Sentenza, 05-03-2001, n. 03149, sez. 1- PRES Olla G- REL Felicetti F- PM Palmieri R (conf.) - CAPUTO c. FORLANI (Cassazione Civile)

Procedimenti speciali - Procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone - Separazione personale dei coniugi - Modificabilità dei provvedimenti del tribunale - Separazione consensuale - Clausole della separazione personale - Revisione - Presupposto - Sopravvenienza di giustificati motivi - Vizi dell'accordo posto a base della separazione - Deducibilità con il procedimento camerale ex artt. 710 e 711 cod. proc. civ. - Esclusione.

COD.CIV. ART. 156

COD.CIV. ART. 158

COD.PROC.CIV. ART. 710

COD.PROC.CIV. ART. 711
 
 

Applicandosi l'art. 156, settimo comma, cod. civ. in via analogica alla separazione consensuale, i "giustificati motivi" che autorizzano la modificazione delle condizioni della separazione consistono in fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale gli accordi erano stati stipulati; ne consegue che né gli eventuali vizi del consenso rispetto all'atto di separazione omologato né la sua eventuale simulazione sono deducibili con il giudizio camerale attivato ai sensi degli artt. 710 e 711 cod. proc. civ., costituendo presupposto del ricorso a detta procedura l'allegazione dell'esistenza di una valida separazione consensuale omologata.
 
 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Caputo Maria Giuseppina, con ricorso al Tribunale di Roma notificato il 25 luglio 1996 al marito Forlani Alessandro, aveva dedotto quanto segue.

Essa si era separata consensualmente dal Forlani con atto omologato il 12 novembre 1991, con il quale era stato convenuto l'affidamento ad essa del figlio minore, l'assegnazione della casa coniugale al marito, a carico del quale era stato stabilito un assegno di mantenimento per essa esponente ed il figlio minore, da rivalutarsi secondo gli indici ISTAT, nonché le spese per gli studi di detto figlio.

In effetti il consenso a tali condizioni le era stato estorto dal Forlani, che l'aveva minacciata di impadronirsi della casa coniugale, a lui intestata ma in effetti in comproprietà, e di separare da lei il figlio, mentre se avesse sottoscritto dette condizioni l'avrebbe lasciata nella casa coniugale insieme al figlio, in attesa di venderla e dividerne il ricavato.

L'accordo verbale sottostante alla separazione era stato rispettato dal Forlani sino all'ottobre 1993, quando le aveva ingiunto di lasciare la casa coniugale e comunicato di essersi messo in pensione, cosicché non le avrebbe più corrisposto l'assegno pattuito.

Essa esponente era stata pertanto costretta a lasciare detta casa, a procurarsi un miniappartamento, dove viveva con l'aiuto economico del fratello e di amici, non essendo in grado di mantenersi autonomamente con la pensione di cui era titolare.

Tutto ciò premesso, chiedeva la modifica delle condizioni della separazione. Il Tribunale rigettò la domanda, in quanto non erano dedotti mutamenti della situazione dei coniugi, ma circostanze non deducibili con la procedura attivata, consistenti nell'allegata esistenza di accordi diversi da quelli sottoscritti in sede di separazione consensuale.

La Caputo proponeva reclamo dinanzi alla Corte di appello, deducendo che il mutamento della situazione doveva essere ravvisato nella scoperta del programma espoliativo posto in essere dal marito, che l'aveva a tal fine indotta ad accettare le su dette condizioni di separazione, assicurandole la permanenza nella casa coniugale con il figlio, la vendita di essa con la divisione del prezzo e il pagamento dell'assegno pattuito, mentre poi aveva preteso la consegna della casa e aveva smesso di pagare l'assegno.

La Corte di appello, con decreto depositato in data 3 settembre 1998, respingeva il reclamo, osservando che il thema decidendum introdotto riguardava la simulazione dell'atto di separazione e non la sua modifica, cosicché la domanda non poteva essere proposta con la procedura adottata, nella quale non poteva essere accertato neppure un eventuale vizio del consenso. La Corte respingeva anche le domande proposte di pagamento diretto dell'assegno da parte dell'ente erogatore della pensione, nonché di determinazione di una indennità sostitutiva una tantum.

