Giacomo Oberto

 

GLI ACCORDI PATRIMONIALI TRA CONIUGI

IN SEDE DI SEPARAZIONE O DIVORZIO

TRA CONTRATTO E GIURISDIZIONE:

IL CASO DELLE INTESE TRASLATIVE

 

Sommario:

SEZIONE I

DIRITTO DI FAMIGLIA, CRISI CONIUGALE E AUTONOMIA PRIVATA

1. Introduzione. Contratto e famiglia.

2. Il superamento della «concezione istituzionale» della famiglia e la teoria del negozio giuridico familiare.

3. Tutela dell’individuo e principio dell’accordo nella Costituzione e nella legislazione ordinaria.

4. Tutela dell’individuo e principio dell’accordo nella riforma del 1975.

5. La più recente evoluzione dottrinale e giurisprudenziale sul tema della negozialità tra coniugi in crisi.

SEZIONE II

I TRASFERIMENTI PATRIMONIALI TRA I CONIUGI

6. Ammissibilità di contratti della crisi coniugale relativi al trasferimento di diritti in sede di separazione e divorzio. L’esclusione della causa liberale.

7. Causa, cause e motivi dei trasferimenti attuati nel contesto di un contratto della crisi coniugale.

8. Tipologia dei negozi in oggetto.

9. Soggetti e oggetto dei trasferimenti. Rinvio.

10. Profili formali e pubblicitari. Le modifiche di cui al d.l. 78/2010.

11. Gli accordi di carattere obbligatorio. Generalità. La natura dell’impegno a trasferire.

12. Segue. La natura dell’atto di trasferimento.

13. Gli effetti del trasferimento. Sulla possibilità di sottoporre l’accordo traslativo alla condizione sospensiva dell’omologazione, ad altra condizione, o a termine, o comunque di determinare liberamente il momento di decorrenza degli effetti del trasferimento. – 13.1. Generalità. «Condizioni» ed «effetti» della separazione. – 13.2. Il collegamento tra atti traslativi (o comunque dispositivi) tra coniugi in crisi e omologazione della separazione consensuale, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità. – 13.3. La necessaria distinzione tra effetti (della separazione) destinati a perdurare nel tempo ed effetti destinati a prodursi in modo istantaneo. Argomenti ricavabili dalla considerazione del rilievo della separazione di fatto. Possibilità per i coniugi di far decorrere gli effetti degli atti traslativi da un momento diverso da quello dell’omologazione.

14. Gli effetti del trasferimento in relazione all’azione revocatoria ordinaria ed alla revocatoria fallimentare.

SEZIONE III

I TRASFERIMENTI PATRIMONIALI IN FAVORE DELLA PROLE

15. I trasferimenti in favore della prole. Il problema dell’ammissibilità dell’erogazione del mantenimento della prole mediante prestazione una tantum.

16. Le posizioni della giurisprudenza di merito sul tema dei trasferimenti in favore della prole.

17. Le posizioni della giurisprudenza di legittimità sul tema dei trasferimenti in favore della prole e la natura contrattuale delle obbligazioni in discorso.

18. I trasferimenti in favore della prole come contratti a favore di terzi.

19. Questioni in tema di rappresentanza legale del minore.

20. I trasferimenti in favore della prole e i rapporti con la donazione.

21. I trasferimenti in favore della prole naturale nell’ambito della crisi della famiglia di fatto.

22. Profili fiscali dei trasferimenti in favore della prole (legittima e naturale).

 


SEZIONE I

DIRITTO DI FAMIGLIA, CRISI CONIUGALE E AUTONOMIA PRIVATA

 

 

1. Introduzione. Contratto e famiglia.

 

Contratto e famiglia: un accostamento che può ancora apparire ardito, per lo meno per chi ancora si collochi nell’ottica «tradizionale» che, sulla base di perduranti echi della concezione istituzionale della famiglia, enfatizza in questa materia gli aspetti d’ordine pubblico, le regole inderogabili e la tutela del soggetto «debole»; profili, questi, che non solo affiorano con andamento ciclico nella dottrina [1], ma che sembrano ricevere conforto da alcuni (peraltro sempre più ristretti) filoni nella giurisprudenza di legittimità, nonché da un certo numero di dati desumibili dalla stessa legislazione in materia di famiglia. Potranno citarsi a titolo d’esempio, per quanto attiene ai primi, le persistenti «chiusure» della Cassazione in materia di disponibilità del contributo al mantenimento del coniuge separato e dell’assegno di divorzio, alimentate del resto – e qui veniamo alla normativa – da alcuni dati desumibili dalla modifiche introdotte alla legislazione in materia di crisi coniugale dalla l. 74/1987, quali l’esaltazione del carattere assistenziale dell’assegno ex art. 5 l.div., o l’espresso riconoscimento della figura del «coniuge debole» nel successivo art. 6, comma sesto (così come sostituito dall’art. 11, l. 74/1987): disposizione, quest’ultima, che peraltro deve ritenersi implicitamente abrogata dal rinvio agli artt. 155 ss. c.c. (e in parte qua all’art. 155-quater c.c.) disposto dall’art. 4, l. 8 febbraio 2006, n. 54 («Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli»). Modifiche, queste, che, come si è detto in altra sede [2], hanno sicuramente giocato un ruolo determinante in quel processo involutivo che ha portato buona parte della dottrina, unitamente alla giurisprudenza di legittimità, ad immolare sull’altare della «solidarietà postconiugale» le aperture maturate in precedenza sul tema della disponibilità dell’assegno divorzile.

Il tema è stato affrontato in altri lavori [3]. Qui, avuto particolare riferimento al tema dei trasferimenti patrimoniali in sede di crisi familiare, potrà solo porsi in luce, rimanendo su di un piano generale e terminologico, la propensione dello stesso codice ad evitare il più possibile l’uso della parola «contratto» in materia di rapporti tra coniugi. Questo termine, invero, compare nel solo art. 162, comma quarto, nonché nell’art. 166, all’interno della locuzione «contratto di matrimonio», al punto da fornire l’impressione che l’impiego dell’espressione in discorso sia quasi il frutto di una «svista» del legislatore. Così non è, di certo; e le pagine che seguono vogliono fornire una smentita di una simile, quanto mai affrettata, conclusione: in questa introduzione potrà ricordarsi, per l’intanto, che in svariati ordinamenti vicini al nostro non si ha difficoltà a definire alla stregua di un contratto lo stesso istituto matrimoniale. Così l’art. 1055 del codice di diritto canonico parla di matrimonialis contractus, mentre la dottrina francese, se sembra convergere sulla nozione di acte juridique, si divide poi tra la tesi «contrattualistica» e quella «istituzionale» [4], laddove in Italia è solo l’elemento della patrimonialità, introdotto dall’art. 1321 c.c., ad impedire di ricondurre il matrimonio all’archetipo contrattuale. Non è certo questa la sede per trattare della questione – dal sapore forse più storico che attuale [5] – della natura del matrimonio [6], ma non potrà farsi a meno di constatare come comunque, anche da noi, pure in presenza del dato positivo testé posto in luce, la concezione «istituzionale» del matrimonio abbia ceduto ormai il passo a quella negoziale [7].

Sempre restando sul piano terminologico, andrà notato che il codice sembra manifestare una preferenza, anche in materia di rapporti patrimoniali, per termini quali «convenzione» o «patto» [8]. Ora, non vi è dubbio che molte delle perplessità di cui si è dato conto siano state generate dalla terminologia impiegata dal Legislatore, anche in considerazione di un diffuso (e autorevolmente avallato) luogo comune, secondo cui il concetto di «convenzione», nel nostro ordinamento, s’attaglierebbe a quei soli istituti negoziali che, «avendo ad oggetto rapporti non patrimoniali, devono espungersi dalla cerchia del contratto» [9]. In realtà, una semplice ricerca compiuta a mezzo di strumenti informatici – si pensi ad un’analisi per parole testuali sul testo del codice civile su di una banca dati legislativa off line (su CD-ROM o DVD), ovvero all’interno di un sito Internet che consenta tale tipo di interrogazione [10] – permette di scoprire che il testo del codice contiene il termine «convenzione» (sia al singolare che al plurale) in ben quarantanove distinti articoli, sparsi un po’ in tutti i sei libri, ma sempre e soltanto nell’accezione di «accordo su questioni di carattere patrimoniale» [11]. A puntuale conferma di quanto sopra giungono le conclusioni in tema di natura contrattuale delle convenzioni matrimoniali, su cui si è detto in altri lavori [12], nonché il dato storico, a mente del quale, tradizionalmente, «conventionis verbum generale est, ad omnia pertinens, de quibus negotii contrahendi transigendique causa consentiunt, qui inter se agunt» [13]. Elemento, questo, rafforzato dalla considerazione, pure sviluppata altrove, secondo cui, storicamente, il principio della più ampia libertà contrattuale venne sempre rispettato in tema di convenzioni matrimoniali [14].

Con un salto, poi, di diversi secoli, troviamo – ad ulteriore conferma delle conclusioni di cui sopra, circa l’assoluta compatibilità tra i concetti di contratto e di famiglia – il dato normativo proveniente dal recepimento della normativa comunitaria in tema di commercio elettronico, laddove l’art. 11 d.lgs. 70/2003, stabilisce l’inapplicabilità della relativa regolamentazione ai «contratti disciplinati dal diritto di famiglia». Può ben dirsi, dunque, che ora è lo stesso legislatore ad ammettere che la normativa tradizionalmente qualificata come giusfamiliare può contenere norme che disciplinano contratti [15]. Le considerazioni sin qui svolte mostrano il carattere prettamente linguistico della diatriba, laddove ciò che assume rilievo in questo capitolo è semmai il superamento del supposto antagonismo tra contratto e famiglia [16], nonché l’evoluzione che, a livello concettuale e degli istituti, ha portato all’irruzione della negozialità in tutti i campi riferibili ai rapporti patrimoniali all’interno del nucleo familiare [17].

Per negozialità si intende [18] la «possibilità per determinati soggetti di concludere tra di loro negozi giuridici» e segnatamente, per quanto attiene ai coniugi, di disciplinare a mezzo di negozi determinati aspetti (personali e/o patrimoniali) della vita coniugale. Il termine, non ignoto ai principali dizionari della lingua italiana – per lo meno nelle due accezioni di «natura di negozio giuridico (di determinati atti)» e di «possibilità di condurre trattative (politiche, sindacali, ecc.) con buone probabilità di successo» [19] – può ormai vantare, anche nell’accezione qui indicata, illustri precedenti, se è vero che già diversi anni fa la nostra Corte Suprema [20] constatava che «in dottrina si è indicata la separazione consensuale come uno dei momenti di più significativa emersione della negozialità nel diritto di famiglia» [21]. Il concetto viene dunque sostanzialmente a coincidere con quello di «autonomia (o libertà) privata», intesa appunto come indicativa del potere, attribuito all’ordinamento ai soggetti «di autodeterminazione, di autoregolamento dei propri interessi fra gli stessi interessati» [22]. D’altro canto, nel campo patrimoniale, la negozialità viene a collimare con quella «autonomia (o libertà) contrattuale», cui fa riferimento la rubrica dell’art. 1322 c.c. [23]. Il termine «negozialità», peraltro – forse perché non ancora logorato dall’uso – sembra più indicato degli altri, appena citati, ad esprimere l’irrompere del principio generale dell’autonomia privata nello specifico settore dei rapporti tra i coniugi.

Ma ora è giunto veramente il momento di lasciare da parte le notazioni di tipo più stilistico che concettuale, osservando ancora una volta come in favore di un’opera ricostruttiva della normativa vigente diretta ad esaltare i momenti di negozialità tra coniugi in crisi parlino considerazioni di tipo normativo, certo, ma anche storico, sociologico, comparatistico e sistematico. Ad esse si è fatto dettagliato riferimento in un’apposita opera, consacrata a quelli che lo scrivente ha definito i «contratti della crisi coniugale» [24]: qui ci si limiterà ad una sintesi dei soli dati più significativi.

 

 

2. Il superamento della «concezione istituzionale» della famiglia e la teoria del negozio giuridico familiare.

 

Lo sviluppo della negozialità nell’ambito della famiglia ha inizio – per lo meno nei tempi a noi più recenti [25] – con il tramonto della «concezione istituzionale», autorevolmente propugnata in Italia dal Cicu agli inizi del secolo scorso [26]; idea, questa, quanto mai remota da quella della libertà contrattuale, dal momento che vedeva l’istituzione familiare come organizzata gerarchicamente e sottoposta al potere del capo, ciò che appare incompatibile con la figura del contratto, che, per definizione, presuppone la presenza di soggetti posti su di un piano di parità.

Il passaggio dalla «concezione istituzionale» a quella «costituzionale» della famiglia [27], operatosi dopo la caduta del regime fascista, vede quale significativa tappa un importante articolo di Francesco Santoro-Passarelli, pubblicato per la prima volta nel 1945, dal titolo L’autonomia privata nel diritto di famiglia [28]. In tale contributo l’insigne civilista, oltre a ricondurre alla categoria generale del negozio giuridico singoli istituti familiari, contraddistinti dalla presenza di manifestazioni di volontà, teorizzava la configurabilità di un istituto di carattere unitario, il negozio giuridico familiare, come vero e proprio atto di autonomia privata, ancorché caratterizzato da un livello di libertà ridotto rispetto a quello usualmente presente in materia contrattuale [29].

E’ sicuro che, nella formulazione proposta da Santoro-Passarelli, il negozio giuridico familiare risentiva ancora fortemente degli influssi della dottrina dallo stesso Autore contrastata, al punto che in essa vi si trova ancora il richiamo alla «funzione d’interesse superiore che debbono genericamente adem­piere i vari negozi del diritto di famiglia»; né la constatazione deve stupire più di tanto, se si considera che stiamo qui parlando del medesimo giurista secondo cui «la famiglia, come qualunque altro organismo, e più di ogni altro, per la sua particolare struttura, non vive senza un capo» [30]. Sta però di fatto che, al di là di questo tributo pagato all’autorevolezza della dottrina del Cicu, nella tesi testé esposta erano presenti in nuce tutte le premesse per un pieno sviluppo della autonomia privata anche nel campo familiare (ed in quello matrimoniale in particolare), come verrà tra breve detto.

Il superamento della «concezione istituzionale» della famiglia e l’affermazione della teoria del negozio giuridico familiare sono dovute del resto anche ai mutamenti che la stessa nozione di negozio giuridico in generale ha conosciuto.

Non è certo questa la sede per prendere posizione sulla configurabilità in generale della categoria del negozio giuridico, né tanto meno sulla questione dell’idoneità della medesima ad assicurare ai privati una vera sfera di autonomia. Basti solo citare al riguardo l’autorevole ammonimento di Kelsen, secondo il quale non esisterebbe nel diritto privato «una completa autonomia», atteso che è pur sempre il diritto oggettivo a stabilire che il contratto «produce diritto, così che la determinazione giuridica proviene in ultimo termine da questo diritto oggettivo, non già dai soggetti giuridici che vi sono sottoposti» [31].

Del resto la sopravvivenza della figura del negozio giuridico a constatazioni, pur corrosive, quali quella sopra ricordata di Kelsen, si spiega alla luce della capacità di adattamento della stessa alle idee dei tempi moderni. Come esattamente osservato [32], «nella nostra cultura l’idea della disponibilità degli effetti e della loro commisurazione al contenuto della vo­lontà è andata perdendo progressivamente di importanza, essen­do ormai adusi, nel più profondo livello culturale, alla eterointegrazione, ad opera della legge, degli effetti previsti dalle par­ti, o alla non disponibilità degli stessi effetti. L’elemento costituito dalla (totale) disponibilità degli effet­ti può essere considerato inidoneo per la costruzione del concetto di negozio, perché troppe sono ormai le deroghe che nell’ordinamento un tale elemento subisce; ed inoltre sempre più numerosi sono gli effetti (non voluti, o comunque non presenti nella rappresentazione delle parti) con i quali l’ordinamento integra il rapporto» [33].

Quanto detto vale poi, in particolare, per il negozio giuridico familiare, figura che, ritagliata sotto il vigore del c.c. 1865 su alcuni (pochi) negozi evidentemente caratterizzati dall’assenza della patrimonialità: matrimonio, adozione, legittimazione, emancipazione [34], ha finito con l’assumere una valenza ben più ampia.

Bisogna tenere presente, al riguardo, che la codificazione del 1942 era venuta a fondare la distinzione tra il contratto e gli altri negozi giuridici bilaterali proprio sul carattere patrimoniale dei primi. Quest’operazione si collocava nel solco di un’antica tradizione, che ravvisava «nel contratto la fonte tipica e principale delle obbligazioni o, secondo una più evoluta qualificazione, dei rapporti (effetti) giuridici che si definiscono patrimoniali» [35]. Peraltro, è anche vero che l’innovazione introdotta dal 1942 poteva essere vista pure come un «mero espediente per lasciar fuori della categoria contrattuale i grandi negozi o procedimenti bilaterali che operano nel campo della famiglia» [36]. Sebbene queste premesse potessero indurre a ritenere il futuro del negozio familiare come inesorabilmente tracciato su di un percorso alternativo rispetto a quello contrattuale, le successive vicende dottrinali e giurisprudenziali hanno evidenziato un’evoluzione ben diversa, nel corso della quale il richiamo alla figura in esame è servito proprio al fine di introdurre nel campo familiare, con sempre maggiore ampiezza, gli istituti del diritto contrattuale.

Già la Relazione ministeriale sul testo definitivo del codice civile (n. 602) lasciava chiaramente aperta la porta ad un’applicazione – ancorché non diretta – ai negozi familiari delle disposizioni in materia di contratto, prospettando un’interpretazione tesa ad attribuire una «portata espansiva» alle norme stabilite per i contratti facente perno sull’art. 1324 c.c. Negli anni successivi, poi, si sono moltiplicate le voci, anche autorevoli, nel senso dell’estensibilità della disciplina contrattuale al di fuori del diritto patrimoniale, nonostante la limitazione desumibile dall’art. 1324 c.c.

Tra queste voci si colloca, appunto, quella di Santoro-Passarelli nel suo già citato scritto in materia di autonomia privata nel campo familiare, il quale rilevava testualmente quanto segue: «Il codice civile non contiene una disciplina generale del ne­gozio giuridico, la quale può però ricavarsi dalle sue norme, essendo evidente che le norme sui contratti, ‘in quanto com­patibili’, siano suscettibili di applicazione non solo agli ‘atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale’ (art. 1324), ma al negozio giuridico anche fuori del diritto patrimoniale. A ciò è da aggiungere che la figura del negozio giuridico nel di­ritto familiare è supposta dal codice (e la sua utilizzazione s’im­pone perciò all’interprete), poiché in esso si fa richiamo a no­zioni caratteristiche del negozio, come i vizi della volontà (arti­coli 122, 265), le modalità, quali il termine e la condizione (ar­ticoli 108, 257), l’irrevocabilità o la revocabilità dell’atto (arti­coli 256, 2982), la sua invalidità (artt. 117 segg., 263 segg.)» [37].

 

 

3. Tutela dell’individuo e principio dell’accordo nella Costituzione e nella legislazione ordinaria.

 

La concezione del negozio giuridico familiare come strumento di ampliamento dell’autonomia dei coniugi, nata – come si è visto – alla fine dell’ultima guerra, venne ben presto ad inquadrarsi nei principi accolti dalla Costituzione repubblicana, che gettò le basi per un totale sovvertimento dell’ottica in cui si collocava la «concezione istituzionale» della famiglia. In questo già ricordato passaggio da una «concezione istituzionale» ad una «concezione costituzionale» della famiglia, l’istituto familiare veniva ora fondato sui principi d’uguaglianza e di pari dignità dei coniugi (artt. 3 e 29 Cost.) [38], mentre la posizione del singolo in seno alla comunità familiare veniva tutelata dalla regola della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo anche all’interno di quelle formazioni sociali in cui esso, secondo quanto stabilito dall’art. 2 Cost., «svolge la sua personalità» [39].

Questa accentuata attenzione per la tutela del singolo e – conseguentemente – dell’autonomia dei privati all’interno della comunità familiare trovò quindi i suoi ulteriori sviluppi sul piano della legislazione ordinaria, attraverso alcuni interventi della Corte costituzionale, l’introduzione del divorzio e la riforma del 1975 [40]. Per quanto attiene alle decisioni della Consulta basti ricordare, in primis, l’impatto, sul piano sistematico, dell’abolizione del divieto di donazioni tra coniugi [41]. Come rilevato in dottrina «L’abrogazione del divieto è ricca di implicazioni perché rende ‘automaticamente’ legittima ogni attività negoziale tra coniugi. Anzi, proprio perché l’attività negoziale tra coniugi si presume fondata sugli affetti familiari, essa viene ora in qual­che misura agevolata e protetta. Il ‘mutuo amore’ o la ricono­scenza o, comunque, l’affetto (in sintesi: le situazioni esisten­ziali) se nel diritto romano doveva soggiacere alle ‘istanze’ patrimoniali, ora invece diviene la privilegiata ragione giustificatrice degli atti di attribuzione patrimoniale; e ciò di­pende dalla funzionalizzazione dei rapporti patrimoniali nella famiglia ad assicurare una misura di eguaglianza sostanziale tra i coniugi e di tutela della persona» [42].

A questa storica decisione della Corte costituzionale potranno poi anche affiancarsi quelle tendenti a ricondurre le convenzioni matrimoniali al campo contrattuale [43] e ad estendere alla separazione consensuale alcune disposizioni dettate con riguardo alla separazione giudiziale [44].

Gli effetti sul piano sistematico, poi, dell’introduzione del divorzio sono più che evidenti. Basti ricordare l’insistenza con la quale la concezione istituzionale della famiglia aveva fatto richiamo alla regola dell’indissolubilità, per dimostrare l’impossibilità di ricondurre il matrimonio (oltre che gli altri istituti familiari) al concetto di atto di manifestazione di volontà sulla falsariga del paradigma contrattuale [45]. Inoltre, la possibilità della cessazione degli effetti civili del matrimonio, impone di ripensare la materia in una diversa prospettiva: è infatti concepibile la successione di differenti famiglie nel tempo, facenti capo agli stessi individui. L’intreccio dei rapporti è dunque tale che non è possibile, nemmeno logicamente, far luogo ad una completa regolazione imperativa di legge, e conseguentemente aumenta lo spazio lasciato all’autoregolamento dei privati [46]. Quanto sopra ha poi ricevuto ulteriore conferma dall’introduzione nel 1987 del divorzio su domanda congiunta, del cui carattere prettamente negoziale (per lo meno per ciò attiene alla regolamentazione delle relative condizioni e degli effetti) non pare lecito dubitare [47].

L’evoluzione della legislazione italiana trova un corrispondente nello sviluppo di ordinamenti stranieri. Così – a parte le considerazioni svolte in altra sede sull’ammissibilità di contratti prematrimoniali tesi a disciplinare, addirittura, le conseguenze di un eventuale futuro divorzio [48], sulla base di precedenti storici comuni un po’ a tutte le principali esperienze europee [49] – potrà rilevarsi come, ad esempio, in Germania la piena consapevolezza della necessità di salvaguardare la più ampia libertà contrattuale dei coniugi in relazione ad ogni aspetto della determinazione dei rispettivi rapporti patrimoniali sia sempre stata ben presente, addirittura già in sede di lavori preparatori del BGB, ove il § 1408, c. 1. [50] venne espressamente basato «auf den Grundsatz der Vertragsfreiheit» [51], facendosi altresì rimarcare – contro le obiezioni, di cui pure i Materialien danno conto, fondate sulla necessità di protezione della donna contro il rischio di una «ungebürlichen und missbräulichen Beeinflussung» da parte dell’uomo – che i coniugi erano nella situazione «ihre Angelegenheiten selbständig und frei zu ordnen», per cui non sarebbe sembrato opportuno «dieselben in diesem einzelnen Punkte zu bevormunden» [52].

Anche nella vicina Francia si è assistito, nel corso degli ultimi decenni, ad un processo che ha progressivamente portato all’emergere del consenso e della negozialità nella famiglia, nel corso di quella che è stata definita come una «révolution tranquille, qui remet en cause la cohérence antérieure en matière de gouvernement de la famille» [53], passando attraverso le riforme della tutela (1964), dei regimi matrimoniali (1965), dell’adozione (1966), degli incapaci maggiorenni (1968), della potestà dei genitori (1970), della filiazione (1972) e del divorzio (1975), cui ben può aggiungersi, per i tempi più recenti (1999), la regolamentazione della convivenza more uxorio e l’introduzione del «patto civile di solidarietà», nonché (2005) un’ulteriore riforma del divorzio, che ha semplificato notevolmente l’iter procedurale dello scioglimento del vincolo nel caso di requête conjointe [54]. In tempi ulteriormente più recenti, poi, la legge n° 2006-728 del 23 giugno 2006, in vigore dal 1° gennaio 2007, è venuta a sconvolgere il bisecolare assetto «napoleonico» della materia delle successions e delle libéralités, abrogando o modificando all’incirca duecento articoli del Code Civil. Tale riforma ha previsto, tra l’altro: (a) un rafforzamento dei diritti dei concubins pacsés (più esattamente: l’annotazione d’ufficio del Pacs a margine dell’atto di nascita; l’obbligazione «d’entraide et d’assistance» dei conviventi; un droit temporaire de jouissance d’un an sur le logement commun e il beneficio dell’attribuzione preferenziale del droit au logement per il partner superstite); (b) la creazione di un «pacte successoral» in forza del quale un soggetto viene autorizzato a rinunziare in tutto o in parte ad una futura eredità per effetto di un pacte firmato con suo futuro de cuius, a beneficio di determinati parenti (interessante al riguardo la previsione che impone l’intervento di due notai, di cui uno scelto dalle parti e l’altro dalla  chambre des notaires); (c) permettere la «donation partage trans-générationnelle» in favore dei nipoti ex filio, con l’accordo dei figli (cioè dei genitori dei destinatari) in tal modo pretermessi, con atto compiuto inter vivos dal nonno.

La conclusione è dunque che anche Oltralpe «l’irruption de la volonté dans le droit de la famille est un fait peu discutable» [55].

Tutt’altro che «tranquilla», come si sa, è invece stata la rivoluzione che, nel volgere di pochi mesi, ha portato il diritto spagnolo ad estendere il matrimonio alle unioni omosessuali e a riconoscere all’accordo dei coniugi sullo scioglimento del vincolo l’effetto di determinare un vero e proprio «divorzio lampo» [56]: piuttosto significativo è il fatto che, nella relativa exposición de motivos, si legga, tra l’altro, che «esta ley persigue ampliar el ámbito de libertad de los cónyuges (…) pues tanto la continuación de su convivencia como su vigencia depende de la voluntad constante de ambos» [57].

 

 

4. Tutela dell’individuo e principio dell’accordo nella riforma del 1975.

 

Per quanto attiene alla riforma italiana del 1975, uno dei pochi punti che hanno visto concordi gli interpreti è costituito dalla constatazione dell’incrementato rilievo che la negozialità è venuta ad assumere nel campo familiare, tanto che, per constatazione unanime, l’accordo è ormai lo strumento privilegiato per la disciplina dei rapporti familiari [58]. Proprio in questa regola la dottrina coglie un segno della «privatizzazione» del diritto di famiglia [59] ed il superamento della concezione pubblicistica che, come si è visto, voleva le posizioni individuali dei singoli orientate al raggiungimento di interessi superiori o «pubblici» [60].

Il dispiegamento dell’autonomia privata nel campo matrimoniale si estende ormai ad abbracciare un campo che va dalla celebrazione delle nozze sino allo scioglimento del vincolo.

Sotto il primo aspetto si rileva il rinnovato ruolo, dopo la riforma del diritto di famiglia, dell’autonomia privata nel matrimonio, «come affermazione della dignità dell’istituto che deve essere riconosciuto in tutta la sua importanza solo quando l’atto costitutivo risponda alle caratteristiche di una cosciente autonomia» [61], rimarcandosi d’altro canto come lo stesso ampliamento del tema delle azioni di impugnativa matrimoniale confermi il deciso riconoscimento dell’idea del matrimonio come atto di autonomia privata [62].

Per ciò che attiene, poi, ai rapporti tra coniugi nella fase non patologica della loro unione basterà qui citare la novità, rispetto al sistema previgente, costituita dall’introduzione della regola dell’accordo circa la determinazione dell’indirizzo concordato, di cui all’art. 144 c.c. [63], rispetto alla quale, come si è autorevolmente rimarcato, il legislatore ha aperto alla regola del consenso e dunque alla sfera dell’autodeterminazione dei coniugi, interi «territori dove regnavano il potere autoritario e la sottomissione» [64], fissando una regola fondamentale, imperniata su un «regime consensuale permanente» [65] che costituisce, in sostanza, la fonte di legittimazione di ogni manifestazione negoziale dei coniugi: l’accordo dei coniugi pone così le regole del ménage e, per ciò stesso, determina e concretizza il contenuto degli obblighi inderogabili incidendo, quindi, su di essi [66]. Sul punto sarà il caso di aggiungere che tale principio sembra ormai avere impiantato nella odierna realtà italiana solide radici, se è vero che, come emerge da un’indagine ISTAT, tre persone su quattro tra quelle che vivono in coppia dichiarano di condividere con il partner le decisioni relative a spese importanti (acquisto di una casa, ristrutturazioni, acquisto di beni ad alta tecnologia) e le scelte di gestione del denaro in famiglia [67].

Anche per quanto attiene al dovere di contribuzione ex art. 143, comma terzo, c.c., occorre constatare che, pur restando ferma l’inderogabilità sancita dall’art. 160 c.c. – con conseguente invalidità tanto del patto con cui uno dei coniugi venga esonerato del tutto dall’obbligo di concorrere al sostentamento della famiglia e della prole, quanto di quello che deroghi al criterio di proporzionalità fissato dalla legge – non si hanno difficoltà ad ammettere accordi che traducano, ad esempio, l’astratta regola della proporzionalità alle sostanze e alla capacità di lavoro in una determinazione che, valutata la situazione concreta dei due coniugi, fissi una ripartizione dei doveri secondo percentuali prestabilite [68].

Per ciò che riguarda, poi, lo sterminato campo dei rapporti patrimoniali nella famiglia legittima, basterà richiamare in questa sede la già ricordata natura contrattuale delle convenzioni matrimoniali, così come il principio secondo cui l’amministrazione dei beni sottoposti al regime legale è rimessa, per gli atti più rilevanti, all’accordo dei coniugi (cfr. art. 180 c.c.) e che a questo stesso accordo la Cassazione è giunta a riconoscere, per esempio (peraltro successivamente tornando sui propri passi), il potere di impedire la caduta in comunione, anche al di fuori delle ipotesi contemplate dall’art. 179 c.c. [69].

Sul versante della crisi coniugale sarà sufficiente citare l’accordo alla base della corresponsione una tantum dell’assegno [70], cui può senz’altro aggiungersi, oltre al negozio di separazione personale consensuale, l’intesa posta a fondamento del ricorso su domanda congiunta. La stessa Corte di cassazione non esita ormai a richiamare sempre più spesso expressis verbis la regola dell’autonomia negoziale nelle materie legate ai rapporti tra coniugi in crisi [71]. A quest’evoluzione giurisprudenziale, compiutasi – come si vedrà – non senza contraddizioni (basti ricordare ancora una volta le persistenti reticenze sul fronte del tema della disponibilità degli assegni di separazione e divorzio e degli accordi conclusi in sede di separazione ma in vista del futuro divorzio) ha fatto da pendant un’evoluzione altrettanto tormentata e complessa dal punto di vista dottrinale.

Così, già nel 1967, vigente il regime di indissolubilità del vincolo, quella stessa autorevole dottrina che solo dieci anni prima aveva definito la famiglia come «un’isola che il mare del diritto può lambire, ma lambire soltanto» [72], valutando un accordo diretto alla predeterminazione delle conseguenze dell’annullamento del matrimonio, individuava proprio nel principio della autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.) il fondamento di una siffatta pattuizione, rilevando come in questo caso sia «palese l’interesse tipico del regolamento di rapporti, se pure non si abbia una disposizione esplicita del codice che preveda tale regolamento, essendo quasi impensabile che al termine della convivenza non ci siano ragioni di dare ed avere, pretese reciproche» [73].

Neanche un decennio più tardi una delle più celebri monografie in materia di contratto affermava che «Necessità pratiche e progresso civile esigono che, de iure condendo, e, per quanto possibile, de iure interpretando, si rivalutino questi patti regolatori di rapporti di famiglia, o associativi, e così via», aggiungendo che «guardando lontano, si potrebbero immaginare scelte pattizie della regola sulla dissoluzione del matrimonio, sul governo della famiglia, sul cognome dei coniugi» [74]. Lo stesso principio veniva contemporaneamente enunciato addirittura in una delle più autorevoli opere istituzionali [75]. A parte queste voci – tutto sommato isolate, ancorché di rilievo – l’interesse della dottrina fino a non molto tempo addietro è stato sovente attratto, tutto all’opposto rispetto all’autonomia negoziale, dalle questioni attinenti all’intervento dell’autorità giudiziaria nella vita della famiglia: basti citare, per tutte, una celebre monografia consacrata al tema (beninteso, pur esso fondamentale, specie se si ha riguardo al tema dei diritti indisponibili attinenti ai rapporti con la prole) dell’intervento del giudice nel conflitto coniugale [76].

 

 

5. La più recente evoluzione dottrinale e giurisprudenziale sul tema della negozialità tra coniugi in crisi.

 

Nel corso degli ultimi anni il richiamo alle regole in tema di autonomia contrattuale è andato via via infittendosi, specie sull’onda dell’autorevole constatazione per cui, anche nel campo dei rapporti patrimoniali tra i coniugi (in crisi), «ove tra le parti si convenga l’attribuzione di diritti e l’assunzione di obblighi di natura patrimoniale, non parrebbe contraddire alla definizione dell’art. 1321 c.c. la qualificazione di ‘contratto’» [77]. Lo stesso può dirsi per la giurisprudenza, particolarmente per quella di legittimità.

Così, per esempio, troviamo che un espresso rimando al principio della libertà contrattuale consacrato dall’art. 1322 compare per ben due volte in una nota decisione sulla validità degli accordi preventivi tra coniugi in materia di conseguenze patrimoniali dell’annullamento del matrimonio [78], mentre espliciti o impliciti riferimenti all’autonomia contrattuale punteggiano tutta o quasi la complessa vicenda in tema di trasferimenti immobiliari e mobiliari in sede di separazione personale tra coniugi [79], già a cominciare da quel leading case risalente al 1972 [80], che pure all’epoca aveva suscitato le (ingiustificatamente) preoccupate reazioni di parte della dottrina [81]; per continuare con il caso in cui i supremi giudici invocarono proprio il principio in esame, al fine di ammettere la validità dell’impegno con il quale uno dei coniugi, in vista di una futura separazione consensuale, aveva promesso di trasferire all’altro la proprietà di un bene immobile, anche se tale sistemazione dei rapporti patrimoniali era avvenuta al di fuori di qualsiasi controllo giudiziale in sede di omologa [82]; per culminare con la decisione con cui la Corte Suprema, accogliendo la tesi avanzata dallo scrivente, ha ribadito la legittimità di trasferimenti operati con efficacia reale nello stesso accordo di separazione, riconoscendo al relativo verbale la natura di atto pubblico idoneo alla trascrizione sui pubblici registri immobiliari [83].

Per non dire poi dell’evoluzione più recente in materia di accordi non omologati modificativi di precedenti intese (ovvero delle condizioni dettate dal giudice), ove la Cassazione riconosce effetto, ormai da alcuni anni a questa parte, al pieno dispiegarsi della negozialità dei coniugi, in forza del principio sancito dall’art. 1322 c.c., ritenuto senza riserve applicabile al caso di specie, addirittura anche per quanto concerne le pattuizioni concernenti la prole minorenne; conclusione, quest’ultima, che conferma l’espansione dell’operatività della sfera dell’autonomia privata anche nel settore di quei negozi del diritto di famiglia non caratterizzati dalla patrimonialità [84]. Ancora, per quanto attiene, più specificamente, alle intese costituenti il «contenuto eventuale» [85] dell’accordo di separazione consensuale, non sembra ormai potervi essere dubbio sulla natura non solo negoziale di questi atti, bensì addirittura sul relativo carattere contrattuale, allorquando gli stessi (come per lo più accade) abbiano ad oggetto prestazioni di carattere patrimoniale [86]. Anche qui l’art. 1322 c.c. ha ricevuto concreta applicazione in un’innumerevole serie di casi, che hanno portato il «diritto vivente» a determinare, in nome del principio dell’autonomia contrattuale (sovente espressamente menzionato nelle motivazioni delle decisioni), una vera e propria dilatazione dell’usuale contenuto dell’accordo di separazione, ben al di là di quegli angusti limiti in cui parte della dottrina [87] lo avrebbe voluto inquadrare.

Si è così deciso, per esempio, in relazione ad una complessa pattuizione transattiva di tutti i rapporti nati dal vincolo coniugale, che l’accordo dei coniugi sottoposto all’omologazione del tribunale ben può contenere rapporti patrimoniali anche «non immediatamente riferibili, né collegati in relazione causale al regime di separazione o ai diritti ed agli obblighi derivanti dal matrimonio» [88]. Sempre in materia di transazione la Corte ha stabilito, in epoca ancora più recente, che «Anche nella disciplina dei rapporti patrimoniali tra i coniugi è ammissibile il ricorso alla transazione per porre fine o per prevenire l’insorgenza di una lite tra le parti, sia pure nel rispetto della indisponibilità di talune posizioni soggettive, ed è configurabile la distinzione tra contratto di transazione novativo e non novativo, realizzandosi il primo tutte le volte che le parti diano luogo ad un regolamento d’interessi incompatibile con quello preesistente, in forza di una previsione contrattuale di fatti o di presupposti di fatto estranei al rapporto originario (nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che ha ritenuto novativa e, quindi, non suscettibile di risoluzione per inadempimento, a norma dell’art. 1976 cod. civ., la transazione con la quale il marito si obbligava espressamente, in vista della separazione consensuale, a far conseguire alla moglie la proprietà di un appartamento in costruzione, allo scopo di eliminare una situazione conflittuale tra le parti)» [89]. L’estensione della disciplina contrattuale ai negozi familiari ha poi portato la giurisprudenza ad affermare, per esempio, l’applicabilità all’accordo di riconciliazione dei principi in tema di formazione del consenso contenuti agli artt. 1326-1328 c.c. [90], o dell’art. 1371 c.c. ad una «convenzione accessoria alla sentenza di divorzio» [91], o, più in generale degli artt. 1362 ss. c.c. in tema di interpretazione del contratto ad una pattuizione a latere rispetto all’accordo di separazione omologato [92], ovvero ancora per un accordo prodromico ad una consensuale non concretizzata, ritenuto perfettamente valido ed efficace [93], nonché l’impugnabilità del negozio di separazione consensuale per simulazione [94] e per vizi del consenso [95].

Non stupisce dunque che, da alcuni anni a questa parte, accada sempre più di frequente all’osservatore della giurisprudenza di legittimità di imbattersi in affermazioni del genere di quella secondo cui «i rapporti patrimoniali tra i coniugi separati hanno rilevanza solo per le parti, non essendovi coinvolto alcun pubblico interesse, per cui essi sono pienamente disponibi­li e rientrano nella loro autonomia privata» [96]. In altri termini, pur con le dovute cautele, sembra potersi dire che anche nel diritto patrimoniale della famiglia deve darsi atto di una progressiva evoluzione «dagli status al contratto». La nota massima elaborata da Maine oltre un secolo fa, sebbene abusata e sottoposta a critiche, sembra ancora adatta ad esprimere il lungo e travagliato percorso compiuto dalla negozialità anche in questo settore del diritto privato [97]. In contraddizione, peraltro, rispetto a simili aperture nei confronti della negozialità dei coniugi si colloca quel già ricordato processo involutivo che la giurisprudenza – in particolare quella di legittimità – ha subito relativamente a due settori ben individuati: ci si intende riferire alle questioni relative al carattere disponibile del contributo al mantenimento del coniuge separato o dell’assegno di divorzio, nonché alla materia degli accordi preventivi in vista di un futuro ed eventuale divorzio [98].

Sul versante dottrinale, gli anni più recenti hanno visto una ripresa d’attenzione da parte degli Autori favorevoli all’espansione della negozialità, mediante approfondimenti di temi di carattere generale, quali, per esempio, quello dei rapporti tra autonomia privata e «causa familiare» [99] o tra autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari in genere [100], oppure sui «contratti della crisi coniugale» [101], ovvero attraverso studi settoriali, quali quelli sulle convenzioni preventive di separazione, di divorzio e di annullamento del matrimonio [102], sulla disponibilità dell’assegno ex art. 5 l.div. [103], sui trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio [104], sulla rilevanza del consenso nella separazione consensuale ed in quella di fatto [105], su taluni aspetti dei rapporti tra separazione consensuale e i possibili contratti tra coniugi [106], e così via [107]. Si noti, tanto per portare un altro caso concreto, che le esigenze di determinazione e predeterminazione della sorte dei rapporti patrimoniali all’interno delle famiglie giungono a lanciare fremiti d’agitazione persino in un settore del diritto civile tradizionalmente ritenuto «tranquillo», quale quello delle successioni per causa di morte, alimentando un rilevante movimento d’opinione – a livello sia di teoria che di prassi – in senso favorevole all’abolizione del divieto dei patti successori [108], anche sulla scia delle innovazioni apportate dallo stesso legislatore mediante l’introduzione del patto di famiglia [109].

 

 

 

SEZIONE II

I TRASFERIMENTI PATRIMONIALI TRA I CONIUGI

 

 

6. Ammissibilità di contratti della crisi coniugale relativi al trasferimento di diritti in sede di separazione e divorzio. L’esclusione della causa liberale.

 

Di notevole interesse ed attualità, nell’ambito della ricca e variopinta costellazione delle intese raggiungibili dai coniugi in crisi, appaiono le questioni legate ai trasferimenti mobiliari ed immobiliari in sede o in vista della separazione e del divorzio [110]. Con riferimento a queste, il primo punto da affrontare attiene all’individuazione dell’ubi consistam normativo di atti che – anche per le evidenti agevolazioni d’ordine fiscale, di cui si avrà modo di dire a suo tempo [111] – costituiscono ormai pratica corrente nella regolamentazione concordata dei profili patrimoniali della crisi della famiglia.

