HTML&aged=0&language=IT&guiLanguage=it.

Si tenga presente che le due proposte si collocano sia nell’ottica di Bruxelles, che in quella di Roma

 

La volontà di evitare qualsiasi forma di imposizione agli Stati membri quanto alla qualificazione delle registered partnerships si riflette in modo evidente nel principio – ribadito più volte dalla Corte di giustizia e in atti di diritto derivato – secondo il quale spetta ai singoli Stati membri decidere se estendere alle unioni registrate il trattamento spettante alle unioni di tipo matrimoniale. Un simile principio è espressamente enunciato all’art. 2 della dir. 2004/38/CE (19) relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, secondo il quale può essere considerato familiare del cittadino dell’Unione «il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante».

 

 

9. Principali materie cui il regolamento non è applicabile. In particolare: gli effetti patrimoniali del matrimonio.

 

·      Il Regolamento stesso prevede la sua non applicabilità, tra l’altro, alle materie seguenti:

o    effetti patrimoniali del matrimonio,

o    responsabilità genitoriale,

o    obbligazioni alimentari.

·      Esattamente si fa rilevare in dottrina in proposito che la disciplina che ne risulta appare possedere carattere «eterogeneo e frammentato».

·      Raramente, infatti, i provvedimenti di separazione e divorzio vengono pronunciati isolatamente, poiché essi coinvolgono quasi sempre anche altri aspetti, tra cui il regime dei rapporti della potestà dei genitori e dei rapporti patrimoniali tra coniugi, con riguardo a quelle che nel linguaggio europeo si chiamano prestazioni alimentari (e che da noi vanno sotto il nome di assegni di separazione e di divorzio); diverso discorso va fatto in Italia per ciò che è delle questioni sul regime patrimoniale, sia legale che convenzionale, trattandosi di questioni non cumulabili nelle procedure di separazione e divorzio.

·      Nell’architettura della l. n. 218/95, tali materie sono, sì, oggetto di distinte norme di diritto internazionale privato – rispettivamente gli artt. 29 e 30 – ma, salvo alcune eccezioni, tali norme e l’art. 31 conducono all’applicazione della medesima legge.

·      Si era così realizzata, da parte del legislatore del 1995, una apprezzabile «unità e continuità nella disciplina del matrimonio e dei suoi effetti patologici», avente il pregio, da un lato, di attenuare la rilevanza pratica dei problemi di qualificazione sollevati dalle fattispecie di queste tre norme di conflitto e, dall’altro, di assicurare che tutti questi aspetti fossero tendenzialmente sottoposti a un’unica legge. Poiché invece, come si dirà tra breve, i rapporti personali e patrimoniali tra coniugi restano esclusi dall’ambito di applicazione del reg. UE n. 1259/2010, quest’ultimo dovrà convivere, in Italia, con norme di conflitto ispirate a valori diversi che, in molti casi, condurranno all’applicazione di una diversa legge.

 

·      Per ciò che attiene agli «effetti patrimoniali del matrimonio», va subito detto che tale categoria va distinta dalle «obbligazioni alimentari», pure escluse dal Regolamento.

·      La distinzione tra le due categorie è rilevante ai fini del diritto applicabile, in quanto ad essa corrispondono due distinte norme di diritto internazionale privato:

o    mentre, infatti, i rapporti patrimoniali tra coniugi continuano ad essere regolati dalla legge designata dall’art. 30 della 1. n. 218/95,

o    le obbligazioni alimentari sono sottoposte, a partire dal 18 giugno 2011, per via del rinvio operato dal Regolamento n. 4 del 2009, al protocollo dell’Aja del 23 novembre 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, che ha sostituito la convenzione dell’Aja del 2 ottobre 1973 e reso di fatto inoperante il rinvio «in ogni caso» a quest’ultima contenuto nell’art. 45 della 1. n. 2 18/95.