Avverso la sentenza la Caputo ha proposto ricorso a questa Corte, con atto notificato al Forlani in data 29 luglio 1999, formulando otto motivi di impugnazione. Il Forlani resiste con controricorso. Le parti hanno anche depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE


1 In via pregiudiziale va rigettata l'eccezione del controricorrente di inammissibilità del ricorso per genericità della procura, essendo essa apposta a margine del ricorso per cassazione, nel quale è indicata la pronuncia della Corte di appello di Roma che si intendeva impugnare, con la conseguente palese riferibilità della stessa al ricorso avverso tale provvedimento.

2 Con il primo motivo si denuncia la omissione, illogicità e il travisamento dei fatti nell'identificazione dell'oggetto della domanda.

Si deduce al riguardo che la sentenza ha erroneamente ritenuto che essa ricorrente avesse dedotto la validità del patto omologato, chiedendone la modifica con l'assegnazione a sé della casa coniugale. La sentenza avrebbe erroneamente rigettato sulla base di tale assunto la domanda di modifica delle condizioni di separazione, mentre l'appellante aveva dedotto la nullità dei patti sottoscritti con l'atto di separazione consensuale, motivo di gravame sul quale la Corte di appello avrebbe omesso di decidere.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell'art. 1414 cod. civ., la illogicità della "costruzione giudiziale" e il travisamento del gravame. Secondo la ricorrente le parti non avrebbero posto in essere alcuna simulazione stipulando un accordo verbale contestuale alla separazione consensuale, a questa difforme e la Corte di appello avrebbe errato nel non rilevare che secondo la prospettazione contenuta nel reclamo "l'intera produzione degli accordi scritti e verbali, incentrati sulla separazione personale dei coniugi, è governata dalla volontà costrittiva o seduttiva del Forlani, rispetto a cui la Caputo non fornisce alcun contributo se non quello della soccombenza". Sul punto la prospettazione del giudice di appello sarebbe illogica, travisante e omissiva, ponendosi in contrasto con le "postulazioni in fatto e in diritto" dell'appellante.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell'art. 1427 cod. civ., in relazione agli artt. 1435-1439, nonché la violazione degli artt. 1362 e segg., il travisamento dell'appello e la carenza di motivazione della sentenza.

Si deduce che la sentenza impugnata, senza alcun esame della volontà delle parti assume che gli eventuali vizi nella formazione del consenso sarebbero ravvisabili nell'accordo scritto, che considera separatamente rispetto agli accordi verbali, mentre detti accordi costituirebbero un unicum, facente parte di un disegno volto a privare la ricorrente dei suoi diritti. La sentenza si sarebbe sottratta alla verifica di tale deduzione, pervenendo alla disapplicazione delle norme sui vizi nella formazione del consenso.

Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell'art. 156 cod. civ. e 710 c.p.c. Si deduce al riguardo che la Corte di appello sarebbe giunta "a teorizzare la disapplicazione delle norme richiamate nel motivo, deducendo la inappropriatezza della procedura camerale allo scioglimento di questioni attinenti ai vizi del consenso nella formazione del negozio ed alla simulazione". Viceversa la procedura camerale sarebbe utilizzabile anche per dedurre coartazioni e raggiri subiti al momento della separazione consensuale, in quanto la scoperta del raggiro si configurerebbe come giustificato motivo di modificazione delle condizioni della separazione e l'attività istruttoria esperibile in sede camerale sarebbe idonea all'acquisizione del relativo materiale probatorio.

Con il quinto motivo si denuncia il travisamento e l'omessa considerazione dei motivi di appello con riguardo alla conferma della decisione del Tribunale in ordine alla mancanza dei presupposti per la modifica delle condizioni della separazione, in quanto la condizione reddituale delle parti non appariva sostanzialmente modificata, fondandosi la domanda su una diversa prospettazione in fatto e in diritto.