Come già rilevato in un’apposita monografia sul tema [112], una sola disposizione del nostro vigente ordinamento consente espressamente ai coniugi in crisi di corrispondere «in unica soluzione» una prestazione postmatrimoniale (di carattere pecuniario) tradizionalmente prevista come periodica [113]; una sola (controversa) disposizione ammette(va) esplicitamente la possibilità di inserire nei procedimenti di separazione e divorzio «attribuzioni di beni patrimoniali» [114]. La prima delle due norme concerne però il solo procedimento di divorzio contenzioso e, come tale, non appare trasferibile alla procedura di divorzio su domanda congiunta e tanto meno a quella di separazione consensuale [115]; la disposizione non sembra del resto neppure (quanto meno direttamente) riferibile a «dazioni» diverse da quelle aventi ad oggetto somme di denaro. La seconda normativa – dai contorni e dai contenuti quanto mai incerti – risulta oggi, se non implicitamente abrogata, quanto meno di fatto inapplicabile per effetto di una nota decisione della Consulta [116].

In realtà, il fondamento del potere dei coniugi (o ex tali) di liquidare una tantum il contributo al mantenimento del separato, o dell’assegno di divorzio, così come di porre in essere, in occasione della crisi coniugale, negozi traslativi di diritti su uno o più beni determinati, va ricercato non già nelle norme ricordate, bensì in due fondamentali princìpi del nostro ordinamento. Ci si intende riferire, da un lato, al principio della libertà contrattuale, canone che gioca un ruolo decisivo all’interno dei contratti della crisi coniugale e, dall’altro, al carattere eminentemente disponibile dei diritti in gioco [117].

Strettamente legati a tali considerazioni sono i rilievi che si possono svolgere in merito all’individuazione del supporto causale delle attribuzioni in oggetto e, più in generale, dei contratti della crisi coniugale. In questa sede sarà sufficiente ricordare che fondamentale al riguardo è il rilievo – già mosso in dottrina di fronte ad una delle prime pronunce della Cassazione al riguardo [118] – secondo cui l’equiparazione dell’autonomia concessa ai coniugi a quella generalmente riconosciuta ai privati non può certo portare ad attribuire ai primi «maggiore libertà di determinazione di quanta l’ordinamento ne riconosca in generale a tutti i privati nei loro reciproci rapporti» [119]. Se è vero quindi che – come autorevolmente sottolineato [120] – alla causa, quale elemento essenziale del contratto in generale, spetta il compito di «giustificare di fronte all’ordinamento i movimenti dei beni da un individuo all’altro», è proprio alla presenza di tale requisito che, anche nella materia in esame, deve ritenersi condizionata la validità di qualsiasi attribuzione patrimoniale, reale od obbligatoria, in sede di crisi coniugale. In materia di atti traslativi, poi, l’ordinamento non s’accontenta della mera esistenza del requisito causale. Esso sembra infatti pretendere che tale elemento risulti anche, in maniera esplicita o implicita, dal negozio in questione [121].

Poste queste premesse, occorre constatare che risulta assai più agevole definire «in negativo», che non «in positivo», il supporto causale delle attribuzioni qui in discussione e, più in generale, di quelli che lo scrivente ha in altra sede definito «contratti della crisi coniugale». Invero, se vi è un punto che sembra trovare concordi la giurisprudenza – tanto di legittimità che di merito – e la dottrina, questo è costituito dalla corale negazione (quanto meno in linea tendenziale) del carattere liberale delle attribuzioni effettuate ex uno latere in occasione di separazione o divorzio, in quanto configuranti atti in cui non sono ravvisabili non solo l’animus donandi, ma neppure il titolo gratuito.

Per ciò che attiene alla giurisprudenza, va detto che, nei casi più risalenti, la materia del contendere era sovente determinata dal desiderio di un coniuge di recuperare l’attribuzione effettuata (o dal rifiuto di darvi esecuzione), allegando la nullità della medesima per violazione della norma che vietava le donazioni tra coniugi (art. 781 c.c.). Nelle decisioni più recenti, venuta meno tale ragione d’impugnazione, l’argomento della nullità è presentato invece – allorquando si tratta di meri impegni a trasferire diritti – sotto il profilo della nullità della promessa di donazione, facendo dunque valere quella tesi dottrinale [122], cara ai giudici di legittimità [123], secondo cui la coazione all’adempimento contrasterebbe con la spontaneità che deve caratterizzare la liberalità ex art. 769 c.c. Nelle ipotesi di donazione definitiva, poi, si lamenta per lo più il mancato rispetto della forma solenne prescritta dagli artt. 782 c.c. e 48, l.notar.

L’esposizione dei precedenti giurisprudenziali al riguardo si trova nelle trattazioni specifiche della materia, cui si fa rinvio: in questa sede basti ricordare che l’esclusione della natura non solo di donazione, bensì anche lato sensu liberale (ancorché non donativa) dei contratti in discorso è assolutamente pacifica, pur non potendosi escludere l’ammissibilità, in taluni casi isolati, di donazioni definibili come «postmatrimoniali», cioè caratterizzate dalla presenza di un motivo da individuarsi nell’intenzione delle parti di considerare la medesima alla stregua di una delle «condizioni» della separazione e del divorzio, cioè di un elemento la cui presenza viene dai coniugi ritenuta essenziale al fine di acconsentire ad una definizione non contenziosa della crisi coniugale.

 

 

7. Causa, cause e motivi dei trasferimenti attuati nel contesto di un contratto della crisi coniugale.

 

L’esclusione, in linea di massima, di ogni intento di liberalità in capo alle parti di un contratto della crisi coniugale potrebbe indurre a ricercare, sul versante opposto, la giustificazione causale delle attribuzioni in oggetto nella necessità di adempiere all’obbligo legale di mantenimento previsto dagli artt. 156 c.c. e 5, c. 6, l.div. [124]. Peraltro la tesi della causa solutionis va incontro ad alcuni rilievi di cui non è certo agevole sbarazzarsi.

In primo luogo, infatti, appare difficilmente contestabile quanto osservato in dottrina sul fatto che, in pratica, assai raramente, nei contratti di cui qui si discute, le parti fanno espresso richiamo alla causa praeterita (o causa esterna) – intesa, appunto, nel senso del (preesistente) obbligo legale di mantenimento – delle attribuzioni effettuate o previste, cosa che invece appare necessaria al fine di evitare la nullità di un negozio che, altrimenti, risulta privo di ogni giustificazione [125]. Ma, anche a volere ammettere che le parti menzionino sempre expressis verbis il proprio intento di adempiere, con le prestazioni previste, alle obbligazioni ex artt. 156 o 5 l.div., resta il fatto che l’affermata funzione solutoria non esisterebbe, con conseguente nullità dell’attribuzione compiuta, qualora quest’ultima fosse attuata in favore del coniuge cui tali diritti non dovessero competere [126]. Al tradens sarebbe dunque concesso, nei limiti della prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito, riottenere il bene trasferito dimostrando che l’accipiens non versava nelle condizioni descritte dalle norme citate, salva restando la prova (veramente… diabolica) da parte di quest’ultimo dell’esistenza di un’altra idonea causa.

E’ chiaro, poi, che, a prescindere dal richiamo operato alla precedente obbligazione, tale vincolo dovrebbe comunque imprescindibilmente esistere e, come tale, esso dovrebbe essere sempre stato previamente determinato nel suo preciso ammontare, vuoi da una decisione giudiziale, vuoi da un’intesa delle parti. E proprio questo elemento è quello che, il più delle volte, fa difetto nel caso di specie [127].

Un altro argomento, strettamente legato a quello della disponibilità dei diritti in questione, concerne la transazione, negozio cui si è istintivamente portati a pensare, laddove si ponga mente al fatto che le particolari circostanze in cui matura solitamente la decisione di addivenire ad un contratto della crisi coniugale inducono a ritenere la presenza di una res litigiosa, piuttosto che di una res dubia [128]. Il richiamo alla transazione, per il vero, appare più ricorrente ed insistente in giurisprudenza che non in dottrina [129]. In realtà, l’obiezione fondamentale, per effetto della quale occorre concludere che, almeno di regola, i negozi traslativi e, più in generale, i contratti della crisi coniugale si sottraggono alla causa transattiva, deriva dall’impossibilità (quanto meno in linea di massima) di riscontrare, negli accordi in oggetto, la presenza di concessioni reciproche [130]. Ciò si verifica, in maniera più che evidente, in tutti gli accordi nei quali si prevede l’unilaterale trasferimento di diritti su uno o più beni mobili o immobili; la stessa osservazione vale però anche con riguardo a tutte quelle pattuizioni che si limitano a stabilire l’erogazione d’un assegno da una parte all’altra, senza che la struttura stessa del negozio manifesti (come si è messo in evidenza poco sopra) la presenza di un contrasto attuale su contrapposti interessi delle parti e che sia risolto con la tecnica dell’aliquid datum e dell’aliquid retentum [131].

Una volta scartate le ipotesi prospettate, potrebbe immaginarsi – aderendo a stimoli provenienti da autorevole e ormai risalente dottrina [132], nonché da una parte della giurisprudenza [133]di puntare sulla tesi del contratto atipico. Ma, se si tiene conto del carattere di negoziazione globale che la coppia in crisi attribuisce al momento della «liquidazione» del rapporto coniugale, di fronte alla necessità di valutare gli infiniti e complessi rapporti di dare-avere che la convivenza protratta per anni genera, v’è da chiedersi se, in luogo di una miriade di possibili accordi innominati, non sia possibile tentare di intraprendere un’opera ricostruttiva che faccia perno sull’individuazione di una vera e propria causa tipica del negozio patrimoniale della crisi coniugale, di un vero e proprio contratto, cioè, di definizione della crisi coniugale o, più esattamente, dei suoi aspetti patrimoniali. Tale negozio dovrebbe abbracciare ogni forma di costituzione e di trasferimento di diritti patrimoniali compiuti, con o senza controprestazione, in occasione della crisi coniugale, ancorché non necessariamente in seno ad una separazione consensuale, ben potendo intervenire, oltre che nei casi di separazione legale, annullamento, scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche in relazione ad una separazione di fatto, oppure ancora in vista di una possibile crisi coniugale, addirittura prima della celebrazione delle nozze.

L’ipotesi sembra avvalorata dalla stessa terminologia impiegata dal legislatore, laddove esso si riferisce alle «condizioni della separazione consensuale» (art. 711 c.p.c.), e alle «condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici» in sede di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 4, c. 16, l.div.). Ora, una lettura coordinata delle predette disposizioni, alla luce di quella giurisprudenza ormai costante del S. C. a mente della quale ciascun coniuge ha il diritto di condizionare il proprio assenso alla separazione a un soddisfacente assetto dei rapporti patrimoniali [134], consente di attribuire a quel complemento di specificazione («della separazione») valore non più solo soggettivo, bensì anche oggettivo. In altri termini, «condizioni della separazione» non sono soltanto quelle «regole di condotta» destinate a scandire il ritmo delle reciproche relazioni per il periodo successivo alla separazione o al divorzio, bensì anche tutte quelle pattuizioni alla cui conclusione i coniugi intendono comunque ancorare la loro disponibilità per una definizione consensuale della crisi coniugale; e tra queste ultime non può non rientrare l’assetto, il più possibile definitivo, dei propri rapporti economici, con la liquidazione di tutte le «pendenze» ancora eventualmente in atto).

Ad avviso di chi scrive, dunque, dal momento che l’intento principe delle parti è quello di sistemare definitivamente e in considerazione della crisi coniugale le «pendenze» che un più o meno lungo periodo di vita comune ha determinato, sembra più appropriato parlare di una causa tipica di definizione della crisi coniugale o, se si vuole essere più corretti, ancorché meno efficaci sotto il profilo espressivo, di una causa tipica di definizione degli aspetti economici della crisi coniugale. Ad un siffatto negozio tipico – tipico, appunto, in quanto previsto e disciplinato da apposite disposizioni (i già citati artt. 711 c.p.c. e 4, c. 13, l.div.) – potrebbe attribuirsi anche il nome di contratto tipico della crisi coniugale o di contratto postmatrimoniale. Di tale contratto i negozi traslativi di cui qui discorriamo costituiscono una peculiare tipologia.

Avuto riguardo, dunque, al profilo causale e secondo quanto già chiarito in altra sede [135] i contratti della crisi coniugale – e, per ciò che attiene al tema specifico della presente ricerca, i negozi traslativi di diritti tra coniugi in crisi – sono quelli che si caratterizzano per la presenza vuoi della causa tipica di definizione della crisi coniugale (contratto tipico della crisi coniugale, o contratto postmatrimoniale), vuoi per la semplice presenza, accanto ad una causa tipica diversa (donazione, negozio solutorio, transazione, convenzione matrimoniale, divisione), di un motivo «postmatrimoniale», rappresentato dal fatto che quel particolare contratto viene stipulato in contemplazione della crisi coniugale, avuto riguardo all’intenzione delle parti di considerare la relativa pattuizione alla stregua di una delle «condizioni» della separazione o del divorzio, cioè di un elemento la cui presenza viene dai coniugi ritenuta essenziale al fine di acconsentire ad una definizione non contenziosa della crisi coniugale [136].

L’impostazione, proposta alcuni anni or sono per la prima volta dallo scrivente, sembra essere stata recepita da una sentenza del 2004 della Corte di legittimità, la quale ha stabilito che «Gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della “donazione”, e tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all’actio revocatoria di cui all’art. 2901 c.c. rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di “separazione consensuale” (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità normativa nella distinta sede del divorzio congiunto), il quale, sfuggendo in quanto tale da un lato alle connotazioni classiche dell’atto di “donazione” vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sè, ad un contesto quello della separazione personale caratterizzato proprio dalla dissoluzione delle ragioni dell’affettività), e dall’altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l’assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua “tipicità” propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della “gratuità”, in ragione dell’eventuale ricorrenza o meno nel concreto, dei connotati di una sistemazione “solutorio-compensativa” più ampia e complessiva, di tutta quell’ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale» [137].

Va però riconosciuto che, successivamente all’arresto appena citato, la Corte Suprema ha preferito tornare alla figura del contratto atipico [138]. Dovrà però ancora aggiungersi che, in senso contrario alla configurabilità di una causa tipica per i contratti della crisi coniugale non sembra possa addursi l’argomento secondo cui la legge non detterebbe «una sia pur minima disciplina della fattispecie» [139]. Sul punto si potrà rilevare come per gli accordi in oggetto, costituenti a tutti gli effetti (e come più volte ribadito) condizioni della separazione o del divorzio, saranno applicabili tutte le regole per queste ultime dettate dal codice civile, così come da quello di rito (e, in misura ben maggiore, quelle elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza). Ne consegue che, ad esempio, per siffatto tipo di intese varrà, sul piano degli effetti, il principio della sottoposizione alla clausola rebus sic stantibus, peraltro derogabile, ad avviso dello scrivente, sulla base dell’accordo delle parti [140]; tali contratti, poi, dovranno intendersi come efficaci ex art. 158 c.c. (salvo patto contrario) al momento dell’omologa della separazione (o della pronunzia della sentenza di divorzio). Ancora, sul piano della forma, varrà il principio per cui questi accordi, costituendo oggetto del contenuto eventuale dell’intesa di separazione, potranno essere inseriti a verbale d’udienza di separazione consensuale (artt. 158 c.c. e 708 c.p.c.) o di divorzio su domanda congiunta (art. 4, sedicesimo comma, l.div.), che costituisce atto pubblico a tutti gli effetti (art. 2699 c.c.), con tutte le relative conseguenze previste dalle disposizioni in tema di pubblicità mobiliare ed immobiliare (art. 2657 c.c.) e dalla normativa fiscale (art. 19, l. 74/1987) [141].

 

 

8. Tipologia dei negozi in oggetto.

 

       Per ciò che riguarda la tipologia degli atti in oggetto, il trasferimento può concretamente avvenire in due sedi distinte, ciascuna delle quali dà luogo a problemi suoi propri: quella giudiziale e quella stragiudiziale. Atto traslativo in sede giudiziale è quello che i coniugi pongono in essere dinanzi al giudice, nel verbale di separazione giudiziale redatto nel corso dell’udienza ex art. 711 c.p.c., oppure in quello di comparizione dinanzi al collegio nella procedura su domanda congiunta, ai sensi dell’art. 4, c. 16, l.div. L’atto traslativo in sede stragiudiziale si compie invece al di fuori di questo contesto, sovente in adempimento di un impegno a trasferire assunto nella fase giudiziale [142].

In un apposito lavoro sull’argomento si è avuto modo di esaminare in dettaglio l’evoluzione giurisprudenziale sul tema [143]. In questa sede potrà solo riassuntivamente rammentarsi che l’ammissibilità dei trasferimenti in sede (e non solo in occasione) di separazione e divorzio era stata riconosciuta [144] non soltanto in relazione a negozi aventi efficacia meramente obbligatoria, bensì anche a casi di atti immediatamente traslativi, a cominciare da una decisione di legittimità [145] che, già nel 1941, aveva ammesso la possibilità di inserire una donazione nel verbale di separazione consensuale, per passare a Cass., 12 giugno 1963, n. 1594 [146], che aveva consentito (quanto meno in astratto) la creazione di un diritto reale d’abitazione in un verbale di separazione (redatto, addirittura, nel 1920), per continuare con la successiva Cass., 7 giugno 1966, n. 1495 [147], che si era venuta a collocare nel medesimo ordine d’idee. Diversi anni più tardi, Cass., 11 novembre 1992, n. 12110 [148] aveva poi avallato l’interpretazione, alla stregua di un vero e proprio negozio traslativo, della dichiarazione contenuta nel verbale di separazione personale consensuale con la quale era stata a suo tempo riconosciuta al marito la proprietà esclusiva di un appartamento, confermando la valutazione dei giudici di secondo grado, secondo cui «tale riconoscimento, lungi dall’esprimere, come ritenuto dal Tribunale, una mera dichiarazione di scienza (...), configurava invece una volontà negoziale attributiva di tal bene al [marito] nel quadro di un complessivo regolamento di interessi che fra l’altro prevedeva ad esclusivo carico di costui il pagamento del prezzo (ancora in larga parte da versare) dell’appartamento».

Si noti che in quello stesso anno la Cassazione – tornando sul problema della distinzione degli atti in oggetto rispetto alla donazione – riconobbe anche validità agli accordi traslativi, anche se rivolti a disciplinare una mera separazione di fatto, in quanto «causalizzati dalla funzione solutoria (causa soggettiva o concreta) (...) ancorché strutturati in modo da non incorporare, attesa la unilateralità dell’attribuzione (...), la propria causa funzionale (causa oggettiva[149].

Ma è nel 1997 che la Corte di cassazione, occupandosi di un accordo concernente il diritto di proprietà su di un immobile, inserito in un verbale di separazione consensuale, affronta anche ex professo i profili concernenti, più specificamente, la natura di atto pubblico del verbale e la sua idoneità a costituire titolo per la trascrizione [150], affermando che «Sono pienamente valide le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 cod. civ., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 cod. civ., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi» [151]. L’importanza di tale leading case è stata adeguatamente illustrata in altra sede [152]; qui preme solo ricordare che esso è stato sempre seguito dalla giurisprudenza successiva di legittimità [153].

       Potranno così menzionarsi quelle numerose decisioni rese in materia fiscale che, discettando dell’applicabilità dell’art. 19, l. 6 marzo 1987, n. 74, hanno sempre dato per scontata la piena validità degli atti traslativi in oggetto [154]. Ad esse dovranno aggiungersi quelle pronunzie che, di volta in volta, hanno affermato la trasmissibilità in capo agli eredi dell’ex coniuge defunto dell’obbligazione di procedere al trasferimento, in capo all’altro ex coniuge, del diritto di proprietà sull’immobile oggetto dell’intesa di divorzio [155], ovvero riconosciuto carattere tipico negli accordi traslativi di cui si discute [156], ovvero ancora ribadito l’ammissibilità di un trasferimento in favore della prole [157], estendendo anche a tale ultimo tipo di negozio le esenzioni fiscali di cui al citato art. 19, l. 6 marzo 1987, n. 74 [158].

 

 

9. Soggetti e oggetto dei trasferimenti. Rinvio.

 

       Venendo ora a dire brevemente dei soggetti dei trasferimenti patrimoniali in discorso potrà notarsi come tali attribuzioni vengano normalmente effettuate da un coniuge nei riguardi dell’altro. Peraltro non è affatto raro il caso in cui un genitore compia (o prometta) un trasferimento in favore di uno o più figli. Questo peculiare tema merita un’attenzione particolare, per cui ad esso verranno dedicati alcuni appositi §§ del presente lavoro, cui si fa pertanto rinvio [159].

Sempre restando in tema di possibili soggetti dei trasferimenti, non è neppure da escludersi che se, seguendo l’indirizzo che pare oggi profilarsi come prevalente, si ammette la possibilità di estendere l’usuale contenuto degli accordi di separazione e divorzio anche ad accordi non direttamente rivolti a regolare gli aspetti più tipici della «vita da separati» o «da divorziati», purché ascrivibili alla categoria delle «condizioni della separazione», si possa arrivare ad ipotizzare, ad esempio, un trasferimento di alcuni beni mobili attuato in via transattiva da parte di un coniuge a favore dei creditori dell’altro, magari in cambio di una reciproca concessione da parte del coniuge debitore all’autore del trasferimento.

       Per ciò che attiene, invece, all’oggetto dei trasferimenti andrà detto che rilevano, sotto questo profilo, non soltanto gli atti traslativi della proprietà o di altri diritti reali, ovvero di quote di comunione su tali diritti, relativi a qualsiasi tipo di beni (immobili, mobili registrati e non, universalità di mobili [160], titoli di credito, ecc.), ma anche quelli aventi ad oggetto la costituzione di iura in re aliena; negozi, questi ultimi, che la giurisprudenza tende a parificare agli atti traslativi. Potrà citarsi, proprio con riguardo alla costituzione di diritti reali minori, la vicenda relativa al problema dell’applicabilità agli atti costitutivi di servitù prediali delle disposizioni in tema di compravendita, risolta in senso affermativo dalla giurisprudenza [161]. Tra gli iura in re aliena che potranno essere costituiti attraverso un contratto della crisi coniugale andranno menzionati i diritti di usufrutto, uso abitazione, mentre non è neppure da escludersi, almeno in teoria, che anche altri diritti reali minori possano venire presi in considerazione nell’àmbito di un regolamento pattizio della crisi coniugale: si pensi ad un pegno o ad un’ipoteca concessi a garanzia dell’adempimento di obbligazioni assunte proprio in quella sede. Né infine potrà escludersi, quanto meno in astratto, che il trasferimento abbia ad oggetto situazioni non connotate dalla realità: si pensi, ad esempio, alla cessione di un credito.

Accennando ora brevemente alla sede dei negozi familiari in oggetto, andrà subito sottolineato come i trasferimenti dei quali fino ad ora ci siamo occupati non trovino la loro collocazione necessaria nel procedimento di separazione o di divorzio. Essi, invero, ancorché conclusi in occasione della crisi coniugale, non per ciò solo debbono anche essere consacrati in sede di procedimento di separazione personale o di divorzio, vale a dire nel relativo verbale d’udienza di comparizione dinanzi al presidente o al collegio. Ciò corrisponde, del resto, al principio più generale secondo il quale, come si è avuto modo di vedere in altra sede, i contratti della crisi coniugale ben possono essere stipulati anche al di fuori di quelle procedure i cui effetti essi sono in qualche modo destinati a disciplinare [162].

La tesi dominante e preferibile conclude peraltro nel senso che «rientra (...) pertinentemente nel contenuto eventuale dell’accordo di separazione ogni statuizione finalizzata a regolare l’assetto economico dei rapporti tra i coniugi in conseguenza della separazione comprese quelle attinenti al godimento ed alla proprietà dei beni, il cui nuovo assetto sia ritenuto dai coniugi stessi necessario in relazione all’accordo di separazione e che il Tribunale – con l’omologazione – non abbia considerato in contrasto con interessi familiari prevalenti rispetto a quelli disponibili di ciascuno di essi» [163].

 

 

10. Profili formali e pubblicitari. Le modifiche di cui al d.l. 78/2010.

 

Venendo ora ai profili di carattere più squisitamente formale vanno ricordate le obiezioni che una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito hanno sollevato circa l’idoneità delle dichiarazioni emesse dalle parti in sede processuale a dispiegare effetti immediatamente traslativi di diritti [164]. Ora, a parte il fatto che la previsione, da parte del legislatore, di determinati requisiti o determinati effetti in relazione all’istituto del contratto non esclude certo a priori la possibilità che requisiti ed effetti analoghi siano eventualmente richiesti e prodotti con riguardo ad altri tipi di atti negoziali, rimane la constatazione che i negozi di cui qui si discute hanno, precisamente, natura contrattuale. Rilievo, quest’ultimo, che vale anche a confutare la tesi di chi, riferendo gli effetti traslativi al decreto d’omologazione, anziché al consenso delle parti [165], vorrebbe trarre argomenti dal carattere tassativo delle norme che attribuiscono effetti costitutivi alle sentenze (art. 2908 c.c.), rilevando come il provvedimento d’omologa non sia ascrivibile a tale novero, in quanto avente appunto la veste di mero decreto, per giunta non dichiarato espressamente idoneo dalla legge a produrre effetti costitutivi.

Nessuna norma, d’altro canto, consente di ritenere che le dichiarazioni negoziali siano limitate (anzi, perfino inibite) nei propri effetti traslativi sol perché emesse in sede processuale o che, addirittura, l’àmbito della giurisdizione, ivi compresa quella c.d. volontaria, non potrebbe estendersi anche all’attività di ricevimento di atti negoziali [166]. Invero, le stesse disposizioni in materia di separazione consensuale evidenziano in maniera clamorosa l’esistenza di (almeno) un caso di ricevimento, da parte di organi giurisdizionali, quali il presidente e il cancelliere, di un atto negoziale, quale sicuramente è l’accordo dei coniugi di vivere separati (così come le relative e conseguenti intese d’ordine personale). Passando, poi, a considerare l’attività contenziosa, basterà citare il caso del verbale di conciliazione giudiziale (artt. 185 c.p.c., 88 disp. att. c.p.c.), il quale ben può contenere, per esempio, una transazione con cui si disponga l’immediato trasferimento di diritti su di uno o più beni, e che, come atto (pubblico) immediatamente traslativo, ben può costituire titolo per la trascrizione [167].

Uno degli argomenti con maggiore frequenza addotti dai sostenitori dell’impossibilità di attuare immediate attribuzioni patrimoniali in sede di separazione consensuale investe il problema dell’individuazione della categoria di documento cui ascrivere il relativo verbale d’udienza. Verbale che, come ripetuto più volte, si forma nel corso dell’udienza presidenziale, e che, ex art. 711, c. 3, c.p.c., deve dare atto «del consenso dei coniugi alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole» [168].

Ora, la norma fondamentale in tema di processo verbale d’udienza è costituita dall’art. 130 c.p.c., che individua nel cancelliere il soggetto cui compete redigere tale documento, ancorché «sotto la direzione del giudice». Ulteriori dati normativi al riguardo sono forniti:

(a) dall’art. 57, c. 1, c.p.c., a mente del quale «il cancelliere documenta a tutti gli effetti, nei casi e nei modi previsti dalla legge, le attività proprie e quelle degli organi giudiziari e delle parti»;

(b) dall’art. 44, disp. att. c.p.c., secondo cui «oltre che nei casi specificamente indicati dalla legge, il cancelliere deve compilare processo verbale di tutti gli atti che compie con l’intervento di terzi interessati. Nel processo verbale fa risultare le attività da lui compiute, quelle delle persone intervenute nell’atto e le dichiarazioni da esse rese»;

(c) dall’art. 126 c. 2 c.p.c., in forza del quale il cancelliere, tra l’altro, deve sottoscrivere il processo verbale, il cui contenuto – ai sensi del primo comma del medesimo articolo – deve comprendere anche «le dichiarazioni ricevute».

Ve n’è abbastanza, dunque, per indurre la dottrina processualistica più autorevole a ricondurre al cancelliere la «paternità» del verbale d’udienza [169], relegando la funzione del giudice allo svolgimento di una mera attività di «cooperazione» [170]. E’ assolutamente incontestabile che, in base alle norme sopra indicate, avuto riguardo alla circostanza che al cancelliere (esattamente come al giudice) compete indubitabilmente la qualifica di pubblico ufficiale, e che lo svolgimento delle formalità relative all’udienza, ivi compresa la stesura del verbale, rientra nell’esercizio di una pubblica funzione (cfr. art. 357 c.p.), vadano riconosciute al verbale le caratteristiche di cui all’art. 2699 c.c., come confermato – con statuizioni di carattere assolutamente generale – dalla giurisprudenza di legittimità, così come dalla dottrina, costanti nel ribadire che gli atti redatti dal cancelliere, o formati con il concorso del cancelliere, nell’àmbito delle funzioni a questi attribuite e con l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge, costituiscono atti pubblici ai sensi dell’art. ult. cit. [171], mentre lo stesso è a dirsi in relazione ai verbali redatti alla sola presenza del giudice e da quest’ultimo sottoscritti [172].

Una volta superata anche l’artificiosa distinzione tra «atto pubblico negoziale» e «atto pubblico non negoziale» [173] dovrà concludersi che gli accordi tra coniugi aventi effetto traslativo (ovvero costitutivo, modificativo o estintivo) di diritti reali immobiliari sono soggetti a trascrizione ex art. 2643 c.c. Per quanto attiene, in particolare, agli accordi conclusi in sede di udienza di separazione consensuale andrà ricordato che il relativo verbale, in quanto atto pubblico a tutti gli effetti (anche con riguardo alle eventuali clausole che dispongano trasferimenti immediati di diritti reali immobiliari), potrà costituire idoneo titolo per l’esecuzione delle formalità pubblicitarie, ex art. 2657 c.c. [174].

Se si ammette – come si è visto – la possibilità che l’intesa traslativa operi in favore della prole e se si riconduce tale ipotesi allo schema negoziale disegnato dagli artt. 1411 ss. c.c. [175], il verbale di separazione o di divorzio su domanda congiunta dei genitori costituirà titolo idoneo anche con riguardo ad un eventuale trasferimento a favore di uno o più figli. Le serie obiezioni prospettate, da un punto di vista generale, circa la sottoponibilità a pubblicità immobiliare del contratto a favore di terzi [176] sembrano invero superabili (ma l’argomento non può certo essere adeguatamente sviluppato nella presente sede) ove si ponga mente alla sicura riconducibilità della fattispecie in questione al disposto dell’art. 2643 c.c., riconducibilità che discende dalla citata premessa circa l’idoneità del contratto a favore di terzi a trasferire, modificare o costituire diritti reali (quelli, per l’appunto, cui si riferiscono i nn. 1, 2, 3 e 4 dell’art. cit.) e che determina, quale automatica ed inevitabile conseguenza, l’obbligo [177] di procedere all’esecuzione della prescritta formalità, senza che gli inconvenienti pratici, pur gravi, legati all’eventuale revoca della stipulazione [178] possano dispiegare effetto al riguardo [179].

Inutile dire che quanto sopra illustrato è riferibile, mutatis mutandis, anche alla materia degli accordi in tema di divorzio [180]. Qui, avuto riguardo al carattere negoziale dell’accordo di divorzio su domanda congiunta [181], andrà ribadito che gli effetti d’ordine patrimoniale derivano direttamente dal contratto di divorzio concluso dai coniugi, rispetto al quale la pronuncia del tribunale assume il mero carattere di omologa emessa all’esito di un procedimento di controllo sul rispetto delle norme inderogabili del vigente ordinamento. Il tribunale, dunque, di fronte alla pattuizione di un trasferimento in sede di accordi ex art. 4, c. 16, l.div. – pattuizione recepita dal verbale dell’udienza collegiale, sicuramente atto pubblico, secondo quanto sopra ampiamente chiarito – si dovrà limitare a «dare atto» dell’intesa intervenuta tra i coniugi, sia in relazione agli impegni di carattere obbligatorio [182], che per quanto concerne gli eventuali trasferimenti direttamente posti in essere in sede di verbale [183], come appare del resto confermato dalla circostanza che il riconoscimento di effetti traslativi (ma il discorso vale anche per i «semplici» effetti costitutivi di rapporti obbligatori) a questo tipo di pronunzia si porrebbe in contrasto con la regola generale espressa dall’art. 2908 c.c. [184].

Per una disamina di ulteriori profili circa gli inconvenienti ed i rischi cui possono andare incontro i trasferimenti «fai da te», quali la c.d. «funzione di adeguamento» e l’eventuale responsabilità per il mancato conseguimento dell’effetto traslativo, l’identificazione dei soggetti e dell’oggetto del trasferimento, gli incombenti imposti dalla disciplina urbanistica (quelli relativi alla disciplina fiscale sono invece stati eliminati dalla l. 29 luglio 2003, n. 229), l’eventuale «pubblicità sanante», i timori di strumentalizzazione dei trasferimenti in questione ai fini di frode alla legge, frode ai creditori o elusione fiscale, nonché sul paventato «conflitto di competenza» tra magistratura e notariato, si fa rinvio ad un’apposita opera [185].

In questa sede potrà solo aggiungersi che gli incombenti previsti a pena di nullità sono andati infittendosi nel corso degli ultimi anni. Ora, poiché il controllo giudiziale attiene al rispetto di norme imperative dell’ordinamento, l’autorità giudiziaria chiamata a svolgere una verifica di legalità delle pattuizioni ben potrà rifiutare l’omologazione ove emergano profili di nullità dell’atto, posto che anche i trasferimenti immobiliari costituiscono condizioni della separazione o del divorzio.

Di rilievo sul punto appaiono anche le norme introdotte dal comma 14 dell’art. 19 (Aggiornamento del catasto) d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in l. 30 luglio 2010, n. 122, con cui è stato aggiunto all’articolo 29 della legge 52/1985, il comma 1-bis, secondo il quale gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi, relativi al trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di diritti reali su fabbricati già esistenti, dovranno contenere, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale delle unità immobiliari urbane (foglio, particella, subalterno), pure il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atto dagli intestatari, della loro conformità con lo stato di fatto. La predetta dichiarazione può però essere sostituita da una attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale [186].

 Ora, nonostante l’ultima parte di tale comma preveda che «Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari», non sembra possa dirsi che il legislatore è venuto ad imporre la necessità che il trasferimento dei diritti in oggetto si attui solo ed esclusivamente per mezzo di un notaio. In senso contrario si dovrebbe ipotizzare una modifica sostanziale dell’art. 1350 c.c.; modifica che non sembra consentito desumere (esclusivamente) da un incombente previsto a carico del (solo) notaio. Si deve ritenere, oltre tutto, che, anche in caso di difetto di corrispondenza delle intestazioni catastali con quelle risultanti dai registri immobiliari, l’atto notarile potrà ugualmente essere stipulato in quanto, come ricordato dall’Agenzia del territorio con la circolare n. 2/T del 2010, il professionista potrà provvedere all’allineamento delle intestazioni in sede di predisposizione della domanda di voltura catastale, citando nell’apposita sezione del modello unico informatico gli estremi degli atti pregressi relativi ai passaggi di proprietà non registrati per dare continuità alla storia dei possessi. E’ però più che evidente che siffatti incombenti non possono riferirsi se non al «notaio» (essendo tale professionista nominativamente indicato dalla legge, che non richiama qui genericamente il «pubblico ufficiale») e non appaiono pertanto accollabili all’avvocato, al giudice, al cancelliere.

La nullità prevista dalla normativa citata ha carattere esclusivamente formale, e colpisce l’atto nel caso di mancanza dell’identificazione catastale, della dichiarazione circa la corrispondenza alle planimetrie o della dichiarazione di corrispondenza tra lo stato di fatto, le planimetrie e i dati catastali. Ciò significa che il tribunale dovrà rifiutare l’omologazione dell’atto e, ancor prima, il presidente dovrà rifiutare l’inserimento in verbale del trasferimento ove sia riscontrata una delle citate ipotesi di nullità (salvo il potere, più volte ricordato dallo scrivente, di disporre una c.t.u. nell’ambito dei vastissimi poteri che l’art. 738, ult. cpv., c.p.c. attribuisce al giudice nell’ambito delle procedure camerali).

Viceversa, proprio perché le nullità predette hanno natura meramente formale, deve ritenersi che la dichiarazione mendace non possa determinare la nullità dell’atto, non trattandosi di nullità sostanziale, considerato il carattere eccezionale e tassativo del rimedio ex artt. 1418 ss. c.c. In caso di difetto della citata corrispondenza in sede di trasferimento (immediato) nell’ambito di un contratto della crisi coniugale sottoposto all’omologa del tribunale della separazione consensuale, quest’ultimo non potrà dunque rifiutare l’omologazione, posto che il difetto di conformità non è motivo di nullità del trasferimento, nullo essendo solo il trasferimento che ometta le citate dichiarazioni.

Sulla base di queste considerazioni, di fronte alla situazione di incertezza e di vero e proprio marasma legislativo, non resta che reiterare – de iure condendo – l’auspicio già espresso dallo scrivente circa il fatto che il legislatore rimetta in via assolutamente esclusiva al notaio la funzione di trasferimento della proprietà (e di trasferimento e costituzione di altri diritti reali) sui beni immobili, in modo da evitare la cospicua serie di nefaste conseguenze che si possono produrre quando un soggetto non in possesso della necessaria capacità tecnica redige atti di questo tipo. In attesa di tale riforma, e stante l’attuale vigore dell’art. 1350 c.c., vari uffici giudiziari hanno adottato protocolli [187] nei quali vengono fornite le necessarie indicazioni per poter effettuare trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio: se, da un lato, alcuni tribunali si sono fatti carico del problema e hanno puntualmente indicato le dichiarazioni e i documenti necessari per favorire la soluzione negoziale della crisi familiare mediante atti traslativi [188] i problemi interpretativi ed applicativi derivanti da recenti normative hanno indotto altri uffici, modificando la prassi precedentemente instaurata, ad ammettere esclusivamente i ricorsi nei quali è prevista soltanto l’assunzione dell’impegno alla cessione degli immobili, da realizzarsi con successivo atto notarile [189].

 

 

11. Gli accordi di carattere obbligatorio. Generalità. La natura dell’impegno a trasferire.

 

Si è già accennato al fatto che i trasferimenti di diritti su beni di proprietà dei coniugi possono intervenire, nel corso della crisi coniugale, tanto in sede giudiziale che stragiudiziale. Possono, si è detto: sarà infatti opportuno ribadire subito, a scanso d’equivoci, che i contratti traslativi, in quanto poggianti sulla causa di definizione della crisi coniugale, ovvero su di una delle altre cause cui si è fatto cenno [190], non debbono necessariamente inserirsi in un àmbito processuale, tanto più avuto riguardo alla perfetta liceità di intese a latere rispetto alle procedure di separazione e di divorzio, per non parlare degli accordi diretti a disciplinare la separazione di fatto. Ricordato al riguardo che nel nostro ordinamento il requisito causale è soddisfatto anche quando un atto traslativo, pur non contenendo tale elemento in sé, si pone quale attuazione di un’intesa causale, che funge quindi, rispetto ad una siffatta attribuzione, quale causa esterna o praeterita [191], deve senz’altro consentirsi ai coniugi, in sede di udienza presidenziale di separazione consensuale o di udienza collegiale di divorzio su domanda congiunta, di limitarsi a pattuire un impegno a trasferire, mercé un successivo e distinto atto, un determinato diritto reale su uno o più beni, mobili o immobili. Lo stesso è a dirsi in relazione ad un impegno obbligatorio avente ad oggetto la futura costituzione di uno ius in re aliena [192].

Una volta chiarito che le parti possono limitarsi a pattuire in sede giudiziale (ma il discorso vale sicuramente anche per gli accordi a latere, così come per quelli modificativi o, ancora, per quelli conclusi a corredo di una separazione di fatto) un semplice impegno ad effettuare un distinto e successivo atto di trasferimento, si tratta ora di vedere:

(a) quale sia la struttura dell’impegno a trasferire;

(b) quale sia la struttura del successivo atto di trasferimento.

Prima di passare ad un esame più dettagliato di questi due distinti interrogativi, occorre innanzi tutto sgombrare il campo da quelle figure negoziali tipiche usualmente utilizzate dalla prassi notarile, preoccupata di evitare le incertezze che, sul piano fiscale, oltre che su quello civilistico (con conseguenti risvolti per il notaio di responsabilità civile e disciplinare), il mancato espresso riconoscimento legislativo della categoria generale del negozio di trasferimento solvendi causa comporta [193]. Il riferimento è qui in primo luogo alla donazione, per l’evidente incompatibilità tra animus donandi e intento di adempiere un’obbligazione [194]. Più che chiare sono le conseguenze sul piano giuridico di tale premessa: «oltre alla libertà della forma scritta (atto pubblico o scrittura privata), rimangono fuori: la revocazione per ingratitudine o sopravvenienza di figli (si pensi a giovani coniugi senza figli al momento delle separazione o divorzio), l’obbligo della collazione, l’azione di riduzione per lesione di legittima, l’obbligo alimentare del donatario verso il donante e, per quanto riguarda l’imposta di successione il coacervo, se il donatario diventerà anche erede del donante. Inoltre, vanno ricordate le diverse condizioni richieste dalla legge (art. 2901 c.c.) per esercitare l’azione revocatoria quando l’atto di disposizione è a titolo gratuito» [195].

Escluso dunque il ricorso alla donazione, vi è subito da aggiungere che le parti non potrebbero neppure appoggiarsi allo schema della compravendita. Qui, infatti, a parte il rilievo che, per assecondare l’intento dei contraenti, essa dovrebbe essere necessariamente simulata (e, trattandosi di simulazione «manifesta», il notaio ne dovrebbe rifiutare la stipulazione), resta comunque il fatto che una simulazione assoluta non consentirebbe ai paciscenti di conseguire lo scopo prefigurato, mentre una simulazione relativa lascerebbe aperto il problema dell’individuazione del negozio dissimulato, che – per le ragioni testé esposte – non potrebbe essere rappresentato da una donazione [196].

