9. Terzo corollario: gli effetti verso i terzi dell’accertamento della
simulazione (o della pronunzia di annullamento o di revoca).
Non rimarrà a questo punto che occuparsi succintamente dei
possibili effetti verso i terzi dell’eventuale accertamento giudiziale della
simulazione, così come dell’eventuale pronunzia di annullamento o di revoca.
Qui il richiamo è d’obbligo ai principi generali, scolpiti, per ciò che attiene
alla simulazione, negli artt. 1415 s. e 2652, n. 4, c.c., per ciò che riguarda
i vizi del consenso, negli artt. 1445 e 2652, n. 6, c.c. e, per quanto attiene
alla revocatoria, negli artt. 2901, ult. cpv., e 2652, n. 5, c.c.
A questo riguardo potrà citarsi un precedente del
tribunale di Bologna ([130]),
il quale ha ritenuto applicabile l’art. 1415 c.c. alla fattispecie seguente.
Durante il periodo di separazione consensuale, iniziata nel 1977, il marito
procede all’acquisto e quindi alla vendita di un immobile. Al momento del
divorzio la moglie agisce verso il terzo acquirente dell’immobile in questione ex art. 184 c.c., chiedendo
l’annullamento dell’atto per essere stato quest’ultimo posto in essere senza il
suo consenso, in relazione ad un bene della comunione legale, nel frattempo
instauratasi ([131]) per via
del carattere meramente «apparente» dello stato di separazione, frutto, a dire
della parte attrice, di un accordo omologato simulato, in quanto «teso a tenere
al riparo la famiglia dell’H. [il marito] da eventuali azioni di ritorsione
politica nei confronti di questi, cittadino libico».
La sentenza, come si è appena detto, respinge la domanda
della moglie, richiamando l’art. 1415 c.c. In realtà, nella decisione felsinea,
altre motivazioni vengono ad intrecciarsi e quasi a sovrapporsi a questo rationale. In particolare, rispunta
l’argomento dell’asserita irriferibilità dell’istituto della simulazione
all’accordo di separazione consensuale «per via dell’intervento di un organo
giudiziario sovraordinato, il Presidente del tribunale». La tesi, enunciata al
dichiarato scopo di costituire una sorta di giustificazione «di rincalzo»
rispetto alla precedente («Ad abundantiam,
poi, il Collegio dà atto che sussiste un autorevole orientamento
giurisprudenziale…»), appare però subito con questa inconciliabile: il
presupposto di applicabilità della regola ex
art. 1415 c.c. risiede, per l’appunto, nella possibilità di ritenere l’atto
nullo per simulazione.
Di fronte, poi, al motivo – «aggiunto» in corso di causa
in via subordinata – dell’asserita intervenuta riconciliazione, il tribunale
nega che l’art. 184 c.c. possa estendersi a colpire la posizione di terzi
ignari della sopravvenuta ricostituzione del regime legale. Lasciando però da
parte tale ultimo argomento, estraneo alla presente analisi, non potrà farsi a
meno di rimarcare come la questione qui discussa venga a toccare il tema,
quanto mai delicato, della pubblicità delle cause di scioglimento della
comunione legale tra coniugi.
In proposito, fermo restando che, tanto l’accertamento
giudiziale della simulazione (della separazione consensuale, del divorzio su
domanda congiunta, così come delle relative intese), quanto la pronunzia di
annullamento o di revoca, sfuggono alla annotazione a margine dell’atto di
matrimonio ([132]), non
rimane che riconoscere alla trascrizione sui pubblici registri immobiliari e
mobiliari delle relative domande giudiziali la funzione di disciplinare i
confitti con i terzi aventi causa in relazione a diritti relativi a beni
immobili o mobili registrati acquistati in base ad atti soggetti alla
trascrizione. Così, per esempio, il coniuge interessato a far valere nei
confronti dei terzi i diritti ex art.
184 c.c. sui beni immobili o mobili registrati acquistati medio tempore, cioè a dire in costanza di apparente regime di
separazione instauratosi in seguito ad una fittizia (o viziata) causa di
scioglimento ex art. 191 c.c.,
potrebbe procedere alla trascrizione contro l’altro coniuge della domanda
diretta a colpire la validità e/o gli effetti della separazione consensuale (o
del divorzio su domanda congiunta), nonché alla trascrizione (ex art. 2653, n. 1, c.c.) della domanda
(logicamente conseguente, ma che ben potrebbe essere proposta contestualmente
alla prima) di accertamento della persistenza del regime legale e del carattere
comune del bene in questione. E lo stesso potrebbe valere anche per altre
situazioni non annotabili a margine dell’atto di matrimonio, ma influenti su di
una causa di scioglimento del regime legale: si pensi, per tutte, alle azioni
tendenti alla declaratoria di nullità per un qualsiasi motivo (magari, ancora una
volta, per simulazione) o alla pronunzia di annullamento di una convenzione di
separazione dei beni.