·      Al fine di distinguere tra le due categorie, occorre tenere presente, in una prospettiva di interpretazione sistematica, la nozione autonoma di «rapporti patrimoniali tra coniugi» e «obbligazioni alimentari», elaborata dalla Corte di giustizia con riferimento alla convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 e del successivo reg. CE n. 44/2001.

·      La Corte ha dato della nozione di obbligazione alimentare un’interpretazione ampia, ravvisandone gli estremi se «una determinata prestazione è diretta a garantire il sostentamento di un coniuge bisognoso o se le esigenze e le risorse di ciascun coniuge sono prese in considerazione per stabilirne l’ammontare, la decisione riguarda un’obbligazione alimentare», riconducendo invece ai rapporti patrimoniali tra coniugi una decisione attinente «unicamente alla ripartizione dei beni tra i coniugi» (sul tema si fa rinvio a: http://giacomooberto.com/milano2009/relazione.htm#para2).

 

·      Conformemente a questo indirizzo, la giurisprudenza italiana riconduce alle obbligazioni alimentari anche l’assegno di mantenimento previsto dall’art. 5, comma 5°, della 1. 1 dicembre 1970, n. 898, che potrà pertanto essere richiamato in base alle norme di conflitto contenute nel protocollo dell’Aja del 2007.

·      Per contro, attengono ai «rapporti patrimoniali tra coniugi» e dovranno pertanto essere valutati in base all’art. 30 della l. n. 218/95, sia, in caso di separazione, la modifica dei rapporti patrimoniali conseguenti all’allentamento del vincolo coniugale, sia, in caso di divorzio, la definizione del c.d. assetto patrimoniale finale dei medesimi rapporti conseguente al suo scioglimento (scioglimento e liquidazione del regime patrimoniale, vuoi legale, vuoi convenzionale). Questa norma, va ricordato, richiama (fino all’approvazione dell’apposito Regolamento ancora in fase di proposta) la legge nazionale comune o, in mancanza di un’unica legge nazionale comune, la legge dello Stato di prevalente localizzazione della vita matrimoniale, consentendo al contempo ai coniugi di sottoporre i loro rapporti patrimoniali alla legge dello Stato di cui almeno uno di essi è cittadino o in cui almeno uno di essi risiede.

 

·      Tra le eccezioni di cui al Regolamento in esame compare anche il richiamo al trust. Qui la definizione è complessa, dal momento che si tratta di un istituto sconosciuto agli ordinamenti di civil law e in relazione al quale è difficile individuare una nozione autonoma propria dell’ordinamento dell’Unione europea. Tale definizione peraltro comporta meno problemi in relazione al reg. UE n. 1259/2010 rispetto a quanti ne ponga in riferimento al regolamento «Roma I», dal cui ambito di applicazione il trust è pure escluso. Detto istituto presenta infatti profili di intersezione soprattutto con la materia contrattuale e con la materia successoria, dunque con due settori estranei al Regolamento 1259/2010.

 

 

10. Le obbligazioni alimentari.

 

·      L’estraneità delle obbligazioni alimentari dalla sfera di applicazione del regolamento è peraltro in parte attenuata dalle disposizioni del regolamento relative al diritto applicabile. Il reg. CE n. 4/2009 rinvia infatti, per quanto concerne detto profilo, al protocollo dell’Aja del 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, protocollo firmato all’Aja il 23 novembre 2007 ed entrato in vigore per gli Stati membri (ad eccezione di Danimarca e Regno Unito) il 18 giugno 2011, a seguito del richiamo ad esso effettuato dall’art. 15 del regolamento (CE) n. 4/2009 del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari, entrato appunto in vigore in pari data.

 

·      Ebbene, anche il Protocollo del 2007 reca all’art. 8 una norma che consente la scelta della legge applicabile, per lo più in base ai medesimi parametri elencati nell’art. 5 del regolamento, specificando da un lato che può inoltre essere selezionata anche la legge designata o «effettivamente applicata» in occasione del divorzio o della separazione personale, ma dall’altro escludendo che l’accordo suddetto essere stipulato per le obbligazioni nei confronti con un minore.