Tali motivi vanno esaminati congiuntamente, risolvendosi in censure - tutte fra di loro connesse - relative all'erronea individuazione da parte della Corte di appello della causa petendi dell'originaria domanda e dei motivi del reclamo, nonché della sua idoneità ad introdurre la procedura camerale prevista dall'art. 710 c.p.c.

Essi sono infondati per le ragioni che seguono.

La Corte di appello ha confermato il decreto del Tribunale reiettivo della domanda di modifica, proposta sotto il profilo che "la separazione consensuale omologata sarebbe stata sostanzialmente modificata in virtù di contestuali accordi verbali, poi violati unilateralmente dal Forlani, che ha preteso ed ottenuto quanto risultante dalla separazione omologata"; che "la sottoscrizione dell'accordo separatizio omologato sarebbe stato ottenuto con minacce e carpendo il consenso della Caputo, la quale, con analoghi mezzi, sarebbe stata costretta ad attuare lo stesso accordo scritto"; che "i giustificati motivi per chiedere la modifica delle condizioni della separazione sarebbero ravvisabili nella percezione, successiva di oltre un anno, da parte della Caputo, dell'intento del Forlani di non rispettare gli accordi verbali che avevano avuto un principio di attuazione".

In proposito la Corte di appello ha ritenuto: a) che gli eventuali vizi del consenso ravvisabili all'atto della conclusione dell'accordo scritto non possono essere fatti valere in questa sede, ma in via ordinaria; b) la contestualità di diversi accordi verbali, dedotta dalla reclamante non integra modifica di quelli scritti, ma simulazione dell'atto omologato; c) che la natura delle richieste avanzate dalla reclamante, la quale ha domandato l'assegnazione della casa coniugale, dimostra che essa ha ritenuto la validità dell'atto omologato, fondando la domanda di assegnazione della casa sulla simulazione di esso, non deducibile con il giudizio camerale attivato; d) che non sussistono ragioni per la modifica dei patti omologati sulla base dell'esame della situazione reddituale delle parti, che è l'unico fatto che potrebbe giustificarla attraverso il giudizio camerale.

L'essenza della ratio decidendi della sentenza consiste pertanto nell'affermazione che né gli eventuali vizi del consenso rispetto all'atto di separazione omologato, né la sua eventuale simulazione sono deducibili con il giudizio camerale attivato ai sensi degli artt. 710 e 711 c.p.c. e che il fatto nuovo del mutamento della situazione economica delle parti, deducibile con tale giudizio, non era stato dimostrato.

In proposito va considerato che, in caso di separazione personale fra i coniugi, le condizioni della separazione giudiziale, ai sensi dell'art. 156, comma 7, cod. civ., possono essere modificate "qualora sopravvengono giustificati motivi", attraverso il ricorso alla procedura camerale prevista dagli artt. 710 e 711 c.p.c. Questa disciplina è applicabile analogicamente anche alla separazione consensuale.

La citata normativa va interpretata nel senso che la sentenza di separazione dà luogo a un giudicato "rebus sic stantibus", non modificabile in relazione ai fatti che avrebbero potuto essere dedotti nel relativo giudizio; così come gli accordi negoziali sottoscritti in sede di separazione consensuale omologata non sono modificabili in relazione a fatti dei quali le parti avrebbero dovuto tenere conto al momento della conclusione degli accordi di separazione. La sentenza e l'atto di separazione consensuale omologata sono invece modificabili in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, che abbiano alterato la situazione preesistente, mutando i presupposti in base ai quali il giudice o le parti avevano stabilito le condizioni della separazione.

Oggetto della procedura camerale, pertanto, è l'accertamento della esistenza dei "giustificati motivi" che autorizzano la modificazione delle condizioni della separazione, intesi quali fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale la sentenza era stata emessa o gli accordi erano stati stipulati.