L’obbligazione assunta dinanzi al giudice di operare un trasferimento mobiliare o immobiliare può dunque trovare esecuzione solo attraverso un apposito atto di attuazione dell’obbligazione di trasferire. Si tratta però di vedere quale struttura concreta lo stesso atto possa assumere e, in particolare, se esso debba ricevere quella di un atto bilaterale (con la necessità, quindi, di una manifestazione di volontà anche da parte del destinatario dell’attribuzione), ovvero quella di un atto traslativo unilaterale (ciò che prescinderebbe dall’accettazione dell’accipiens), ovvero ancora quella di una proposta ex art. 1333 c.c. (con la conseguenza che l’accettazione non sarebbe necessaria, ma il contratto dovrebbe ritenersi concluso solo in mancanza di un rifiuto del destinatario «nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi»).

Proprio l’ultima di quelle appena indicate è la soluzione additata dalla Cassazione in una nota pronunzia [197] la quale, di fronte alle incognite del binomio: impegno a trasferire – atto di trasferimento, suggerisce le seguenti soluzioni: preliminare di contratto ex art. 1333 c.c. – contratto definitivo ex art. 1333 c.c. Concentrando l’attenzione sull’impegno a trasferire notiamo subito che la dottrina ha esattamente criticato, nella decisione appena ricordata, l’individuazione di un contratto preliminare nell’impegno del padre di trasferire l’immobile, sostenendo che è invece nel primo negozio (quello, appunto, stipulato in sede di separazione) che va ravvisato l’atto di autonomia, laddove nel secondo va riscontrato un mero atto solutorio [198].

 

 

12. Segue. La natura dell’atto di trasferimento.

 

Passando al secondo dei termini del binomio in cui s’articola l’effetto traslativo voluto dalle parti, sarà opportuno dire a questo punto che, una volta scartate la via della donazione e quella della compravendita [199], rimangono a disposizione tre possibilità. Esse consistono, più esattamente, nel ricorso al contratto ex art. 1333 c.c., al negozio traslativo unilaterale (o pagamento traslativo) e al negozio traslativo bilaterale.

Per la prima soluzione si è già espressa la Corte di cassazione [200], oltre ad una parte (minoritaria) della dottrina [201]. La conclusione si scontra però con la lettera della disposizione in esame – che parla di sole «obbligazioni», senza fare cenno agli effetti reali – oltre che con i risultati cui perviene quella dottrina che, sulla base del dato testuale della norma, confortato da riflessioni comparatistiche, nega l’idoneità della proposta diretta a concludere un contratto «con effetto reale a carico del solo proponente» a porre in opera il meccanismo formativo del contratto descritto dall’art. 1333 c.c. [202]. L’osservazione è stata criticata da chi ha ritenuto di poter proporre un’estensione analogica della norma in questione [203]: operazione ermeneutica, questa, inaccettabile a fronte del carattere eccezionale dell’art. 1333 c.c. Carattere eccezionale che non può certo essere disconosciuto tramite l’accostamento [204] a fattispecie quali quelle di cui agli artt. 649, 1236, 1411, connotate da evidenti differenze strutturali rispetto al contratto con obbligazioni a carico del solo proponente.

In realtà, l’art. 649 c.c. è chiaro nell’attribuire al legato l’effetto traslativo immediato, al momento dell’apertura della successione, laddove l’art. 1333 c.c. collega, testualmente, la conclusione del contratto – e dunque il momento di produzione degli effetti – alla «mancanza del rifiuto»; rifiuto che deve oltre tutto essere espresso «nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi», con conseguente incertezza nella determinazione del mo­mento nel quale il diritto si trasferisce in capo all’acquirente, ciò che appare inconciliabile con il regime della circolazione dei beni immobili e con il sistema di pubblicità che lo accompagna. Questa incertezza è invece totalmente assente nella citata fattispecie successoria, e lo stesso discorso vale per gli artt. 1236 c.c. (sulla cui pertinenza alla materia degli effetti reali si potrebbe, tra l’altro, discutere) e 1411 c.c., così come per l’art. 785 c.c. Con riguardo a quest’ultima disposizione, andrà subito detto che, anche a voler ammettere la possibilità di estendere gli effetti del contratto concluso ex art. 1333 c.c. al di là di quelli meramente obbligatori (ciò che peraltro, per le ragioni sopra esposte, appare inaccettabile), rimane comunque il fatto che lo schema in esame appare difficilmente compatibile con la forma dell’atto pubblico [205]. Il «non rifiuto» – si è osservato – è un evento che comunque sfugge all’attività notarile, con conseguente impossibilità di una documentazione dello stesso presupposto della costituzione del diritto in capo all’oblato [206].

Se dunque la via indicata dalla Cassazione non sembra percorribile, non appare neppure consigliabile la strada del negozio unilaterale traslativo astratto solutionis causa, o pagamento traslativo, atto unilaterale riconducibile alla categoria più generale ex artt. 1176 ss. c.c. e svincolato da ogni forma di accettazione o di mancato rifiuto da parte del destinatario [207]. Ciò non solo per via delle persistenti incertezze sull’ammissibilità nel nostro ordinamento di un trasferimento di proprietà mediante atti a struttura unilaterale [208], ma anche per poter comunque offrire al destinatario il potere di impedire l’effettuazione del trasferimento allorquando egli abbia interesse a farlo: si pensi al caso in cui il creditore abbia perso interesse all’atto, oppure il medesimo si prospetti addirittura come fonte di possibili danni. Scartata la via dell’atto unilaterale la conclusione preferibile appare dunque quella di far assumere all’atto traslativo una struttura bilaterale [209] nella quale risulti appunto – oltre, ovviamente, alla specificazione della causa praeterita del negozio – anche il consenso del destinatario dell’attribuzione.

Venendo ad accennare brevemente alla tutela giudiziale dell’obbligazione di trasferire, dottrina e giurisprudenza appaiono concordi, in caso di rifiuto dell’obbligato ad operare il trasferimento, a concedere al creditore l’azione ex art. 2932 c.c. [210]. La soluzione è sicuramente da condividersi, né costituisce ostacolo al suo accoglimento l’aver negato la natura «preliminare» dell’impegno a trasferire concluso in sede di separazione consensuale o di divorzio su domanda congiunta. Se è vero, infatti, che, stando alla lettera della legge, l’art. 2932 c.c. postula la presenza di un obbligo a «concludere un contratto» (e non di un «obbligo a trasferire»), ponendo a disposizione del creditore un rimedio consistente nell’emanazione di una sentenza che produce gli effetti «del contratto non concluso» (e non di un «trasferimento non attuato»), è altrettanto vero che, ex art. 1324 c.c., la disciplina contrattuale è applicabile agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale. Non sembra quindi azzardato proporre un’estensione della sentenza costitutiva anche in funzione sostitutoria degli effetti che sarebbero dovuti scaturire dall’atto traslativo della proprietà, alla cui effettuazione un coniuge si era obbligato in sede di stipula del contratto di definizione della crisi coniugale. La soluzione testé prospettata riceve del resto ulteriore conforto dalla considerazione di quanto disposto dall’art. 1706 cpv. c.c., che estende il rimedio ex art. 2932 c.c. ad un’obbligazione di dare in senso tecnico (generata dal mandato senza rappresentanza ad acquistare), ossia di trasferire la proprietà del bene a mezzo di un atto in cui si suole identificare un negozio traslativo di esecuzione non astratto, ma causale, che si appoggia, cioè, al mandato e alla sua causa [211].

 

 

13. Gli effetti del trasferimento. Sulla possibilità di sottoporre l’accordo traslativo alla condizione sospensiva dell’omologazione, ad altra condizione, o a termine, o comunque di determinare liberamente il momento di decorrenza degli effetti del trasferimento.

 

13.1. Generalità. «Condizioni» ed «effetti» della separazione.

La considerazione della natura contrattuale delle intese delle quali qui si discorre, siano esse di carattere reale, ovvero meramente obbligatorio, induce a ritenere che ad esse si applichi anche la disciplina della condizione. Quest’ultima – avuto riguardo ad una procedura di separazione consensuale – può essere liberamente apposta e individuata in relazione al momento in cui il decreto di omologazione diviene definitivo, come avvenimento futuro ed incerto; trattasi, in questo caso, di condizione potestativa ordinaria, perché dipende dalla volontà e dalla richiesta delle parti, ma non solo da questa, dovendo il tribunale accertare che l’accordo non sia contrario a legge, ordine pubblico e buon costume [212]. Ci si può però chiedere, a questo punto, quale ruolo dispieghi in proposito l’art. 158, primo comma, c.c., a mente del quale «La separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l’omologazione del giudice» [213]. In particolare, ci si deve domandare se tale elemento giochi quale condicio iuris, e, in caso positivo, se debba ritenersi che la citata disposizione eventualmente impedisca alle parti di prevedere autonomamente una data di produzione degli effetti del vincolo negoziale assunto, sia questa coincidente con quella di cui alla norma riferita, ovvero da essa, in ipotesi, divergente.

Sarà opportuno precisare che sul punto esisteva, già prima dell’intervento della Cassazione risalente al 1997, di cui si è già detto e sul quale si tornerà tra breve, almeno un precedente nella giurisprudenza di merito, nel quale è dato leggere che il fatto che il trasferimento della proprietà avvenga solo al momento dell’omologazione non contrasta con l’art. 1376 c.c.; disposizione, questa, che «non impedisce che il trasferimento della proprietà della cosa possa essere sottoposto a condizione sospensiva (facti o iuris). E l’omologazione è (secondo la dottrina dominante) condizione di efficacia dell’accordo. Non vi è quindi nulla che contrasti con i principi fondamentali dell’ordinamento» [214]. Successivamente, la Corte Suprema, affrontando un caso in cui si discuteva della validità di un atto traslativo coinvolgente un immobile in comunione legale (rectius: di un immobile che, secondo una delle parti, avrebbe formato oggetto della comunione), ha deciso che la questione concernente la possibilità di sottrarre – mediante accordo di separazione consensuale – un singolo bene al regime ex art. 177 ss. c.c. poteva essere risolta in senso positivo proprio in considerazione del fatto che l’esclusione del bene dalla comunione, in quanto inserita nel verbale di separazione consensuale, avrebbe preso effetto solo a partire dall’omologazione, cioè dal momento in cui si attuava lo scioglimento del regime medesimo [215].

Come si è visto, dunque, la giurisprudenza sembra percorrere senza esitazioni di sorta la via della condicio iuris, laddove in dottrina si preferisce consigliare ai contraenti di ricorrere alla condicio facti [216].

Andrà aggiunto a questo punto che le conclusioni di cui sopra [217] sono state criticate da chi [218] ha ritenuto di dover sottolineare il carattere indisponibile della quota in comunione legale, invocando al riguardo una decisione di legittimità [219], secondo cui, in pendenza del procedimento di separazione personale, il diritto allo scioglimento della comunione legale dei beni non è ancora sorto, per non essersi compiutamente realizzata la correlativa vicenda costitutiva. Conseguentemente andrebbe asserita la nullità, manente communione, del contratto qui in esame, con conseguente impossibilità del suo inserimento nel verbale di separazione consensuale tra coniugi (ancora) in regime legale, «per mancanza dell’oggetto del contratto (art. 1418, comma secondo, c.c.)» [220]. Sembra invece a chi scrive che la quota di comunione ordinaria che subentrerà ex lege al regime legale all’atto dello scioglimento di quest’ultimo [221] possa formare oggetto di atti di disposizione già sotto la vigenza della comunione legale, in forza del generale principio che vuole essenzialmente validi i negozi su cose future (art. 1348 c.c.) [222].

Altro possibile dubbio è quello secondo cui il fatto di stabilire un’equazione tra i concetti di «trasferimento patrimoniale in sede di separazione» e di «effetto della separazione ex art. 158 c.c.» sembra legare l’operazione alla regola della condicio iuris di cui alla citata disposizione dell’art. 158 c.c. Vi è dunque da chiedersi se, nel caso in cui i coniugi non intendessero attendere l’omologazione e volessero operare un effetto patrimoniale traslativo prima di tale evento, l’intesa non sarebbe contraria a norma imperativa (l’art. 158 cit., appunto).

L’interrogativo discende, come si appena detto, dal postulato secondo cui il trasferimento patrimoniale sarebbe uno degli «effetti della separazione» cui fa richiamo l’art. 158 c.c. Ma è proprio questo assioma che va messo in discussione. La verifica di siffatta proposizione utilizza quale «cartina di tornasole» il richiamo agli effetti della riconciliazione, ex art. 157 c.c.: norma, questa, che pure ha tratto agli «effetti della separazione» (contenziosa o consensuale che sia). Appare dunque lecito porsi l’interrogativo circa la sorte del trasferimento patrimoniale operato in sede di separazione, una volta che tra i coniugi sia intervenuta la riconciliazione. Logica vorrebbe, infatti, che, se veramente le attribuzioni di cui qui si discute fossero da annoverare tra gli «effetti della separazione», nel senso sopra indicato, la riconciliazione delle parti dovrebbe determinarne la ripetizione.

La questione era già stata posta parecchi anni or sono all’attenzione della Suprema Corte, che aveva avuto modo di stabilire quanto segue: «Qualora tra i coniugi si convenga, con pattuizione facente parte dell’accordo di separazione consensuale, che l’obbligazione di mantenimento sia adempiuta, anziché a mezzo di una prestazione patrimoniale periodica, con l’attribuzione definitiva di beni, mobili o immobili, o di capitali in danaro, l’esecuzione di tale attribuzione estingue totalmente e definitivamente l’obbligazione. (...) A tale efficacia estintiva non ostano né il rilievo che lo stato di separazione ha carattere essenzialmente non permanente, né il rilievo che a carico del coniuge può sorgere successivamente l’obbligazione di alimenti. La riconciliazione, infatti, ha come effetto suo proprio la cessazione dello stato di separazione, e non altro. La cessazione dell’efficacia delle pattuizioni patrimoniali stipulate all’atto della separazione non è effetto necessario della riconciliazione, come sembra ritenere il ricorrente, ma può derivare soltanto da un nuovo assetto delle posizioni patrimoniali dei coniugi, che potrà essere raggiunto o convenzionalmente o giudizialmente con riferimento alla situazione successiva alla riconciliazione, ma non è diretta conseguenza di questa. L’obbligo degli alimenti, qualora ne vengano a sussistere i presupposti, è del tutto estraneo all’obbligo di mantenimento e sorge indipendentemente dall’esistenza di questo; ed invero, l’adempimento all’obbligo di alimenti non estingue l’obbligo di mantenimento, se esistente, e correlativamente l’insorgenza dell’obbligazione di alimenti non genera alcun effetto sull’obbligazione di mantenimento, se insussistente od estinta. Deve essere confermato, quindi, che l’obbligazione di mantenimento può validamente essere estinta, all’atto della separazione consensuale tra coniugi, con un’attribuzione definitiva di beni e che tale attribuzione non può, quindi, essere considerata priva di causa» [223].

Sul tema è ritornata successivamente una pronunzia di merito, che pure è pervenuta alle medesime conclusioni: «Deve ritenersi (…) che alla riconciliazione consegua, sotto il profilo del regime patrimoniale della famiglia, la ricostituzione automatica della comunione legale, la quale opera peraltro non con efficacia retroattiva ma solo dal momento della riconciliazione effettiva (salvo verifica della opponibilità ai terzi) e quindi per il futuro. E’ da escludere, invece, che costitui­scano, a differenza di quelli fin qui enumerati, effetti della sentenza di separazione (o del decreto di omologazione della separazione consensuale) i negozi aventi ad oggetto il trasferimento di diritti; i medesimi infatti, benché stipulati in occasione della separazione e per dare definizione ad ogni questione insorgente in ordine alla stessa, non costituiscono contenuto necessario del verbale di separazione ma possono dar luogo ad accordi stragiudiziali e gli effetti propri del negozio non sono, anche nell’ipotesi in cui lo stesso sia inserito nel verbale, in alcun modo condizionati dall’omologazione. Consegue che la riconciliazione non fa venire meno gli effetti dei contratti di trasferimento di beni (così come del resto non fa venir meno gli effetti della divisione dei beni in comunione legale – divisione che può costituire causa delle attribuzioni di beni in sede di separazione – posto che la ricostituzione della comunione opera solo per il futuro)» [224].

A quanto sopra può aggiungersi – come già rilevato in altra sede dallo scrivente [225] – che l’art. 157 c.c., nel disciplinare le conseguenze della riconciliazione, si limita a prevedere la cessazione «degli effetti della separazione», cui non possono certo ricondursi quelle «condizioni» alla vigenza delle quali i coniugi avevano a loro tempo condizionato il proprio assenso ad una definizione amichevole del conflitto coniugale, condizioni tra le quali rientra, in primo luogo, l’eventuale effettuazione di prestazioni in unica soluzione (ivi compreso, ovviamente, l’eventuale compimento di negozi traslativi) [226]. Resta, naturalmente, salva la possibilità che le parti espressamente (e, ovviamente, con il rispetto delle regole sostanziali e formali [227]) definiscano in modo diverso, nell’accordo di riconciliazione, anche gli aspetti di eventuali restituzioni di attribuzioni effettuate in sede di negozio di separazione. Tale sorta di definizione potrebbe addirittura essere effettuata in anticipo, cioè al momento della separazione e in considerazione di una possibile riconciliazione [228].

Da quanto illustrato deriva, dunque, che si può porre, in primo luogo, una distinzione tra «effetti» della separazione e «condizioni» della separazione (cioè condizioni alla presenza delle quali le parti decidono di separarsi consensualmente e non in modo contenzioso). Non tutte le «condizioni» della separazione sono riconducibili a quegli «effetti» cui risultano applicabili gli artt. 157 e 158 c.c.

 

13.2. Il collegamento tra atti traslativi (o comunque dispositivi) tra coniugi in crisi e omologazione della separazione consensuale, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità.

La riprova di quanto appena detto è rinvenibile proprio nella soluzione del recente e già citato caso affrontato da Cass., 6 febbraio 2009, n. 2997. Nella specie la Corte ha rilevato che lo scopo di un accordo transattivo [229] concluso dai coniugi in vista di una separazione consensuale, poi non perfezionatasi, essendosi invece i coniugi separati giudizialmente, era quello di regolare i rapporti economici più importanti della coppia, prima di rivolgersi al giudice della separazione, eliminando così le controversie su questioni non strettamente attinenti alla fine dell’unione, ivi compresa la definizione dei rapporti economici con i figli maggiorenni. Già la corte di merito, nella sentenza impugnata, aveva escluso che la separazione consensuale costituisse il fondamento causale di quella scrittura privata, rigettando l’impostazione del marito, che aveva chiesto la declaratoria di nullità dell’intesa per asserito difetto di causa, visto che la separazione consensuale non aveva poi avuto luogo, essendosi i coniugi separati giudizialmente. Essa aveva inoltre rigettato la domanda (dello stesso marito) volta alla declaratoria di inefficacia dell’intesa per effetto dell’applicazione della teoria della presupposizione, esattamente osservando che «non era emerso che la separazione consensuale fosse il presupposto comune, anche se non espresso, tenuto in considerazione dalle parti e perché la presupposizione ricorreva quando la circostanza intesa come presupposto comune era indipendente dalla volontà delle parti, mentre l’addivenire alla separazione consensuale dei coniugi dipendeva esclusivamente dalla loro volontà» [230].

La Cassazione, confermando tale impostazione, rileva che la sentenza impugnata aveva «non solo (…) tenuto conto della scrittura di separazione dei coniugi (…), ma, con esauriente e idonea motivazione, (…) altresì ritenuto che la effettiva regolamentazione dei rapporti tra i coniugi stessi fosse contenuta nella scrittura del 22 settembre 1997 [cioè quella di cui il marito asseriva la nullità o l’inefficacia], escludendone la natura meramente riproduttiva degli accordi di separazione».

La decisione sembra avallare, dunque, l’idea che il nesso tra i trasferimenti operati inter coniuges in crisi (o comunque le intese patrimoniali in sede di crisi coniugale), da un lato, e il procedimento ex art. 158 c.c. debba essere in qualche modo esplicitato dai contraenti, per poter rilevare (nel senso che il mancato perfezionamento della procedura di separazione consensuale impedisca agli accordi patrimoniali di produrre effetto).

Ulteriore conferma del ragionamento sin qui svolto è desumibile dalla considerazione di un caso risolto dalla S.C. nel 2008 [231], in cui pure si discuteva dell’efficacia di una transazione conclusa tra i coniugi in vista di una separazione consensuale, poi non concretizzatasi; in forza di tale intesa un coniuge si era obbligato a trasferire all’altro la propria quota di comproprietà di un compendio immobiliare, in cambio dell’assunzione di determinati impegni, da parte di quest’ultimo, relativi al mantenimento dei figli. Qui la Corte di legittimità, confermando le valutazioni compiute dai giudici di merito, è pervenuta a conclusioni opposte rispetto a quelle della successiva e già esaminata decisione del 2009, sottolineando l’inoperatività dell’accordo, in quanto strettamente legato (questa volta) alla procedura di separazione consensuale non andata a buon fine. Ed invero, la Cassazione rimarca, innanzi tutto, che il patto in discussione «recava una premessa, facente parte integrante di esso per espressa previsione, secondo il quale, essendo in corso fra di esse un giudizio di separazione ed essendo loro intendimento “procedere alla divisione dei beni comuni e definire le condizioni della separazione in corso”, si stipulavano determinate pattuizioni, aventi ad oggetto beni immobili, alla cui comproprietà una parte (la moglie) rinunciava, obbligandosi a sua volta l’altra (il marito) a provvedere al mantenimento dei figli. Apposita clausola prevedeva che “nel giudizio di separazione verrà promossa comparizione presidenziale onde pervenire a separazione consensuale”».

Posta tale premessa, la Corte di legittimità osserva che la regola di cui all’art. 158 c.c., che sottopone l’efficacia dell’accordo di separazione all’omologazione, non trova applicazione qualora, «nell’ambito di un accordo destinato a disciplinare una separazione consensuale, sia inserita anche una convenzione avente una sua autonomia». Ove si prospetti tal caso, prosegue la Cassazione, deve compiersi una indagine ermeneutica, nel quadro dei principi di cui all’art. 1362 ss. c.c. diretta a stabilire se a quella convenzione possa essere riconosciuta autonoma validità ed efficacia. Nel caso di specie, però, «è proprio la mancanza di tale autonomia degli accordi economici in questione, inseriti in un progetto di separazione consensuale non andato a buon fine, che è stata accertata in sede di merito», con la conseguente inefficacia della transazione in discussione.

La rassegna di cui sopra mostra l’evidente inaccettabilità della soluzione cui è pervenuta una decisione di merito che, sulla base del non condivisibile assunto per cui il provvedimento di omologa influirebbe unicamente sulle intese appartenenti al contenuto necessario della separazione, inerente all’affidamento e al mantenimento dei figli, mentre dovrebbe «ritenersi irrilevante per i patti che, pure inseriti nella separazione, siano provvisti di autonomia causale, tanto da poter essere validamente stipulati anche al di fuori del contesto separatizio», ha omologato una separazione consensuale parzialmente, dando atto di non poter, testualmente «effettuare alcun controllo sulla validità delle condizioni relative ad un trasferimento immobiliare tra coniugi in violazione della disciplina urbanistica» [232]. In realtà, fermo restando che il contenuto non essenziale dell’accordo di separazione è pur sempre (vivaddio!) «contenuto della separazione», non appare possibile in alcun modo sottrarre siffatta intesa al controllo del tribunale, se non supponendo che i coniugi stessi decidano, di comune accordo, puramente e semplicemente, di espungerla dal contesto delle pattuizioni sottoposte all’omologa [233].

 

13.3. La necessaria distinzione tra effetti (della separazione) destinati a perdurare nel tempo ed effetti destinati a prodursi in modo istantaneo. Argomenti ricavabili dalla considerazione del rilievo della separazione di fatto. Possibilità per i coniugi di far decorrere gli effetti degli atti traslativi da un momento diverso da quello dell’omologazione.

Se anche non si dovessero condividere le argomentazioni sopra svolte e si dovesse ritenere che pure i trasferimenti patrimoniali tra coniugi in crisi costituiscono «effetti della separazione», ai sensi e per gli effetti degli artt. 157 e 158 c.c., appare comunque necessario tenere ben distinti gli effetti destinati a perdurare nel tempo, da un lato, da quelli destinati a prodursi in modo istantaneo, dall’altro. L’art. 157 c.c. si esprime, invero, nei termini seguenti: «far cessare gli effetti della sentenza di separazione». Ora, il verbo «cessare» rende evidente che la norma presuppone che gli «effetti della separazione» (destinati, per l’appunto, a «cessare») siano ancora in atto, nel momento in cui la riconciliazione interviene (non potendo, logicamente, «cessare», cioè venir meno, ciò che in atto più non è). Ne consegue che la disposizione non si applica ad atti che, come i negozi traslativi, hanno già pienamente ed integralmente dispiegato il loro effetto una volta per tutte; d’altro canto la norma in esame non prevede effetti restitutori di sorta, né, tanto meno, un’efficacia ex tunc della riconciliazione, per cui le prestazioni effettuate non possono che essere trattenute.

Le considerazioni di cui sopra traggono conferma dalla giurisprudenza in tema di modifica delle condizioni della separazione, ex art. 710 c.p.c. Così, la Corte Suprema ha stabilito, nel 2007 [234], che «In ragione della opponibilità al terzo – ancorché non trascritta – dell’assegnazione della casa familiare disposta in favore dell’altro coniuge in occasione della separazione, sia giudiziale che consensuale, o in sede di divorzio, la clausola della separazione consensuale istitutiva dell’impegno futuro di vendita dell’immobile adibito a casa coniugale, in quanto tale assegnata (in quella medesima sede) al coniuge affidatario del figlio minorenne, non é inscindibile rispetto alla pattuizione relativa all’assegnazione di detta abitazione, ma si configura come del tutto autonoma rispetto al regolamento concordato dai coniugi in ordine alla stessa assegnazione, riguardando un profilo compatibile con detta assegnazione in quanto sostanzialmente non lesivo della rispondenza di detta assegnazione all’interesse del figlio minorenne tutelato attraverso tale istituto; pertanto, detta pattuizione non è modificabile nelle forme e secondo la procedura di cui agli artt. 710 e 711 cod. proc. civ.».

A ciò s’aggiunga ancora che, nel medesimo anno, la Cassazione ha ritenuto la perfetta validità di un accordo di separazione consensuale che prevedeva l’impegno del marito, nel caso di vendita della casa coniugale di sua proprietà esclusiva, a corrispondere la metà del ricavato alla moglie, affermando che nella specie si trattava di condizione non meramente potestativa ed in tal modo contribuendo a consolidare l’opinione secondo cui gli accordi di separazione consensuale sono, in linea generale, senz’altro sottoponibili a condizione, esattamente come qualsiasi altro contratto [235].

       Appare quindi chiaro che, anche per la Cassazione, esistono accordi modificabili ed accordi immodificabili sulla base della regola della sopravvenienza e del principio della clausola rebus sic stantibus. In particolare, le intese rivolte a produrre un effetto «istantaneo» non saranno qualificabili alla stregua di «condizioni della separazione consensuale» cui fa riferimento l’art. 711 c.p.c. (dichiarandole modificabili, con rinvio all’art. 710 c.p.c., che parla di «provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione»).

       Tornando alla considerazione dell’art. 158 c.c. potrà ricavarsi un ulteriore argomento in favore della tesi qui sostenuta (circa la generale possibilità per i coniugi di attribuire effetto all’atto traslativo a decorrere da un momento o da un evento scelto a loro piacimento) dal fatto che questa disposizione («La separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l’omologazione del giudice»), dà chiaramente ad intendere che il profilo che essa ha eminentemente ad oggetto è quello personale. In proposito vi è anche una precisa ragione storica, illustrata in altra sede [236]: la separazione non poteva essere legata al capriccio delle parti, per non attentare alla sacralità dell’unione matrimoniale. Ma, una volta introdotto il principio della dissolubilità del vincolo e, soprattutto, quello dell’irrilevanza della colpa ai fini dell’ammissibilità della separazione (e del divorzio), il controllo esercitabile ex art. 158 c.c. non può essere se non quello circa la legittimità delle intese dei coniugi e la loro non contrarietà all’interesse degli eventuali minori. Ma ciò non vuol dire che effetti di carattere patrimoniale non possano essere legati ad uno stato di separazione non «benedetto» dal giudice.

Basti ricordare il rilievo che viene universalmente attribuito agli accordi diretti a disciplinare una separazione di fatto. Invero, già a partire dall’entrata in vigore del vigente codice, ed anzi da epoca precedente, la giurisprudenza si è mostrata assai incline ad attribuire rilievo a simili intese [237], sino a culminare in un leading case del 1992, in cui trova la sua più chiara espressione il riconoscimento della validità e rilevanza degli accordi di separazione di fatto: «Il patto fra i coniugi, con cui si prevedano trasferimenti immobiliari a regolamentazione dei reciproci rapporti patrimoniali ed a tacitazione dell’obbligo di mantenimento, non integra donazione, in considerazione della suddetta funzione solutoria, e deve ritenersi valido ed operante anche quando sia inserito in accordo per la separazione di fatto dei coniugi medesimi, alla stregua della liceità di tale accordo, pure se inidoneo a produrre gli effetti della separazione legale» [238]. Un autorevole riconoscimento della validità e dell’efficacia degli accordi tra coniugi diretti a disciplinare le conseguenze patrimoniali della separazione di fatto viene poi dalla celebre pronunzia con cui la Consulta ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 6, c. 3, l. 392/1978, tra l’altro, «nella parte in cui non prevede la successione nella locazione relativa alla casa coniugale nell’ipotesi di separazione di fatto, se tra il conduttore ed il suo coniuge si sia così convenuto» [239].

Le argomentazioni di cui sopra convergono dunque tutte verso la dimostrazione della possibilità per le parti di attribuire effetto alle intese traslative eventualmente raggiunte (così come ad ogni altro genere d’accordo patrimoniale) a decorrere vuoi dall’omologazione della separazione consensuale, vuoi a partire da un altro momento, concordemente ritenuto come maggiormente rispondente agli interessi dei coniugi. Questo significa concretamente che – in linea di principio – i soggetti potranno sottoporre l’accordo traslativo alla condizione sospensiva dell’omologazione, ad altra condizione, o a termine o comunque determinare liberamente il momento di decorrenza degli effetti del trasferimento.

Il tutto, naturalmente, fatto salvo il rispetto di eventuali distinti principi inderogabili, che dovessero risultare per una qualche ragione applicabili al caso di specie. Il caso più evidente è quello, di cui già si è detto, della divisione della comunione legale, che non può operarsi, neppure in via amichevole, se non dopo che sia intervenuta una causa di scioglimento del regime [240]. Sarà pertanto inevitabile che le attribuzioni patrimoniali operate in sede di verbale di separazione personale a titolo divisorio di un ancora vigente regime di comunione prendano effetto dal momento nel quale diviene operativa la separazione personale dei coniugi [241], vale a dire quello in cui il decreto di omologazione della separazione stessa, quale (unico, nella specie) evento rilevante ex art. 191 c.c., diviene definitivo [242]. A tal fine potrà suggerirsi (sul piano pratico, per evitare possibili contestazioni successive, anche se, come si è detto, la giurisprudenza riconosce qui la presenza di una condicio iuris, che rende stricto iure superfluo l’inserimento di apposite pattuizioni) di evidenziare tale punto nell’accordo, prevedendo espressamente la decorrenza degli effetti del trasferimento dal momento della definitività del decreto di omologazione della separazione consensuale.

 

 

14. Gli effetti del trasferimento in relazione all’azione revocatoria ordinaria ed alla revocatoria fallimentare.

 

       Dopo una cospicua serie di decisioni di merito [243], la giurisprudenza di legittimità  ha avuto modo di occuparsi in questi ultimi anni per almeno quattro volte della possibilità, da parte dei creditori o del curatore fallimentare, di esperire azione revocatoria, rispettivamente, ordinaria e fallimentare nei riguardi di negozi traslativi di diritti in sede di crisi coniugale.

Il problema principale trattato da queste decisioni attiene al profilo del carattere solutorio o meno dell’atto traslativo. Essendo notoriamente sottratto a revocatoria l’atto di adempimento di un’obbligazione, è evidente che la qualificazione a tale stregua dei negozi in oggetto fornirebbe un insuperabile usbergo avverso le pretese dei creditori, in sede di azione individuale, così come concorsuale. Sul tema è intervenuta, nel 2004, una prima sentenza di legittimità, con cui è stato stabilito che gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della donazione, e tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c. «rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di “separazione consensuale” (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità normativa nella distinta sede del divorzio congiunto), il quale, sfuggendo in quanto tale da un lato alle connotazioni classiche dell’atto di “donazione” vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sé, ad un contesto quello della separazione personale caratterizzato proprio dalla dissoluzione delle ragioni dell’affettività), e dall’altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l’assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua “tipicità” propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della “gratuità”, in ragione dell’eventuale ricorrenza o meno nel concreto, dei connotati di una sistemazione “solutorio-compensativa” più ampia e complessiva, di tutta quell’ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale» [244]. Decisione di analogo tenore venne emessa due anni dopo [245].

In altra occasione [246], la Corte Suprema, partendo dalla constatazione per cui l’art. 2740 c.c. dispone che il debitore risponda con tutti i suoi beni dell’adempimento delle proprie obbligazioni, a prescindere dalla loro fonte, e quindi anche se le stesse derivino dalla legge, come l’obbligo di mantenimento del coniuge e dei figli minori, ne ha tratto la conseguenza che sono soggetti all’azione revocatoria ordinaria «anche gli atti aventi un profondo valore etico e morale, come quello con cui il debitore, per adempiere il proprio obbligo di mantenimento nei confronti dei figli e del coniuge, abbia trasferito a quest’ultimo, a seguito della separazione, la proprietà di un bene». Ciò tanto più avuto riguardo al fatto che l’art. 2901 c.c. «tutela il creditore, rispetto agli atti di disposizione del proprio patrimonio posti in essere dal debitore, senza alcun discrimine circa lo scopo ulteriore avuto di mira dal debitore nel compimento dell’atto dispositivo».

L’anno seguente la stessa Corte [247] ha dovuto affrontare identica questione sotto l’angolo visuale, però, della revocatoria fallimentare, ai sensi degli artt. 67, comma primo, n. 1, e 69 l. fall. Anche qui, partendo dalla premessa per cui l’atto traslativo ha carattere negoziale e non processuale e rilevando ulteriormente che il trasferimento immobiliare o la costituzione di un diritto reale minore, pur pattuiti «in funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli», vengono in considerazione non già «in sé», ma sotto il profilo delle relative «concrete modalità di assolvimento» (di siffatti doveri), ha concluso per la revocabilità ai sensi delle norme citate dell’accordo con il quale il coniuge poi fallito – assegnatario della casa coniugale alla stregua delle condizioni della separazione consensuale omologata – a modifica di tali condizioni, aveva costituito a favore dell’altro coniuge, per tutta la durata della sua vita, il diritto di abitazione sulla predetta casa coniugale, ottenendo in cambio l’esonero dal versamento di una somma mensile, precedentemente pattuito a titolo di contributo alle spese per il reperimento di altro alloggio da parte del coniuge beneficiario.

 Infine, nel 2008, la Cassazione si è trovata ad affrontare una questione assai spinosa, complicata dalla circostanza che il trasferimento, avvenuto nella versione, per così dire, «bifasica», si era perfezionato mercé un primo impegno assunto in sede di verbale di separazione consensuale, seguito da un rogito notarile traslativo. Il creditore aveva quindi impugnato ex art. 2901 c.c. soltanto il secondo atto, in tal modo esponendosi all’obiezione, puntualmente (quanto improvvidamente) accolta dalla Corte d’appello di Torino, secondo la quale il secondo atto, in quanto costituente un mero negozio d’adempimento, non avrebbe potuto formare oggetto di revocatoria, ai sensi del terzo comma del citato art. 2901 c.c. Ma la Corte di legittimità, ponendo rimedio alla sostanziale ingiustizia posta in essere dal formalismo manifestato dalla Corte subalpina, ha correttamente dichiarato ammissibile l’azione revocatoria ordinaria del trasferimento immobiliare, effettuato da un coniuge in favore dell’altro, in ottemperanza ai patti assunti in sede di separazione consensuale omologata. In tale azione, precisano i giudici di legittimità, la cognizione del giudice deve riguardare anche il contenuto obbligatorio degli accordi separativi, anche quando sia stato espressamente impugnato soltanto il contratto di cessione immobiliare. In altre parole, la domanda giudiziale che colpisca formalmente il solo rogito traslativo non può non ritenersi riferita anche al negozio obbligatorio che ne contiene e ne manifesta la causa, «senza che si prospetti la necessità di una specifica dichiarazione di volere espressamente impugnare anche la fase preliminare» [248]. 

Da un punto di vista generale, non vi è dubbio che, essendo il trasferimento operato dalla volontà delle parti e non già dal provvedimento d’omologazione, la particolare sede nella quale il negozio viene posto in essere (udienza presidenziale di separazione, seguita da decreto di omologazione da parte del tribunale, o udienza collegiale di divorzio su domanda congiunta, seguita da sentenza) non dispiega influenza alcuna sull’ammissibilità del rimedio [249]. Per ciò che attiene poi, più specificamente, al consilium fraudis in capo al debitore, ovverosia la conoscenza, da parte di quest’ultimo, del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori dal trasferimento basterà ricordare che, come noto, tale elemento non presuppone in alcun modo l’esistenza di un animus nocendi [250].

La presenza di un consilium fraudis anche in capo al destinatario dell’attribuzione è richiesta, come noto, in relazione ai soli atti a titolo oneroso (art. 2901, n. 2, c.c.). Sul punto è chiaro che influiscono le considerazioni ampiamente svolte in altra sede in punto causa delle attribuzioni in discorso, cui non rimane che fare rinvio. In base ad esse, andrà ribadita la natura essenzialmente onerosa del trasferimento, pur senza escludere che in qualche ipotesi del tutto eccezionale sia invece ravvisabile la presenza di una donazione [251].

Peraltro, anche qui vale la regola secondo cui, come più volte ribadito dalla Suprema Corte, ad integrare tale presupposto «non si richiede l’animus nocendi, e cioè la prova della collusione tra terzo e debitore, essendo sufficiente che il terzo contraente abbia la consapevolezza del fatto che il suo dante causa, già vincolato verso creditori, mediante l’atto di disposizione, diminuisca la sua sostanza patrimoniale, e con essa la garanzia spettante alle ragioni di credito altrui, arrecando così pregiudizio» [252].

 

 

 

SEZIONE III

I TRASFERIMENTI PATRIMONIALI IN FAVORE DELLA PROLE

 

 

15. I trasferimenti in favore della prole. Il problema dell’ammissibilità dell’erogazione del mantenimento della prole mediante prestazione una tantum.

 

Nel sempre più vasto ambito delle questioni relative ai trasferimenti patrimoniali effettuabili in occasione di separazione o di divorzio un capitolo di un certo rilievo è costituito dalle attribuzioni in favore della prole. Tra i vari interventi sul punto, di cui si darà atto a tempo debito, una decisione di merito del 2006 [253] si segnala per aver affrontato, in sede di reclamo ex art. 2674-bis c.c. – 113-ter disp. att. c.c. avverso trascrizione con riserva [254], alcuni temi cruciali in questa materia: dalla natura e dalla causa di simili atti (a prescindere dalla terminologia usata dalle parti; nella specie: «donazione»), alla compatibilità degli stessi con la struttura del contratto a favore di terzo, al contenuto (necessario, così come quello non necessario) degli accordi di separazione, al carattere di atto pubblico del verbale di separazione consensuale e all’idoneità di quest’ultimo a fungere da titolo idoneo per la trascrizione [255]. Una successiva pronuncia, sempre di merito, si è incaricata di tornare sui medesimi argomenti, ancorchè in sede più di obiter dicta, che di rationes decidendi, avendo essa principalmente ad oggetto la possibilità di vincolare ex art. 2645-ter c.c. nell’interesse della prole determinati cespiti immobiliari trasferiti da un coniuge (non già alla prole, ma) all’altro [256].

I provvedimenti citati forniscono dunque lo spunto per una rivisitazione di alcuni profili attinenti al tema dei trasferimenti in favore della prole [257]. Meno dibattuta – ma certo di non minore rilevanza teorica e pratica – è la questione dell’ammissibilità e delle peculiarità proprie di un analogo tipo di negozio rivolto, questa volta, a vantaggio della prole naturale, magari nel contesto di un accordo destinato a sciogliere i nodi patrimoniali di una pregressa convivenza more uxorio. A questo particolare tema verrà dedicata una specifica parte del presente scritto [258]. 

Iniziando, dunque, dal campo dei trasferimenti in favore della prole legittima, nell’ambito di un contratto della crisi coniugale, va in primo luogo rilevato che, come noto, per quanto attiene alle modalità di adempimento dell’obbligo di contribuire al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei figli minorenni, i tribunali, prima della riforma dell’art. 155 c.c. disposta dalla l. 8 febbraio 2006, n. 54 («Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli»), erano soliti imporre al genitore non affidatario l’obbligo di corrispondere all’altro una somma periodica di denaro [259].

La dottrina si era però interrogata sulla possibilità per il giudice di prevedere modalità divergenti da questa, spingendosi ad ammettere, per esempio, la «destinazione dei frutti di beni e capitali al mantenimento del minore» [260]. A questa conclusione si era obbiettato che qualche difficoltà sarebbe stata prospettabile, allorché si fosse trattato di determinare «un criterio di adeguamento automatico» in riferimento ai frutti di un capitale, criterio che il tribunale aveva l’obbligo di fissare – e di fissare in misura non inferiore agli indici di svalutazione monetaria – ai sensi dell’art. 6, undicesimo comma, l.div. [261], ora sostituito dall’art. 155, quinto comma, c.c. [262], applicabile anche al divorzio (oltre che ai procedimenti di nullità del matrimonio, nonché a quelli relativi ai figli di genitori non coniugati), ai sensi dell’art. 4 cpv., l. 8 febbraio 2006, n. 54. Ma a siffatta osservazione si sarebbe potuto replicare che, in concreto, il sistema così adottato avrebbe potuto anche assicurare un adeguamento superiore (e magari di gran lunga) a quello conseguente all’applicazione degli indici ISTAT.