 

Article 8

Designation of the applicable law

 

(1)  Notwithstanding Articles 3 to 6, the maintenance creditor and debtor may at any time designate one of the following laws as applicable to a maintenance obligation -

 

a) the law of any State of which either party is a national at the time of the designation;

b) the law of the State of the habitual residence of either party at the time of designation;

c) the law designated by the parties as applicable, or the law in fact applied, to their property regime;

d) the law designated by the parties as applicable, or the law in fact applied, to their divorce or legal separation.

 

(2)  Such agreement shall be in writing or recorded in any medium, the information contained in which is accessible so as to be usable for subsequent reference, and shall be signed by both parties.

(3)  Paragraph 1 shall not apply to maintenance obligations in respect of a person under the age of 18 years or of an adult who, by reason of an impairment or insufficiency of his or her personal faculties, is not in a position to protect his or her interest.

(4)  Notwithstanding the law designated by the parties in accordance with paragraph 1, the question of whether the creditor can renounce his or her right to maintenance shall be determined by the law of the State of the habitual residence of the creditor at the time of the designation.

(5)  Unless at the time of the designation the parties were fully informed and aware of the consequences of their designation, the law designated by the parties shall not apply where the application of that law would lead to manifestly unfair or unreasonable consequences for any of the parties.

 

·      D’altro canto i coniugi, sempre in base all’art. 8, possono altrettanto selezionare la legge designata o «effettivamente applicata» al loro regime patrimoniale, attuando anche sotto questo profilo l’unitarietà della disciplina. Tale unitarietà potrà essere completata, in prospettiva, dall’art. 16 del futuro regolamento sui regimi patrimoniali dei coniugi, il quale indirizza la relativa scelta della legge regolatrice verso i medesimi parametri adottati dall’art. 5 del regolamento n. 1259/2010, ad eccezione ovviamente di quello della lex fori.

·      A tale risultato sembrerebbe di poter giungere sin d’ora se si ritiene che l’art. 30 della legge n. 218/95 sia applicabile anche agli effetti patrimoniali scaturenti dalla patologia del matrimonio.

·      Qualora tuttavia non si ritenga di condividere tale impostazione, risulta evidente lo sfasamento tra le leggi in presenza, dato che l’art. 31 comma 1 contempla - come più volte rilevato – in prima battuta il criterio della cittadinanza comune e successivamente quello della prevalente localizzazione della vita matrimoniale.

 

·      In difetto di accordo, il protocollo dell’Aja prevede una regola generale fondata sulla residenza abituale del creditore; è però anche prevista la possibilità che la parte interessata richieda l’applicazione della legge che presenta una «closer connection with the marriage», così opponendosi all’applicazione della regola generale, secondo cui la legge applicabile è quella della residenza abituale del creditore di siffatte prestazioni.

 

Article 3

General rule on applicable law

 

(1)  Maintenance obligations shall be governed by the law of the State of the habitual residence of the creditor, save where this Protocol provides otherwise.

(2)  In the case of a change in the habitual residence of the creditor, the law of the State of the new habitual residence shall apply as from the moment when the change occurs.

Article 5

Special rule with respect to spouses and ex-spouses

 

In the case of a maintenance obligation between spouses, ex-spouses or parties to a marriage which has been annulled, Article 3 shall not apply if one of the parties objects and the law of another State, in particular the State of their last common habitual residence, has a closer connection with the marriage. In such a case the law of that other State shall apply.

 

 

11. L’internazionalità del rapporto matrimoniale.

 

Il Regolamento si applica soltanto «in circostanze che comportino un conflitto di leggi» (art. 1). Esso non troverà applicazione, quindi, di fronte ai giudici italiani, in relazione a matrimoni che non presentino elementi di internazionalità presi in considerazione dal Regolamento stesso (cfr. in partic. gli elementi evidenziati dall’art. 5 e 8: residenza abituale e cittadinanza).