Del tutto estranei a tale oggetto sono i vizi della sentenza di separazione, o dell'accordo posto a base della separazione consensuale, così come l'intento simulatorio delle parti, sottostante a tale accordo.

Infatti la procedura camerale in questione è prevista dal combinato disposto degli artt. 156, comma 7, cod. civ., e 710 c.p.c. in relazione alla separazione giudiziale, riguardo alla quale è adottabile solo ove la sentenza di separazione sia passata in giudicato, cosicché i "giustificati motivi" previsti dall'art. 156 non possono attenere a vizi della sentenza, ovvero ad intese simulatorie ad essa sottostanti.

Ne deriva che, applicandosi l'art. 156, comma 7, in via analogica alla separazione consensuale, i "giustificati motivi" non possono attenere a vizi dell'accordo di separazione, o alla sua simulazione, costituendo presupposto giuridico del ricorso in via analogica a detta procedura camerale proprio l'allegazione dell'esistenza di una valida separazione consensuale omologata, equiparabile alla separazione giudiziale pronunciata con sentenza passata in giudicato, restando quindi l'allegazione degli eventuali vizi dell'accordo di separazione, ovvero della sua simulazione, rimessi al giudizio ordinario, secondo le regole generali.

Ne consegue che, consistendo la ratio decidendi della sentenza impugnata nell'affermazione che né gli eventuali vizi del consenso rispetto all'atto di separazione omologato, né la sua eventuale simulazione sono deducibili con il giudizio camerale attivato ai sensi degli artt. 710 e 711 c.p.c. e che il fatto nuovo del mutamento della situazione economica delle parti, deducibile con tale giudizio, non era stato dimostrato, le censure proposte con i motivi in esame sono prive di fondamento.

3 Con il sesto motivo si deduce la violazione dell'art. 156, comma 6, cod. civ. e l'omessa pronuncia sulla domanda di pagamento diretto dell'assegno di mantenimento da parte dell'ente erogatore della pensione del Forlani.

Il motivo è inammissibile, per un verso essendo stato formulato in modo del tutto generico, senza alcuna allegazione di elementi che ne avrebbero dovuto comportare l'accoglimento; per altro verso in quanto riferito a una domanda formulata per la prima volta in sede di reclamo.

4 Con il settimo motivo si denuncia il travisamento del quarto motivo di appello in ordine alla domanda di liquidazione di un'una tantum, in relazione alle alterate condizioni di separazione. In proposito si deduce che "la domanda si riferiva non già ad una ipotesi risarcitoria ma alla determinazione giudiziale di una equa indennità dell'assegno di mantenimento, quale sarebbe intercorsa fra le parti (affidamento della casa familiare alla coniuge affidataria e pertinente consistenza dell'assegno), ove non fossero intervenuti gli stratagemmi e i condizionamenti dell'altro coniuge, che hanno prodotto la patologica regolamentazione, facendo pertanto decorrere la obbligazione differenziale ex tunc e che la parte richiedente ha capitalizzato nella somma esposta nelle conclusioni dell'atto introduttivo".

Il motivo è infondato, avendo la Corte di appello esattamente ritenuto, per le ragioni già sopra esposte sull'oggetto del giudizio camerale di revisione delle condizioni della separazione, la inammissibilità della domanda in tale giudizio.

5 Con l'ottavo motivo si denuncia l'omessa valutazione della prova richiesta e del relativo punto di gravame, per non avere la Corte di appello esaminato il quinto motivo del reclamo, deducente il vizio di tautologia, contraddittorietà, travisamento, in cui sarebbe incorso il tribunale nell'escludere la prova.

Il motivo è inammissibile per la sua genericità, non essendo riportata la prova della quale si lamenta la mancata ammissione.

Il ricorso deve essere quindi rigettato, compensandosi le spese del giudizio di cassazione ravvisandosene giusti motivi.

P.Q.M.


La Corte di cassazione rigetta il ricorso. Compensa le spese.
 
 
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