Peraltro, oggi il quarto comma dell’art. 155 c.c. non sembra lasciare adito a dubbi sul fatto che la sola modalità di fonte giudiziale per la determinazione del contributo di uno dei genitori al mantenimento della prole sia costituita dalla previsione, «ove necessario», della «corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità». Ben diverso è il discorso per ciò che attiene alle intese delle parti: intese in relazione alle quali il giudice deve limitarsi ad una mera «presa d’atto», ove, beninteso, le medesime non appaiano in contrasto con l’inderogabile principio dell’interesse del minore.

Sotto questo profilo non sembra esservi dubbio sul fatto che i genitori  ben potrebbero introdurre accorgimenti idonei a riconoscere, ad esempio, al genitore beneficiario della prestazione un «minimo garantito», predeterminato in modo da assicurare per il futuro non solo il mantenimento, in termini nominali, del medesimo livello delle prestazioni inizialmente erogate, ma anche la conservazione, in valore reale, del relativo potere d’acquisto.

Più delicato appare il problema dell’ammissibilità della corresponsione, sempre sulla base dell’accordo delle parti, del contributo in un’unica soluzione. In proposito si sono sollevate obiezioni fondate sul silenzio del legislatore, di fronte alla esplicita previsione, invece, della liquidabilità una tantum dell’assegno per l’ex coniuge [263].

Ora, come premessa di carattere generale sull’argomento, va subito detto che – in considerazione del carattere inderogabile del criterio di proporzionalità espresso dall’art. 148 c.c. [264], nonché del principio generale dell’interesse della prole – nessun effetto preclusivo potrebbe comunque collegarsi all’effettuazione di una prestazione una tantum [265], neppure in caso di espressa clausola al riguardo; clausola che, ove prevista, andrebbe sicuramente ritenuta tamquam non esset. Diversamente da quanto illustrato in altra sede in relazione alla possibilità di derogare – per ciò che attiene ai rapporti tra le parti – al diritto di chiedere una modifica delle condizioni della separazione o del divorzio [266], qui nessuna rinunzia (espressa o tacita) potrebbe escludere la facoltà per il genitore interessato (vale a dire l’affidatario, nel caso di affido disgiunto, ovvero quello che debba sopportare gli esborsi maggiori, in caso di affidamento condiviso), o per lo stesso figlio, divenuto maggiorenne, ma non ancora autosufficiente, di far valere le eventuali sopravvenienze per effetto delle quali la prestazione effettuata – vuoi periodicamente, vuoi una tantum – non dovesse più rispondere ai canoni ex art. 148 c.c.

 

 

16. Le posizioni della giurisprudenza di merito sul tema dei trasferimenti in favore della prole.

 

Il problema fondamentale è dunque quello di vedere se dalla prestazione del mantenimento in unica soluzione possa farsi derivare l’estinzione – anche se solo con efficacia rebus sic stantibus – dell’obbligo di cui qui si discute in capo al genitore che sarebbe altrimenti tenuto alla corresponsione di un assegno. La questione si pone, come è chiaro, in stretta correlazione con quella concernente l’ammissibilità del trasferimento e della costituzione, a titolo di contributo gravante sul genitore, di diritti (per lo più reali) in capo alla prole minorenne. La giurisprudenza di merito che ha avuto modo di occuparsi in maniera specifica del problema del trasferimento o della costituzione di diritti in favore della prole in sede di crisi coniugale ha assunto svariate posizioni, che possono così sommariamente riassumersi.

Una prima decisione ha negato tout court l’ammissibilità di tali accordi, partendo dal presupposto del carattere necessariamente pecuniario e periodico della prestazione, desumibile dal silenzio del legislatore sulla liquidabilità una tantum della prestazione gravante sul genitore non affidatario e sul carattere indisponibile dei diritti in questione [267].

Sarà interessante notare al riguardo che la pronunzia testé citata, dopo avere proclamato l’invalidità, per avere trattato di diritti indisponibili, della convenzione con cui il padre si era impegnato a «donare» [268] ai figli la proprietà di una casa, sembra voler imprimere una brusca «sterzata» alla motivazione verso la considerazione del carattere non preclusivo dell’accordo stesso in ordine a pretese future. La questione della validità del trasferimento operato viene così immediatamente messa da parte e vi è veramente da dubitare che fosse nell’intenzione del giudicante porre le premesse per una distinta azione di accertamento da parte del padre della nullità della «donazione», così consentendo a quest’ultimo di recuperare il bene già destinato al mantenimento della prole.

Alla sentenza testé riferita se ne contrappongono altre che, al contrario, ammettono la validità di accordi traslativi e/o costitutivi di diritti reali, dando per scontata la soluzione positiva. Così, per esempio, la Corte d’appello di Milano [269] ha affermato che è ammissibile l’adempimento in unica soluzione dell’obbligo al mantenimento del figlio minore posto a carico del genitore in sede di separazione consensuale con la costituzione a favore dell’altro coniuge dell’usufrutto su di un immobile, trasferito, per la nuda proprietà, al figlio stesso. Peraltro, nessuno degli interrogativi presupposti da tale soluzione risulta essere stato preso in esame dalla motivazione.

Uno sforzo ermeneutico maggiore è dato rinvenire in altre decisioni di merito, che hanno inquadrato l’impegno a trasferire un immobile in favore della prole nello schema del contratto a favore di terzi. Così, per esempio, il Tribunale di Vercelli [270] ha stabilito che, costituendo un contratto a favore di terzi (e non promessa di donazione) l’accordo con il quale un coniuge, nell’àmbito della regolamentazione dei rapporti patrimoniali posta in essere in sede di separazione personale, si obblighi nei confronti dell’altro, al trasferimento gratuito in favore della prole di un immobile (casa familiare) successivamente all’omologa degli accordi di separazione, spetta soltanto ai figli (e non anche allo stipulante) la legittimazione ad agire in giudizio per ottenere l’attuazione coattiva della prestazione da parte del coniuge promittente inadempiente.

In precedenza la Corte d’appello di Torino [271] aveva negato valore di promessa di donazione [272] all’obbligazione assunta da un marito – in seno ad una «scrittura privata di transazione», redatta con la moglie in fase di separazione ed allegata al verbale presidenziale – di «donare» un immobile di sua proprietà ai figli con la concessione dell’usufrutto alla moglie. La corte subalpina [273], andando contro il tenore letterale delle espressioni usate dalle parti, ha ritenuto «logico (...) che il termine ‘donazione’ sia stato qui usato impropriamente, e che il promittente abbia voluto obbligarsi a trasferire la nuda proprietà della villetta (ai figli rappresentati dalla madre) ed a costituire l’usufrutto sulla medesima (in capo alla moglie) a titolo di soddisfacimento parziale della sua obbligazione di mantenere moglie e prole». Ne ha concluso quindi che, nella specie, difettava l’animus donandi, con conseguente validità del predetto impegno ed accoglimento della domanda diretta, ex art. 2932 c.c., all’esecuzione coattiva del medesimo [274].

In tempi meno remoti un tribunale siciliano [275] ha stabilito che l’accordo con cui venga pattuito il trasferimento di un diritto reale al figlio minorenne, per provvedere una tantum al suo mantenimento, si può configurare come un contratto a favore di terzi, ex art. 1411 c.c. realizzante una liberalità indiretta, con conseguente non applicabilità dell’art. 782 c.c.

 

 

17. Le posizioni della giurisprudenza di legittimità sul tema dei trasferimenti in favore della prole e la natura contrattuale delle obbligazioni in discorso.

 

Venendo ora ad illustrare la posizione della giurisprudenza di legittimità, andrà subito notato come l’attenzione della medesima, tra i tanti profili coinvolti dalla problematica in esame, sia stata immediatamente attratta dal tema della riconducibilità o meno delle intese in discorso allo schema del contratto a favore di terzi. Al riguardo, una ormai remota pronunzia della Cassazione ebbe a negare l’applicazione della disciplina ex artt. 1411 ss. c.c., rifiutandosi di riconoscere nelle intese in oggetto la natura contrattuale, in relazione alla clausola inserita all’interno di un accordo di separazione consensuale tra coniugi, secondo la quale il marito si era obbligato a mettere a disposizione del figlio e della moglie, per tutta la durata della loro vita, un’abitazione, ad integrazione dell’assegno di mantenimento dovuto agli stessi [276].

Il principio venne però smentito nove anni dopo, proprio con riferimento ad una fattispecie per molti versi analoga, e in relazione alla quale la Corte ammise la possibilità che in un accordo di separazione consensuale l’impegno del marito di donare alla figlia un immobile, quale contributo al mantenimento della stessa fosse configurabile alla stregua di un contratto (preliminare) a favore di terzi [277].

Quest’ultima decisione ha ricevuto un successivo avallo – per ciò che attiene all’affermazione della natura contrattuale dell’impegno in questione – all’inizio degli anni Novanta dello scorso secolo, quando la Cassazione ha stabilito che «quei negozi che, pur trovando sede in occasione della separazione consensuale, non hanno causa in questa, in quanto non sono direttamente collegati ai diritti ed agli obblighi che derivano dal perdurante matrimonio (...) non si configurano come convenzioni di famiglia, quali figure giuridiche distinte dai contratti e caratterizzate da un sostanziale parallelismo di interessi e volontà (v. in tal senso Cass. 4277/78), ma costituiscono espressioni di libera autonomia contrattuale» [278]. Pur senza ripudiare, dunque, la tesi della configurabilità, in linea generale, di «accordi» (in senso stretto) ed anzi facendo intendere di ritenere tale costruzione applicabile al negozio di separazione consensuale (in senso stretto), la Cassazione finisce con l’ammettere, nell’ultima delle decisioni riportate, che le convenzioni che «non trovano causa» nella separazione possono avere natura contrattuale [279].

Poste queste premesse, deve dunque ritenersi rimosso il principale ostacolo alla astratta riconducibilità dei trasferimenti (e, più in generale, dei contratti della crisi coniugale) dispieganti effetti nei confronti della prole alla figura del contratto a favore di terzi, ostacolo risiedente nella (asserita) non riferibilità delle intese d’ordine patrimoniale in sede di crisi coniugale al paradigma contrattuale [280].

L’atteggiamento favorevole della giurisprudenza di legittimità circa l’ammissibilità di trasferimenti patrimoniali in favore della prole prosegue con alcune pronunzie degli ultimi anni. Così, nel 2004, la Suprema Corte [281] ha stabilito che è di per sé valida la clausola dell’accordo di separazione che contenga l’impegno di uno dei coniugi, al fine di concorrere al mantenimento del figlio minore, di trasferire, in suo favore, la piena proprietà di un bene immobile, «trattandosi di pattuizione che dà vita ad un contratto atipico, distinto dalle convenzioni matrimoniali e dalle donazioni, volto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ai sensi dell’art. 1322 cod. civ.».

La medesima decisione ha altresì fissato il principio secondo cui la pattuizione, intervenuta in sede di separazione consensuale, contenente l’impegno di uno dei coniugi, al fine di concorrere al mantenimento del figlio minore, di trasferire, in favore di quest’ultimo, la piena proprietà di un bene immobile, non è soggetta né alla risoluzione per inadempimento, a norma dell’art. 1453 c.c., né all’eccezione d’inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 c.c., «non essendo ravvisabile, in un siffatto accordo solutorio sul mantenimento della prole, quel rapporto di sinallagmaticità tra prestazioni che è fondamento dell’una e dell’altra, atteso che il mantenimento della prole costituisce obbligo ineludibile di ciascun genitore, imposto dal legislatore e non derivante, con vincolo di corrispettività, dall’accordo di separazione tra i coniugi, tale accordo potendo, al più, regolare le concrete modalità di adempimento di quell’obbligo» [282].

L’anno successivo la stessa Corte ha ribadito che l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole può essere adempiuto con l’attribuzione definitiva di beni, o con l’impegno ad effettuare detta attribuzione, piuttosto che attraverso una prestazione patrimoniale periodica, sulla base di accordi costituenti espressione di autonomia contrattuale, con i quali vengono, peraltro, regolate solo le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta. Da tali premesse si è derivata la conseguenza secondo cui la pattuizione conclusa in sede di separazione personale dei coniugi non esime il giudice chiamato a pronunciare nel giudizio di divorzio dal verificare se essa abbia avuto ad oggetto la sola pretesa azionata nella causa di separazione, ovvero se sia stata conclusa a tacitazione di ogni pretesa successiva, e, in tale seconda ipotesi, dall’accertare se, nella sua concreta attuazione, essa abbia lasciato anche solo in parte inadempiuto l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole, in caso affermativo emettendo i provvedimenti idonei ad assicurare detto mantenimento [283].

 

 

18. I trasferimenti in favore della prole come contratti a favore di terzi.

 

Una volta accertata l’impossibilità di contestare il richiamo allo schema del contratto a favore di terzi negando natura contrattuale alle intese d’ordine patrimoniale in sede di crisi coniugale, la soluzione del problema non può dirsi ancora raggiunta, dal momento che altre difficoltà potrebbero prospettarsi.

Il primo problema è costituito dalla posizione di «terzo» in capo al figlio destinatario dell’attribuzione. Al riguardo, infatti, già nel 1978 la Cassazione aveva posto in dubbio in questo caso la possibilità di riconoscere al figlio la veste di terzo beneficiario ex art. 1411 c.c. degli effetti del contratto concluso tra i genitori, essendo costui – secondo i supremi giudici – parte del negozio [284]. La decisione è stata commentata favorevolmente in dottrina; in proposito si è osservato che «la prova più forte del fatto che il figlio non è parte dell’accordo» starebbe proprio nella considerazione che «l’azione del coniuge per ottenere dall’altro il mantenimento del figlio a lui affidato non richiede la rappresentanza del minore in quanto si tratta di un diritto esercitabile iure proprio» [285].

In realtà, il fatto che i genitori si accordino su diritti di cui essi stessi sono soggetti attivi e passivi non esclude ancora che le medesime parti attribuiscano direttamente ai figli posizioni giuridiche soggettive. Posizioni giuridiche che, proprio in quanto direttamente previste a vantaggio della prole – in adempimento, si badi, di obbligazioni che vedono (ex artt. 30 Cost., 147 e 148 c.c.) quali soggetti attivi i figli e soltanto essi – escludono (in tutto o in parte) quelle pretese che l’affidatario (o comunque, oggi, quello dei coniugi che affronta gli esborsi proporzionalmente maggiori, in caso di affido condiviso)  vanta iure proprio a titolo, sostanzialmente, di rimborso per spese personalmente effettuate. Il tutto, ovviamente, a condizione che i criteri di proporzionalità espressi dall’art. 148 c.c. [286] e di rispetto dell’interesse del minore siano pienamente osservati. Nulla sembra opporsi, dunque, a che il figlio, in quanto soggetto di diritto autonomo, sia dai genitori individuato quale titolare di uno o più diritti reali, trasferiti al medesimo, oppure costituiti ad hoc in capo allo stesso, con conseguente estinzione, totale o parziale, dell’obbligo di cui qui si discute.

Praticamente, poi, il trasferimento della proprietà direttamente in capo al minore di un immobile locato a terzi o di un pacchetto azionario, o di quote di fondi di investimento o di titoli di stato potrebbe, a conti fatti, risultare assai più conveniente della previsione d’un assegno mensile, magari parametrato in relazione ad un reddito «apparente» (e documentabile) modesto dell’obbligato, dotato invece di un cospicuo patrimonio «nascosto» [287].

 

 

19. Questioni in tema di rappresentanza legale del minore.

 

Il richiamo alla figura del contratto a favore di terzi consente di risolvere anche il problema, prospettato in dottrina [288], dell’eventuale necessità dell’autorizzazione ex art. 320 c.c. in ordine all’acquisto in capo al minore. L’acquisto, in effetti, si pone quale effetto immediato e diretto del contratto (art. 1411 cpv. c.c.), come rilevato da una pronunzia di legittimità, secondo cui «Nel contratto a favore di terzo, secondo la previsione dell’art. 1411 cod. civ., la validità ed operatività della convenzione medesima postula soltanto la ricorrenza di un interesse dello stipulante (art. 1411 citato, primo comma), senza che si richieda l’osservanza delle norme sulla rappresentanza dei minori, ove stipulato dal genitore a vantaggio del figlio minore» [289]. Ne consegue che, non essendo richiesta alcuna dichiarazione d’accettazione da parte del terzo beneficiario, nessuna autorizzazione ai sensi dell’art. 320 c.c. dovrà ritenersi necessaria [290].

Al terzo beneficiario, d’altro canto, è attribuito il diritto di paralizzare l’eventuale revoca o modifica della stipulazione in suo favore mediante dichiarazione di voler profittare della medesima oppure, al contrario, il diritto di rinunziare a questa mediante «rifiuto di profittarne» (art. 1411 cpv. c.c.). A questi particolari atti dovrà riconoscersi il carattere di straordinaria amministrazione, come stabilito dalla Cassazione in un’altra vicenda, avente ad oggetto la rinunzia di un inabilitato, senza l’assistenza del curatore, alla stipulazione in suo favore [291].

L’autorizzazione ad emettere la dichiarazione di «voler profittare» della stipulazione in favore del minore è regolata dall’art. 320 c.c. e non potrà ritenersi «assorbita» dal controllo giudiziale in sede di omologazione [292], posto che nessuna deroga al riguardo è desumibile dall’ordinamento, né l’effettuazione di un identico tipo di controllo da parte di un distinto organo giudiziario costituisce di per sé motivo per fondare un’interpretazione abrogatrice di una precisa disposizione codicistica. Si noti poi – per rimanere ancora un istante su questo tema – che la sovrapposizione degli interventi in discorso non è perfetta, nel senso che mentre il controllo della convenienza della stipulazione in favore del minore e della rispondenza al canone del suo esclusivo interesse è comune ad entrambi i giudizi, solo in quello ex art. 158 c.c. è consentito un sindacato sul rispetto del criterio di proporzionalità previsto dall’art. 148 c.c.

Alla luce di quanto sopra esposto non appare condivisibile quanto stabilito da una non remota decisione di merito che, pur riconducendo la situazione in esame allo schema del contratto a favore di terzo, ha poi negato che il trasferimento immobiliare a favore del figlio, previsto in un accordo di separazione tra coniugi, sia trascrivibile, in mancanza dell’adesione del terzo beneficiario; tale adesione costituirebbe, infatti, indefettibile condicio iuris sospensiva, fino al suo verificarsi, dell’acquisizione del diritto in modo irrevocabile. Dovrebbe pertanto ritenersi corretta la riserva apposta dal conservatore alla trascrizione dell’accordo traslativo di bene immobile, contenuto nell’intesa di separazione consensuale dei coniugi, a favore di un figlio minorenne, in caso di mancata previa manifestazione del consenso, in nome e per conto del minore, da parte del legale rappresentante nominato e autorizzato dal giudice tutelare ex art. 320 c.c. [293].

La conclusione non appare convincente. Se è infatti vero che, secondo alcune pronunzie di legittimità, l’adesione del terzo – nello schema ex art. 1411 c.c. – si configurerebbe alla stregua di una «condicio iuris sospensiva dell’acquisizione del diritto (rilevabile per facta concludentia), restando la dichiarazione del terzo di voler profittare del contratto necessaria soltanto per renderlo irrevocabile ed immodificabile» [294], è altrettanto innegabile che, come pure rilevato in dottrina [295], questa interpretazione forza il testo della norma citata, la quale non attribuisce al terzo la veste di parte, né in senso formale, né in senso sostanziale rispetto alla convenzione negoziale in suo favore. Ne consegue che, nel caso di specie, come già ricordato, l’accordo concluso tra i genitori non richiede l’osservanza delle norme sulla rappresentanza dei minori. Tale intesa sarà dunque trascrivibile a prescindere dall’eventuale adesione [296], che viene ad incidere non già sulla produzione degli effetti (reali od obbligatori che siano), ma solo sulla possibilità di revoca da parte dello stipulante o di rifiuto da parte del terzo, non più possibile dopo l’adesione [297].

Per quanto attiene, poi, al contenuto del diritto costituito o trasferito, sarà il caso di aggiungere che esso potrà concernere situazioni connotate dalla realità (proprietà, usufrutto, uso, superficie, ecc.), non ostando all’uopo la riconduzione della fattispecie alla figura del contratto a favore di terzi. E’ noto infatti che, secondo la tesi prevalente (e preferibile), l’istituto ex art. 1411 c.c. ben può avere ad oggetto effetti di carattere reale [298]. Altre volte esso si riferirà ad una mera obbligazione di trasferire un diritto reale, magari espressa (erroneamente) tramite il ricorso ad una «promessa di donazione», secondo quanto si avrà modo di vedere più avanti [299].

 

 

20. I trasferimenti in favore della prole e i rapporti con la donazione.

 

Si è già avuto modo di vedere che il richiamo delle parti alla donazione costituisce un Leitmotiv di molti trasferimenti a vantaggio della prole minorenne o maggiorenne e non autosufficiente [300].

Al riguardo si è proposta in dottrina una distinzione tra due ipotesi, a seconda che il trasferimento costituisca il corrispettivo del maggior onere assunto dall’affidatario (e oggi dovremmo dire: del genitore a favore del quale verrebbe previsto un assegno, pur in ipotesi di affidamento condiviso), ovvero che l’intento delle parti sia quello di evitare una eventuale comunione ereditaria con altri figli: la causa liberale andrebbe negata nel primo caso ed affermata nel secondo [301].

Altra dottrina [302] ha invece ritenuto di potere superare ogni difficoltà spostando il discorso sul piano delle posizioni dei genitori, tra i quali la causa liberale non potrebbe mai sussistere. L’opinione testé riferita si scontra però con l’ostacolo costituito dalla considerazione che destinatario della prestazione e titolare dei diritti così trasferiti o costituiti è pur sempre il figlio.

Ad avviso di chi scrive, la prestazione di cui si discute, proprio in quanto satisfattiva (in tutto o in parte) dell’obbligo di cui agli artt. 30 Cost., 147 e 148 c.c. nell’ambito di un negozio tipico della crisi coniugale, dotato, come tale, di una sua propria e ben precisa causa, sembra esulare dallo schema della donazione [303]. In altri termini, il prius, di fronte alle norme citate, è costituito dall’obbligo dei genitori – di entrambi i genitori – di fornire direttamente al figlio i mezzi necessari per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione. Lo ius proprium di un genitore verso l’altro nasce solo in considerazione del fatto che è il genitore affidatario o prevalente «collocatario» a provvedere in prima persona all’attuazione degli obblighi anzidetti. Ove invece, conformemente all’interesse del minore, le parti reputino di consentire ad una di esse di soddisfare in tutto o in parte il dovere di contribuire al mantenimento della prole a mezzo del trasferimento o della costituzione di uno o più diritti in capo al figlio, nessun diritto (o un diritto dal contenuto più limitato) nascerà in capo ad un genitore (l’affidatario o il prevalente «collocatario») verso l’altro, non dovendo più (ovvero dovendo solo in parte) il primo «avanzare» quanto dovuto dall’altro genitore per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli.

D’altro canto l’impossibilità per il figlio – che non è «parte» nel processo di separazione – di comparire (anche a mezzo di un curatore speciale) all’udienza ex art. 711 c.p.c. o 4, sedicesimo comma, l.div., non consente di perfezionare all’udienza stessa il trasferimento in capo al medesimo, quando tale translatio formi oggetto di un obbligo assunto da uno dei coniugi. Quindi, delle due l’una: o si ritiene il trasferimento già perfezionato per effetto dell’intesa tra i genitori [304], oppure si attribuisce all’atto il valore di semplice obbligo a trasferire [305]. In quest’ultima ipotesi si legittima allora il figlio (minorenne) ad agire, tramite l’altro genitore, ex art. 2932 c.c., nel caso in cui il genitore obbligato si dovesse rifiutare di porre in essere l’atto traslativo [306].

Proprio sul problema dei rapporti con la donazione sarà utile richiamare anche una già citata decisione di merito, che nega valore di promessa, per l’appunto, di «donazione» [307] all’obbligazione assunta da un marito – in seno ad una «scrittura privata di transazione», redatta con la moglie in fase di separazione ed allegata al verbale presidenziale – di «donare» un immobile di sua proprietà ai figli con la concessione dell’usufrutto alla moglie. Come già ricordato, la corte subalpina [308] è andata contro il tenore letterale delle espressioni usate dalle parti, rilevando che, nel caso di specie, faceva difetto l’animus donandi, con conseguente validità del predetto impegno ed accoglimento della domanda diretta, ex art. 2932 c.c., all’esecuzione coattiva del medesimo [309].

Le considerazioni di cui sopra sono estensibili al caso della prole maggiorenne ma non autosufficiente, con la sola precisazione che, nel caso di impegno avente carattere meramente obbligatorio, il figlio sarebbe legittimato ad agire in proprio (arg. ex art. 155-quinquies c.c.).

Diverso è il discorso per quanto attiene alla prole maggiorenne autosufficiente. Qui, in effetti, l’assenza di un obbligo di mantenimento fa sì che a tali figli non possano applicarsi le disposizioni di cui ai più volte citati artt. 711 c.p.c. e 4, sedicesimo comma, l.div., con la conseguenza che un atto traslativo in loro favore non potrà essere considerato se non quale estrinsecazione d’un intento liberale e pertanto alla stregua di una donazione. Peraltro, proprio le disposizioni da ultimo citate potrebbero tornare in considerazione, non più come concernenti le «condizioni inerenti alla prole» (che non può essere, nell’ottica delle norme citate, se non la prole minorenne o maggiorenne e non autosufficiente), ma sotto il profilo delle condizioni relative ai rapporti tra i coniugi stessi. In altre parole, la donazione, pur non avendo causa nella crisi coniugale, potrebbe trovare in essa un motivo, costituendo la medesima una delle condizioni in presenza delle quali (e nel contesto di una serie di più ampie intese sui reciproci rapporti di dare-avere) i coniugi decidono di addivenire ad una separazione consensuale (o ad un divorzio su domanda congiunta).

Ci si potrebbe così trovare di fronte ad una vera e propria donazione con motivo postmatrimoniale [310], che in questo caso presenterebbe la particolarità di non vedere quale beneficiario uno dei coniugi, bensì un terzo (il figlio, per l’appunto, maggiorenne ed autosufficiente). Quest’ultimo, peraltro, come soggetto estraneo al processo di separazione o di divorzio, non potrebbe intervenire nell’atto a manifestare l’accettazione. Né sarebbe comunque immaginabile qui il ricorso al meccanismo di cui all’art. 1411 c.c., posto che farebbe difetto in tale ipotesi quell’interesse dello stipulante che, nel caso di prole minorenne o maggiorenne ma non autosufficiente, è rappresentato dal contributo che l’attribuzione del promittente porta all’adempimento di un’obbligazione (quella, appunto, di mantenimento) che grava anche sullo stipulante medesimo e che lo stipulante sarebbe tenuto ad adempiere per intero, in caso di mancata (o insufficiente) contribuzione da parte del promittente.

A differenza, dunque, del caso di donazione con motivo postmatrimoniale inter coniuges, il cancelliere non potrà ricevere questo tipo di negozio, che andrà necessariamente rogato da notaio, in presenza di testimoni [311].

 

 

21. I trasferimenti in favore della prole naturale nell’ambito della crisi della famiglia di fatto.

 

Le considerazioni di cui al paragrafo che precede introducono alla trattazione del tema dei trasferimenti in favore dei figli naturali nell’ambito della crisi della famiglia di fatto. Problematica, questa, strettamente legata all’argomento, piuttosto delicato, dei rapporti con un profilo strettamente personale, come quello della procreazione, nonché della gestione della potestà. Per quanto attiene al primo aspetto dovrà senz’altro affermarsi la nullità di ogni impegno che preveda l’esecuzione di prestazioni di carattere sessuale – in relazione al quale emergerebbe anche l’aspetto della contrarietà al buon costume [312] – o, ancora, l’assunzione di un determinato cognome [313], la procreazione (eventualmente mediante il ricorso a metodi di fecondazione artificiale), o la non procreazione, per mezzo dell’imposizione dell’obbligo di far uso di sistemi contraccettivi [314].

Nella monografia sui regimi patrimoniali della famiglia di fatto lo scrivente aveva espresso l’opinione secondo cui sarebbe stato impossibile regolare sotto qualsiasi forma anche gli aspetti involgenti i rapporti di filiazione e l’esercizio della potestà dei genitori, che risultano già disciplinati da norme di carattere imperativo [315]. La conclusione va sicuramente ribadita per tutto quanto attiene al momento costitutivo del rapporto di filiazione (o comunque di un rapporto para-familiare). Pertanto, oltre alla già illustrata nullità di ogni promessa avente a oggetto la procreazione ovvero l’astensione dalla procreazione, va affermata l’invalidità dell’obbligo che i conviventi eventualmente assumessero di manifestare la propria disponibilità all’affidamento familiare, o al compimento di un’eventuale adozione, nei limiti in cui, ovviamente, essa possa ritenersi consentita ai soggetti non coniugati. Lo stesso è a dirsi per l’impegno, da parte di uno o di entrambi, a effettuare, o ad astenersi dall’effettuare, il riconoscimento della prole generata dall’unione, o, ancora, a far precedere uno dei due riconoscimenti all’altro, strumento che altrimenti potrebbe servire (con le limitazioni, beninteso, fissate dall’art. 262 c.c.) a conseguire lo scopo di far assumere ai figli il cognome di uno piuttosto che dell’altro dei genitori.

Diverse appaiono invece le conclusioni per ciò che attiene agli aspetti attinenti all’esercizio della potestà sui figli comuni. Invero, come dimostrato in dottrina [316], dall’art. 317-bis c.c. sembra potersi ricavare per implicito il riconoscimento da parte del legislatore della validità di intese dirette a regolare tale aspetto, sia in relazione alla coppia in situazione «fisiologica» (mercé il rinvio all’art. 316 c.c.), sia a quella in situazione «patologica» (in cui l’intervento del giudice è previsto in funzione meramente suppletiva). La giurisprudenza sembra del resto secondare questa interpretazione, ammettendo la validità di accordi aventi ad oggetto l’affidamento della prole naturale [317]. Nessun dubbio dovrebbe poi porsi sull’ammissibilità dell’eventuale regolamentazione pattizia della misura in cui ciascuno dei conviventi contribuirà al mantenimento dei figli (eventualmente anche non minorenni).

Questi risultati ricevono conferma dalle disposizioni della normativa in tema di affidamento condiviso, estensibili, come noto, anche alla famiglia di fatto, per effetto dell’art. 4, cpv., l. 8 febbraio 2006, n. 54. In forza di queste norme, invero, il giudice è obbligato a «Prende(re) atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori» (cfr. art. 155, comma secondo, c.c.). D’altro canto, i conviventi possono liberamente sottoscrivere accordi in merito al mantenimento dei figli (come stabilito dall’art. 155, comma quarto, c.c.), eventualmente anche in deroga al criterio di proporzionalità scolpito nell’art. 148 c.c. (e sempre che, come si è visto trattando della materia con riguardo alla crisi coniugale, tale facoltà di deroga non venga un giorno colpita da declaratoria di incostituzionalità,  nel caso si dovesse ritenere il citato criterio munito di garanzia costituzionale, ex art. 30 Cost.).

Il vero problema è, semmai, quello di trovare un sistema che possa «inchiodare» le parti alle loro responsabilità, ed ottenere uno strumento che garantisca contro il rischio che una di esse cambi successivamente idea.

La mancanza di un siffatto meccanismo rende evidente la disparità di trattamento rispetto alla situazione della rottura della coppia coniugata: in quest’ultimo caso, infatti, si arriva a un atto (il verbale di separazione consensuale) munito di forza esecutiva; nel caso invece della famiglia di fatto l’intesa, sottoscritta dalle parti, è racchiusa in un documento che – ancorché vincolante per le parti – non può essere posto alla base di un’azione esecutiva. Ciò, ovviamente, a meno che il tribunale non intenda in qualche modo recepire l’accordo in un suo provvedimento o emanare una decisione che assuma i caratteri di una sorta di decreto di omologa analogo a quelli che il tribunale ordinario emana ai sensi dell’art. 158 c.c.

La questione pone un problema di legittimità costituzionale. La Consulta, a dire il vero, si è già occupata della materia, respingendo le questioni che le erano state proposte. Peraltro, come risulta evidente dalla lettura delle sentenze emesse al riguardo nel 1996 e nel 1997 [318], la questione non era stata presentata sotto questo angolo visuale. Ciò che si era chiesto alla Corte costituzionale era di decidere se rispondesse a criteri di razionalità il fatto che i figli legittimi sono, per così dire, «gestiti» dal tribunale ordinario, mentre quelli naturali lo sono (ma solo limitatamente ai profili personali) dal tribunale per i minorenni. E qui la Consulta ebbe buon gioco a dire che si tratta di un problema di discrezionalità del Legislatore, il quale può sbizzarrirsi ad individuare varie forme di competenza, attribuendole ora ad un giudice piuttosto che ad un altro. A ciò s’aggiunga che, nel caso dell’assegno per il minore naturale e dei relativi rapporti patrimoniali, l’azione è vista come azione tra genitori e non involge direttamente la posizione, come soggetto processuale, del minore: non deve dunque destare «scandalo» il fatto che ad occuparsene sia il tribunale ordinario, mentre per i profili personali è competente il tribunale per i minorenni.

A ben vedere, la questione potrebbe invece essere (ri)proposta sotto questo altro angolo visuale: un medesimo tipo di accordo, caratterizzato dalla vincolatività scaturente dall’art. 1372 c.c. (e poco importa se la norma sia espressamente dettata solo per i rapporti patrimoniali, atteso che, come si è visto, il principio è sicuramente estensibile anche ai negozi familiari non patrimoniali), può essere garantito dalla presenza di un titolo esecutivo (il verbale ex art. 158 c.c.), se concerne la prole legittima, laddove ciò non accade se quello stesso tipo d’intesa riguarda invece la prole naturale. Naturalmente si potrà obiettare che esistono dei rimedi, miranti a determinare la creazione di un titolo esecutivo: l’accordo sulla prole naturale può (almeno per ciò che concerne i profili patrimoniali) essere fatto valere in sede di procedimento contenzioso ordinario, ovvero essere posto alla base di una richiesta per decreto ingiuntivo. L’intesa potrebbe poi anche essere recepita da un atto notarile (o, secondo quanto disposto dalla l. 80/2005, essere racchiusa in una scrittura privata autenticata), così acquistando efficacia di titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c., per le obbligazioni aventi ad oggetto pagamento di somme di denaro. Peraltro, tutti quelli appena indicati sono strumenti costosi, che presuppongono una parte ben assistita ed avvisata, e che comunque marcano una ingiustificata disparità di trattamento, fondata sul solo fatto di appartenere alla categoria dei figli legittimi, piuttosto che a quella dei figli naturali.

La soluzione pratica potrebbe essere reperita sfruttando addirittura alcune indicazioni date dalla stessa Corte costituzionale che, per almeno due volte, ha respinto domande dirette ad ottenere l’estensione – per via di pronunzie di accoglimento – ai figli naturali di rimedi concessi a tutela di quelli legittimi, affermando poi, in buona sostanza (cioè per via di decisioni interpretative di rigetto), l’applicabilità ai primi di norme dettate per i secondi [319]. Una volta tracciata la via dell’«interpretazione adeguatrice» degli artt. 155 c.c. (ora art. 155-quater, direttamente applicabile, tra l’altro, alla famiglia di fatto ex art. 4, cpv., l. 8 febbraio 2006, n. 54, cit.), relativamente al diritto di abitazione nella casa familiare, e 156 c.c., sullo strumento del sequestro, non si vede perché non si potrebbe ipotizzare una ripetizione del medesimo ragionamento anche per la procedura di cui all’art. 158 c.c., riconoscendone la riferibilità anche alla «separazione» della famiglia di fatto ed in tal modo avallando una prassi che nei tribunali ha già preso piede.

A tutto ciò s’aggiunga, infine, che il già mentovato dovere del giudice (anche nel caso di procedure relative alla famiglia di fatto) di «prendere(re) atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori» (cfr. art. 155, secondo comma, c.c.) viene a munire di ulteriore, difficilmente discutibile, fondamento una siffatta operazione ermeneutica.

Ora, il problema sin qui esaminato attiene più che altro al profilo della pattuizione di  obbligazioni aventi ad oggetto la corresponsione di somme di denaro a titolo di mantenimento. Nessun dubbio sembra peraltro potersi porre sulla possibilità di inserire, nell’ambito di questo tipo di negozi della crisi para-coniugale, anche trasferimenti immobiliari, ad instar di ciò che avviene, come si è visto, in seno alla crisi della famiglia fondata sul matrimonio. In proposito, poi, l’operatività immediata della translatio dominii, nel caso di accordi ad efficacia reale, dovrebbe addirittura consentire di superare le difficoltà sopra esaminate concernenti il difetto di un titolo esecutivo. Gli ostacoli sorgono invece con riguardo al profilo formale, posto che l’accordo in esame appare difficilmente inseribile in un verbale che, come tale, costituisca titolo idoneo per la pubblicità immobiliare, come invece avviene nella procedura ex art. 158 c.c.

Il richiamo ai principi generali sul verbale di conciliazione giudiziale potrebbe però forse presentare una via d’uscita.

Come dimostrato in altra sede [320], in un procedimento contenzioso ordinario questo verbale (artt. 185 c.p.c., 88 disp. att. c.p.c.) ben può contenere, per esempio, una transazione con cui si disponga l’immediato trasferimento di diritti su di uno o più beni: esso, come atto (pubblico) immediatamente traslativo, ben può costituire titolo per la trascrizione [321]. Né in proposito si potrebbe obiettare che l’art. 185 c.p.c. sarebbe una norma concernente il solo procedimento contenzioso ordinario. La norma predetta, invero, trova collocazione nell’àmbito delle disposizioni del libro secondo del codice di rito, di quelle norme, cioè, che, in quanto dettate per il processo di cognizione, devono ritenersi costituire, proprio per il loro carattere generale, il necessario punto di riferimento per porre rimedio alle smagliature e alle lacune del tessuto normativo – spesso troppo fragile – dei singoli procedimenti speciali. Le considerazioni di cui sopra dovrebbero valere a prescindere dal «contesto processuale» nel quale i trasferimenti si vengono ad attuare e, in particolare, dal fatto che il rito si svolga di fronte al tribunale ordinario, ovvero di fronte a quello per i minorenni [322].

Nulla esclude, poi, dal punto di vista pratico, che, per evitare ogni problema, le parti trasfondano il trasferimento verso la prole in un atto per scrittura privata autenticata, o in un atto pubblico notarile.

Per quanto attiene poi al caso del trasferimento meramente promesso in sede giudiziale (o, se si preferisce, in sede di accordo para-giudiziale e a latere), non sembra potersi dubitare della possibilità di ricorrere anche in questo caso al rimedio ex art. 2932 c.c., in caso di inadempimento del promittente.

 

 

22. Profili fiscali dei trasferimenti in favore della prole (legittima e naturale).

 

Secondo la giurisprudenza di legittimità [323], nell’ipotesi di trasferimento di immobili in adempimento di obbligazioni assunte in sede di separazione personale dei coniugi, l’art. 19, l. 6 marzo 1987, n. 74 [324] deve essere interpretato nel senso che l’esenzione «dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa» di «tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio» si estende «a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi», in modo da garantire l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici, anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli.

La Cassazione ha così ritenuto applicabile, in una fattispecie riguardante il trasferimento gratuito da parte del padre separato alle figlie della propria quota di proprietà della casa di abitazione, in ottemperanza ad un’obbligazione assunta in sede di separazione consensuale, non la normativa generale sugli atti di trasferimento di beni immobili tra coniugi o tra parenti in linea retta, ma la normativa speciale sugli atti esecutivi di atti di separazione personale tra coniugi [325].

Di diverso avviso risulta invece una risoluzione dell’Agenzia delle Entrate [326], emessa nel 2005, a brevissima distanza di tempo dalla decisione di legittimità citata, che ha escluso dal beneficio di cui all’art. 19 cit. la cessione di una quota di un immobile al figlio della coppia all’interno di un procedimento di divorzio, perché tale cessione «non sembra trovare causa giuridica nella sistemazione dei rapporti patrimoniali fra i coniugi al momento dello scioglimento del matrimonio, bensì in un intento di liberalità nei confronti di un soggetto terzo (nella fattispecie uno dei figli), circostanza che non appare strettamente e funzionalmente collegata con lo scioglimento del matrimonio e che, peraltro, avrebbe potuto essere realizzata in qualunque momento».

Ad avviso dello scrivente, alla conclusione diametralmente opposta deve invece condurre il rilievo per cui il contenuto eventuale degli accordi di separazione e divorzio può essere costituito non solo da contratti caratterizzati dalla causa postmatrimoniale tipica, ma anche da un semplice «motivo postmatrimoniale» [327]. E’ pertanto incontestabile che pure siffatti tipi di negozi – anche se effettuati nei confronti di prole maggiorenne e autosufficiente, ma, ovviamente, a fortiori se compiuti nei riguardi di prole minorenne o maggiorenne non autosufficiente e pertanto caratterizzati, in quest’ultima ipotesi, da causa non liberale, bensì postmatrimoniale tipica – vadano qualificati alla stregua di «atti relativi ai procedimenti» di separazione o di divorzio e che pertanto debbano beneficiare dell’esenzione fiscale in discorso [328].

Le considerazioni di cui sopra hanno successivamente portato l’Agenzia delle

Entrate ad emettere una nuova circolare (Circolare 21 giugno 2012, n. 27; Oggetto: Risposte a quesiti in materia di imposta di registro - Testo unico dell’imposta di registro, approvato con Decreto del presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 Direzione Centrale Normativa), nella quale si è stabilito che l’esenzione fiscale prevista dall’articolo 19 della legge n. 74 del 1987 deve ritenersi applicabile anche alle disposizioni patrimoniali in favore dei figli disposte in accordi di separazione e di divorzio a condizione che il testo dell’accordo omologato dal tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto, preveda esplicitamente che l’accordo patrimoniale a beneficio dei figli, contenuto nello stesso, sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale.