Ecco riemergere, dunque, ancora una volta, quella funzione
della trascrizione sui registri immobiliari «integrativa» e «correttiva»
rispetto alla annotazione a margine dell’atto di matrimonio, già prospettata
quasi vent’anni fa dallo scrivente ([133])
in merito ai tormentati rapporti tra gli artt. 162 e 2647 c.c.: problema – sia
consentito aggiungerlo – che non sembra definitivamente risolto neppure dai più
recenti interventi legislativi. Basti dire, a tacer d’altro, che il d.p.r. 30
marzo 2001, n. 396 (Regolamento per la
revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma
dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), continua a
non prevedere l’annotazione della sentenza dichiarativa di fallimento, così
come del ricorso per separazione legale e che la lacuna non può certo essere
colmata con il rinvio, pure ipotizzato a suo tempo da parte della dottrina ([134]),
all’art. 23, primo comma, l. 6 marzo 1987, n. 74 ([135]),
posto il carattere sicuramente non processuale della norma divorzile ([136])
di cui si propugna l’estensione. A ciò s’aggiunga comunque – e l’accenno sarà
forzatamente telegrafico, ma lo sviluppo della considerazione ci porterebbe
veramente troppo lontano – che sulla permanente operatività degli artt. 706 ss.
c.p.c. (e dunque, implicitamente, sulla inapplicabilità alla separazione delle
disposizioni processuali in materia di divorzio) è intervenuta una recentissima
«interpretazione autentica» da parte di un Legislatore che, passando a pie’
pari sopra un dibattito in corso ormai dal 1987, sembra dare per pacifica
l’inapplicabilità della disciplina processuale del divorzio alla separazione
personale: intendo, più esattamente, qui riferirmi alle disposizioni della
legge 4 aprile 2001, n. 154 (Misure
contro la violenza nelle relazioni familiari), le quali (cfr. in
particolare l’art. 8) fanno espresso e ripetuto rinvio agli artt. 706 e
seguenti c.p.c.
Fin qui si è discorso del coniuge interessato ad opporre
ai terzi la realtà di una persistente situazione di comunione legale. Si
potrebbe peraltro ipotizzare anche la possibilità – accogliendo il suggerimento
proposto da chi scrive in merito alla soluzione dei complessi problemi posti
dagli aspetti pubblicitari dei regimi matrimoniali ([137])
– che terzi eventualmente interessati a dimostrare il carattere (in realtà)
comune dei beni acquistati dopo che si sia verificata la causa di scioglimento
apparente (si pensi ai creditori della comunione), siano legittimati a far
prevalere la realtà sull’apparenza, provando, per l’appunto, il carattere
meramente fittizio della (apparente) causa di scioglimento del regime legale.
Il discorso non potrebbe però valere in questo caso che per la simulazione,
atteso che l’azione diretta ad ottenere la pronunzia di annullamento per un
vizio del consenso è per definizione rimessa nelle mani della sola parte il cui
consenso sia stato dato per errore, estorto con violenza o carpito con dolo.
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([131]) La separazione risaliva ad epoca anteriore alla entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia del 1975.
([132]) Cui vanno soggette ora anche la pronunzia di separazione giudiziale, l’omologazione di quella consensuale, così come «le dichiarazioni con le quali i coniugi separati manifestano la loro riconciliazione» (cfr. art. 69, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396).
([133]) Cfr. Oberto, Annotazione e trascrizione delle convenzioni matrimoniali: una difficile coesistenza, in Riv. dir. ipotecario, 1982, 127 ss., 148 ss.; v. inoltre Id., Comunione legale, regimi convenzionali e pubblicità immobiliare, in Riv. dir. civ., 1988, II, 187 ss., 206 ss.; Id., Pubblicità dei regimi matrimoniali, in Riv. dir. civ., 1990, II, 236 ss.; Id., La pubblicità dei regimi patrimoniali della famiglia (1991-1995), ivi, 1996, II, 229 ss.; cfr. inoltre, per ulteriori approfondimenti, Barchiesi, Il sistema della pubblicità nel regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1995, 25 ss.; per la giurisprudenza successiva v. Cass., 28 novembre 1998, n. 12098, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, 636 ss., con sommaria nota di Mosca; in Riv. notar., 1999, II, 375, con nota di Gammone; la pronunzia (risalente peraltro ad epoca anteriore all’entrata in vigore della riforma dell’ordinamento dello stato civile, di cui si dà conto nel testo) ha accolto la tesi proposta dallo scrivente nelle opere appena citate circa la sufficienza della trascrizione ai fini dell’opponibilità ai terzi dello scioglimento del regime legale operato dalla separazione personale, anche in difetto di annotazione a margine dell’atto di matrimonio.
([134]) Per i richiami cfr. Oberto, La pubblicità dei regimi patrimoniali della famiglia (1991-1995), cit., 250 ss.
([135]) Ai sensi del quale «Fino all’entrata in vigore del nuovo testo del codice di procedura civile, ai giudizi di separazione personale dei coniugi si applicano, in quanto compatibili, le regole di cui all’articolo 4 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall’articolo 8 della presente legge».