L’elemento dell’internazionalità deve sussistere al momento della presentazione della domanda, a nulla rilevando che non sia stato eventualmente presente durante una qualche fase del rapporto coniugale. 

Per esempio, nell’ipotesi di una coppia di coniugi aventi medesima nazionalità e residenza abituale in quello stesso Stato, il successivo trasferimento di almeno uno dei coniugi in un diverso Stato membro origina la competenza giurisdizionale alternativa di quel paese (immediatamente, appena la residenza può ritenersi «abituale» se si tratta del coniuge convenuto o di domanda congiunta, dopo un anno di residenza se si tratta dell’attore) e solleva pertanto un conflitto di leggi, che sarà governato dal Regolamento se si tratta di uno dei quattordici Stati membri partecipanti.

 

 

12. La scelta delle parti sulla legge applicabile.

 

·      Mentre nei regolamenti «Roma I» e «Roma II» alle parti è consentito scegliere la legge di qualsiasi ordinamento, il Regolamento n. 1259/2010 limita l’optio iuris ad alcune leggi predeterminate dal legislatore:

o    la legge dello Stato di residenza abituale dei coniugi al momento della conclusione dell’accordo;

o    la legge dello Stato dell’ultima residenza abituale dei coniugi, se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione dell’accordo;

o    la legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza al momento della conclusione dell’accordo;

o    la legge del foro.

·      La scelta dei redattori del regolamento appare peraltro più in generale conforme al disegno, chiaramente perseguito dalle istituzioni europee, di fare della volontà delle parti il vero e proprio centro di gravità del diritto internazionale privato europeo.

·      In questo senso, depone altresì la tendenza ad estendere la rilevanza dell’optio iuris anche a materie comprese o comunque connesse al diritto di famiglia, com’è accaduto

o    con il Regolamento n. 4/2009 del 18 dicembre 2008 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari,

o    e come la Commissione ha recentemente prospettato, fra l’altro, nel contesto della proposta del nuovo regolamento in tema di rapporti patrimoniali tra coniugi.

·      La possibilità di scelta dovrebbe aumentare la certezza del diritto applicabile e la prevedibilità delle soluzioni. Non bisogna però sottacere che, poiché la maggior parte degli ordinamenti non consente alle parti di scegliere la legge applicabile al divorzio, l’accordo dei coniugi a tale proposito potrebbe non essere riconosciuto come valido nè negli Stati terzi, né negli Stati membri dell’Unione che non hanno adottato il regolamento. Non è pertanto escluso che il coniuge che voglia vanificare la scelta alla quale aveva previamente consentito possa cercare di adire l’autorità giurisdizionale di un paese che non la considererà valida; se si tratta di un paese membro, ma non partecipante, l’introduzione dell’istanza farà scattare l’eccezione di litispendenza prevista dal Regolamento n. 2201/2003 e l’altro coniuge non potrà più proporre l’azione in un altro Stato membro.

 

·      Venendo al problema del momento in cui la scelta può essere operata, va rilevato che la limitazione temporale viene individuata «al più tardi al momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale». Ora, proprio la mancata fissazione di un dies a quo per il raggiungimento di siffatta intesa (di cui, invece, come si è appena detto, viene con precisione specificato il momento sino al quale la stessa può essere conclusa), autorizza a ritenere che tali accordi possano essere stipulati già al momento della celebrazione delle nozze. Da ciò sembra derivare un’ulteriore conferma dell’ammissibilità dei contratti prematrimoniali, se non addirittura un incoraggiamento alla conclusione degli stessi.

·      In senso contrario non vale rilevare che la disposizione attribuisce il potere di scelta ai «coniugi», per inferirne che la scelta di legge dovrebbe comunque essere successiva al matrimonio e non potrebbe dunque essere compresa in un accordo prematrimoniale. Il richiamo al concetto di «coniuge» si spiega invero per via del contesto in cui la norma si colloca, che è un contesto di separazione e divorzio.