       A parte la criticabilità di alcuni aspetti formali (ad es.: il riferimento all’«accordo omologato», inapplicabile testualmente ai divorzi su domanda congiunta, ma a questi certamente estensibile per identità di ratio, laddove l’espressa menzione della circostanza per cui l’accordo a beneficio dei figli è elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale» va riferita all’intesa delle parti e non certo alla sentenza), la soluzione appare sicuramente condivisibile. Potrà ancora aggiungersi che il requisito – appena ricordato – dell’espressa menzione della circostanza per cui l’accordo a beneficio dei figli è elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale», sebbene sicuramente ridondante alla luce dei rilievi sopra svolti, si risolverà in nulla più che un’innocua clausola di stile. Appare del resto self evident che un accordo di separazione consensuale o di divorzio su domanda congiunta non possa non contenere, quale elemento imprescindibile (o, per usare la terminologia dell’Agenzia «funzionale e indispensabile»), la regolamentazione degli assetti patrimoniali delle relazioni concernenti la prole.

Per quanto attiene poi ai trasferimenti relativi ai figli naturali, andrà tenuto conto del fatto che la Consulta [329] ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, lettera b), della Tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), nella parte in cui non esenta dall’imposta ivi prevista i provvedimenti emessi in applicazione dell’art. 148 cod. civ. nell’ambito dei rapporti fra genitori e figli. Ora, occorre considerare che, per pervenire a tale risultato, la Corte costituzionale ha ritenuto irragionevole e non conforme all’art. 3 della Costituzione sotto  il profilo dell’uguaglianza la mancata estensione ai provvedimenti  citati – in  tema di determinazione del contributo di mantenimento fissato a  carico del genitore naturale obbligato ed a favore del genitore  affidatario – dell’esenzione tributaria disposta in tema di atti  recanti condanna al pagamento di somme in materia di procedimenti  relativi ai giudizi di separazione e divorzio ed estesa anche ai  provvedimenti relativi alla prole.

La Consulta ha altresì aggiunto che la mancanza del rapporto di  coniugio fra le parti non può in alcun modo giustificare la  diversità di disciplina tributaria del provvedimento di condanna, senza risolversi in un trattamento deteriore dei figli naturali  rispetto a quelli legittimi, in contrasto anche con l’art. 30  della Costituzione. 

Appare dunque evidente che siffatta ratio decidendi sia estensibile anche ai trasferimenti operati da un genitore naturale in favore del proprio figlio, a titolo di contributo al mantenimento di quest’ultimo. Altrimenti opinando, invero, si verrebbe a ricreare (per quel particolare aspetto) una del tutto ingiustificata disparità di trattamento, in contrasto con i cennati parametri costituzionali.

 

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[1] Per i richiami e le relative critiche si rinvia ad Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 129 ss. Per successive prese di posizione in senso contrario (o comunque cariche di perplessità) rispetto alla piena esplicazione dell’autonomia contrattuale dei coniugi cfr. ad es. Bargelli, L’autonomia privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista del divorzio, in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 303 ss.; Auletta, Gli accordi sulla crisi coniugale, in Familia, 2003, p. 43 ss.; E. Russo, Le convenzioni matrimoniali, Artt. 159-166-bis, in Il codice civile, commentario diretto da Schlesinger, Milano, 2004, p. 31 s., 95 ss., 288 ss., 324 ss.; Id., Gli «effetti inderogabili del matrimonio» (contributo allo studio dell’art. 160 c.c.), in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 569 ss.; Quadri, Autonomia dei coniugi e intervento giudiziale nella disciplina della crisi familiare, in Familia, 2005, p. 1 ss., 14 ss. (per ragguagli sulle posizioni di tali Autori e per le relative, ulteriori, critiche cfr. Oberto, Contratto e famiglia, in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di Roppo, VI, Interferenze, a cura di Roppo, Milano, 2006, p. 127 ss., 147 ss., 242 ss.).

[2] Cfr. Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 242 ss.

[3] Per una disamina dell’argomento della disponibilità del diritto al contributo per il mantenimento del coniuge separato e all’assegno di divorzio cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 388 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Milano, 2000, p. 3 ss.

[4] Sul punto cfr. per tutti H., L. e J. Mazeaud, Leçons de droit civil, I, 2, Paris, 1967, p. 49 s.; Hauser e Huet-Weiller, Traité de droit civil, La famille, Fondation et vie de la famille, Paris, 1993, p. 13 s.; Benabent, Droit civil, La famille, Paris, 1994, p. 53; Gaudemet, Le mariage, un contrat ?, in Rev. sc. mor. et pol., 1995, p. 161 ss.

[5] Rilevava già il Venzi, Manuale di diritto civile italiano, Torino, 1933, p. 557: «Si discute tra gli scrittori se il matrimonio sia un contratto. Non pare che la questione sia seria: se si ha riguardo al concetto del contratto qual è presupposto e disciplinato nel codice, solo la concezione più materialista del matrimonio può indurre a considerarlo alla stessa stregua di una compra‑vendita o di una locazione; se invece si ha riguardo a un concetto più vasto del contratto, comprendente qualsiasi atto formato col consenso di due persone, allora può anche dirsi che il matrimonio sia un contratto. Ma, intesa in tal senso, l’affermazione che il matrimonio è un contratto ha scarsa, se non nulla, importanza giuridica». Cfr. anche Benabent, Droit civil, La famille, cit., p. 53, secondo cui «Le mariage apparaît ainsi comme un accord de volontés en vue d’adhérer à un modèle légal. Un débat s’est alors instauré sur sa nature juridique, contrat ou institution : un peu vain, ce débat est resté en suspens, bien que la récente admission du divorce par consentement mutuel ait rapproché le mariage du contrat. En réalité, tout comme le mariage catholique est indivisiblement contrat et sacrement, le mariage civil participe à la fois du contrat et de l’institution».

[6] Sul punto cfr. per tutti Jemolo, Il matrimonio, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, Torino, 1950, p. 35 ss.; Gangi, Il matrimonio, Torino, 1969, p. 27 ss. Per un richiamo ai precedenti storici del dibattito in Francia e in Germania cfr. Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e presente, Padova, 1996, p. 185 ss.

[7] Per tutti si veda Ferrando, Il matrimonio, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da  Cicu, Messineo e Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 2002, p. 175 ss.; Ead., Matrimonio e famiglia, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, I, Famiglia e matrimonio, 1, Milano, 2002, p. 161 ss.

[8] V. sul punto Rescigno, Consenso, accordo, convenzione, patto (la terminologia legislativa nella materia dei contratti), in Riv. dir. comm., 1988, I, p. 7.

[9] Cfr. Messineo, Dottrina generale del contratto, Milano, 1952, p. 30; Id., Convenzione (dir. priv.), in Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 510 ss.; v. inoltre Carresi, Gli effetti del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 490; Pugliatti, I fatti giuridici, Revisione e aggiornamento di Falzea, Milano, 1996, p. 138 s.; tutti questi Autori avvertono peraltro che l’impiego del termine «convenzione» in relazione alle convenzioni matrimoniali andrebbe inteso in senso «improprio» o «non tecnico». Nel senso che il termine «convenzione» acquista all’interno della materia del diritto di famiglia una precisa accentuazione di ordine patrimoniale e si contrappone a quello di «accordo», privilegiato dalla legge in tutti i casi in cui i riflessi d’indole patrimoniale (ad es. a seguito della fissazione dell’indirizzo della vita familiare) non sono apparsi al Legislatore suscettibili di tradursi in essenziale connotazione dell’accordo cfr. Rescigno, Consenso, accordo, convenzione, patto (la terminologia legislativa nella materia dei contratti), cit., p. 7; S. Patti, Regime patrimoniale della famiglia e autonomia privata, in Familia, 2002, p. 285 ss.

[10] Cfr. per esempio il sito web seguente:

http://www.infoleges.it/service1/scheda.aspx?id=32807&service=1&ordinal=&fulltext=&sommario=true

[11] Più esattamente si tratta degli artt. 90, 159, 162, 163, 164, 165, 166-bis, 193, 210, 211, 388, 458, 534, 792, 886, 1049, 1123, 1138, 1182, 1273, 1283, 1469-ter, 1522, 1658, 1740, 1774, 1826, 1838, 1865, 2102, 2143, 2146, 2147, 2151, 2152, 2153, 2163, 2164, 2172, 2178, 2184, 2187, 2240, 2352, 2647, 2655, 2745, 2820, 2873 c.c.

[12] Cfr. per tutti Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 147 ss.

[13] Cfr. D., 2. 14. 1. Secondo Bartolo da Sassoferrato, In primam ff. Veteris partem, Venetiis, 1580, f. 79, «Nomen conventionis inest in qualibet specie pacti et in quolibet individuo sui».

[14] Cfr. Oberto, I precedenti storici del principio di libertà contrattuale nelle convenzioni matrimoniali, in Dir. fam. pers., 2003, p. 535 ss.

[15] Il richiamo legislativo, ad avviso dello scrivente, deve intendersi effettuato tanto alle convenzioni matrimoniali, quanto ai contratti della crisi coniugale che, come si vedrà anche oltre (cfr. infra, § 7), rinvengono il loro fondamento causale in specifiche disposizioni giusfamiliari.

[16] Su cui cfr. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, Milano, 2001, p. 60 s.

[17] Nel senso che, a fronte di accordi stipulati in occasione della crisi familiare, della separazione, del divorzio, il termine contratto possa ritenersi «congruo e conveniente, per situazioni in cui si regolano rapporti di carattere patrimoniale, per modificarli o estinguerli o costituirli» cfr. Rescigno, Il diritto di famiglia a un ventennio dalla riforma, in Riv. dir. civ., 1998, I, p. 112.

[18] Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 38 s.

[19] Cfr. per es. Devoto e Oli, Il dizionario della lingua italiana, Edizione per CD-ROM, Firenze, 1992.

[20] Cass., 4 febbraio 1993, n. 2270; Cass., 22 gennaio 1994, n. 657. Successivamente v. anche Cass. 20 novembre 2003, n. 7607, che espressamente richiama i due precedenti; Cass., 20 ottobre 2005, n. 20290, in Fam. dir., 2006, p. 150, con nota di Oberto. Per le citazioni degli estremi di pubblicazione e altri richiami cfr. Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 236 ss.

[21] Il riferimento è a Zatti, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, 3, Torino, 1982, p. 125 s., da cui l’estensore della motivazione delle due sentenze citate ha tratto la frase testé riportata; v. inoltre, per un impiego del termine «negozialità» nel senso qui indicato, Zatti e Mantovani, La separazione personale dei coniugi (artt. 150-158), Padova, 1983, p. 382; Galgano, Il negozio giuridico, Milano, 1988, p. 491; Mantovani, Separazione personale dei coniugi. I) Disciplina sostanziale, in Enc. Giur. Treccani, XXVIII, Roma, 1992, ad vocem, p. 28; Zatti, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, 3, Torino, 1996, p. 135, 137, 138, nota 12; Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 38 s.; Bocchini, Autonomia negoziale e regimi patrimoniali familiari, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 434.

[22] Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato di diritto civile diretto da  Vassalli, Torino, 1950, p. 38 ss., 41; sull’autonomia privata v. inoltre, tra i tanti, Santi Romano, Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947, p. 14 ss.; Pugliatti, Autonomia privata, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 366 ss.; Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1975, p. 267 ss.; Mirabelli, Dei contratti in generale (Artt. 1321-1469), in Commentario del codice civile a cura di magistrati e docenti, Torino, 1980, p. 27 ss.; Carresi, Il contratto, I, 1987, p. 97 ss., 321 ss.; Sacco, Autonomia nel diritto privato, in Dig. disc. priv., sez. civ., II, Torino, 1987, p. 517 ss.; Galgano, Il negozio giuridico, cit., p. 43 ss.; Barcellona, Libertà contrattuale, in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, p. 487 ss.; sul carattere non «proprio» degli interessi qui in gioco cfr. Donisi, Limiti all’autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, in Famiglia e circolazione giuridica, a cura di Fuccillo, Milano, 1997, p. 7 e la relativa critica in Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 129 ss.

[23] Per l’equivalenza tra le espressioni «autonomia privata» e «autonomia contrattuale» v. già la Relazione ministeriale sul testo definitivo del codice [n. 603], che parla di «autonomia privata» proprio con riferimento all’art. 1322; per una distinzione, dal sapore però meramente terminologico, tra «libertà» e «autonomia» contrattuale v. Carresi, Il contratto, cit., p. 98.

[24] Per una esposizione dei dati di tipo sociologico sulla negozialità relativa al fenomeno della crisi coniugale cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 38 ss.

[25] Per riferimenti storici alla negozialità tra coniugi in crisi nel diritto romano e intermedio cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 66 ss.; Id., Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, Nota a Cass., 20 marzo 1998, n. 2955, in Foro it., 1999, I, c. 1306 ss.

[26] Su tale concezione v., anche per gli ulteriori rinvii, Sesta, Il diritto di famiglia tra le due guerre e la dottrina di Antonio Cicu, in Cicu, Il diritto di famiglia. Teoria generale, Lettura di Michele Sesta, Momenti del pensiero giuridico moderno. Testi scelti a cura di Pietro Rescigno. Redattore Enrico Marmocchi, Sala Bolognese, 1978, p. 1 ss., 47 ss.; cfr. inoltre, per ulteriori richiami alle opere del Cicu e agli Autori intervenuti nel dibattito sulla «concezione istituzionale» della famiglia, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 103 ss.

[27] Sul tema cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 116 ss. Ora v. anche Bocchini, Autonomia negoziale e regimi patrimoniali familiari, cit., p. 437 ss.

[28] Santoro-Passarelli, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, in Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961, p. 381 ss. (già in Dir. giur., 1945, p. 3 ss.). Per un’illustrazione del pensiero di tale Autore cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 113 ss.; per una successiva riscoperta dello scritto di Santoro-Passarelli cfr. anche Zoppini, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 213 ss.

[29] Cfr. Santoro-Passarelli, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, cit., p. 381 ss. Tenta invece di sminuire l’importanza e l’innovatività del contributo di Santoro-Passarelli E. Russo, Le convenzioni matrimoniali, cit., p. 31 s., il quale asserisce che la proposta applicazione ai negozi giuridici familiari delle disposizioni codicistiche di cui alla parte generale del contratto non implicherebbe un superamento delle posizioni di Cicu, ma si limiterebbe ad indicare l’ «adozione di una nozione più ampia di negozio giuridico». Peraltro, per confutare tali osservazioni, sarà sufficiente pensare al carattere sicuramente rivoluzionario della (da Santoro-Passarelli) proposta tendenziale applicazione al negozio giuridico familiare della disciplina generale del contratto. E tanto basta per segnare un decisivo «salto di qualità», una netta rottura rispetto al passato, che avrebbe generato negli anni a seguire una sterminata messe di frutti nel campo della negozialità tra coniugi, come dimostrato nel testo.

[30] Cfr. Santoro-Passarelli, Il governo della famiglia, in Saggi di diritto civile, I, cit., p. 400 (lo scritto in questione venne per la prima volta pubblicato in Iustitia, 1953, p. 377 ss.).

[31] Kelsen, La dottrina pura del diritto, Traduzione di Treves, s.l., 1956, p. 57. Si deve però registrare al riguardo la persistenza di una larga convergenza dottrinale e giurisprudenziale sull’ammissibilità di tale figura: cfr. – tra i contributi comparsi, o ricomparsi, più di recente – oltre agli Autori che verranno citati in questo §, G.B. Ferri, Negozio giuridico, in Dig. disc. priv., sez. civ., XII, Torino, 1995, p. 74 ss., duramente critico nei confronti della «moda» che «alla fine degli anni ‘70» negava con «spensierata sicurezza» la valenza ricostruttiva della categoria concettuale del negozio giuridico; Pugliatti, I fatti giuridici, cit., p. 55 ss. Per una sintesi in chiave critica delle varie posizioni cfr. Galgano, Negozio giuridico (dottrine generali), in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, p. 932 ss.; Mirabelli, Negozio giuridico (teoria), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 1 ss.; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1987, p. 8 ss.; Galgano, Il negozio giuridico, cit., p. 27 ss.; per un’eco della disputa tra le varie concezioni in materia, con i suoi risvolti sulle voci in tema di negozio giuridico dell’Enciclopedia del diritto, v. anche Lipari, Presentazione del volume di Giuseppe Mirabelli «L’atto non negoziale nel diritto privato italiano», in Corr. giur., 1998, p. 595 s.; per ulteriori richiami v. Donisi, Limiti all’autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, cit., p. 23 s.; G.B. Ferri, Il negozio giuridico tra ordinamento e autonomia, in Aa. Vv., Autonomia negoziale tra libertà e controlli, Bari, 2001, p. 25 ss.

[32] E. Russo, Negozio giuridico e dichiarazioni di volontà relative ai procedimenti «matrimoniali» di separazione, di divorzio, di nullità (a proposito del disegno di legge n. 1831/1987 per l’applicazione dell’Accordo 18.2.1984 tra l’Italia e la S. Sede nella parte concernente il matrimonio), in Dir. fam. pers., 1989, p. 1084.

[33] Si noti poi ancora che la figura in esame – e sia consentito qui ribadirlo (cfr. Oberto, Le cause in materia di obbligazioni, Milano, 1994, p. 215) – è stata presa espressamente in considerazione anche dal nostro Legislatore. Non ci si intende qui riferire, ovviamente, al richiamo di cui all’art. 1324 c.c., richiamo implicito, e per questo contestato, sebbene inequivocabile (cfr. per esempio la Relazione ministeriale sul testo definitivo del codice, n. 602). Si vuole invece ricordare l’esplicita menzione del negozio giuridico contenuta nell’art. 17, l. 52/1985, ai sensi del quale «ciascuna nota [di trascrizione, iscrizione o annotazione] non può riguardare più di un negozio giuridico o convenzione oggetto dell’atto di cui si chiede la trascrizione, l’iscrizione o l’annotazione». A ciò s’aggiungano, come pure rilevato in dottrina (v. Donisi, Limiti all’autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, cit., p. 24, nota 88), gli artt. 1, comma quinto e 12, comma primo, d.l. 8/1991 (convertito con modifiche nella l. 82/1991, Nuove misure in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione) e l’art. 7, comma primo, l. 310/1993 (Norme per la trasparenza nella cessione di partecipazioni e nella composizione della base sociale delle società di capi­tali), ove si discorre, rispettivamente, di «negozi giuridici» e di «atto negoziale». Certo, nulla di paragonabile a quel Dritter Abschnitt che il primo libro del BGB consacra integralmente ai Rechtsgeschäfte. Ma allorquando il Legislatore cita per nome e cognome una figura su cui tanto inchiostro s’è versato, attribuendovi, per giunta, determinati effetti, sembra a chi scrive che di riconoscimento a livello legislativo dell’istituto non possa più farsi a meno di parlare.

[34] Cfr. per es. Pacchioni, Delle leggi in generale e della loro retroattività e teoria generale delle persone, cose e atti giuridici, Padova, 1937, p. 403; Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, I, Milano, 1946, p. 270; De Ruggiero e Maroi, Istituzioni di diritto civile, I, Messina, 1965, p. 100; Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, s.d., p. 181 s.

[35] Così Scognamiglio, Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile a cura di  Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 16 s.; contra Gangi, Il matrimonio, cit., p. 29 ss., che riconduce i negozi giuridici familiari ad «un concetto più ampio e generale di contratto, conforme al concetto tradizionale», da cui sarebbe assente il requisito della patrimonialità.

[36] Sacco, Il contratto, Torino, 1975, p. 496.

[37] Cfr. Santoro-Passarelli, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, cit., p. 382 s.; v. inoltre Gangi, Il matrimonio, cit., p. 28 s.; contra Scognamiglio, Dei contratti in generale, cit., p. 16 s.; Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., p. 182; per l’applicabilità, di volta in volta, ai negozi giuridici familiari dei principi contrattuali «congrui con l’atto di autonomia familiare posto in essere» v. Bianca, Diritto civile, II, Famiglia e successioni, Milano, 1981, p. 18.

[38] Fondamentale al riguardo per i particolari profili dei rapporti patrimoniali tra coniugi lo studio di Bin, Rapporti patrimoniali tra coniugi e principio di uguaglianza, Torino, 1971. L’argomento è stato sviluppato in Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 121 ss. ed è ripreso anche da Bocchini, Autonomia negoziale e regimi patrimoniali familiari, cit., p. 432 ss.

[39] Sulla funzione della famiglia nel quadro istituzionale v. per tutti Rescigno, Persona e comunità, Il Mulino, 1966, p. 3 ss.; Bessone, Rapporti etico-sociali (artt. 29-31), in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, Bologna-Roma, 1976, p. 1 ss.; con specifico riguardo ai rapporti patrimoniali tra coniugi cfr. Bin, Rapporti patrimoniali tra coniugi e principio di uguaglianza, cit., p. 318 ss.; Furgiuele, Libertà e famiglia, Milano, 1979, p. 140 ss.; Alagna, Famiglia e rapporti tra coniugi nel nuovo diritto di famiglia, Milano, 1983, p. 150 ss.; Paradiso, La comunità familiare, Milano, 1984, p. 168 ss.; Quadri, Famiglia e ordinamento civile, Torino, 1997, p. 153 ss.; per i riflessi in tema di rapporti patrimoniali nella famiglia di fatto e per ulteriori richiami cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991, p. 53 ss.; per una panoramica più recente circa l’evoluzione dei principi fondamentali del diritto di famiglia cfr. Bonilini, Il matrimonio - La nozione, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da  Bonilini e Cattaneo, I, Famiglia e matrimonio, Torino, 1997, p. 63 ss.; Cattaneo, Introduzione, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, I, cit., p. 8 ss., 16 ss.; Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, Torino, 1998, p. 28 s.

[40] Sottolinea il rilievo che la l.div. ha avuto in relazione al tramonto della concezione istituzionale del matrimonio anche Lipari, Il matrimonio, in Famiglia e diritto a vent’anni dalla riforma, a cura di Belvedere e Granelli, Padova, 1996, p. 8; per un’illustrazione dell’evoluzione che ha portato l’autonomia negoziale a divenire un «criterio determinante nell’àmbito della famiglia» cfr. Rescigno, I rapporti personali fra coniugi, in Famiglia e diritto a vent’anni dalla riforma, a cura di Belvedere e Granelli, Padova, 1996, p. 25 ss., 34 ss.; sul tema cfr. anche Quadri, Autonomia negoziale e regolamento tipico nei rapporti patrimoniali tra coniugi, in Giur. it., 1997, IV, c. 229 ss.; per i richiami alla dottrina che, sia prima che dopo la riforma ha espressamente aderito all’orientamento che nega l’esistenza di un interesse superiore della famiglia, esaltando il ruolo dell’autonomia dei coniugi v. per tutti Sala, La rilevanza del consenso dei coniugi nella separazione consensuale e nella separazione di fatto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1996, p. 1037, nota 18; per una persuasiva confutazione della tesi della soggettività giuridica della famiglia e dell’esistenza in questa di interessi «superindividuali» cfr. Barcellona, Famiglia (dir. civ.), in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 782 ss.; contra, per una riaffermazione dell’esistenza di un interesse, nella famiglia, trascendente quello dei singoli componenti e dunque – in buona sostanza – «superiore», Donisi, Limiti all’autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, cit., p. 7 ss., secondo cui persino l’uso dell’espressione «autonomia privata» sarebbe inaccettabile nel campo familiare.

[41] Corte cost., 27 giugno 1973, n. 91. L’argomento è giustamente enfatizzato anche da Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, Milano, 1996, p. 12, 182 s., nonché da Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, p. 215.

[42] Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, cit., p. 182 s. Prima ancora v. Sacco, Regime patrimoniale e convenzioni, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 334.

[43] Cfr. Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 147 ss.

[44] Cfr. in particolare Corte cost., 31 maggio 1983, n. 144; Corte cost., 19 gennaio 1987, n. 5; Corte cost., 18 febbraio 1988, n. 186; Corte cost., 6 luglio 1994, n. 278.

[45] «Io non vedo come possa parlarsi di un’autonomia della volontà riconosciuta dalla legge nel matrimonio, di fronte al principio dell’indissolubilità che con quell’autonomia e con l’interesse individuale degli sposi è assolutamente inconciliabile» (Cicu, Il diritto di famiglia nello stato fascista, in Scritti minori di Antonio Cicu, I, 1, Milano, 1965, p. 165; Id., Matrimonium seminarium rei publicae, Prolusione al corso di diritto civile nella R. Università di Bologna, tenutavi il giorno 6 dicembre 1919, in Scritti minori di Antonio Cicu, cit., p. 201).

[46] Così Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, cit., p. 70.

[47] Sul tema v. per tutti Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 233 ss.

[48] Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 483 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 171 ss. Id., Contratto e famiglia, cit., p. 251 ss.

[49] Oberto, Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, cit., c. 1306 ss.; Id., I precedenti storici del principio di libertà contrattuale nelle convenzioni matrimoniali, cit., p. 535 ss.

[50] «Die Ehegatten können ihre güterrechtlichen Verhältnisse durch Vertrag (Ehevertrag) regeln, insbesondere auch nach der Eingehung der Ehe den Güterstand aufheben oder ändern».

[51] Cfr. Planck, Entwurf eines Familienrechts für das deutsche Reich, Berlin, 1880, in Aa. Vv., Die Vorlagen der Redaktoren für die erste Kommission zu Ausarbeitung des Entwurfs eines Bürgerlichen Gesezbuches, a cura di Schubert, IV/1, Berlin-New York, 1983, p. 449 s., 746.

[52] Cfr. Mugdan, Die gesammten Materialien zum Bürgerlichen Gesetzbuch für das Deutsche Reich, IV, Goldbach (rist. dell’ediz. di Berlino, 1899), 2004, p. 796.

[53] Théry, Le démariage. Justice et vie privée, Paris, 1993, p. 69, che riprende sul punto una definizione di Gérard Cornu.

[54] La legge n° 2004-439 del 26 maggio 2004, in vigore dal 1° gennaio 2005, pur mantenendo i quattro casi di divorzio precedentemente conosciuti, ne ha alterato sostanzialmente la natura, semplificando notevolmente l’iter del divorzio sur requête conjointe (già divorzio per consentement mutuel), trasformando il divorce sur demande acceptée in divorce pour acceptation de la rupture du mariage (quando le parti concordano sul divorzio, ma non sulle relative conseguenze), mantenendo – malgrado le numerose perplessità sollevate e il vastissimo dibattito protrattosi per alcuni anni – l’ipotesi pour faute, di cui ha però attenuato le conseguenze e infine trasformando il divorce pour rupture de la vie commune in divorce pour altération définitive du lien conjugal, fondato su una separazione di fatto di almeno due anni.

[55] Hauser e Huet-Weiller, Traité de droit civil, La famille. Fondation et vie de la famille, cit., p. 30.

[56] Cfr. la riforma di cui alla Ley 15/2005, de 8 de julio, por la que se modifican el Código Civil y la Ley de Enjuiciamiento Civil en materia de separación y divorcio.

[57] «Esta ley persigue ampliar el ámbito de libertad de los cónyuges en lo relativo al ejercicio de la facultad de solicitar la disolución de la relación matrimonial. (…) No obstante, y de conformidad con el artículo 32 de la Constitución, se mantiene la separación judicial como figura autónoma, para aquellos casos en los que los cónyuges, por las razones que les asistan, decidan no optar por la disolución de su matrimonio. En suma, la separación y el divorcio se concibe como dos opciones, a las que las partes pueden acudir para solucionar las vicisitudes de su vida en común. De este modo, se pretende reforzar el principio de libertad de los cónyuges en el matrimonio, pues tanto la continuación de su convivencia como su vigencia depende de la voluntad constante de ambos» (testo disponibile al sito web seguente: http://civil.udg.es/normacivil/estatal/familia/L15-05.htm).

[58] Così, tra i tanti, Cian, Sui presupposti storici e sui caratteri generali del diritto di famiglia riformato, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 47 ss.; Santoro-Passarelli, Libertà e autorità nel diritto civile, Padova, 1977, p. 221 ss.; Zatti e Mantovani, La separazione personale dei coniugi (artt. 150-158), cit., p. 382; E. Russo, Gli atti determinativi di obblighi legali nel diritto di famiglia, in Le convenzioni matrimoniali ed altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, Milano, 1983, p. 221 ss.; D’Anna, Note in tema di autonomia negoziale e poteri del giudice in materia di separazione dei coniugi, Nota a Cass., 5 gennaio 1984, n. 14, in Riv. notar., 1984, II, p. 595; Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1988, 602 ss.; Mantovani, Separazione personale dei coniugi. I) Disciplina sostanziale, cit., p. 28; Bocchini, Rapporto coniugale e circolazione dei beni, Napoli, 1995, p. 35 ss.; Dogliotti, Separazione e divorzio, Torino, 1995, p. 7; Rescigno, I rapporti personali fra coniugi, in Famiglia e diritto a vent’anni dalla riforma, cit., p. 33 ss.; E. Russo, Negozi familiari e procedimenti giudiziali attributivi di efficacia, Nota a Trib. Prato, 25 ottobre 1996, in Dir. fam. pers., 1997, p. 1056 ss.

[59] Così E. Russo, Le idee della riforma del diritto di famiglia, in Le convenzioni matrimoniali ed altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, Milano, 1983, p. 45 ss.; Id., Negozio giuridico e dichiarazioni di volontà relative ai procedimenti «matrimoniali» di separazione, di divorzio, di nullità (a proposito del disegno di legge n. 1831/1987 per l’applicazione dell’Accordo 18.2.1984 tra l’Italia e la S. Sede nella parte concernente il matrimonio), cit., p. 1081; Id., Negozi familiari e procedimenti giudiziali attributivi di efficacia, cit., p. 1056; nota la «tendenza ad una maggiore valorizzazione dell’autonomia negoziale dei coniugi» anche Briganti, Crisi della famiglia e attribuzioni patrimoniali, in Riv. notar., 1997, I, p. 2 (anche in Famiglia e circolazione giuridica, a cura di G. Fuccillo, cit., p. 33 ss.); sul tema della «privatizzazione del diritto di famiglia» cfr. anche Quadri, Autonomia negoziale e regolamento tipico nei rapporti patrimoniali tra coniugi, cit., p. 229 ss.; Zatti, Familia, familiae – Declinazione di un’idea. I. La privatizzazione del diritto di famiglia, in Familia, 2002, p. 9 ss., 28 ss.

[60] Alpa e Ferrando, Se siano efficaci – in assenza di omologazione – gli accordi tra i coniugi separati con i quali vengono modificate le condizioni stabilite nella sentenza di separazione relative al mantenimento dei figli, in Questioni di diritto patrimoniale della famiglia discusse da vari giuristi e dedicate ad Alberto Trabucchi, Padova, 1989, p. 505 s.

[61] Trabucchi, Matrimonio (diritto civile), in Noviss. dig. it., App., IV, Torino, 1983, p. 1189.

[62] Cfr. Bianca, Commento all’art. 117, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 106; sul punto v. anche Pietrobon, Note introduttive agli artt. 17 e 18 Nov., in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, cit., p. 138, il quale osserva come si sia assistito «all’attribuzione di una maggiore, o più chiara, valutazione del consenso (fatto individuale) rispetto alla celebrazione (fatto sociale): basti ricordare la più ampia portata attribuita all’errore, alla rilevanza del timore e alla simulazione» (nello stesso ordine di idee v. anche Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, cit., p. 217, cui si fa rinvio – cfr. 214 ss. – anche per un puntiglioso catalogo dei dati normativi che depongono nel senso dell’operatività dell’autonomia privata anche in àmbito familiare).

[63] Sul carattere negoziale di tale intesa cfr. per tutti Santoro-Passarelli, Note introduttive agli articoli 24-28 Nov., in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 241; Zatti e Mantovani, La separazione personale dei coniugi (artt. 150-158), cit., p. 380; Paradiso, La comunità familiare, cit., p. 177 ss.; Galgano, Il negozio giuridico, cit., p. 491; Mantovani, Separazione personale dei coniugi. I) Disciplina sostanziale, cit., p. 28; Doria, Autonomia dei coniugi in occasione della separazione consensuale ed efficacia degli accordi non omologati, Nota a Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270, in Dir. fam. pers., 1994, p. 563; Id., Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, cit., p. 76; Zatti, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, 1996, cit., p. 32 ss., 80 ss.; Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, cit., p. 217, 311 ss.; Bocchini, Autonomia negoziale e regimi patrimoniali familiari, cit., p. 443 ss. Contrario alla configurazione dell’accordo come negozio è Cian, Sui presupposti storici e sui caratteri generali del diritto di famiglia riformato, cit., p. 48, in base alla considerazione che «non sempre e non necessariamente le parti avranno l’intento di perseguire la produzione di effetti giuridici, ma, più genericamente e ampiamente, l’impostazione della propria vita coniugale»; contro la natura negoziale di tale accordo si esprimono anche Furgiuele, Libertà e famiglia, cit., p. 142, Pino, Il diritto di famiglia, Padova, 1977, p. 92 e Villa, Gli effetti del matrimonio, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da  Bonilini e Cattaneo, I, cit., p. 337 ss., mentre a Costanza, Il governo della famiglia nella legge di riforma, in Dir. fam. pers, 1976, p. 1890 «l’accordo appare un istituto di diritto familiare che sfugge all’inquadramento entro un rigido schema». In giurisprudenza, nel senso che l’accordo ex 144 sulla fissazione della residenza costituisce negozio giuridico familiare cfr. Trib. Vallo della Lucania, 30 giugno 1989, in Dir. fam. pers., 1989, p. 728.

[64] Così Rescigno, Appunti sull’autonomia negoziale, in Giur. it., 1978, IV, c. 117.

[65] Così Falzea, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, I, p. 614.

[66] Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, cit., p. 76 ss.; cfr. anche F. Finocchiaro, Del matrimonio, II, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1993, p. 464; Sala, La rilevanza del consenso dei coniugi nella separazione consensuale e nella separazione di fatto, cit., p. 1105.

[67] Cfr. l’articolo dal titolo Grandi spese? La scelta si fa in coppia, in La Stampa, 10 aprile 2003, p. 18.

[68] Cfr. per tutti Moscarini, Convenzioni matrimoniali in generale, in Aa. Vv., La comunione legale, a cura di Bianca, II, Padova, 1989, p. 1012 s.; sul tema v. anche Falzea, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, cit., 609 ss., p. 614 ss.

[69] Cfr. Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 187 ss.

[70] Cfr. per esempio Bianca, Diritto civile, II, Famiglia e successioni, cit., p. 18.

[71] A titolo d’esempio potranno qui ricordarsi un paio di decisioni (Cass.. 24 febbraio 1993, n. 2270; Cass., 22 gennaio 1994, n. 657, su cui cfr. Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 236 ss.), nelle quali la Corte Suprema rende omaggio al principio in esame, riconoscendone espressamente il peso nella materia dei rapporti tra coniugi in crisi (nella stessa ottica cfr. anche, ad es., la motivazione di Cass., 5 marzo 2001, n. 3149, in Familia, 2001, p. 774).

[72] Jemolo, La famiglia e il diritto, 1957, riportato in Aa. Vv., «Verso la terra dei figli», Milano, 1994, p. 69.

[73] Jemolo, Convenzioni in vista di annullamento di matrimonio, in Riv. dir. civ., 1967, II, p. 530.

[74] Sacco, Il contratto, Torino, 1975, p. 493 s.

[75] Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, cit., p. 274: «Ma negozi atipici sembrano ammissibili anche nell’area degli interessi non patrimoniali, se pensiamo ai patti che possono accompagnare il divorzio o la separazione (per quest’ultima come negozi autonomi, o incorporati nell’accordo che viene omologato dal tribunale in sede di separazione consensuale): ad esempio, patti relativi all’educazione dei figli, o alle modalità di visita o di soggiorno col genitore che non li ha in affidamento, o all’uso del nome maritale (v. gli artt. 155, c. 7, per la separazione giudiziale, e 158, secondo comma per la separazione consensuale, e quanto al nome, arg. dall’art. 156 bis). Patti del genere sono possibili anche all’inizio del matrimonio e durante la piena persistenza del vincolo. Nel nostro ambiente sociale sono un fenomeno raro, mentre sono noti ed usati con risultati positivi in paesi dove le differenze di religione o di costume consigliano agli sposi di affidare allo strumento contrattuale la definizione di futuri problemi o di conflitti già insorti circa l’educazione dei figli o su altre materie di comune interesse».

[76] Roppo, Il giudice nel conflitto coniugale, Bologna, 1981.

[77] Rescigno, Contratto in generale, in Enc. Giur. Treccani, IX, Roma, 1988, ad vocem, 10; per analoghe considerazioni cfr. E. Russo, Negozio giuridico e dichiarazioni di volontà relative ai procedimenti «matrimoniali» di separazione, di divorzio, di nullità (a proposito del disegno di legge n. 1831/1987 per l’applicazione dell’Accordo 18.2.1984 tra l’Italia e la S. Sede nella parte concernente il matrimonio), cit., p. 1092; Zoppini, Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare nella separazione personale dei coniugi, Nota a Cass., 23 dicembre 1988, n. 7044, in Giur. it., 1990, I, 1, c. 1326; L. Rubino, Gli accordi familiari, in Giurisprudenza sistematica civile e commerciale, diretta da Bigiavi, I contratti in generale, diretto da Alpa e Bessone, II, 2, Torino, 1991, p. 1160 ss.; Busnelli e Giusti, Le sort des biens et la pension alimentaire dans le divorce sans faute, in Aa. Vv., Rapports nationaux italiens au XIVº Congrès International de Droit Comparé, Milano, 1994, p. 93 s.; G. Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, in Giust. civ., 1996, II, p. 378 ss., 406 ss.; Ead., Contratti tra coniugi in vista della cessazione del ménage, Padova, 1999, p. 89 ss.; Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, cit., p. 56 ss., 63 ss.; Sala, La rilevanza del consenso dei coniugi nella separazione consensuale e nella separazione di fatto, cit., p. 1106 ss. Per la dottrina contraria, pervicacemente aggrappata all’idea (contraria tanto al testo quanto allo spirito delle norme vigenti) di una sorta di immanenza del ruolo del giudice nei rapporti patrimoniali tra coniugi in crisi, si fa rinvio agli Autori citati nell’analisi critica svolta in Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 103 ss., 129 ss., 411 ss.

[78] Cass., 13 gennaio 1993, n. 348, in Corr. giur., 1993, p. 822 con nota di Lombardi; in Giur. it., 1993, 1, 1, c. 1670 con nota di Casola; in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, p. 950, con note di Cubeddu e di Rimini; in Vita notar., 1994, p. 91, con nota di Curti; in Contratti, 1993, p. 140, con nota di Moretti.

[79] Sul punto v. infra, §§ 6 ss.; per constatazioni analoghe a quelle di cui al testo v. anche G. Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, cit., p. 378 s.; Longo, Trasferimenti immobiliari a scopo di mantenimento del figlio nel verbale di separazione: causa, qualificazione, problematiche, Nota a App. Genova, 27 maggio 1997, in Dir. fam. pers., 1998, p. 576.

[80] Cass., 25 ottobre 1972, n. 3299, in Giust. civ., 1973, I, 221; ivi, 1974, I, 173, con nota di Bergamini.

[81] Cfr. Liserre, Autonomia negoziale e obbligazione di mantenimento del coniuge separato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1975, p. 475 ss.

[82] Cfr. Cass., 5 luglio 1984, n. 3940, in Dir. fam. pers., 1984, p. 922. I giudici di legittimità approfittano dell’occasione per soffermarsi sul problema della validità dell’accordo sotto il profilo della «meritevolezza degli interessi alla cui realizzazione il negozio era preordinato». Individuata la causa di quest’ultimo nell’ «attuazione [di] un’obbligazione di mantenimento avente causa lecita», la meritevolezza di tutela, ex art. 1322, viene affermata sulla base della constatazione che l’accordo opera «una equiparazione fra l’interesse perseguito dalle parti e quello che, nell’àmbito dei rapporti patrimoniali nascenti dal matrimonio, è previsto e tutelato espressamente dal Legislatore con apposite norme dirette a proteggere la posizione del coniuge meno abbiente (…) essendo inconcepibile sul piano logico-giuridico che lo stesso interesse riceva protezione quando sia previsto dal Legislatore e non anche quando sia ricollegato all’autonomia privata» (per successiva decisione di merito fondata sulla medesima ratio decidendi cfr. App. Genova, 27 maggio 1997, in Dir. fam., 1998, p. 572, con nota di Longo).

[83] Cfr. Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, in Fam. dir., 1995, p. 155 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 85 ss.

[84]  Cfr. Oberto, Contratto e famiglia, p. 236 ss.

[85] Su questo concetto cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 215 ss.

[86] Nello stesso senso cfr. anche Barbiera, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1971, p. 147 s.; A. Finocchiaro, Sulla pretesa inefficacia di accordi non omologati diretti a modificare il regime della separazione consensuale, in Giust. civ., 1985, I, p. 1659 s.; Alpa e Ferrando, Se siano efficaci – in assenza di omologazione – gli accordi tra i coniugi separati con i quali vengono modificate le condizioni stabilite nella sentenza di separazione relative al mantenimento dei figli, cit., p. 505 s.; Metitieri, La funzione notarile nei trasferimenti di beni tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, in Riv. notar., 1995, I, p. 1177; G. Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, cit., p. 407; Figone, Sull’annullamento del verbale di separazione consensuale per incapacità naturale, Nota a App. Milano, 18 febbraio  1997, in Fam. dir., 1997, p. 441.

[87] Sul punto cfr., anche per i rinvii, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 215 ss.

[88] Cass., 15 marzo 1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, c. 1787; in Corr. giur., 1991, p. 891, con nota di Cavallo.

[89] Cass., 12 maggio 1994, n. 4647, in Fam. dir., 1994, p. 660, con nota di Cei; in Vita notar., 1994, p. 1358; in Giust. civ., 1995, I, p. 202; in Dir. fam. pers., 1995, p. 105; in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, p. 882, con nota di Buzzelli; in Riv. notar., 1995, II, p. 953.

[90] Cfr. Cass., 29 aprile 1983, n. 2948, in Giur. it., 1983, I, 1, c. 1233.

[91] Cass., 14 luglio 2003, n. 10978.

[92] Cass., 8 novembre 2006, n. 23801, in Foro it., 2007, I, c. 1189.

[93] Cfr. Cass., 6 febbraio 2009, n. 2997. Nella specie la Corte ha rilevato che lo scopo dell’accordo era quello di regolare i rapporti economici più importanti della coppia, prima di rivolgersi al giudice della separazione, eliminando così le controversie su questioni non strettamente attinenti alla fine dell’unione, ivi compresa la definizione dei rapporti economici con i figli maggiorenni. La Corte, in breve, ha escluso che la separazione consensuale costituisse condizione esplicita o implicita della scrittura privata (il tema sarà approfondito infra, § 13.1).