·      vale considerare che tra le leggi suscettibili di scelta vi è la legge della residenza abituale comune dei coniugi al momento della conclusione dell’accordo e tale legge può evidentemente essere determinata solo a seguito del matrimonio, dal momento che questo è uno ed uno soltanto dei criteri di legge, cui le parti potrebbero in via preventiva voler derogare.

·      A definitiva conferma della validità della tesi qui prospettata si pone il rilievo desumibile dal 19° considerando che espressamente parla di un accordo sulla legge applicabile contenuto in un «contratto di matrimonio». Ora, in tutta Europa il contratto di matrimonio può essere stipulato, indifferentemente, sia prima che dopo la celebrazione delle nozze ed il principio, acquisito nel corso degli ultimi decenni, di libera modificabilità delle convenzioni matrimoniali non consente più in alcun modo di porre distinzioni di sorta tra convenzioni prenuziali e convenzioni postnuziali.

 

 

13. Le soluzioni in caso di mancata scelta.

 

·      In caso di mancata scelta la legge prevede una serie di criteri di collegamento ordinati in scala gerarchica, secondo il sistema detto «a cascata».

 

Articolo 8

Legge applicabile in mancanza di scelta ad opera delle parti

In mancanza di una scelta ai sensi dell’articolo 5, il divorzio e la separazione personale sono disciplinati dalla legge dello Stato:

a) della residenza abituale dei coniugi nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale, o, in mancanza;

b) dell’ultima residenza abituale dei coniugi sempre che tale periodo non si sia concluso più di un anno prima che fosse adita l’autorità giurisdizionale, se uno di essi vi risiede ancora nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale; o, in mancanza;

c) di cui i due coniugi sono cittadini nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale; o, in mancanza;

d) in cui è adita l’autorità giurisdizionale.

 

·      A differenza del legislatore italiano, quello comunitario mostra perciò di prediligere il criterio della residenza abituale rispetto a quello della cittadinanza, alla luce di un orientamento di fondo che emerge anche da altri (futuri) strumenti sulla legge applicabile allo statuto personale degli individui nonché - già da tempo - a livello internazionale dalle convenzioni elaborate in seno alla Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato.

·      Il ricorso in via primaria al suddetto criterio, a discapito di quello relativo alla cittadinanza, rispettoso dell’identità culturale dei coniugi, rivela un intento di assimilazione della coppia straniera nella realtà sociale del Paese in cui essa vive; e comporta nella maggior parte dei casi l’applicazione delle norme materiali del giudice adito, riducendo così le ipotesi - pur sempre foriere di problemi - di individuazione del contenuto di norme estere.

 

·      Con specifico riguardo alle coppie residenti in Italia, un simile intento di integrazione può risultare tuttavia svantaggioso per i coniugi la cui legge nazionale preveda una disciplina delle cause di divorzio che conduca più agevolmente alla relativa pronuncia rispetto alla nostra legge; ciò può accadere non solo riguardo ai cittadini di Stati membri, siano questi ultimi partecipanti o non partecipanti, ma anche di Stati terzi ivi compresi quelli con ordinamento a matrice religiosa musulmana.

·      Si pensi ad es. ad una coppia di coniugi spagnoli residenti in Italia ai quali, se non intendono ricorrere al giudice della cittadinanza comune, ex art. 3 lett. b del regolamento n. 2201/2003, non sarà più applicabile la loro legge nazionale che prevede la pronuncia di divorzio dopo tre mesi dal matrimonio a seguito di semplice domanda (c.d. divorcio express). Una pronuncia di tal genere sarà anche preclusa nei confronti delle mogli di un cittadino albanese o marocchino i cui ordinamenti contemplano il divorzio «immediato» per maltrattamenti.

 

 

14. Il peculiare caso della presenza di coniugi con pluralità di cittadinanze.

 

·      Le possibilità di scelta appaiono molto estese laddove uno o entrambi i coniugi abbiano più di una cittadinanza.

·      Risulta applicabile il principio enunciato dalla Corte di giustizia, pur in sede di interpretazione dell’art. 3 del Regolamento n. 2201/2003 (Bruxelles II bis), nella sent. Hadadi, secondo cui, in caso di plurima cittadinanza, non si può individuarne una prevalente, poiché gli argomenti sviluppati in tale pronuncia appaiono suscettibili di essere estesi anche alla disposizione in commento.

·      La sentenza 16 luglio 2009 nel caso Hadadi, riguardava il divorzio tra due soggetti aventi doppia cittadinanza, ungherese e francese, in cui occorreva stabilire se i tribunali ungheresi, aditi dal marito, fossero muniti di giurisdizione in base all’art. 3, par. 1, lett. b), del Regolamento n. 2201/2003. La Corte ha escluso che, in caso di doppia cittadinanza comune dei coniugi, si potesse ricorrere al criterio della «cittadinanza prevalente» ed ha invece concluso nel senso che, in tale situazione, i coniugi possono adire, a loro scelta, i giudici di uno dei due Stati membri di cui sono cittadini.

 

·      La soluzione accolta nel caso Hadadi, peraltro, mentre pare applicabile per analogia all’art. 5 del regolamento – in cui la legge nazionale di uno dei coniugi è una tra le tante leggi che i coniugi hanno la facoltà di sceglierenon offre un sicuro criterio risolutivo allorquando non vi sia accordo sulla legge applicabile. Infatti, per la sua struttura, l’art. 8 deve indicare una sola legge, non avendo i coniugi raggiunto un accordo su tale aspetto. Pertanto, la questione deve essere risolta secondo i criteri di ciascun diritto nazionale, nel rispetto dei sopra indicati principi dell’ordinamento dell’Unione.

·      In Italia, l’art. 19, comma 2°, della l. n. 218/95 prevede, in caso di soggetto con più cittadinanze, l’applicazione della legge di quello tra gli Stati di appartenenza con il quale esso ha il collegamento più stretto, stabilendo al contempo che, se tra le cittadinanze vi è quella italiana, questa prevalga. L’ultima parte della norma, che impone una preferenza sistematica per la cittadinanza italiana, non pare in ogni caso applicabile all’ipotesi in esame in quanto, come è stato osservato, tale disposizione va limitata al caso in cui il criterio della cittadinanza debba esprimere il collegamento di un singolo soggetto con l’ordinamento la cui legge deve applicarsi: essa non si applica invece nei casi in cui la cittadinanza descriva il collegamento di un rapporto con un determinato ordinamento, come fa appunto l’art. 31 della I. n. 218/93, richiamando la legge nazionale comune per regolare il divorzio e la separazione. In ogni caso, come è stato rilevato in dottrina, nel caso in cui la cittadinanza italiana concorra con quella di uno Stato membro, la prevalenza automatica della prima sulla base dell’art. 19, comma 2°, sarebbe contraria ai principi dell’ordinamento dell’Unione europea.

·      Ne discende che, laddove i soggetti possiedano più cittadinanze comuni, si dovrà ricercare, alla luce degli elementi concreti di ogni singolo caso, quella con cui i coniugi risultino maggiormente collegati.

·      Tornando al caso dell’accordo sulla legge applicabile, sebbene la sentenza Hadadi si riferisca solo all’ipotesi in cui entrambi i coniugi abbiano doppia cittadinanza di Stati membri, non sembra escluso che, nel contesto del Regolamento 1259/2010, il principio possa essere applicato anche quando le plurime cittadinanze siano di Stati non membri. Da un lato, ciò discende dal carattere universale delle norme di conflitto ai sensi dell’art. 2 del regolamento; dall’altro, dal fatto che la Corte di giustizia non ha argomentato, com’era accaduto in passato, con riferimento ai rapporti tra le cittadinanze di soli Stati membri.