[94] Cass., 5 marzo 2001, n. 3149, cit. Sul tema cfr. amplius Oberto, Simulazioni e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei), Nota a Cass., 5 marzo 2001, n. 3149, in Familia, 2001, p. 774 ss. Per una successiva vicenda in cui la Corte Suprema, dopo avere ribadito con dovizia di particolari in motivazione la tesi della negozialità della separazione consensuale, con un finale «a sorpresa» ha negato l’impugnabilità del relativo accordo stessa per simulazione cfr. Cass., 20 novembre 2003, n. 7607, in Corr. giur., 2004, p. 307. Per la critica cfr. Oberto, Simulazione della separazione consensuale: la Cassazione cambia parere (ma non lo vuole ammettere), Nota a Cass., 20 novembre 2003, n. 7607, in Corr. giur., 2004, p. 309 ss.; Balestra, Autonomia negoziale e crisi coniugale: gli accordi in vista della separazione, in Riv. dir. civ., 2005, II, p. 290 ss. Per alcuni accenni al tema v. inoltre Danovi, La separazione simulata e i suoi rimedi, Nota a App. Bologna, 7 maggio 2000, in Riv. dir. proc., 2001, p. 284 ss.; Id., E’ davvero rilevante (e inattaccabile) la simulazione della separazione?, Nota a Cass., 20 novembre 2003, n. 7607, in Dir. fam. pers., 2005, p. 462 ss. Per la rilevanza del fenomeno simulatorio nelle intese concernenti la crisi del matrimonio è anche Barbiera, Il matrimonio, Padova, 2006, p. 333.

[95] Cass., 4 settembre 2004, n. 17902, in Fam. dir., 2005, p. 508, con nota di Pagni; Cass., 29 marzo 2005, n. 6625; Cass., 10 gennaio 2007, n. 235; Cass., 27 novembre 2007, n. 24321; Cass., 20 marzo 2008, n. 7450; Cass., 30 aprile 2008, n. 10932. E’ da notare che, in pratica, in tutti i casi risolti dalle sentenze appena citate (ad eccezione di quello di cui alla pronunzia del 2004), la domanda di annullamento non ha ricevuto accoglimento. Ciò peraltro per via del fatto che essa era stata proposta con il mezzo processuale del ricorso ex art. 710 c.p.c., il quale serve però soltanto a far valere la sopravvenienza rispetto all’intesa di separazione e non certo a denunziare la presenza di un difetto originario dell’accordo, per il quale occorre – come ripetuto in tutte le decisioni appena citate – l’instaurazione di un procedimento contenzioso ordinario. Sul tema della rilevanza dei vizi del consenso negli accordi di separazione v. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 234 ss.; Id., La natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili (II), in Fam. dir., 2000, p. 88 ss.; Basini, L’annullabilità della separazione consensuale omologata per vizii del consenso, Nota a Cass., 4 settembre 2004, n. 17902, in Familia, 2005, II, p. 382 ss.

[96] Così Cass., 23 luglio 1987, n. 6424, in Giust. civ., 1988, I, p. 459. Sul tema v. inoltre Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 242 ss.

[97] Sui timori di un ritorno «dal contratto allo status» v. anche Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 265 ss.

[98] Cfr. Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 236 ss.

[99] Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, cit.; cfr. anche Palmeri, Il contenuto atipico dei negozi familiari, Milano, 2001, passim, p. 30 ss.

[100] Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, cit.

[101] Oberto, I contratti della crisi coniugale, I e II, Milano, 1999; Auletta, Gli accordi sulla crisi coniugale, cit., p. 43 ss.

[102] Comporti, Autonomia privata e convenzioni preventive di separazione, di divorzio e di annullamento del matrimonio, in Foro it., 1995, I, c. 105 ss. (e sul tema v. anche gli Autori citati in Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 251 ss.).

[103] V. Carbone, Autonomia privata e rapporti patrimoniali tra coniugi (in crisi), Nota a Cass., 22 gennaio 1994, n. 657, in Fam. dir., 1994, p. 141 ss. (e sul tema v. anche gli Autori citati in Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 242 ss.).

[104] Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 155 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit.; T.V. Russo, I trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio, Napoli, 2001 (e sul tema v. anche gli Autori citati infra, §§ 6 ss.).

[105] Sala, La rilevanza del consenso dei coniugi nella separazione consensuale e nella separazione di fatto, cit.

[106] G. Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, cit.

[107] Ovviamente le indicazioni testé effettuate hanno carattere assolutamente parziale e vanno integrate con i rinvii contenuti nella monografia più volte citata dello scrivente su I contratti della crisi coniugale, nonché, per i lavori successivi, con le citazioni relative agli specifici aspetti trattati nei vari capitoli in cui si articola il presente lavoro. In questa sede potranno segnalarsi, a livello bibliografico, in vario senso, sul tema specifico dell’autonomia dei coniugi nella fase della crisi coniugale, i seguenti contributi (oltre a quelli già citati): per il periodo anteriore alla riforma del 1975 L. Ferri, L’autonomia privata, Milano, 1959, p. 285 ss.; Barcellona, Famiglia (dir. civ.), cit., p. 782 ss.; Donisi, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Napoli, 1972, p. 189 ss.; Liserre, Autonomia negoziale e obbligazione di mantenimento del coniuge separato, cit., p. 474 ss.; per il periodo successivo alla riforma cfr. D’Anna, Note in tema di autonomia negoziale e poteri del giudice in materia di separazione dei coniugi, cit., p. 593 ss.; Paradiso, La comunità familiare, cit., p. 182 ss.; A. Finocchiaro, Sulla pretesa inefficacia di accordi non omologati diretti a modificare il regime della separazione consensuale, cit., p. 1659 ss.; Galgano, Il negozio giuridico, cit., p. 487 ss.; Pollice, Autonomia dei coniugi e controllo giudiziale nella separazione consensuale: il problema degli accordi di contenuto patrimoniale non omologati, in Dir. giur., 1988, p. 107 ss.; Alpa e Ferrando, Se siano efficaci – in assenza di omologazione – gli accordi tra i coniugi separati con i quali vengono modificate le condizioni stabilite nella sentenza di separazione relative al mantenimento dei figli, cit., p. 505 s.; Anelli, Sull’esplicazione dell’autonomia privata nel diritto matrimoniale (in margine al dibattito sulla mediazione dei conflitti coniugali), in Aa. Vv., Studi in onore di Rescigno, II, Milano, 1998, p. 19 ss.; Balestra, Autonomia negoziale e crisi coniugale: gli accordi in vista della separazione, cit., p. 277 ss.

[107] Trabucchi, Matrimonio (diritto civile), cit., p. 510 ss.; Marti, Accordi non omologati tra coniugi separati, in Nuova giur. civ. comm., 1989, II, p. 71; Zoppini, Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare nella separazione personale dei coniugi, cit., p. 1319 ss.; L. Giorgianni, Sui patti aggiunti alla separazione consensuale e sulla famiglia di fatto, Nota a Trib. Genova, 2 giugno 1990, in Giur. mer., 1992, p. 60 ss.; Morelli, Autonomia negoziale e limiti legali nel regime patrimoniale della famiglia, in Fam. dir., 1994, p. 104 ss.; Dogliotti, Separazione e divorzio, cit., p. 9 ss.; Morelli, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Padova, 1996, p. 12 ss.; Scardulla, La separazione personale tra i coniugi e il divorzio, Milano, 1996, p. 363 ss.; Briganti, Crisi della famiglia e attribuzioni patrimoniali, in Riv. notar., 1997, I, p. 1 ss. (anche in Famiglia e circolazione giuridica, a cura di Fuccillo, cit., p. 33 ss.); Donisi, Limiti all’autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, cit., p. 5 ss.; Federico, Accordi di divorzio nel procedimento a domanda congiunta, in Famiglia e circolazione giuridica, cit., p. 91 ss.; Quadri, Famiglia e ordinamento civile, cit., p. 83 ss.; Id., Autonomia negoziale e regolamento tipico nei rapporti patrimoniali tra coniugi, in Giur. it., 1997, IV, c. 229 ss.

[108] cfr. Roppo, Per una riforma del divieto dei patti successori, in Riv. dir. priv., 1997, p. 5 ss.; per un interessante studio in quest’ottica, nonché per gli ulteriori richiami, si fa rinvio a Caccavale e Tassinari, Il divieto dei patti successori tra diritto positivo e prospettive di riforma, in Riv. dir. priv., 1997, p. 74; sul tema v. inoltre Ieva, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: patto di famiglia e patto d’impresa. Profili generali di revisione del divieto dei patti successori, in Riv. notar., 1997, p. 1371 ss.; Dogliotti, Rapporti patrimoniali tra coniugi e patti successori, in Fam. dir., 1998, p. 293 ss. Giudica «inevitabile alla luce del quadro europeo» l’abolizione del divieto dei patti successori anche S. Patti, Regime patrimoniale della famiglia e autonomia privata, cit., p. 312.

[109] Sul patto di famiglia v., ex multis, Amadio, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati, in Aa. Vv., I patti di famiglia per l’impresa, Fondazione italiana per il Notariato (a cura di), Milano, 2006; Id.,  Patto di famiglia e funzione divisionale, in Riv. notar., 2006; Andrini, Il patto di famiglia: tipo contrattuale e forma negoziale, in http://www.filodiritto.com/; Angeloni, Nuove cautele per rendere sicura la circolazione dei beni di provenienza donativa nel terzo millennio, in Contratto e impresa, 2007; Balestra, Attività d’impresa e rapporti familiari, Padova, 2009, p. 461 ss.; Baralis, L’attribuzione ai legittimari non assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni sociali, in Aa. Vv., I patti di famiglia per l’impresa, cit.; Bolano, I patti successori e l’impresa alla luce di una recente proposta di legge, in Contratti, 2006; Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2006; Id., Manuale di diritto di famiglia, Torino, 2006; Id., Patto di famiglia e diritto delle successioni mortis causa, in Fam. pers. succ., 2007; Busani e Lucchini Guastalla, Imprese di famiglia: dal 16 marzo più facili i passaggi generazionali, in Guida al dir., n. 13 del 1 aprile 2006; Busani e Lucchini Guastalla, La portata degli effetti del patto di famiglia inducono a ritenere che l’atto vada inquadrato tra quelli di straordinaria amministrazione e che sia necessaria l’autorizzazione per gli incapaci, in Guida al dir., 2006, n. 13 del 1 aprile 2006; Buffone, Patto di famiglia: le modifiche al codice civile, in http://www.altalex.com/; Caccavale, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati, in Aa. Vv., I patti di famiglia per l’impresa, cit.; Id., Il patto di famiglia, in Contratto e successioni, in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di Vincenzo Roppo, VI, Interferenze, a cura di Vincenzo Roppo, Milano, 2006; Calò, Patto di famiglia e norme di conflitto, in Fam. pers. succ., 2006; Casu, I patti successori, in Aa. Vv., Testamento e patti successori, Torino, 2006; De Marzo, Patti di famiglia, trasferimento di partecipazioni societarie e legge finanziaria, in Fam. e dir., 2007; De Nova, Delfini, Rampolla e Venditti, Il patto di famiglia: legge 14 febbraio 2006 n. 55, Milano, 2006; Delle Monache, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, in Riv. notar., 2006; Delfini, Il patto di famiglia introdotto dalla legge n. 55/2006, in Contratti, 2006; Di Sapio, Osservazioni sul patto di famiglia (brogliaccio per una lettura disincantata), in Dir. fam. pers., 2006; Id., Costruzione, decostruzione e ricostruzione del patto di famiglia dalla prospettiva notarile, in Vita notar., 2008, p. 1633 ss.; Fietta, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati, in Aa. Vv., I patti di famiglia per l’impresa, cit.; Gazzoni, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, in http://www.judicium.it/; Id., Competitività e dannosità della successione necessaria, in http://www.judicium.it/; Inzitari, Il patto di famiglia: negoziabilità del diritto successorio con la L. 14 febbraio 2006 n. 55, Torino, 2006; Livini, Mai più liti sulle dinastie aziendali. Il provvedimento bipartisan facilita i passaggi generazionali nelle imprese italiane, consentendo in anticipo di designare il successore, in http://www.repubblica.it/2006/b/sezioni/economia/dinastie/dinastie/dinastie.html; Lupetti, Patti di famiglia: note a prima lettura, in CNN notizie. Notiziario di informazione del Consiglio Nazionale del Notariato, febbraio 2006; Lupoi, L’atto istitutivo di trust, Milano, 2006; Manes, Prime considerazioni nella gestione del passaggio generazionale della ricchezza familiare, in Contratto e impresa, 2006; Mascheroni, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati, in Aa. Vv., I patti di famiglia per l’impresa, cit.; Merlo, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati, in Aa. Vv., I patti di famiglia per l’impresa, cit.; Oberto, Il patto di famiglia, Padova, 2006; Id., Lineamenti essenziali del patto di famiglia, in Fam. e dir., 2007; Oppo, Patto di famiglia e «diritti della famiglia», in Riv. dir. civ., 2006; Petrelli, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. notar., 2006; Salomone, I patti di famiglia, in Il quotidiano giuridico, Ipsoa.it, marzo 2006; Salvatore, Il trapasso generazionale nell’impresa tra patto di famiglia e trust, in Notariato, 2007; Tassinari, Il patto di famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali, in Aa. Vv., I patti di famiglia per l’impresa, cit.; Tomaselli, Il patto di famiglia quale strumento per la gestione del rapporto famiglia-impresa, Milano, 2006; Vitucci, Ipotesi sul patto di famiglia, in Riv. dir. civ., 2006; Zoppini, Il patto di famiglia (linee per la riforma dei patti sulle successioni future), in Riv. dir. priv., 1998; Id., Profili sistematici della successione anticipata (note sul patto di famiglia), in Aa. Vv., Scritti in onore di Giorgio Cian (in corso di pubblicazione).

[110] Sul tema cfr. per tutti Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 155 ss.; Id., I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1211 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 3 ss.; Id., I trasferimenti patrimoniali in occasione della separazione e del divorzio, cit., p. 181 ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., p. 323 ss.; T.V. Russo, I trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio, Napoli, 2001; P. Carbone, I trasferimenti immobiliari in occasione della separazione e del divorzio, in Notar., 2005, p. 622 ss.

[111] V. infra, § 22, per quanto attiene ai trasferimenti in favore della prole. Più in generale cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 283 ss.

[112] Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 3 ss.; sul tema v. in precedenza Id., I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 155 ss.; Id., I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1211 ss.; T.V. Russo, I trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio, Napoli, 2001.

[113] Cfr. art. 5, comma ottavo, l. 898/1970, introdotto dall’art. 10, l. 74/1987; cfr. inoltre, in relazione all’eventuale assegno periodico a carico dell’eredità, quanto disposto dall’art. 9-bis cpv., l.div., aggiunto dall’art. 3, l. 436/1978.

[114] Cfr. art. 8, lett. f, della tariffa allegata al d.p.r. 131/1986 (approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro).

[115] Occorre riflettere sul fatto che il carattere «a parte» del procedimento di divorzio su domanda congiunta (su cui v. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 306 ss.) dovrebbe dissuadere l’interprete dall’estendervi la disciplina dettata in relazione al divorzio contenzioso, specie laddove, come nel caso di specie, nessun riferimento, neppure per implicito, possa ritenersi compiuto, nel tessuto normativo di cui all’art. 4, tredicesimo comma, l.div., ad un istituto disciplinato in una distinta parte della legge sullo scioglimento e sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio. D’altro canto, nel caso di divorzio contenzioso, ancorché pronunziato su una o più conclusioni conformi delle parti, la struttura stessa del procedimento, non presentando alcuna delle caratteristiche proprie del rito camerale, non consente di affermare che la decisione del tribunale si limiti a svolgere una mera efficacia omologativa dell’accordo delle parti. In questo caso, infatti, la sentenza – diversamente da quanto accade con riguardo alla procedura su domanda congiunta – conserva tutto il valore determinativo e costitutivo che le è proprio, anche in relazione alle clausole economiche. Ora, l’inserimento di un «elemento spurio», di un aspetto di negozialità, come l’accordo sulla corresponsione una tantum nel quadro di una determinazione complessivamente giudiziale, non poteva attuarsi senza pagare un prezzo; un prezzo che tenesse conto, tra l’altro, del fatto che, in sede contenziosa, il tribunale è chiamato ad emettere una serie talora complessa di statuizioni su pretese patrimoniali che non coinvolgono solo l’assegno, ma che possono estendersi anche ad altri campi, dalla divisione della comunione legale, a richieste di restituzioni ex mutuo, a domande risarcitorie e (last but not least) a questioni concernenti il contributo per il mantenimento della prole. Dunque, il giudizio di equità di cui all’art. 5, ottavo comma, l.div. sembra giustificarsi proprio in ordine alla necessità di valutare la correttezza della determinazione operata dai coniugi alla luce del più vasto quadro costituito dal complesso delle statuizioni d’ordine patrimoniale che il tribunale effettuerà in sentenza (o comunque delle altre intese eventualmente raggiunte nel frattempo dai coniugi stessi su altri aspetti d’ordine patrimoniale) e di inserirla, recependola, in un assetto di rapporti che trova la propria fonte nella determinazione del giudice, anziché nella volontà delle parti. Ciò spiega perché, nel momento in cui il legislatore ha deciso di imporre il giudizio di equità (come «prezzo della giurisdizionalizzazione» dell’intesa dei coniugi) si è visto poi anche costretto a prevedere expressis verbis un effetto preclusivo in ordine alla esperibilità di azioni ex art. 9, l.div., proprio al fine di evitare che la determinazione della somma, fatta propria dalla autorità giudiziaria, privando l’intesa del suo carattere (inizialmente) contrattuale, conferisse a quest’ultima quella caratteristica che è tipica delle determinazioni giudiziali in materia di condizioni della separazione e del divorzio, vale a dire la modificabilità in ogni tempo per il sopravvenire di giustificati motivi, ciò che avrebbe indubbiamente frustrato l’intento delle parti (che nell’ipotesi in esame è sempre volto ad una regolamentazione definitiva) e dunque reso, in buona sostanza, priva di utilità pratica la previsione legislativa. Ciò spiega anche perché una norma analoga a quella in esame non sia stata inserita nell’àmbito delle disposizioni in materia di divorzio su domanda congiunta, fattispecie in cui l’autonomia privata – qui pienamente riconosciuta dal legislatore – è già di per sé sola sufficiente a raggiungere non solo l’effetto della corresponsione dell’assegno in unica soluzione, bensì anche quello dell’irretrattabilità della relativa pattuizione (cfr. sul punto Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 52 ss.).

[116] Corte cost., 10 maggio 1999, n. 154, in Guida al diritto, 1999, n. 20, p. 28, con nota di M. Finocchiaro; in Fam. dir., 1999, p. 539, con nota di Caravaglios; in Fisco, 1999, p. 9076; in Foro it., 1999, I, c. 2168; in Giust. civ., 1999, I, p. 1930; in Cons. stato, 1999, II, p. 691; in Boll. trib., 1999, p. 1319, con nota di Cernigliaro Dini. Sugli effetti delle sentenze d’accoglimento della Corte costituzionale cfr. in generale G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna, 1977, p. 165 ss., secondo cui la «cessazione di efficacia» ex art. 136 Cost. è assimilabile «ad una irrimediabile abrogazione della legge». Il caso presentato dalla pronunzia in esame è più complesso, non avendo formato l’art. 8, lett. f, cit., oggetto di declaratoria di incostituzionalità da parte della Corte; la relativa disposizione risulta però sicuramente incompatibile con l’applicazione alla separazione legale dell’art. 19 l.div. disposta dalla sentenza «additiva» in oggetto (per una pronunzia di legittimità che non esita a dichiarare implicitamente abrogata una norma, quale conseguenza di una pronunzia «additiva» della Consulta avente ad oggetto una norma diversa, con conseguente incompatibilità tra tale effetto, per l’appunto, «additivo» e il disposto della distinta norma non – formalmente – investita dalla decisione d’accoglimento, cfr. Cass., 16 novembre 1973, n. 3056).

[117] Sul tema si fa rinvio a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 3 ss.

[118] Cass., 25 ottobre 1972, n. 3299, cit.

[119] Cfr. Liserre, Autonomia negoziale e obbligazione di mantenimento del coniuge separato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1975, p. 483 s.; nello stesso ordine di idee v. anche Manzini, Spirito di liberalità e controllo giudiziario sull’esistenza della causa donandi, in Contr. impr., 1985, p. 409 ss. e, successivamente, Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, Milano, 1996, p. 5 ss.; Donisi, Limiti all’autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, in Famiglia e circolazione giuridica, cit., p. 19 s.

[120]  Cfr. Giorgianni, Causa, in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 573.

[121] Si vedano al riguardo, a titolo d’esempio, le due seguenti decisioni: Cass., 21 giugno 1965, n. 1299, in Giur. it., 1967, I, 1, c. 214 con nota di Bondoni; in Foro pad., 1966, I, c. 18; in Foro it., 1966, I, c. 504; in Giur. it., 1965, I, 1, c. 1412; in Giust. civ., 1965, I, p. 2021; Cass., 20 novembre 1992, n. 12401, in Foro it., 1993, I, c. 1506, con nota di Caringella; in Corr. giur., 1993, p. 174, con nota di V. Mariconda; in Giust. civ., 1993, I, p. 2759, con nota di Battaglia; in dottrina v., anche per i richiami ulteriori, Sacco, Il contratto, cit., p. 581; Bozzi, Note preliminari sull’ammissibilità del trasferimento astratto, in Riv. dir. comm., 1995, I, p. 214 ss.

[122] Torrente, La donazione, Milano, 1956, p. 243; contra v. però Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, IV, Milano, 1954, p. 21; Sacco e De Nova, Il contratto, in Tratt. Sacco, I, Torino, 1993, p. 268.

[123] Cass., 12 giugno 1979, n. 3315, in Foro it., 1981, I, c. 1702, con nota di Di Lalla; cfr. inoltre Cass., 24 gennaio 1979, n. 526, in Giur. it., 1979, I, 1, c. 935; Cass., 18 dicembre 1975, n. 4153, in Giust. civ., 1976, I, p. 726.

[124] Del resto, proprio ad una «funzione solutoria» riconnessa all’adempimento dell’obbligo legale di mantenimento fanno richiamo alcune pronunzie della Cassazione. Tra queste, Cass., 17 giugno 1992, n. 7470, in Dir. fam., 1993, p. 70 e in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, p. 808, con nota di Sinesio menziona a proprio sostegno quattro precedenti, di cui veramente in termini sono esclusivamente due (Cass., 5 luglio 1984, n. 3940, in Dir. fam., 1984, p. 922 e Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, su cui v. infra, § 17).

[125] Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, cit., p. 279 s.

[126] A identiche conclusioni giunge Bianca, Commento all’art. 5, l. 1° dicembre 1970, n. 898, in Commentario al diritto italiano della famiglia, a Cura di Cian, Oppo e Trabucchi, VI, 1, Padova, 1993, p. 344, 359, facendo però applicazione della disciplina della novazione – art. 1234 c.c. – con riguardo alla liquidazione una tantum dell’assegno di divorzio.

[127] In stretto collegamento con la teoria del negozio solutorio e delle possibili obiezioni a questo va vista la tesi di chi ha proposto di ricorrere ad un’apposita categoria negoziale, costituita dai «negozi determinativi del contenuto di ob­blighi legali». Con tali atti, in particolare, le parti dovrebbero: (a) verificare ed accertare si­tuazioni di fatto e circostanze considerate rilevanti nel diritto­; (b) prendere atto che le predette circostanze danno luogo al concretizzarsi di obblighi legali puntualizzati verso le loro persone; (c) determinare il contenuto di tali obblighi legali, assumendo la posizione del debitore e del creditore e specificando il contenuto della prestazione (Russo, Negozio giuridico e dichiarazioni di volontà relative ai procedimenti «matrimoniali» di separazione, di divorzio, di nullità (a proposito del disegno di legge n. 1831/1987 per l’applicazione dell’Accordo 18 febbraio 1984 tra l’Italia e la S. Sede nella parte concernente il matrimonio), in Dir. fam., 1989, p. 1088 s.). La tesi non sembra però trovare un chiaro fondamento nelle norme di diritto positivo; essa inoltre – come ammesso dalla stessa dottrina che l’ha propugnata – appare strettamente collegata a quella, piuttosto controversa, del negozio d’accertamento. Ora, a parte tale constatazione, resta comunque da dire che l’effetto limitatamente preclusivo che, a detta della stessa opinione qui esposta, sarebbe normalmente riconnesso alle attribuzioni in esame – «ritrattabili» non già sulla base della discrepanza tra la valutazione operata dalle parti e quella prevista dalla legge, ma solo per effetto di circostanze sopravvenute – sembra poco conciliabile proprio con quel carattere meramente dichiarativo che, secondo l’impostazione tradizionale, avallata da una certa giurisprudenza, soprattutto in materia di diritti reali, dovrebbe caratterizzare il negozio d’accertamento. Né le cose cambierebbero se si volesse riconoscere che talora anche il negozio d’accertamento può sortire effetti dispositivi, tanto più in una materia come quella della determinazione di un obbligo di fonte, sì, legale, ma dalla legge ancorato a parametri di assai difficile valutazione. L’adozione di tale ipotesi ricostruttiva comporta poi il serio rischio che le posizioni piuttosto rigide assunte al riguardo da una parte della dottrina e della giurisprudenza, soprattutto di quella più recente, inducano ad assumere un atteggiamento, se non pregiudizialmente contrario, comunque tale da sconsigliare, in pratica, la conclusione di siffatti negozi di trasferimento. Il riferimento è qui, tanto per essere chiari, alla tesi che vedrebbe questi atti – pure ritenuti in linea di massima come ammissibili – sottoposti alla possibilità di una revisione in ogni tempo non solo (si badi) alla luce dei principi in tema di clausola rebus sic stantibus, ma addirittura anche per effetto di una «motivata denuncia dei motivi di illegalità (per violazione degli inderogabili principi di solidarietà e parità sanciti nella costituzione) che, sebbene non rilevati, inficiavano gli accordi già al tempo della separazione» (Liserre, op. cit., p. 490; per considerazioni lato sensu analoghe, in ordine però alla somma costituente la capitalizzazione una tantum dell’assegno di divorzio, con conseguente possibilità, concessa al tribunale, di negare rilievo all’accordo assunto dai coniugi ex art. 5, ottavo comma, l.div. cfr. A. Ceccherini, Crisi della famiglia e rapporti patrimoniali, Milano, 1991, p. 217 s.). Con il che è evidente che una siffatta possibilità di revisione annullerebbe – in maniera sicuramente più devastante della clausola rebus sic stantibus – uno dei vantaggi che i contraenti si ripromettono di ottenere, vale a dire quello di definire una volta per tutte le «pendenze» in atto al momento della crisi coniugale.

Naturalmente, nulla esclude che, in presenza dei requisiti sopra illustrati, anche tra coniugi in fase di crisi coniugale il contratto postmatrimoniale acquisti una valenza solutoria di determinate obbligazioni preesistenti e predeterminate, come avverrebbe, per esempio, nel caso in cui un coniuge, obbligato per sentenza di separazione a corrispondere un certo assegno all’altro, s’accordasse con quest’ultimo per la consegna mensile di beni di valore corrispondente alle prestazioni pecuniarie: ben si potrà parlare dunque, in questa ipotesi, di negozio solutorio (o di contratto con funzione solutoria, o di datio in solutum, a seconda dei casi) postmatrimoniale, ovvero di negozio solutorio caratterizzato da un «motivo postmatrimoniale» (per approfondimenti sui temi accennati nella presente nota si rinvia a Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 160; Id., I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 667 ss.).

[128] Nel senso che sulla presenza della res dubia ovvero della res litigiosa si dovrebbe fondare la distinzione tra negozio d’accertamento e transazione cfr., anche per ulteriori riferimenti, Costanza, Della transazione, in Commentario del codice civile, diretto da Cendon, IV, 2, Torino, 1991, p. 1791.

[129] In una pronunzia di legittimità emessa nel 1991 l’oggetto della de­cisione concerneva un accordo traslativo inserito dai coniugi separandi in un insieme di pattuizioni (definite, complessiva­mente, come transazione) relative ad un procedimento di sepa­razione personale e ad altri procedimenti giudiziari con­nessi. A tale negozio viene attribuita la natura di «modalità del più ampio accordo transattivo raggiunto tra i co­niugi nell’àmbito della loro discrezionale ed autonoma determinazione» (Cfr. Cass., 15 marzo 1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, 1787; in Corr. giur., 1991, 891, con nota di Cavallo). La relativa massima risulta dunque confezionata nei seguenti termini: «L’accordo con il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza può anche riguardare rapporti non immediatamente riferibili, né collegati in relazione causale al regime di separazione o ai diritti ed agli obblighi del perdurante matrimonio (cosiddette convenzioni familiari caratterizzate da un sostanziale parallelismo di volontà ed interessi) e pertanto può anche consistere in una transazione, ove ne rispecchi i requisiti di forma e di sostanza, sempre che non comporti una lesione di diritti inderogabili». In tempi meno remoti la medesima Corte (Cass., 12 aprile 1994, n. 4647) ha ribadito il principio secondo cui «Anche nella disciplina dei rapporti patrimoniali tra i coniugi è ammissibile il ricorso alla transazione per porre fine o per prevenire l’insorgenza di una lite tra le parti, sia pure nel rispetto della indisponibilità di talune posizioni soggettive, ed è configurabile la distinzione tra contratto di transazione novativo e non novativo, realizzandosi il primo tutte le volte che le parti diano luogo ad un regolamento d’interessi incompatibile con quello preesistente, in forza di una previsione contrattuale di fatti o di presupposti di fatto estranei al rapporto originario (nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che ha ritenuto novativa e, quindi, non suscettibile di risoluzione per inadempimento, a norma dell’art. 1976 cod. civ., la transazione con la quale il marito si obbligava espressamente, in vista della separazione consensuale, a far conseguire alla moglie la proprietà di un appartamento in costruzione, allo scopo di eliminare una situazione conflittuale tra le parti)».

[130] Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 160; per un approfondimento del concetto di «concessioni reciproche» si rinvia per tutti a D’Onofrio, Della transazione, in Commentario del codice civile, diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1959, p. 192 ss.; Palazzo, La Transazione, in Tratt. Rescigno, 13, Torino, 1985, p. 303 ss.; Valsecchi, Il giuoco e la scommessa. La transazione, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Milano, 1986, p. 216 ss.; Del Prato, La transazione, Milano, 1992, 26 ss.; in giurisprudenza v. da ultimo Cass., 19 marzo 1999, n. 2526, in Contratti, 1999, p. 1113, con nota di Romeo.

[131] Quanto sopra esposto non impedisce che in concreto, caso per caso, un contratto concluso in occasione della crisi coniugale possa rivelare la presenza della causa transactionis, come ammesso dalla stessa dottrina che pure nega la possibilità di ravvisare in linea di massima la presenza di una siffatta ragione giustificatrice nei negozi traslativi di diritti in sede di separazione o di divorzio (così Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, cit., p. 270), purché gli estremi della figura negoziale disciplinata dagli artt. 1965 ss. siano riconoscibili (per approfondimenti sul tema cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 106 ss.).

[132] Jemolo, Convenzioni in vista di annullamento di matrimonio, in Riv. dir. civ., 1967, II, p. 530.

[133] Per i richiami cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 696 ss.

[134] Cfr. per esempio Cass., 5 luglio 1984, n. 3940, cit.; Cass., 15 marzo 1991, n. 2788, cit.; Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270, in Dir. fam., 1994, p. 563; Cass., 22 gennaio 1994, n. 657, in Dir. fam., 1994, p. 868.

[135] Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 709 s.

[136] Si noti che aderire alla tesi della causa tipica (giusfamiliare) comporta, tra l’altro, che i contratti della crisi coniugale vadano ascritti al novero di quelli che, ex art. 11, d.lgs. 70/2003, sono sottratti alla disciplina che ha recepito la normativa comunitaria in tema di commercio elettronico, dal momento che l’art. cit. richiama espressamente i «contratti disciplinati dal diritto di famiglia».

[137] Cfr. Cass., 23 marzo 2004, n. 5741, in Arch. civ., 2004, p. 1026; nello stesso senso v. anche la successiva Cass., 14 marzo 2006, n. 5473.

[138] Cass., 8 novembre 2006, n. 23801, in Foro it., 2007, I, c. 1189; Cass., 24 aprile 2007, n. 9863.

[139] Così invece P. Carbone, I trasferimenti immobiliari in occasione della separazione e del divorzio, in Notariato, 2005, p. 627, nonché, piuttosto superficialmente, La Spina, Accordi in sede di separazione e assolvimento dell’obbligo di mantenimento del coniuge mediante corresponsione una tantum, in Riv. dir. civ., 2010, p. 453.

[140] Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 473 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 45 ss., 203 ss.

[141] Profili, questi, su cui v. per tutti Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 163 ss., 166 ss.; Id., I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1267 ss., 1327 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 167 ss., 195 ss., 283 ss.; Id., I trasferimenti patrimoniali in occasione della separazione e del divorzio, in Familia, 2006, p. 181 ss. e ora anche P. Carbone, I trasferimenti immobiliari in occasione della separazione e del divorzio, cit., p. 622 ss.

[142] Naturalmente il termine «giudiziale» è qui inteso non nel senso in cui la separazione giudiziale viene contrapposta a quella consensuale, ma unicamente per denotare il particolare tipo di occasione in cui l’atto traslativo si opera, caratterizzata dalla presenza del giudice (sul carattere comunque giurisdizionale dell’attività di volontaria giurisdizione, tema che non può essere qui sviluppato, si fa rinvio per tutti a Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990, I, p. 393 ss.), fermo restando che non è il provvedimento giurisdizionale, bensì la volontà delle parti ad operare gli effetti traslativi dalle stesse perseguiti. Si noti poi che, anche con riguardo ai trasferimenti non effettuati di fronte al giudice può porsi una successiva fase giudiziale (e questa volta l’aggettivo «giudiziale» denota veramente la presenza di un procedimento contenzioso!), allorquando l’obbligato si rifiuti di adempiere all’impegno traslativo in precedenza assunto.

[143] Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 69 ss.

[144] Contrariamente a quanto asserito da Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, p. 391.

[145] Cass., 4 febbraio 1941, n. 345.

[146] Cass., 12 giugno 1963, n. 1594.

[147] Cass., 7 giugno 1966, n. 1495.

[148] Cass., 11 novembre 1992, n. 12110.

[149] La massima della pronunzia recita pertanto: «Il patto fra coniugi con il quale si prevedano trasferimenti immobiliari a regolamentazione dei reciproci rapporti patrimoniali ed a tacita­zione dell’obbligo di mantenimento non integra donazione stante la predetta funzione solutoria; tale patto peraltro deve ritenersi valido ed operante anche quando sia inserito in accordi di separazione di fatto alla stregua della liceità di tali accordi pur se non idonei a produrre gli effetti della separazione legale» (Cass., 17 giugno 1992, n. 7470, cit.).

[150] Cass., 15 maggio 1997, n. 4306, in Fam. dir., 1997, p. 417, con nota di Caravaglios; in Riv. notar., 1998, II, p. 171, con nota di Gammone.

[151] La lettura della motivazione per esteso evidenzia che i temi affrontati dalla Corte Suprema vanno ben al di là di ciò che la massima ufficiale lascia trasparire. Sintetizzando per sommi i capi i molteplici punti trattati, può dirsi che la Cassazione, oltre ad affermare la natura di atto pubblico del verbale di separazione consensuale anche ai fini della trascrizione in merito agli atti di trasferimento di diritti immobiliari in esso eventualmente contenuti, ribadisce i seguenti principi di diritto: (a) Carattere negoziale della separazione consensuale, intesa come «negozio di diritto familiare»; (b) Distinzione tra contenuto necessario e contenuto eventuale dell’accordo di separazione; (c) Individuazione della causa delle intese in oggetto nella finalità di «regolare l’assetto economico dei rapporti tra coniugi in conseguenza della separazione»; (d) Possibilità di inserire nel verbale redatto dinanzi al presidente del tribunale ogni intesa ritenuta dai coniugi stessi necessaria in relazione all’accordo di separazione; (e) Idoneità del verbale di separazione consensuale a recepire non solo negozi traslativi a titolo oneroso, ma anche «trasferimenti gratuiti», con un’apertura, dunque, alla possibilità di inserimento di donazioni; (f) Possibilità che, in sede di scioglimento della comunione legale, i coniugi pattuiscano esclusioni di beni dalla comunione medesima, a condizione che ciò avvenga con effetto a decorrere dal momento in cui la comunione avrà cessato d’esistere; (g) Automatica sottoposizione dell’accordo di separazione, anche nella parte contenente trasferimenti immobiliari, all’omologazione, con la conseguenza che in esso i coniugi ben possono disporre di diritti su beni della comunione, posto che gli atti traslativi prendono effetto nel momento in cui la comunione cessa d’esistere; (h) Presentazione di un dubbio (anche se a livello di mero obiter, dubbio comunque superato oggi dalla sentenza 10 maggio 1999, n. 154 della Corte costituzionale) circa l’effettiva sottoponibilità degli atti in oggetto al regime fiscale favorevole di cui all’art. 8, lett. f) d.p.r. 26 aprile  1986, n. 131.

[152] Cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 85 ss.

[153] Cfr. Cass., 30 agosto 1999, n. 9117: «E’ valida ed efficace la clausola di accordo di separazione sia che riconosca a uno o a entrambi i coniugi la pro­prietà esclusiva di singoli beni mobili o immobili, sia che ne operi il trasferimento in favore di uno di loro al fine di assicurarne il mantenimento, e sia, ancora, che impe­gni uno dei coniugi a compiere quel trasferimento al fine di provvedere al mantenimento della prole. (Nel caso di specie la moglie aveva chiesto la divisione di un immobile la cui quota di comproprietà essa si era però in precedenza, in sede di verbale di separazione consensuale, impegnata a trasferire alla figlia, maggiorenne, ma non autosufficiente. La C.S. conferma le decisioni di merito che avevano rigettato la domanda dell’attrice, trasferendo ex art. 2932 c.c. in capo alla figlia, volontariamente intervenuta nel giudizio tra i genitori, la quota di comproprietà della madre)». «Appare congruamente motivata la decisione della corte di merito che, in forza della interpretazione dell’accordo di separazione, fondata su una applicazione delle regole ermeneutiche dei contratti, applicabili in via di principio anche agli altri negozi (art. 1324 c.c.), e con argomentazione coerente sul piano logico, escluda che l’impegno assunto dalla moglie in sede di separazione consensuale di trasferire una quota di comproprietà ad un figlio maggiorenne ma non autosufficiente sia riconducibile alla donazione, afferendo invece tale impegno, per suo stesso oggetto e sede di assunzione, alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, finalizzato specificamente all’adempimento dell’obbligo proprio della moglie al mantenimento della prole, cui si correlava quello omologo del marito» (massime non ufficiali). V. inoltre Cass., 2 luglio 2010, n. 15780, secondo cui «È nel potere dei coniugi, e quindi, nell’esercizio della propria autonomia, fatti salvi i diritti inderogabili della prole, determinare la misura dell’obbligo di mantenimento nonché il modo di adempierlo. Pertanto, è parimenti indiscusso che sono valide le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno dei coniugi la proprietà esclusiva di beni immobili, ovvero ne operino il trasferimento ad uno di essi per assicurarne il mantenimento. Allo stesso modo sono valide altre, atipiche forme di accordo che, pur con la partecipazione di un terzo, abbiano la medesima causa solutoria».

[154] Cfr. ad es. Cass., 12 maggio 1999, n. 4716; Cass., 12 maggio 2000, n. 6065; in Fam. dir., 2000, p. 437; Cass., 17 febbraio 2001, n. 2347; Cass., 3 dicembre 2001, n. 15231; Cass., 22 maggio 2002, n. 7493; Cass., 14 maggio 2003, n. 7437.

[155] Cfr. Cass.,5 settembre 2003, n. 12939, in Dir. fam., 2004, p. 66.

[156] Cfr. Cass., 23 marzo 2004, n. 5741, cit.

[157] Cfr. Cass., 17 giugno 2004, n. 11342, su cui v. § 17.

[158] Cfr. Cass., 30 maggio 2005, n. 11458, su cui v. § 17.

[159] Il tema è stato sviluppato in Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1143 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 149 ss.

[160] Sul punto cfr. Trib. Bolzano, 15 dicembre 1967, in Rep. Giur. it., 1968, voce «Separazione dei coniugi», 46, in tema di cessione di un’azienda, da parte del marito alla moglie, all’atto della separazione consensuale.

[161] Così, in particolare, una prima pronunzia di legittimità (Cass., 29 marzo 1956, n. 915, in Giust. civ., 1956, I, p. 1272) ha fatto applicazione diretta alla fattispecie degli artt. 1476, n. 2 e 1478 c.c., mentre una seconda (Cass., 13 gennaio 1977, n. 160, in Rass. giur. Enel, 1977, p. 585), pur prendendo le mosse dalla constatazione secondo cui la vendita ha per oggetto il trasferimento e non la costituzione di un diritto, ha ritenuto analogicamente applicabili gli artt. 1483 e 1485 c.c. (Sul punto cfr. per tutti Oberto, Vendita «di cose» e vendita «di diritti» nell’art. 1470, in Riv. dir. priv., 1998, p. 532 ss.; Id., L’oggetto della vendita in generale, in Aa. Vv., La vendita, a cura di Bin, I, 2, La formazione del contratto. Oggetto ed effetti in generale, Padova, 1999, p. 735 ss., 744 ss.).

[162] Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 321 ss., II, cit., p. 1407 ss.

[163] Cass., 15 maggio 1997, n. 4306, cit.

[164] In particolare, dagli artt. 1350, 1376 e 2932 c.c. discenderebbe che con tali atti i soggetti potrebbero soltanto obbligarsi a trasferire la proprietà di beni, mentre l’effetto reale potrebbe prodursi o a seguito della stipula di apposito negozio traslativo, in ottemperanza alle obbligazioni assunte, ovvero mediante sentenza costitutiva, a norma dell’art. 2932 c.c. Proprio sulla base di tale assunto un giudice di merito ha ritenuto di dover respingere l’istanza di omologazione della separazione consensuale dei coniugi contenente trasferimenti di diritti reali immobiliari (cfr. Trib. Bergamo, 19 ottobre 1984, in Giust. civ., 1985, I, p. 216; in Riv. notar., 1985, II, p. 926; nel senso che l’accordo concluso tra i coniugi dinanzi al presidente del tribunale o al collegio potrebbe avere esclusivamente effetto obbligatorio, impegnando i contraenti alla successiva stipula di un atto pubblico definitivo cfr. anche Trib. Firenze, 29 settembre 1989, in Riv. notar., 1992, II, p. 595, con nota di Brienza).

[165] Cfr. Brienza, Attribuzioni immobiliari nella separazione consensuale, in Riv. notar., 1990, I, p. 1412; Id., Attribuzioni immobiliari nella separazione e nel divorzio consensuali, in Riv. notar., 1992, I, p. 604; cfr. inoltre Vaglio, Imposta di registro: un caso di evasione di imposta legalizzata, in Riv. dir. tribut., 1993, p. 436 s.; Id., Atto giudiziario di assegnazione della casa familiare al coniuge separato o divorziato e imposta di registro, in Fisco, 1994, p. 1933.

[166] Per la critica cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 167 ss.

[167] In questo senso cfr. Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, 1, Milano, 1966, p. 80; Tondo, Sull’idoneità dei verbali di conciliazione alle formalità pubblicitarie, in Foro it., 1987, I, c. 3134; per il carattere di atto pubblico e di titolo esecutivo di un verbale di conciliazione giudiziale tra coniugi v. Trib. Firenze, 26 agosto 1987, in Giur. mer., 1988, p. 756, con nota di Pazienza.

[168] Per quanto attiene alle peculiarità del verbale dell’udienza collegiale di divorzio cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 232 ss.

[169] Andrioli, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, p. 216 s.; cfr. inoltre, con specifico riferimento al caso del verbale d’udienza presidenziale in sede di separazione consensuale, Id., Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, p. 343; contra Gazzoni, La trascrizione immobiliare, I, Artt. 2643-2645-bis, c.c., Milano, 1998, p. 688, secondo cui il cancelliere «non è di certo il pubblico ufficiale che riceve l’atto, sol perché lo scrive sotto dettatura»: ma l’opinione sembra risentire della confusione – stigmatizzata in altre sedi da chi scrive (cfr. Oberto, Il giudizio di primo grado dopo la riforma del processo civile, in Giur. it., 1991, IV, c. 320; Id., Les éléments de fait réunis par le juge : l’administration judiciaire de la preuve dans le procès civil italien, in Rev. int. dr. comp., 1998, p. 801) – tra direzione, secondo quanto stabilito ex art. 130 c.p.c. e dettatura, secondo una prassi che, sebbene invalsa per effetto della ben nota e sciagurata penuria di mezzi che affligge la giustizia civile, si pone manifestamente contra legem.

[170] Andrioli, Commento al codice di procedura civile, cit., p. 343.

[171] Cass., 25 maggio 1966, n. 1344, in Giust. civ., 1967, I, p. 385; in Foro it., 1967, I, c. 803; in Foro pad., 1966, I, c. 1102; in Riv. notar., 1966, II, p. 840: «L’art. 57 cod. proc. civ. attribuisce ai cancellieri funzioni giurisdizionali di documentazione in relazione alle attività proprie degli organi giudiziari e delle parti. Pertanto gli atti redatti dai cancellieri, o formati con il loro concorso, nell’ambito delle funzioni attribuite e con l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge, costituiscono atti pubblici, la cui falsificazione deve essere fatta valere mediante querela di falso (nella specie, si trattava del verbale e del registro di udienza e del frontespizio del fascicolo d’ufficio)»; v. inoltre Cass., 7 aprile 1981, n. 1971, in Mass. giur. lav., 1981, p. 391 e in Prev. sociale, 1981, p. 1421; Cass., 9 marzo 1984, n. 1639; Cass., 8 marzo 1988, n. 2349; Cass., 19 dicembre 1991, n. 13671; Cass., 2 agosto 2002, n. 11541; in dottrina cfr. Crisci, Atto pubblico (dir. civ.), in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 268 s.; Andrioli, Commento al codice di procedura civile, cit., p. 343; Candian, Documentazione e documento (teoria generale), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, p. 583; Comoglio, Le prove, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 19, I, Torino, 1985, p. 258, nota 16.

[172] Cfr. Cass., 20 aprile 2007, n. 9389: «La mancata assistenza del cancelliere nella formazione del processo verbale di udienza o l’omessa sottoscrizione del detto verbale da parte del cancelliere stesso non comportano l’inesistenza o la nullità dell’atto, in quanto la funzione del cancelliere ha soltanto natura integrativa di quella del giudice e le predette mancanze non incidono sull’idoneità dell’atto al concreto raggiungimento degli scopi cui è destinato». Nello stesso senso cfr. anche Cass., 19 novembre 2009, n. 24436, in Fam. Pers. Succ., 2010, p. 340 nota di C. Irti.

[173] Su cui v. per una critica Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 181 ss.

[174] Per i richiami dottrinali e giurisprudenziali cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 195 ss.

[175] Su cui v. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 154 ss.

[176] Sesta, Contratto a favore di terzo e trasferimento dei diritti reali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, p. 966.

[177] «Si devono rendere pubblici…», così esordisce la norma citata.

[178] Su cui v. approfonditamente, anche per gli ulteriori richiami, Sesta, Contratto a favore di terzo e trasferimento dei diritti reali, cit., p. 967 ss.

[179] Per ciò che attiene ai soggetti tenuti ad effettuare la trascrizione ex artt. 2671, ma anche ex artt. 6, d.lgs. 347/1990 e 1176 (notaio, cancelliere ed eventualmente avvocato) si fa rinvio a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 196 ss.

[180] Per una trattazione dettagliata della questione cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 225 ss.

[181] Su cui v. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 303 ss.

[182] In questo senso cfr. Trib. Roma, 18 dicembre 1977, in Foro it., 1978, I, c. 1305.

[183] Per questa soluzione cfr. Trib. Mantova, 26 gennaio 1988, in Angeloni, Rinunzie, transazione e arbitrato nei rapporti familiari, Padova, 1999, p. 1938 ss.; la pronunzia è stata però riformata in parte qua da App. Brescia, 30 giugno 1988, ivi, p. 1918, secondo cui, qualora le parti abbiano direttamente operato, nel ricorso congiunto, il trasferimento di un diritto reale immobiliare (peraltro chiedendo, nelle conclusioni, di operare con sentenza il trasferimento), il giudice può dichiarare l’autenticità delle sottoscrizioni apposte dai coniugi sul ricorso medesimo.

[184] Per una disamina di ulteriori profili circa gli inconvenienti ed i rischi cui possono andare incontro i trasferimenti «fai da te», quali la c.d. «funzione di adeguamento» e l’eventuale responsabilità per il mancato conseguimento dell’effetto traslativo, l’identificazione dei soggetti e dell’oggetto del trasferimento, gli incombenti imposti dalla disciplina urbanistica (quelli relativi alla disciplina fiscale sono invece stati eliminati dalla l. 29 luglio 2003, n. 229), l’eventuale «pubblicità sanante», i timori di strumentalizzazione dei trasferimenti in questione ai fini di frode alla legge, frode ai creditori o elusione fiscale, nonché sul paventato «conflitto di competenza» tra magistratura e notariato, cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 239 ss.

[185] Cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 239 ss.

[186] «1.bis. Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da una attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari».

[187] Cfr. ad es. il protocollo del Tribunale di Torino, in Riv. notar., 1995, p. 1101.

[188] Cfr. le istruzioni dal titolo «Trasferimenti immobiliari nei procedimenti di separazione consensuale» fornite dal Tribunale di Bologna (in http://groups.google.it/group/legalit/attach/2c2ff958a4055875/Indicazioni+trasferimenti+immobiliari+nei+procedimenti+di+separazione+consensuale+(modello+Tribunale+Bologna).PDF?part=4). Per ciò che attiene alle iniziative forensi v. ad es. http://www.aiaf-avvocati.it/files/2010/11/TRIB-PORDENONE-Trasferimenti-immobiliari-A-13-04-11.doc; http://www.ordineavvocatiferrara.it/Documenti/PROTOCOLLO%20TRASFERIMENTI%20IMMOBILI.PDF. Per una dettagliata rassegna delle varie prese di posizione in diversi tribunali italiani si fa rinvio a Landini, La normativa in materia di conformità dei dati catastali e i trasferimenti immobiliari in sede di separazione e di divorzio, in Fam. pers. succ., 2012, 44 ss.

[189] In particolare, il Tribunale di Milano – che in passato aveva emanato una circolare «allo scopo di consentire la regolare esecuzione degli atti di trasferimenti immobiliari tra coniugi contenuti nei procedimenti di separazione consensuale e di divorzio congiunto» (in http://www.ordineavvocatimilano.it/html/pdf/TRASF_IMMOB.pdf) – ha successivamente dato disposizioni alla Cancelleria (con circolare del presidente della IX sezione civile del 9 marzo 2009) di sospendere l’iscrizione a ruolo dei procedimenti comportanti il diretto trasferimento di beni immobili e di ammettere esclusivamente quelli contenenti «l’impegno a trasferire». Analoga decisione è stata adottata negli anni più recenti a Torino, così come in numerosi altri tribunali d’Italia.

[190] V. supra, § 7.

[191] Sull’ammissibilità di negozi traslativi a causa esterna, cui perviene da tempo la più autorevole dottrina (cfr. Giorgianni, Causa, cit., p. 564 ss.; Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio. Appunti dalle lezioni, II, Milano, 1967, p. 42 ss.; Mengoni, Gli acquisti a non domino, Milano, 1975, p. 200 ss.), cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 266 ss.

[192] Si pensi ai diritti di usufrutto, uso o abitazione. Naturalmente, l’accertamento della conclusione dell’uno o dell’altro tipo di negozio (immediatamente traslativo, cioè, oppure meramente obbligatorio) costituisce una quaestio facti, da valutarsi caso per caso alla luce degli usuali criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 ss. c.c., applicabili agli accordi di cui qui si discute, dotati di natura contrattuale, per quanto attiene agli aspetti patrimoniali.

[193] Cfr. Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi causa, in Riv. dir. civ., 1989, II, p. 246 ss.; Id., Obbligazioni di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 48 ss.

[194] Cfr. V. Mariconda, Il pagamento traslativo, in Contr. impr., 1988, p. 736 s.; Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi causa, cit., p. 244; A. Ceccherini, Crisi della famiglia e rapporti patrimoniali, cit., p. 132; Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 165 s.

[195] Cfr. Metitieri, La funzione notarile nei trasferimenti di beni tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 1166.

[196] Cfr. Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi causa, cit., p. 244; Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 166.

[197] Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, su cui v. infra, § 17: «Allorché taluno, in sede di separazione coniugale consensuale, assume l’obbligo di provvedere al mantenimento di una figlia minore, impegnandosi a tal fine a trasferirle un determinato bene immobile, pone in essere con il coniuge un contratto preliminare a favore di terzo. Quando poi in esecuzione di detto obbligo, dichiara per iscritto di trasferire alla figlia tale bene, avvia il processo formativo di un negozio che, privo della connotazione dell’atto di liberalità, esula dalla donazione ma configura una proposta di contratto unilaterale, gratuito e atipico, che, a norma dell’art. 1333 c.c., in mancanza del rifiuto del destinatario entro il termine adeguato alla natura dell’affare, e stabilito dagli usi, determina la conclusione del contratto stesso e, quindi, l’irrevocabilità della proposta».

[198] Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi causa, cit., p. 238: «Il padre si obbliga verso il coniuge a trasferire un bene alla figlia, per adempire l’obbligo legale del suo mantenimento; questo sarebbe un preliminare a favore del terzo. Ma preliminare di che cosa? Risponde la Corte: è preliminare non di donazione, né di vendita, ma di un negozio traslativo solvendi causa. Ovvero: il negozio in cui vi è l’assunzione di un’obbligazione è il preliminare dell’atto di adempimento di quella obbligazione. In realtà nel verbale di separazione non vi è alcun preliminare ma una dichiarazione negoziale con cui il genitore si obbliga a compiere un atto traslativo solvendi causa. Secondo la Corte, il negozio in cui si esplica l’autonomia contrattuale è il secondo, che opera il trasferimento; e così il negozio che obbliga a trasferire viene inquadrato nell’area dei negozi preparatori. L’argomentazione va invece capovolta: l’atto di autonomia è il primo, con cui il genitore si obbliga a dare; il secondo negozio è un atto meramente solutorio, il cui compimento è coercibile in forma specifica ex art. 2932». Per un commento alla pronunzia in esame cfr. anche Costanza, Art. 1333 e trasferimenti immobiliari solutionis causa, nota a Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, in Giust. civ., 1988, I, p. 1241 ss.; V. Mariconda, Art. 1333 e trasferimenti immobiliari, nota a Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, in Corr. giur., 1988, p. 146 ss.; V. Mariconda, Il pagamento traslativo, cit., p. 735 ss.; Sciarrone Alibrandi, Pagamento traslativo e art. 1333 c.c., in Riv. dir. civ., 1989, II, p. 525 ss.; Gazzoni, Babbo Natale e l’obbligo di dare, nota a Cass., 9 ottobre 1991, n. 10612, in Giust. civ., I, 1991, p. 2895; Maccarone, Obbligazione di dare e adempimento traslativo, in Riv. notar., 1994, I, p. 1319 ss.; Di Majo, Causa e imputazione negli atti solutori, in Riv. dir. civ., 1994, I, p. 781 ss.

[199] Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 267 ss.

[200] Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, su cui v. infra, § 17.

[201] In questo senso cfr. V. Mariconda, Art. 1333 e trasferimenti immobiliari, cit., p. 149 ss.; Id., Il pagamento traslativo, cit., p. 758 s.; Camardi, Principio consensualistico, produzione e differimento dell’effetto reale, in Contr. impr., 1998, p. 595 ss.; cfr. anche Dogliotti, Separazione e divorzio, Torino, 1995, p. 11, in senso dubitativo e con specifico riferimento all’ipotesi dei trasferimenti in favore dei figli.

[202] Sacco, Il contratto, cit., p. 44 ss.; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1987, p. 264; Sacco e De Nova, Il contratto, I, cit., p. 75 ss.; cfr. anche Rimini, Il problema della sovrapposizione dei contratti e degli atti dispositivi, Milano, 1995, p. 288 s.; Sesta, Contratto a favore di terzo e trasferimento dei diritti reali, cit., p. 956; Maccarone, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contr. impr., 1998, p. 665 ss.

[203] Cfr. Sciarrone Alibrandi, Pagamento traslativo e art. 1333 c.c., cit., p. 535 ss., cui si fa rinvio per gli ulteriori richiami dottrinali.

[204] Proposto da V. Mariconda, Art. 1333 e trasferimenti immobiliari, cit., p. 151; Id., Il pagamento traslativo, cit., p. 764.

[205] L’obiezione vale anche, ad avviso di chi scrive, a contrastare l’opinione secondo la quale il ricorso all’art. 1333 c.c. in relazione agli effetti reali sarebbe ammesso «quando il consenso all’acquisto è espresso in sede di programmazione dell’acquisto medesimo, mediante un contratto che lo prevede quale effetto di un futuro atto di trasferimento, a sua volta previsto come dovuto, e che nella stessa sede si provvede a giustificare sul piano della causa» (così Camardi, Principio consensualistico, produzione e differimento dell’effetto reale, cit., p. 596), dal momento che in tal caso verrebbe meno l’ostacolo che si frappone all’utilizzo della procedura semplificata per l’acquisto dei diritti reali, costituito dal fatto che l’acquisizione di un diritto su di un bene può accompagnarsi ad oneri e rischi in capo al titolare (Camardi, op. loc. ultt. citt.). Il problema, invero, non è costituto tanto dalla possibilità che l’acquisto si dimostri oneroso, quanto dall’assoluta impossibilità di documentare (e, prima ancora, di costituire) con la certezza dello scritto (e il discorso vale, ovviamente, tanto per la scrittura privata che per l’atto pubblico) l’an e il quando dell’acquisto stesso.

[206] Costanza, Art. 1333 e trasferimenti immobiliari solutionis causa, cit., p. 1242 s.; Maccarone, Obbligazione di dare e adempimento traslativo, cit., p. 1329.

[207] Sciarrone Alibrandi, Pagamento traslativo e art. 1333 c.c., cit., p. 525 ss., 544 ss.; Gazzoni, Babbo Natale e l’obbligo di dare, cit., p. 2900; De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, I, Milano, 1991, p. 238, nota 242, il quale non esclude peraltro neppure la via contrattuale; Gazzoni, Trascrizione del preliminare di vendita e obbligo di dare, in Riv. notar., 1997, p. 42 ss., che trae argomenti dal termine atto impiegato dall’art. 2645-bis, c. 2 e 3, c.c.; per una rassegna delle variegate opinioni in tema di atto traslativo solutionis causa si rinvia a V. Mariconda, Il pagamento traslativo, cit., p. 740 ss.; sui rapporti tra pagamento traslativo e condictio indebiti cfr. Gallo, Arricchimento senza causa e quasi contratti (i rimedi restitutori), in Tratt. Sacco, Torino, 1996, p. 124 ss.

[208] In senso contrario cfr. Carresi, Il contratto con obbligazioni del solo proponente, in Riv. dir. civ., 1974, I, p. 393 ss.; Sacco, Il contratto, cit., p. 46 ss.; Maccarone, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, cit., p. 660 ss.; favorevoli invece alla struttura unilaterale dell’atto traslativo solvendi causa appaiono L. Ferri, Della trascrizione immobiliare, in Commentario del codice civile, diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1955, p. 80 s.; Benatti, Il pagamento con cose altrui, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1976, p. 480 ss.; Moscati, Pagamento dell’indebito, in Commentario del codice civile, diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 200; Gazzoni, Babbo Natale e l’obbligo di dare, cit., p. 2900; Sacco e De Nova, Il contratto, I, cit., p. 80 s. (peraltro a condizione che sussista «un interesse precostituito e tipico dell’oblato all’appropriazione»); Gazzoni, Trascrizione del preliminare di vendita e obbligo di dare, cit., p. 19 ss., 41 ss.

[209] In questo senso cfr. A. Ceccherini, Crisi della famiglia e rapporti patrimoniali, cit., p. 132; Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 166.

[210] Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi causa, cit., p. 238; A. Ceccherini, Crisi della famiglia e rapporti patrimoniali, cit., p. 132; Rimini, Il problema della sovrapposizione dei contratti e degli atti dispositivi, cit., p. 291; Dogliotti, Separazione e divorzio, cit., p. 11; A. Ceccherini, I rapporti patrimoniali nella crisi della famiglia e nel fallimento, Milano, 1996, p. 211; per la giurisprudenza v., ancorché in obiter, Cass., 2 dicembre 1991, n. 12897, in relazione all’impegno assunto dal marito a costituire un diritto d’usufrutto in favore della moglie separata su di un alloggio.

[211] Sul tema si fa rinvio a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 277 ss., anche per i necessari approfondimenti in tema di esecuzione in via coattiva dell’impegno a trasferire in favore della prole.

[212] Sulla funzione dell’omologazione e sui suoi rapporti con l’intesa di separazione consensuale cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 258 ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., p. 227 ss. Per alcuni rilievi di carattere storico sul tema cfr. Id., I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 90 ss., 246 ss.; cfr. inoltre Id., Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, cit., c. 1317 ss.

[213] Nel senso che «In tema di separazione consensuale, il regolamento concordato fra i coniugi ed avente ad oggetto la definizione dei loro rapporti patrimoniali, pur trovando la sua fonte nell’accordo delle parti, acquista efficacia giuridica solo in seguito al provvedimento di omologazione» v. da ultimo Cass., 9 aprile 2008, n. 9174. Sul tema dei rapporti tra omologazione e volontà delle parti v. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 179 ss., 246 ss., 267; Id., Volontà dei coniugi e intervento del giudice nelle procedure di separazione consensuale e di divorzio su domanda congiunta, in Dir. fam. pers., 2000, p. 771 ss.

[214] Trib. Bergamo, 15 novembre 1984, in Giust. civ., 1985, I, p. 215; in Riv. notar., 1985, II, p. 926; nel senso dell’ammissibilità di un immediato scioglimento della comunione in sede di udienza presidenziale di separazione cfr. App. Brescia, 4 dicembre 1984, in Vita notar., 1984, p. 1595. Sull’omologazione come mero elemento integrativo dell’efficacia dell’accordo di separazione consensuale si fa rinvio per tutti a Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 258 ss.

[215] Cass., 15 maggio 1997, n. 4306, cit.

[216] Metitieri, op. cit., p. 1162 s.; nello stesso senso Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 173; sostiene l’opportunità di condizionare espressamente il regolamento patrimoniale della separazione consensuale all’efficacia del provvedimento di omologazione anche Briganti, op. cit., p. 7.

[217] Già esposte in Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 173; Idem, I contratti della crisi coniugale, cit., p. 710 ss.

[218] De Paola, I trasferimenti immobiliari nella crisi familiare, relazione presentata all’incontro di studio sull’argomento: «Temi attuali del diritto di famiglia», organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura e tenuto a Frascati dal 28 al 30 ottobre 1999, (testo dattiloscritto), p. 36 s.

[219] Cass., 23 giugno 1998, n. 6234; in dottrina sul carattere indisponibile della quota in regime di comunione legale v. per tutti Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, I, 1, Milano, 1979, p. 121 s., 126 che però ammette la donazione della quota in favore dell’altro coniuge; il problema, che non può certo essere sviluppato in questa sede, appare strettamente connesso a quello delle rinunzie preventive al coacquisto e degli atti di estromissione di singoli beni dalla comunione (su cui v. per tutti Gabrielli, Scioglimento parziale della comunione legale fra coniugi. Esclusione dalla comunione di singoli beni e rifiuto preventivo del coacquisto, in Riv. dir. civ., 1988, I, , p. 341 ss., 356 ss., nonché, successivamente, Surdi, Sull’estromissione di singoli beni dalla comunione legale tra coniugi, in Dir. fam. pers., 1999, p. 1454 ss.): se è vero, infatti, che l’indisponibilità della quota – non espressamente sancita da alcuna norma del vigente ordinamento – può desumersi dalla constatazione secondo cui la ammissibilità di un negozio dispositivo di tal fatta verrebbe a configurare un’ipotesi non prevista dall’art. 191 c.c. di scioglimento del regime legale, che non può sussistere se non tra i coniugi, è altrettanto vero che l’obiezione non vale più nei rapporti tra coniugi, i quali in ogni momento possono – ovviamente, se d’accordo – optare per il regime di separazione dei beni (per analoghe considerazioni cfr. Gabrielli, Scioglimento parziale della comunione legale fra coniugi. Esclusione dalla comunione di singoli beni e rifiuto preventivo del coacquisto, cit., p. 358 s.).

[220] Così De Paola, I trasferimenti immobiliari nella crisi familiare, cit., p. 37, nota 82.

[221] Sul punto v. per tutti Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 438 s.; Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, 1, cit., p. 198 s.

[222] Sulla disposizione citata cfr. per tutti Scognamiglio, Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile, diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 364 ss., secondo cui la norma si riferisce soprattutto ai contratti ad efficacia reale, i cui effetti si realizzeranno nel momento in cui la cosa viene ad esistenza.

[223] Cass., 25 ottobre 1972, n. 3299, cit.

[224] Trib. Pistoia, 1° febbraio 1996, in Riv. notar., 1997, II, p. 1421, con nota di Givri (erroneamente indicato quale Giuri). Nello stesso senso cfr. anche Trib. Genova, 19 giugno 1980, in C.E.D. - Corte di cassazione, Arch. MERITO, pd. 810059: «L’esecuzione dell’obbligazione di mantenimento fra coniugi, mediante attribuzione definitiva di bene immobile estingue, totalmente o definitivamente, l’obbligazione stessa. Si tratta, invero, di un assetto d’interessi che rimane nell’ambito della discrezione ed autonoma determinazione dei coniugi stessi, i quali assumono – entrambi – a proprio carico il rischio economico della sopravvenienza di situazioni che rendano l’attribuzione inadeguata, in difetto o in eccesso. Tale efficacia estintiva non coinvolge, peraltro, il diritto-dovere inerente alla prestazione alimentare, che può essere sempre richiesta dal coniuge ‘bisognoso’ all’altro che abbia capacità di adempiere».

[225] Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p.  165.

[226] Un’opinione assai simile è espressa da Dogliotti, Separazione e divorzio, cit., p. 20: «Vi è un termine di efficacia per gli accordi extragiudiziali? Le clausole del verbale presidenziale vengono meno con la riconciliazione (…), che fa cessare ogni ef­fetto della separazione; così il divorzio detta una nuova regolamentazione. E da ritenere che anche gli accordi esterni al verbale seguano tale sorte, essendo stati conclusi in vista della separazione, salvo che le parti intendessero (ma la loro volontà dovrebbe essere ac­certata con particolare rigore) la permanenza della regolamentazione al di là delle vicende del rapporto coniugale. In maniera differente vanno invece considerati gli accordi relativi ad atti traslativi, con attribuzioni reciproche da un coniuge all’altro, dal genitore al figlio, ecc. (…). In tal caso il contenuto stesso e gli effetti dell’accordo fanno presumere che le parti abbiano inteso procedere ad una regolamentazione definitiva. Un diverso intendimen­to (limitazione dell’efficacia al permanere delle medesime condizioni di fatto, cessazione con la riconciliazione od il divorzio, ecc.) dovrebbe emergere con chiarezza (e ancora una volta l’eventuale accertamento dovrebbe essere molto rigoroso)»; sostanzialmente nello stesso senso Briguglio, Separazione personale dei coniugi (diritto civile), 1970, cit., p. 11 (il quale fa al riguardo l’esempio della donazione conclusa in favore dei figli contestualmente all’accordo di separazione, che resta in vita anche dopo la fine dello stato di separazione conseguente alla riconciliazione); Alpa e Ferrando, op. cit., p. 509 s.; v. inoltre Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, cit., p. 340 ss. (secondo cui «la riconciliazione, anche per il suo carattere ‘informale’, opera sul piano personale e non sui rapporti patrimoniali tra i coniugi»; il medesimo autore rileva inoltre che gli accordi traslativi rimangono «pienamente efficaci perché il presupposto di efficacia (separazione personale) da cui sono (possono essere) ‘dipendenti’ si è verificato» ed inoltre perché tali negozi «in quanto connessi ai noti principi della certezza del traffico giuridico e della tutela dei terzi, hanno (debbono avere) un carattere di stabilità che non può essere condizionato alla (potestativa) volontà di riconciliazione tra i coniugi»). Contra, Zatti, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, 1982, cit., p. 128 nota 18, secondo cui nel caso di specie occorrerebbe «pensare ad atti di restituzione».

[227] Nel senso che l’accordo di riconciliazione è una convenzione di diritto familiare, cui sono applicabili le norme in tema di contratto, cfr. Cass., 29 aprile 1983, n. 2948, in Giur. it., 1983, I, 1, c. 1233.

[228] Nello stesso senso cfr. Dogliotti, Separazione e divorzio, cit., p. 10 «Ma sarebbero valide clausole di trasferimento che limitassero la loro efficacia alla permanenza immutata delle condizioni economiche delle parti o magari al perdurare dello stato di separazione, senza che sopraggiungesse una riconciliazione o, sul versante oppo­sto, un divorzio? Anche in tal caso non si potrebbe escludere, in linea di massima, la loro validità: si tratterebbe di contratti, o comunque di patti sottoposti a condizione; ma tale condizione dovrebbe essere espressa ben chiaramente o quanto meno ricavarsi con sicu­rezza, magari secondo i criteri dell’ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 ss. c.c. In ogni altra ipotesi, gli effetti dovrebbero ritenersi permanenti». E’ evidente che, con queste considerazioni, si viene a toccare la materia degli accordi preventivi in vista del divorzio, che non può essere sviluppata in questa sede (per approfondimenti al riguardo e per i necessari rinvii cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., p. 483 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, cit., p. 171 ss.).

[229] Da notare che, dalla motivazione della sentenza di legittimità, emerge che il contenuto di tale pattuizione – così definita: «scrittura privata allo scopo di regolare i loro [i.e.: dei coniugi] rapporti economici» – aveva ad oggetto il riconoscimento, in favore della moglie, della proprietà di un immobile, oltre all’impegno del marito di corrispondere a quest’ultima la somma di £. 30.000.000, concordato per la cessione onerosa del 50% delle quote di proprietà di un’imbarcazione. Dalla predetta motivazione si apprende poi anche che la scrittura era volta a definire (non si sa, però, in che modo) i rapporti patrimoniali con i figli maggiorenni (non si sa se economicamente autosufficienti o meno).

[230] Sul tema del rilievo della presupposizione con riferimento ad attribuzioni patrimoniali tra coniugi o conviventi e sulla impossibilità di ravvisare la sussistenza di una Geschäftsgrundlage in avvenimenti che dipendono dalla volontà delle parti (separazione, divorzio, rottura del faux ménage, o, al contrario, persistenza del vincolo matrimoniale o del rapporto di fatto, etc.) v. per tutti Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 139 ss.; Id., Le prestazioni lavorative del convivente more uxorio, Padova, 2003, p. 83 ss.; Id., Il regime di separazione dei beni tra coniugi. Artt. 215-219, in Il codice civile. Commentario fondato e già diretto da Schlesinger, continuato da Busnelli, Milano, 2005, p. 372 ss. 

[231] Cfr. la già citata Cass., 9 aprile 2008, n. 9174.

[232] Così Trib. Firenze, 20 febbraio 2009, in Fam. dir., 2009, con nota di Gelli.

[233] Sul problema del controllo urbanistico cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., p. 1308 ss., ove si osserva tra l’altro che «In particolare, risulteranno affetti da “nullità” […] i trasferimenti non rispettosi delle prescrizioni degli artt. 17, comma 1, 18 cpv. e comma 9, 40 cpv., l. cit., con la conseguenza che il presidente, avvalendosi dei suoi poteri di “direzione”, tanto dell’udienza (art. 127 c.p.c.), che della redazione del processo verbale (art. 130 c.p.c.), dovrà impedire che si dia atto di tali intese; in caso contrario, competerà al tribunale rifiutare l’omologazione». T.V. Russo, I trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio, Autonomia negoziale e “crisi” della famiglia, Napoli, 2001, p. 183 s., parla, inoltre, di un «ruolo attivo» dell’autorità giudiziaria, sul rispetto della disciplina urbanistica: «Segnatamente sembra che questa, chiamata a svolgere un controllo di legalità sostanziale delle pattuizioni, possa rifiutare l’omologazione ove emergano profili di nullità dell’atto, poiché anche i trasferimenti immobiliari costituiscono “condizioni” della separazione o del divorzio e sono, pertanto, (quanto meno) soggettivamente essenziali per il mutamento di status». Inaccettabile appare poi la conclusione di chi vorrebbe escludere il dovere del giudice di pronunziarsi sull’istanza di omologa in relazione alle intese che le parti ritengono «non essenziali in relazione al consenso prestato dai coniugi alla separazione» (cfr. Gelli, Trasferimenti in violazione della disciplina urbanistica e omologa parziale dell’accordo di separazione tra i coniugi, nota a Trib. Firenze, 20 febbraio 2009, in Fam. dir., 2009, p. 602). A parte, invero, l’assoluta arbitrarietà del giudizio sulla essenzialità o meno della pattuizione, appare difficile comprendere in forza di quale principio il giudice investito dell’istanza di omologa si dovrebbe dessaisir della questione, emanando, in buona sostanza, un vero e proprio non liquet.

[234] Cass., 22 novembre 2007, n. 24321 in Fam. dir., 2008, p. 446, con nota di Casaburi; in Dir. fam.. pers., 2008, I, p. 1147.

[235] Cass., 29 marzo 2007, n. 7784.

[236] Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 90 ss., 246 ss.; cfr. inoltre Id., Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, cit., p. 1317 ss.

[237] Per i richiami cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1425 ss.

[238] Cass., 17 giugno 1992, n. 7470, cit. Si noti poi che, successivamente, la Cassazione è ritornata sull’argomento, sostanzialmente confermando il principio espresso nel precedente del 1992: «L’atto interveniente tra i coniugi separati di fatto col quale, al fine di disciplinare i reciproci rapporti economici, un coniuge s’impegna a trasferire gratuitamente all’altro determinati beni, non configura una convenzione matrimoniale ex art. 162 cod. civ., postulante lo svolgimento della convivenza coniugale ed il riferimento ad una generalità di beni, anche di futura acquisizione, ma un contratto atipico, con propri presupposti e finalità, soggetto per la forma alla comune disciplina e, quindi, se relativo a beni immobili, validamente stipulabile con scrittura privata senza necessità di atto pubblico» (Cass., 12 settembre 1997, n.  9034).

[239] Cfr. Corte cost., 7 aprile 1988, n. 404, in Foro it., 1988, I, c. 2515. Sarà il caso di ricordare ancora che, dopo l’intervento della Consulta, la Cassazione ha già avuto modo di stabilire che «A seguito della sentenza n. 404 del 1988 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del terzo comma dell’art. 6 della legge 27.7.1978 n. 392 anche il coniuge separato soltanto di fatto ha diritto di succedere nel contratto di locazione al coniuge che ne sia conduttore, se tra i detti coniugi si sia così convenuto» (Cass., 1° giugno 1991, n. 6163). Sembra invece ignorare il dictum della Consulta Cass., 3 maggio 1999, n. 4370, secondo cui «La disciplina del secondo comma dell’art. 6 della legge 27 luglio 1978 n. 392, concernente l’opponibilità al terzo della successione del coniuge separato, cui sia stato attribuito dal giudice il diritto di abitare nella casa familiare, non si applica nel caso di separazione di fatto».

[240] Sul punto si fa rinvio per tutti a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 127 ss.

[241] Cfr. Cass., 15 maggio 1997, n. 4306, cit.

[242] Ai sensi dell’art. 741 c.p.c. il decreto d’omologazione acquista efficacia una volta decorsi i termini di cui agli artt. 739 e 740 c.p.c. (dieci  giorni dalla comunicazione) senza che le parti legittimate abbiano interposto reclamo alla corte d’appello. Il decreto della corte d’appello non è impugnabile in Cassazione: cfr. Cass., 30 aprile 2008, n. 10932.

[243] Su cui cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 214 ss.

[244] Cfr. Cass., 23 marzo 2004, n. 5741, in Arch. civ., 2004, p. 1026.

[245] Cfr. Cass., 14 marzo 2006, n. 5473.

[246] Cfr. Cass., 26 luglio 2005, n. 15603.

[247] Cfr. Cass., 12 aprile 2006, n. 8516.

[248] Cfr. Cass., 13 maggio 2008, n. 11914. Da notare che in questa pronunzia viene riproposto il parallelismo tra la sequenza «verbale di separazione – rogito notarile» e quella «contratto preliminare – contratto definitivo», che, per le ragioni a suo tempo esposte (v. supra, § 7) non può essere accolta; ma la conclusione non dispiega influenza sulla correttezza della soluzione proposta dalla Corte di cassazione in merito al tema della revocatoria.

[249] In questo senso, con riguardo alle attribuzioni in sede di separazione consensuale, v. anche Trib. Milano, 29 gennaio 1996, in Fallimento, 1996, p. 781, con nota di Figone; Figone, Separazione consensuale, trasferimento di beni ed azione revocatoria, nota a Trib. Milano, 29 gennaio 1996, in Fallimento, 1996, p. 784.

[250] Cfr. per tutti De Ruggiero e Maroi, Istituzioni di diritto civile, II, Milano-Messina, 1965, p. 561; Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, II, Torino, 1955, p. 106.

[251] Cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 96 ss., 214 ss. Aderisce all’impostazione dello scrivente Ferrari, La revocatoria di “donazione in occasione” e di “trasferimento a causa” di separazione consensuale tra coniugi, cit., p. 346 s., il quale, sulle orme di chi scrive, rileva che le attribuzioni in discorso tendono a regolare non solo il mantenimento, bensì una serie di situazioni patrimoniali e personali derivanti dalla crisi familiare che si fondono in una causa autonoma sicuramente onerosa, soggiungendo che è la definizione della crisi familiare che porta in sé l’onerosità in quanto rappresenta al tempo stesso un sacrificio ed un vantaggio per entrambi i coniugi; la crisi coniugale è infatti il momento in cui chiedono riconoscimento i contributi dati alla conduzione domestica, all’esercizio dell’impresa, della professione, il sostegno offerto nelle relazioni sociali, le rinunzie effettuate nell’interesse comune; è in questo momento che si vuole ottenere la restituzione dei beni o di altre risorse economiche erogate a vantaggio dell’altro, o il risarcimento dei danni subiti nel corso della vita comune.

[252] Cass., 8 novembre 1985, n. 5451. Il tribunale di Casale Monferrato ha ritenuto, per esempio, di poter ravvisare tale elemento in capo alla moglie, destinataria del trasferimento, atteso che la lettera di richiesta del pagamento era stata ricevuta dal marito presso il domicilio coniugale (ove i coniugi ancora convivevano) e pertanto «la moglie non poteva ignorare l’esistenza del debito del marito, così come non poteva ignorare la consistenza del patrimonio dello stesso» (Trib. Casale Monferrato, 14 dicembre 1998, in Gius, 1999, p. 7), mentre il tribunale ambrosiano, dopo aver accertato, a seguito di un’ampia istruttoria sul punto, che la convivenza tra i coniugi era cessata alcuni anni prima della separazione consensuale, che questi non si erano più frequentati e che la moglie si era trasferita da tempo in località «abbastanza lontana da quella in cui il marito viveva ed operava economicamente», ha ritenuto insufficiente la prova fornita dal creditore, concludendo nel senso che «Niente (…) poteva indurre, una persona che da tempo non aveva rapporti di confidenza e convivenza con il debitore a comprendere che l’attribuzione delle porzioni degli immobili, di cui già deteneva la metà in forza della comunione dei beni, avrebbe privato di garanzia dei creditori che in quel momento erano già insoddisfatti» (Tribunale Milano, 29 gennaio 1996, cit.). Del tutto irrilevante ai fini in discorso appare invece Cass., 17 maggio 2010, n. 12045, secondo cui «In tema di azione revocatoria ordinaria, una volta che in sede di separazione personale sia stato attribuito ad uno dei coniugi, tenendo conto dell’interesse dei figli, il diritto personale di godimento sulla casa familiare, la successiva costituzione per donazione, in favore dello stesso coniuge affidatario, del diritto di usufrutto vita natural durante sul medesimo immobile, compiuta dall’altro coniuge, costituisce atto avente funzione dispositiva e contenuto patrimoniale, soggetto ad azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c.». Nella specie, infatti, come osservato dalla decisione citata, «la costituzione dell’usufrutto non ha il connotato della doverosità proprio dell’adempimento (ed. atto dovuto o atto giuridico in senso stretto) – che giustificherebbe l’esclusione della revocatoria, ai sensi del terzo comma dell’articolo citato – ma si fonda sulla libera determinazione del coniuge debitore, il quale, attraverso la concessione di siffatto diritto reale, per la durata della vita del beneficiario, su un bene di sua proprietà in precedenza gravato da un diritto personale di godimento in favore del medesimo cessionario, da luogo alla modifica del suo patrimonio, con rischio di riduzione della garanzia generale spettante ai creditori».

[253] Cfr. Trib. Salerno, 4 luglio 2006, in Fam. dir., 2007, p. 64, con nota di Oberto, disponibile al sito web seguente: http://giacomooberto.com/trasferimenti/figli/tribunale_salerno.htm.

[254] Sul tema della trascrizione con riserva v. per tutti Oberto, Rifiuto di trascrizione e trascrizione con riserva nel sistema della legge 27 febbraio 1985, n. 52, in Riv. dir. civ., 1990, I, p. 243 ss.; Ridella, Trascrizione con riserva, in Vita notar., 1995, p. 552 ss.; Santarsiere, Diritto di accettazione dell’eredità. Decreto di decadenza inaudita altera parte. Trascrizione con riserva, in Arch. civ., 2001, p. 346 ss.; La Vecchia, Trascrizione con riserva di un accordo traslativo di bene immobile contenuto nel decreto di omologazione della separazione consensuale dei coniugi, nota a Trib. Siracusa, 14 dicembre 2001, in Arch. civ., 2002, p. 729 ss. In giurisprudenza v. Cass., 7 febbraio 1992, n. 1405, sulla non impugnabilità con il ricorso per cassazione a norma dell’art. 111 Cost. del provvedimento della corte di appello con il quale si conclude il procedimento sul reclamo proposto avverso la trascrizione o l’iscrizione con riserva.

[255] Rimane invece in ombra, nella testé citata decisione di merito (Trib. Salerno, 4 luglio 2006, cit.) un elemento che pure avrebbe potuto giocare un notevole ruolo nell’iter argomentativo dei giudici salernitani. Ci si intende qui riferire alla circostanza se la figlia destinataria dell’attribuzione dominicale fosse o meno maggiorenne. A favore della maggiore età depone la circostanza che la stessa abbia proposto il reclamo ex artt. 2674-bis c.c. – 113-ter disp. att. c.c. in proprio e non già a mezzo dei propri genitori (o di curatore speciale); tanto, almeno, sembra potersi arguire dalle prime righe della motivazione («visto il reclamo proposto da M.M. ex art. 2674-bis c.c….»), che non contengono alcun richiamo a situazioni di rappresentanza legale. Di contro sembrerebbero porsi, invece, i due espressi richiami, nella parte finale della motivazione, al concetto di «mantenimento» (cfr., nel penultimo capoverso della motivazione, il cenno al «trasferimento di un diritto reale al figlio per provvedere “una tantum” al suo mantenimento», nonché, nell’ultimo capoverso, alla «clausola dell’accordo di separazione che attribuisca ad un figlio la proprietà esclusiva di beni immobili, al fine evidentemente di assicurarne il mantenimento»), onde sembra lecito supporre che si trattasse, nella specie, di figlia magari maggiorenne, ma certamente non autosufficiente.