 

 

15. La posizione degli apolidi.

 

Il regolamento tace invece completamente sulla posizione degli apolidi rispetto alla scelta della legge applicabile, e apparentemente, l’art. 5 risulta inapplicabile rispetto a tali soggetti. Sembra preferibile ritenere che, nel silenzio del regolamento, debbano trovare applicazione le norme nazionali che stabiliscono il trattamento da applicare agli apolidi rispetto alle norme di conflitto fondate sulla cittadinanza: nell’ordinamento italiano, l’art. 19, 1. n. 218/95 potrebbe di conseguenza consentire di scegliere, come legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, anche la legge del domicilio (o, in mancanza, della residenza) dell’eventuale coniuge apolide.

 

Art. 19 (l. n. 218 del 1995)

Apolidi, rifugiati e persone con più cittadinanze

 

1. Nei casi in cui le disposizioni della presente legge richiamano la legge nazionale di una persona, se questa è apolide o rifugiata si applica la legge dello Stato del domicilio, o in mancanza, la legge dello Stato di residenza.

2. Se la persona ha più cittadinanze, si applica la legge di quello tra gli Stati di appartenenza con il quale essa ha il collegamento più stretto. Se tra le cittadinanze vi è quella italiana, questa prevale.

 

 

16. Il criterio della lex fori.

 

·      Da ultimo, l’art. 5 del Regolamento consente agli sposi di scegliere quale legge applicabile al divorzio e alla separazione personale la lex fori.

·      Possono essere ravvisate varie giustificazioni per tale previsione:

o    per le parti, tale legge presenta il pregio di rendere particolarmente agevole l’accertamento del contenuto della legge applicabile, evitando le difficoltà e i costi connessi alla conoscenza e all’applicazione del diritto straniero e realizzando un collegamento immediato tra forum e ius.

o    D’altra parte, in materia di divorzio e separazione personale l’intreccio tra norme sostanziali e norme processuali appare particolarmente significativo, tanto che secondo la tradizione di molti Stati membri perlopiù non partecipanti (il Regno Unito, l’Irlanda, gli Stati scandinavi, la Lettonia) l’applicazione della lex fori costituisce una soluzione tradizionale.

·      L’inclusione della legge del foro tra quelle suscettibili di essere scelte avrebbe potuto realizzare in maniera massima le aspettative delle parti specialmente se fosse stato possibile al contempo concludere, anche in materia matrimoniale, accordi di proroga della giurisdizione. Allo stato, come premesso, il reg. CE n. 2201/2003 si limita a individuare vari fori alternativi a scelta dell’attore ma non ammette che i coniugi possano concludere accordi di proroga; peraltro, in sede di cooperazione rafforzata non è stato possibile riprendere la proposta originaria della Commissione, che prospettava una modifica della disciplina della giurisdizione in materia matrimoniale per lasciare spazio anche in tale campo all’autonomia delle parti.

·      In mancanza di un parallelismo con la libertà di proroga della giurisdizione, v’è il rischio che le parti abbiano un minor interesse alla scelta della lex fori come legge regolatrice. E pur vero che essa può comunque realizzare il descritto obiettivo di semplificazione nell’individuazione e nell’accertamento del diritto applicabile: ma allo stesso tempo essa sembra porre talune difficoltà pratiche. Non solo, com’è stato rilevato, l’ampio numero di criteri di giurisdizione previsti dall’art. 3 del reg. CE n. 2201/2003 potrebbe indurre ciascuno dei coniugi, quando abbiano scelto la lex fori come legge regolatrice, a avviare il più rapidamente possibile il procedimento giurisdizionale per assicurarsi l’applicazione della legge più favorevole dal proprio punto di vista. Ma tale estesa libertà dell’attore potrebbe mettere in pericolo anche la prevedibilità della legge applicabile, poiché la generica scelta della lex fori ad opera dei coniugi difficilmente consentirà loro un’individuazione preventiva della legge applicabile.

 

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