[256] Cfr. Trib. Reggio Emilia, 26 marzo 2007, in Fam. dir., 2008, p. 616, con nota di Galluzzo. Il Tribunale si è trovato a decidere su di un’istanza ex art. 710 c.p.c. di modifica delle condizioni di una separazione consensuale. In particolare i coniugi volevano sostituire il versamento d’un assegno mensile da parte del marito, pari ad € 400,00, per il contributo al mantenimento dei figli, con il trasferimento della proprietà per intero o per quota di unità immobiliari del marito, non già ai figli, ma alla moglie, ancorchè a titolo di contributo al mantenimento dei figli. Nella specie è stato lo stesso collegio a suggerire ai coniugi la soluzione fondata sull’art. 2645-ter c.c. I coniugi hanno deciso quindi di seguire il suggerimento del collegio prevedendo, come clausola aggiuntiva rispetto a quella avente ad oggetto i trasferimenti immobiliari a vantaggio della moglie, quanto segue: «7) ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645-ter c.c. la sig.ra (B) si obbliga ad impiegare i frutti degli immobili indicati alla condizione n. 1 punti a), b), c) e d) per il pagamento del mutuo ipotecario iscritto dal Gruppo (K) a carico degli immobili indicati alla condizione n. 1 punti a), b), c) e, una volta estinto detto mutuo, ad impiegare i frutti degli immobili per il mantenimento della prole sino al raggiungimento dell’autosufficienza economica del più giovane dei figli; 8) ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645-ter c.c. la sig.ra (B) si impegna, altresì, a non alienare gli immobili indicati alla condizione n. 1 punti a), b), c) e d) sino al raggiungimento dell’autosufficienza economica del più giovane dei figli». Sulla base dei predetti accordi il tribunale ha emesso il seguente dispositivo: «Il Tribunale accoglie l’istanza e modifica la condizione sub E) del verbale di separazione consensuale del 22/11/2005 (omologato in data 9/2/2006) conformemente alla domanda avanzata dei coniugi nel verbale dell’udienza del 22/3/2007». La motivazione del provvedimento s’intrattiene peraltro a lungo sul tema dell’ammissibilità dei trasferimenti in favore della prole operati in sede di crisi coniugale, mostrando di aderire alla tesi favorevole.

[257] Sul tema v. anche Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 149 ss.; Id., I trasferimenti patrimoniali in occasione della separazione e del divorzio, cit., p. 196 ss.; Id., Trasferimenti patrimoniali in favore della prole operati in sede di crisi coniugale, nota a Trib. Salerno, 4 luglio 2006, in Fam dir., 2007, p. 64 ss.; Galluzzo, Crisi coniugale e mantenimento della prole: trasferimenti una tantum e art. 2645-ter c.c., Nota a Trib. Reggio Emilia, 26 marzo 2007, in Fam. dir., 2008, p. 619 ss.

[258] V. infra, § 21.

[259] Basini, I provvedimenti relativi alla prole, in Aa. Vv., Lo scioglimento del matrimonio, a cura di Bonilini e Tommaseo, in Il codice civile, Commentario diretto da Schlesinger, Milano, 1997, p. 638.

[260] Scannicchio, Commento all’art. 11, l., 6 marzo 1987, n. 74, Aa. Vv., Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, a cura di Lipari, in Nuove leggi civ. comm., 1987, p. 962.

[261] Basini, op. cit., p. 638 s., nota 116.

[262] Disposizione secondo la quale «L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice». Devesi peraltro ritenere che il diverso parametro, tenuto conto del principio fondamentale dell’interesse del minore, non possa essere tale da determinare in concreto una rivalutazione in misura inferiore rispetto a quella calcolata in base agli indici ISTAT.

[263] Basini, op. cit., p. 643.

[264] Si noti peraltro il nuovo comma quarto dell’art. 155 c.c., a mente del quale ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito «salvo accordi diversi, liberamente sottoscritti dalle parti». La derogabilità del criterio di proporzionalità scolpito nell’art. 148 c.c. potrebbe forse porre un problema di conformità all’art. 30 Cost.

[265] In questo senso v. anche Basini, op. cit., p. 643. Nel senso che circostanze sopravvenute legittimino il genitore, anche quando l’obbligo di mantenimento del minore sia stato soddisfatto con una attribuzione patrimoniale una tantum, ad agire nell’interesse del minore per una revisione delle condizioni di separazione relative alla misura e modalità di tale mantenimento, si veda App. Milano, 6 maggio 1994, in Fam. dir., 1994, p. 667. Ritiene pacifico che, quando a seguito di circostanze sopravvenute l’attribuzione patrimoniale una tantum divenga insufficiente a garantire il mantenimento del minore, il diritto all’attribuzione di un assegno periodico possa essere fatto valere successivamente, Mora, La separazione consensuale, in Trattato Bonilini e Cattaneo, continuato da Bonilini, I, Famiglia e matrimonio, Torino, 2007, p. 601 s., il quale rileva che anche il patto di rinuncia al diritto al mantenimento, da ritenersi valido vertendo su di un diritto disponibile, diversamente da quello di rinuncia agli alimenti, è soggetto alla clausola rebus sic stantibus. Chi scrive è d’avviso che il diritto al mantenimento della prole sia del tutto indisponibile, per cui anche la clausola rebus sic stantibus dovrà reputarsi intangibile, a differenza di quanto vale nei rapporti inter coniuges (ovviamente per il mantenimento del coniuge separato e per l’assegno di divorzio, non certo per la prestazione alimentare).

[266] Cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 203 ss.

[267] Cfr. Trib. Catania, 1° dicembre 1990, in Dir. fam. pers., 1991, p. 1010: «Poiché la legge sul divorzio non prevede la corresponsione in unica soluzione del contributo per il mantenimento della prole e poiché del diritto della prole minorenne al mantenimento da parte dei genitori, questi ultimi non possono disporre a loro piacimento, non è ammissibile l’assolvimento dell’obbligo di mantenimento, da parte del genitore non affidatario, mediante donazione di un cespite immobiliare; legittimamente pertanto il giudice può determinare, in virtù dei poteri d’ufficio che gli competono, la misura del contributo (periodico) dallo stesso genitore dovuto in favore della prole».

[268] Ma… fu vera donazione? Cfr. sul tema cfr. quanto verrà illustrato infra, § 20.

[269] App. Milano, 6 maggio 1994, in Fam. dir., 1994, p. 667. Nella fattispecie il padre aveva attribuito alla madre, a titolo di contribuzione al mantenimento del figlio, la sua quota di usufrutto pari al 50% di un immobile, del quale aveva donato anche la nuda proprietà al figlio minore, immobile che apparteneva per l’altro 50%, in proprietà piena alla madre, la quale lamentava che, a seguito di un’azione intentata vittoriosamente dal conduttore per il riconoscimento dell’equo canone, il canone locatizio dell’immobile era stato ridotto rispetto a quello che era stato tenuto in conto al momento della separazione, con conseguente riduzione di quanto doveva ritenersi dal padre versato a titolo di contributo al mantenimento.

[270] Trib. Vercelli, 24 ottobre 1989, in Dir. fam. pers., 1991, p. 1259; la soluzione fornita da questa pronunzia al caso in esame mercé il ricorso alla figura del contratto a favore di terzi è approvata da Sesta, Contratto a favore di terzo e trasferimento dei diritti reali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, p. 965.

[271] App. Torino, 9 maggio 1980, in Giur. it., 1981, I, 2, c. 19.

[272] Come tale nulla, per lo meno nel pensiero della giurisprudenza e di una parte della dottrina. Sull’inammissibilità di un preliminare di donazione v. per tutti Torrente, La donazione, cit., p. 243; Mirabelli, Dei contratti in genere (artt. 1321-1469), nel Commentario del codice civile, a cura di magistrati e docenti, Torino, 1980, p. 212 ss.; Scognamiglio, Dei contratti in generale, nel Commentario del codice civile, diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 438 ss. (contra v. però Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, IV, Milano, 1954, p. 21; Biondi, Le donazioni, Torino, 1961, p. 1004 ss.; Di Lalla, Incertezze in tema di promessa di donazione, in Foro it., 1981, I, 1, c. 1702 ss.; Bertusi Nanni, Note sul contratto preliminare di donazione, in Riv. notar., 1984, p. 123 ss.; Sacco e De Nova, Il contratto, nel Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, I, Torino, 1993, p. 268). La ragione di questa inammissibilità viene reperita nel fatto che il carattere della spontaneità, implicito nella nozione legale della donazione (attraverso il riferimento allo spirito di liberalità: art. 769 c.c.), è incompatibile con l’adempimento e quindi con la natura di «atto dovuto», propria del definitivo. In giurisprudenza per questa soluzione cfr. Cass., 12 giugno 1979, n. 3315, in Foro it., 1981, I, c. 1702; cfr. inoltre Cass., Sez. Un., 18 dicembre 1975, n. 4153, in Giust. civ., 1976, I, p. 726.

[273] App. Torino, 9 maggio 1980, cit.

[274] Per una fattispecie analoga, nella quale, riconosciuta la figura di contratto a favore di terzo, il giudice ha però rigettato la domanda ex art. 2932 c.c., perché proposta dalla madre a nome proprio, anziché dei figli minori ad essa affidati, cfr. Trib. Vercelli, 24 ottobre 1989, cit. Il ricorso alla donazione, con riguardo ad un trasferimento immobiliare in favore della prole, è stato rifiutato più di recente anche da App. Roma, 4 giugno 1997, in Guida al diritto - Il Sole 24 ore, 1997, n. 45, p. 107. Sul difetto dell’animus donandi si basa poi inoltre Cass., 23 dicembre 1988, n. 7044, in Giur. it., 1990, I, 1, c. 1326, mentre sulla presenza di una funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento (su cui v., per una disamina critica, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 657 ss.) si fonda la successiva Cass., 17 giugno 1992, n. 7470, in Dir. fam. pers., 1993, p. 70; in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, p. 808, con nota di Sinesio, secondo cui «Il patto fra coniugi con il quale si prevedano trasferimenti immobiliari a regolamentazione dei reciproci rapporti patrimoniali ed a tacitazione dell’obbligo di mantenimento non integra donazione stante la predetta funzione solutoria; tale patto peraltro deve ritenersi valido ed operante anche quando sia inserito in accordi di separazione di fatto alla stregua della liceità di tali accordi pur se non idonei a produrre gli effetti della separazione legale».

[275] Cfr. Trib. Siracusa, 14 dicembre 2001, in Arch. civ., 2002, p. 728, con nota di La Vecchia.

[276] Cass., 25 settembre 1978, n. 4277, in Foro it., 1979, I, c. 718, con nota di Jannarelli; in Giust. civ., 1979, I, p. 83.

[277] Venne così stabilito che «Allorché taluno, in sede di separazione coniugale consensuale, assume l’obbligo di provvedere al mantenimento di una figlia minore, impegnandosi a tal fine a trasferirle un determinato bene immobile, pone in essere con il coniuge un contratto preliminare a favore di terzo. Quando poi in esecuzione di detto obbligo, dichiara per iscritto di trasferire alla figlia tale bene, avvia il processo formativo di un negozio che, privo della connotazione dell’atto di liberalità, esula dalla donazione ma configura una proposta di contratto unilaterale, gratuito e atipico, che, a norma dell’art. 1333 c.c., in mancanza del rifiuto del destinatario entro il termine adeguato alla natura dell’affare, e stabilito dagli usi, determina la conclusione del contratto stesso e, quindi, l’irrevocabilità della proposta»: Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, in Riv. dir. civ., 1989, II, p. 233, con nota di Chianale; in Riv. notar., 1989, II, p. 210; in Giust. civ., 1988, I, p. 1237, con nota di Costanza; in Corr. giur., 1988, p. 146 ss. con nota di V. Mariconda.

[278] Il principio è stato così applicato al caso di una transazione in cui, a fronte dell’impegno della moglie a trasferire un’unità immobiliare al marito, quest’ultimo rinunziava alla richiesta di addebito a carico della moglie oltre a pretese d’ordine reale relativamente alla casa coniugale e ad un negozio: cfr. Cass., 15 marzo 1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, c. 1787; in Corr. giur., 1991, p. 891, con nota di Cavallo.

[279] Sulla natura contrattuale degli accordi di separazione, nella parte relativa alle intese d’ordine economico cfr., anche per gli ulteriori rinvii dottrinali e giurisprudenziali, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 28 ss.; Id., La natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili (I), in Fam. dir., 1999, p. 601 ss.; Id., La natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili (II), ivi, p. 86 ss.

[280] In senso favorevole alla possibilità di applicare alla fattispecie il disposto dell’art. 1411 c.c. v. anche Longo, Trasferimenti immobiliari a scopo di mantenimento del figlio nel verbale di separazione: causa, qualificazione, problematiche, nota a App. Genova, 27 maggio 1997, in Dir. fam. pers., 1998, p. 578; per la giurisprudenza di merito cfr. App. Genova, 27 maggio 1997, cit.

[281] Cfr. Cass., 17 giugno 2004, n. 11342, in Giust. civ., 2005, I, p. 415.

[282] Nella specie il padre, che aveva assunto tale impegno di trasferimento, convenuto in giudizio per l’esecuzione specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c., aveva chiesto la risoluzione della pattuizione, deducendo l’inadempimento della madre all’obbligazione, da costei assunta nel medesimo accordo di separazione tra coniugi, di consentire che la figlia vedesse e frequentasse esso genitore.

[283] Cfr. Cass., 2 febbraio 2005, n. 2088. Da segnalare inoltre Cass., 30 maggio 2005, n. 11458, in Guida al diritto - Il Sole 24 ore, 2005, n. 38, p. 52, con nota di Grisi.

[284] Cass., 25 settembre 1978, n. 4277, cit.

[285] Jannarelli, Nota a Cass., 25 settembre 1978, n. 4277, in Foro it., 1979, I, c. 719.

[286] Ma sul tema della derogabilità del criterio di proporzionalità cfr. quanto illustrato supra, § 15.

[287] In dottrina, per la possibilità di soddisfare il mantenimento dei figli anche con l’attribu­zione di beni in caso di separazione consensuale cfr. A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, Milano, 1984, p. 406; Dogliotti, Separazione e divorzio, cit., p. 11 s.; Metitieri, La funzione notarile nei trasferimenti di beni tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 1167; Briganti, Crisi della famiglia e attribuzioni patrimoniali, in Riv. notar., 1997, I, p. 7 s. (lo scritto è stato pubblicato anche in Aa. Vv., Famiglia e circolazione giuridica, a cura di Fuccillo, Milano, 1997, p. 33 ss.); Mantia, La rappresentanza dei minori nei trasferimenti in loro favore effettuati in adempimento di accordi di separazione consensuale dei coniugi, nota a Pret. Trapani, 19 febbraio 1998, in Notaro, 1999, p. 122; contra Doria, Convenzioni traslative in occasione della separazione personale e l’interesse del coniuge, nota a Trib. Potenza, 14 marzo 1991, in Dir. fam. pers., 1992, p. 225, secondo cui l’interesse che nella specie muove il genitore affidatario non sarebbe conforme a quello richiesto in capo allo stipulante dall’art. 1411 c.c., qualificabile non come interesse alla prestazione, ma come semplice «interesse a contrarre».

[288] Briganti, op. cit., p. 7 s.

[289] Cass., 5 gennaio 1985, n. 11, in Arch. giur. circ. sin. str., 1985, p. 586. Contra Pret. Trapani, 19 febbraio 1998, in Notaro, 1999, p. 122, con nota di Mantia, che ha disposto la nomina di un curatore speciale ex art. 320, ult. cpv., c.c. per intervenire nell’atto pubblico di trasferimento in favore dei figli minori. La pronunzia ritiene presente un conflitto di interessi tra il genitore affidatario e la prole in ordine all’atto meramente traslativo posto in essere in adempimento del negozio di separazione, atto nel quale, peraltro, alle parti non è concesso alcun «margine di manovra», dovendo le medesime dare esecuzione ad un impegno assunto in altra sede. Approva la decisione del giudice trapanese Mantia, op. loc. ultt. citt.

[290] Cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 155 s.

[291] Cass., 14 dicembre 1978, n. 5975, in Riv. notar., 1979, II, p. 554: «La rinuncia ad una prestazione contrattuale, espressa da persona inabilitata, quale beneficiaria di un contratto a favore di terzo, costituisce atto di straordinaria amministrazione, che, se compiuto senza l’osservanza delle prescritte formalità e senza l’assistenza del curatore, è annullabile ai sensi dell’art 427, secondo comma, cod. civ. L’annullamento può essere pronunciato solo su istanza dell’inabilitato, o dei suoi eredi o aventi causa, con la conseguenza che, in difetto di tale istanza, la rinunzia, ancorché invalida, rimane efficace».

[292] In senso dubitativo al riguardo cfr. Briganti, op. cit., p. 8, nota 23.

[293] Cfr. Trib. Siracusa, 14 dicembre 2001, cit.

[294] Cfr. Cass., 4 febbraio 1988, n. 1136; Cass., 24 dicembre 1992, n. 13661, in Vita notar., 1993, p. 769.

[295] Cfr. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2000, p. 927.

[296] Andranno invece annotati l’eventuale revoca, così come l’eventuale rifiuto: cfr. Gazzoni, La trascrizione immobiliare, in Il codice civile, Commentario diretto da Schlesinger, Milano, 1998, p. 356.

[297] In senso conforme v. anche La Vecchia, op. cit., p. 731, la quale peraltro concorda con le conclusioni cui perviene Trib. Siracusa, 14 dicembre 2001, cit., sulla non trascrivibilità dell’intesa traslativa in assenza dell’assenso del destinatario dell’effetto reale, per via del carattere di datio in solutum che il negozio verrebbe ad acquisire (per una critica di siffatta impostazione cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 657 ss.).

[298] Cfr. in giurisprudenza Cass., 9 luglio 1966, n. 1807; Cass., 16 gennaio 1973, n. 161, in Giur. it., 1974, I, 1, c. 1572; Cass., 7 gennaio 1974, n. 29; Cass., 25 febbraio 1980, n. 1317, in Riv. dir. comm., 1980, II, p. 339, con nota di Guarnieri; Cass., 14 dicembre 1982, n. 6871, in Giur. it., 1983, I, 1, c. 1489; in dottrina v. in vario senso Majello, L’interesse dello stipulante nel contratto a favore di terzi, Napoli, 1962, p. 129 ss.; Girino, Studi in tema di stipulazione a favore di terzi, Milano, 1965, p. 140; Moscarini, I negozi a favore di terzo, Milano, 1970, p. 286; Sacco e De Nova, Il contratto, nel Trattato di diritto civile diretto da Sacco, I, cit., p. 79 s. (secondo cui «un prospero insegnamento dottrinale e una rigogliosa pratica consentono alla stipulazione a favore di terzi la creazione immediata della servitù»); Camardi, Principio consensualistico, produzione e differimento dell’effetto reale, in Contratto e impresa, 1998, p. 593 s.; contro la possibilità di costituire diritti reali si esprime invece Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1987, p. 537. Per un’attenta e completa ricostruzione dei vari profili attinenti all’ammissibilità del contratto a favore di terzi con effetti reali si fa rinvio a Sesta, Contratto a favore di terzo e trasferimento dei diritti reali, cit., p. 953 ss.; l’Autore, dopo avere passato in rassegna e confutato i vari argomenti addotti dai sostenitori dell’inapplicabilità dell’istituto ex artt. 1411 c.c. in caso di negozio traslativo di diritti reali, e dopo aver sottolineato la differenza tra l’art. 45 del progetto del libro delle obbligazioni (che faceva un espresso rinvio al concetto di «obbligazione») e la versione definitiva dell’art. 1411 c.c., rileva – tra l’altro – come l’uso del termine «prestazione» nella norma da ultimo citata «non appaia incompatibile con l’effetto reale, in quanto ricomprende la complessa condotta cui il promittente-alienante è tenuto, in analogia con quanto disposto, ad esempio, nell’art. 1476 c.c., che parla di obbligazioni del venditore». Perplessità vengono peraltro sollevate dall’Autore con riguardo ai trasferimenti aventi ad oggetto beni immobili, in considerazione del fatto che la fattispecie non è presa in esame dalle norme in tema di trascrizione.

[299] Cfr. infra, § 20.

[300] Cfr. ex multis Trib. Salerno, 4 luglio 2006, cit.

[301] Metitieri, op. cit., p. 1167.

[302] A. Ceccherini, I rapporti patrimoniali nella crisi della famiglia e nel fallimento, Milano, 1996, p. 494 s.

[303] Il ricorso alla donazione è stato ripudiato anche da App. Roma, 4 giugno 1997, cit., nonché da App. Genova, 27 maggio 1997, cit.; quest’ultima decisione è stata confermata, proprio in parte qua, da Cass., 30 agosto 1999, n. 9117, cit. (nella specie la figlia destinataria del trasferimento era maggiorenne, ma non autosufficiente).

[304] In tal caso l’accettazione da parte del figlio non appare necessaria, secondo quanto illustrato supra, § 19.

[305] Ancora una volta, la soluzione dipende dall’interpretazione da dare, caso per caso, all’intesa, così come essa viene concretamente concepita e formalizzata dalle parti.

[306] Sull’applicabilità del rimedio alle promesse di trasferimento concluse durante la crisi coniugale, sia nei rapporti tra i coniugi, che in favore della prole, cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 277 ss. In caso di irreperibilità del genitore affidatario potrebbe agire un curatore speciale: cfr. Cass., 29 ottobre 1963, n. 2896, in Giust. civ., 1963, I, p. 2515. Sulla struttura dell’atto traslativo cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 271 ss. Da notare che il rapporto tra l’obbligo a trasferire assunto in sede di contratto della crisi coniugale e atto di adempimento dello stesso non può essere qualificato alla stregua del rapporto tra contratto preliminare e definitivo, sebbene una recente sentenza della Cassazione sembri propendere per questa impostazione: cfr. Cass., 13 maggio 2008, n. 11914, secondo cui «a) È suscettibile di revoca ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. il contratto con cui un coniuge trasferisca all’altro un immobile, al dichiarato fine di dare esecuzione agli obblighi assunti in sede di separazione consensuale omologata. La domanda di revoca del contratto di trasferimento sottopone alla cognizione del giudice anche l’esame degli accordi preliminari stipulati in sede di separazione, che abbiano dato causa al trasferimento, senza necessità che sia proposta specifica impugnazione contro gli stessi, sempre che siano stati dedotti in giudizio i presupposti di diritto e di fatto rilevanti ai fini della decisione. La valutazione relativa alla sussistenza dei requisiti per la revoca ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. va compiuta con riferimento sia ai preliminari accordi di separazione, sia al contratto definitivo di trasferimento immobiliare». In realtà, come si è detto (v. supra, § 11, in fine), nella sequela: impegno a trasferire-atto (rogito notarile) di trasferimento non è possibile riscontrare la successione preliminare-definitivo, posto che è invece nel primo negozio (quello, appunto, stipulato in sede di accordo di separazione o divorzio) che va ravvisato l’atto di autonomia, laddove nel secondo va riscontrato un mero atto solutorio.

[307] Come tale nulla, secondo l’opinione dominante (quanto meno in giurisprudenza): cfr. supra, § 6.

[308] App. Torino, 9 maggio 1980, cit.

[309] Decisione assai simile a quella testé illustrata è App. Genova, 27 maggio 1997, cit., che sul punto ha osservato quanto segue: «Nella specie, l’appellante afferma che nessun contratto, ancorché preliminare, è stato concluso, e che, a tutto concedere, l’impegno assunto non potrebbe che qualificarsi come promessa di donazione, come tale radicalmente nulla. E’ da ritenersi che le clausole con cui i coniugi regolamentano i propri interessi in sede di separazione consensuale, soprattutto qualora diano luogo, come si è visto, a veri e propri contratti, siano soggette alle regole generali di ermeneutica contrattuale. In particolare, nel caso che ci occupa, vengono in consi­derazione i principi dell’interpretazione complessiva delle clausole (art. 1363 c.c.), per cui esse si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto, nonché della conservazione del contratto (art. 1367 c.c.), per cui contratto e singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno. Sono poste, nel verbale di separazione, l’una accanto all’altra, la clausola con la quale il padre si impegna al mantenimento esclusivo della figlia, e quella con cui la madre si impegna a trasferire alla figlia stessa la propria quota di proprietà dell’immobile de quo: si tratta evidentemente dell’adempimento del suo obbligo di manteni­mento della figlia, che ancora sussisteva, stante la non autosufficienza economica di questa. Nessun riferimento, al contrario, si rinviene ad una intenzione della convenuta di donare la sua quota (di un animus donandi non vi è alcuna traccia, ed esso, tra l’altro, apparirebbe contraddetto dal comportamento successivo della parte)».

[310] Su cui v. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 653 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 99 ss.

[311] Sulla forma della donazione postmatrimoniale inter coniuges e sulla possibilità che la stessa sia ricevuta da cancelliere nel contesto di un contratto della crisi coniugale cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 188 ss.

[312] Nello stesso senso v. Kunigk, Die Lebensgemeinschaft, Rechtliche Gestaltung von ehelichem und eheähnlichem Zusammenleben, Stuttgart, 1978, p. 119 s.

[313] Si immagini l’impegno di uno o di entrambi i conviventi a esperire il ricorso al Ministero dell’interno per ottenere il cambiamento o la modifica del cognome ex artt. 84 ss. d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), al fine assumere un cognome identico. Contraria alla validità di un impegno del genere è anche la dottrina tedesca (cfr. Strätz, Rechtsfragen des Konkubinats im Überblick, in FamRZ, 1980, p. 306).

[314] V. BGH, 17 April 1986, in FamRZ, 1986, p. 773. I conviventi avevano di comune accordo deciso di non avere figli e all’uopo la donna si era impegnata a fare uso della «pillola»; l’accordo non era però stato da quest’ultima rispettato, tanto che dalla relazione era nato un figlio, al mantenimento del quale il convivente, quale padre naturale, era stato condannato con sentenza passata in giudicato. L’uomo convenne quindi in giudizio la donna chiedendole il risarcimento danni per la violazione dell’accordo sull’uso dei mezzi contraccettivi. La Corte Suprema Federale respinse la domanda affermando la nullità di tale contratto per Sittenwidrigkeit, in quanto «lesivo della più intima sfera di libertà personale». Potrà essere interessante aggiungere che, svariati anni dopo, il Tribunale di Milano (cfr. Trib. Milano, 19 novembre 2001, in Nuovo dir., 2002, II, p. 621) ha affermato lo stesso principio, in un caso esattamente identico, che si differenzia dal primo solo per la maggiore fantasia dell’avvocato italiano, che non solo aveva proposto l’azione di responsabilità ex contractu, ma aveva anche, in subordine, presentato una domanda di responsabilità aquiliana per violazione del principio del neminem laedere, sotto il profilo del (preteso) diritto soggettivo assoluto ad avere rapporti sessuali con una donna senza quelle… fastidiose conseguenze rappresentate dalla nascita di figli non desiderati.

Preoccupazioni analoghe a quelle sopra illustrate non paiono invece assolutamente sussistere nell’ambito della dottrina di common law, ove le considerazioni di public policy non sembrano porre alcun ostacolo alla pattuizione di clausole regolanti aspetti di carattere strettamente personale, quali:

a) obbligo di fissazione della residenza in comune (o di mutare l’attuale residenza comune); eventuale previsione di una «residenza alternata» per determinati periodi di tempo;

b) termini di durata del rapporto, identificati con una data ben precisa, ovvero con un certo avvenimento che funge, per così dire, da condizione risolutiva (per esempio: manterremo la nostra convivenza almeno sin tanto che mi sarò laureato in giurisprudenza, o finché i figli avranno terminato le scuole);

c) relazioni personali o interpersonali, dal cognome che ciascuno dei partners assumerà, alla fedeltà, all’«apertura» della coppia a terzi, all’uso di sistemi per il controllo delle nascite, all’impegno ad adottare uno o più figli;

d) fissazione degli scopi della relazione, aspirazioni dei conviventi, priorità di carriera, impegni di carattere sociale e a beneficio di determinate comunità, scelta della confessione religiosa da seguire e dell’insegnamento da impartire ai figli (cfr. Weitzman, Legal Regulation of Marriage: Tradition and Change, in California Law Review, 62, 1974, p. 1250 ss.; l’unico impegno che l’Autore individua come contrario all’ordine pubblico, sulla base di alcuni precedenti giurisprudenziali, è quello dei conviventi di non sposarsi, tra di loro così come con terze persone).

[315] Cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991, p. 205 ss..

[316] Cfr. Gigliotti, Rottura della convivenza more uxorio e affidamento del figlio naturale: rilevanza dell’accordo parentale sulle condizioni della «separazione», Nota a Trib. Min. Reggio Calabria, 17 ottobre 1994, in Dir. fam. pers., 1995, p. 611, con nota di Gigliotti, p. 613 ss., 630; Paladini, La filiazione nella famiglia di fatto, in Familia, 2002, p. 611 s. Sul tema v. ora anche Oberto, Contratti di convivenza e diritti del minore, in Dir. fam. pers., 2006, p. 240 ss.

[317] Cfr. Trib. Palermo, 18 febbraio 1987, in Dir. fam. pers., 1987, p. 760; Trib. Monza, 22 giugno 1990, in Foro pad., 1991, c. 531 (si noti che il richiamo ai «coniugi», di cui alla massima riportata sulla rivista citata, è frutto di errore: dalla motivazione si desume, infatti, che trattavasi di convivenza more uxorio); v. inoltre App. Milano, 4 dicembre 1995, in Fam. dir., 1996, p. 247, con nota di Moretti; Trib. Min. Perugia, 25 agosto 1997, in Rass. giur. umbra, 1998, p. 349; in precedenza v. Trib. Min. L’Aquila, 31 gennaio 1994, in Dir. fam. pers., 1995, I, p. 1039.

 Un accenno in proposito sembra essere contenuto anche nella motivazione di una pronunzia di legittimità, secondo cui «l’art. 317-bis pone alcuni criteri attributivi dell’esercizio della potestà e prevede come meramente eventuale e successivo l’intervento del giudice, costruendolo come preordinato a correggere il cattivo funzionamento dei criteri predetti ed eventualmente a stabilire regole alternative, secondo un ampio spettro di ipotesi che arriva fino alla possibilità di escludere entrambi i genitori dall’esercizio della potestà» (cfr. Cass., sez. Un., 25 maggio 1993, n. 5847).

[318] Cfr. Corte cost., 5 febbraio 1996, n. 23, in Giust. civ., 1996, I, p. 917; in Foro it., 1997, I, c. 61, con nota di Cipriani; in Dir. fam. pers., 1996, I, p. 1327, con nota di Bordonaro; Corte cost., 30 dicembre 1997, n. 451, in Giust. civ., 1997, I, p. 913; in Dir. fam. pers., 1998, I, p. 484, con nota di Morani; in Foro it., 1998, I, c. 1377, con nota di Cosentino.

[319] Cfr. Corte cost., 13 maggio 1998, n. 166, in Guida dir., 1998, n. 21, p. 40, con nota di A. Finocchiaro; in Nuova giur. civ. comm., 1998, I, p. 678, con nota di Ferrando; in Rass. dir. civ., 1998, p. 880, con nota di Velluzzi (sull’attribuzione della casa familiare in sede di separazione giudiziale), e Corte cost., 18 aprile 1997, n. 99, in Guida dir., 1997, n. 16, p. 24, con nota di M. Finocchiaro; in Dir. fam., 1997, I, p. 837; in Giust. civ., 1997, I, p. 2072 (in materia di sequestro ex art. 156 c.c.).

[320] Cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 174.

[321] In questo senso cfr. Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, 1, Milano, 1966, p. 80; Tondo, Sull’idoneità dei verbali di conciliazione alle formalità pubblicitarie, in Foro it., 1987, I, c. 3134; per il carattere di atto pubblico e di titolo esecutivo di un verbale di conciliazione giudiziale tra coniugi v. Trib. Firenze, 26 agosto 1987, in Giur. merito, 1988, p. 756, con nota di Pazienza.

[322] E’ noto che Cass., 3 aprile 2007, n. 8362, in Famiglia e min., 2007, 5, p. 15; in Fam., pers. e succ., 2007, p. 508; in Foro it., 2007, I, c. 2049, ha stabilito quanto segue: «La legge 8 febbraio 2006, n. 54 sull’esercizio della potestà in caso di crisi della coppia genitoriale e sull’affidamento condiviso, applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, ha corrispondentemente riplasmato l’art. 317-bis cod. civ., il quale, innovato nel suo contenuto precettivo, continua tuttavia a rappresentare lo statuto normativo della potestà del genitore naturale e dell’affidamento del figlio nella crisi dell’unione di fatto, sicché la competenza ad adottare i provvedimenti nell’interesse del figlio naturale spetta al tribunale per i minorenni, in forza dell’art. 38, primo comma, disp. att. cod. civ., “in parte qua” non abrogato, neppure tacitamente, dalla novella. La contestualità delle misure relative all’esercizio della potestà e all’affidamento del figlio, da un lato, e di quelle economiche inerenti al loro mantenimento, dall’altro, prefigurata dai novellati artt. 155 e segg. cod. civ., ha peraltro determinato – in sintonia con l’esigenza di evitare che i minori ricevano dall’ordinamento un trattamento diseguale a seconda che siano nati da genitori coniugati oppure da genitori non coniugati, oltre che di escludere soluzioni interpretative che comportino un sacrificio del principio di concentrazione delle tutele, che è aspetto centrale della ragionevole durata del processo – una attrazione, in capo allo stesso giudice specializzato, della competenza a provvedere, altresì, sulla misura e sul modo con cui ciascuno dei genitori naturali deve contribuire al mantenimento del figlio».

Come rilevato in dottrina (cfr. Padalino, Nota a Cass., 3 aprile 2007, n. 8362, in http://www.affidamentocondiviso.it/), la Corte ha dunque dichiarato la competenza del tribunale per i minorenni, nell’ambito dei procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati ex art. 317-bis c.c., ad esprimere una «cognizione globale» sui figli naturali, nel senso esattamente che il giudice minorile potrà adottare non solo i provvedimenti relativi all’affidamento della prole naturale, ma – nella sola ipotesi di contestualità della domanda di natura patrimoniale con quella di affidamento – anche quelli relativi alla misura e al modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento dei figli. Ne discende che, al di fuori della connessione con domande di affidamento dei figli naturali, competente a conoscere in via autonoma, sia delle domande relative al mantenimento dei figli minori, sia della domanda relativa alla condanna del genitore naturale al rimborso delle spese sostenute per il suo mantenimento dall’altro genitore, è, secondo le regole generali, il Tribunale ordinario. Ne deriva ulteriormente che qualora la domanda di mantenimento sia proposta isolatamente sulla base di un accordo dei genitori naturali sull’affidamento oppure, per le ragioni più varie, in un tempo diverso, la competenza sarà sempre del giudice ordinario.

Tale precisazione ha rilevanza, in particolar modo, in tema di procedimento monitorio ex art. 148 c.c., che rimarrà di esclusiva competenza del tribunale ordinario.

In relazione, poi, al tema del mantenimento e del rimborso delle spese, una questione interpretativa legata all’attrazione, in capo al giudice minorile, della competenza a provvedere, contestualmente all’affidamento, sulla misura e sul modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento dei figli naturali è quella dell’individuazione dell’autorità giudiziaria competente a decidere sull’eventuale richiesta di rimborso pro quota delle spese di mantenimento, istruzione ed educazione della prole sostenute esclusivamente da uno dei genitori. Sul punto la dottrina (cfr. Padalino, op. loc. ultt. citt.) ha richiamato, in chiave sistematica, il principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione in tema di dichiarazione giudiziale di paternità dei figli minori, in base al quale il giudice minorile è stato ritenuto competente a decidere, in via consequenziale alla pronuncia sulla dichiarazione di paternità, oltre che sulla corresponsione dell’assegno di mantenimento a favore del minore, anche sul rimborso della quota di mantenimento al genitore che vi abbia provveduto sino alla declaratoria di paternità (si vedano, tra le altre, Cass. 22 dicembre 2006, n. 27488; Cass. 30 giugno 2005, n. 14029). Segnatamente, i giudici di legittimità hanno sostenuto che, al di fuori della connessione con la domanda di declaratoria di paternità e dell’operatività dell’art. 277 c.c. (a norma del quale «il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui»), competente a conoscere in via autonoma della domanda relativa alla condanna del genitore naturale al rimborso delle spese sostenute per il suo mantenimento dall’altro è il tribunale ordinario (così Cass. n. 27488/2006, cit.: nella specie è stata dichiarata la competenza del tribunale ordinario sul rilievo che la madre aveva agito, ad intervenuta dichiarazione giudiziale di paternità naturale, per ripetere, a titolo di arricchimento senza causa, la parte dell’obbligazione che gravava sul padre inadempiente, trattandosi, quindi, di un procedimento contenzioso tra due persone maggiorenni, estraneo alla competenza del tribunale per i minorenni).

Applicando tale principio di diritto anche all’ipotesi della richiesta di rimborso delle spese sostenute da uno dei genitori nei confronti del figlio naturale ed argomentando dal disposto dell’art. 155, comma secondo, c.c. (a norma del quale il giudice fissa, altresì, la misura ed il modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli), può ritenersi che, anche nell’ambito dei procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati ex art. 317-bis c.c., il tribunale per i minorenni è contestualmente competente a decidere, in via consequenziale alla pronuncia relativa all’affidamento dei figli naturali, oltre che sull’assegno di mantenimento a titolo di contributo per il mantenimento del minore, anche sul rimborso pro quota delle spese di mantenimento sostenute da uno dei genitori dalla nascita della prole sino alla pronuncia di affidamento della stessa (cfr. Padalino, op. loc. ultt. citt.).

Viceversa, la domanda di mantenimento del figlio naturale, ovvero di rimborso delle spese sostenute da uno dei genitori, proposta indipendentemente da una richiesta di affidamento della prole rimarrà di competenza del tribunale ordinario, in quanto, anche a seguito della pronuncia dell’ordinanza in esame, il tribunale per i minorenni non ha una competenza generale in materia di figli naturali minorenni corrispondente a quella che ha il tribunale ordinario in materia di figli legittimi dopo la separazione e il divorzio (cfr. Arceri, L’affidamento condiviso, Nuovi diritti e nuove responsabilità nella famiglia in crisi, Milano, 2007, p. 269; Padalino, op. loc. ultt. citt.; Facchini, Quale giudice e quale rito per i figli naturali?, in Facchini, Fissore, Naggar, Oberto, Ronfani, Il nuovo rito del contenzioso familiare e l’affidamento condiviso – Le riforme del diritto di famiglia viste dagli avvocati – Commenti, formulari e documenti, a cura di Giacomo Oberto, Padova, 2007, Parte III, Cap. I).

[323] Cass., 30 maggio 2005, n. 11458, cit.

[324] Anche alla luce di quanto stabilito da Corte cost., 10 maggio 1999, n. 154, in Fam. dir., 1999, p. 539, con nota di Caravaglios; in Fisco, 1999, p. 9076; in Foro it., 1999, I, c. 2168; in Giust. civ., 1999, I, p. 1930; in Cons. stato, 1999, II, p. 691; in Boll. trib., 1999, p. 1319, con nota di Cernigliaro Dini; cfr. inoltre la precedente Corte cost., 15 aprile 1992, n. 176, in Foro it., 1994, I, c. 41; in Dir. prat. trib., II, 1992, p. 1162, con nota di Fusaro; in Riv. dir. fin., 1993, II, p. 6, con nota di Formica.

[325] Cfr. Cass., 30 maggio 2005, n. 11458, cit.

[326] Cfr. la Risoluzione 151/E del 19 ottobre 2005 dell’Agenzia delle Entrate, il cui testo è disponibile all’indirizzo web seguente:

http://www.finanzaefisco.it/agenziaentrate/cir_ris_2005/ris151-05.htm.

[327] Cfr. Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 161; Id., I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 699 ss., II, cit., p. 1255 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 167 ss.

[328] Si noti che, nel caso prospettato dalla citata risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, il figlio era minorenne, per cui l’atto traslativo era sicuramente caratterizzato, per le ragioni sopra esposte, dalla causa postmatrimoniale tipica desumibile dall’art. 711 c.p.c. e, come tale, ben avrebbe potuto e dovuto essere qualificato alla stregua di un «atto relativo al procedimento» di separazione dei genitori.

[329] Cfr. Corte cost., 11 giugno 2003, n. 202, in Dir. fam. pers., 2003, p. 323; in Giur. it., 2003, p. 2193. Questa la massima ufficiale: «Illegittimità costituzionale dell’art. 8, lettera b), della Tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, nella parte in cui non esenta dall’imposta ivi prevista i provvedimenti emessi in applicazione dell’art. 148 del codice civile nell’ambito dei rapporti tra genitori e figli. È, infatti, irragionevole e non conforme all’art. 3 della Costituzione sotto il profilo dell’uguaglianza la mancata estensione ai provvedimenti adottati ai sensi del predetto articolo 148 del codice civile – in tema di determinazione del contributo di mantenimento fissato a carico del genitore naturale obbligato ed a favore del genitore affidatario – dell’esenzione tributaria disposta in tema di atti recanti condanna al pagamento di somme in materia di procedimenti relativi ai giudizi di separazione e divorzio ed estesa anche ai provvedimenti relativi alla prole: la mancanza del rapporto di coniugio fra le parti non può in alcun modo giustificare la diversità di disciplina tributaria del provvedimento di condanna, senza risolversi in un trattamento deteriore dei figli naturali rispetto a quelli legittimi, in contrasto anche con l’art. 30 della Costituzione.

- Per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 19 della legge n. 74 del 1987, nella parte in cui non estendeva l’esenzione ivi prevista a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi, citata la sentenza n. 154/1999.

- Per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dello stesso art. 19 della legge n. 74 del 1987, nella parte in cui non comprendeva nell’esenzione dal tributo anche le iscrizioni di ipoteca effettuate a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione, richiamata la sentenza n. 176/1992.

- In tema di estensione di agevolazioni e benefici tributari, generalmente affidata alle scelte discrezionali del legislatore, ma consentita quando lo esiga la ‘ratio’ dei benefici stessi, menzionate le sentenze n. 431/1997 e n. 86/1985; nonché le ordinanze n. 27/2001 e n. 10/1999».

Questo è il dispositivo della decisione: «Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, lettera b), della Tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), nella parte in cui non esenta dall’imposta ivi prevista i provvedimenti emessi in applicazione dell’art. 148 cod. civ. nell’ambito dei rapporti fra genitori e figli. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2003».