Giacomo Oberto

 

I TRASFERIMENTI PATRIMONIALI IN OCCASIONE

DELLA SEPARAZIONE E DEL DIVORZIO (*)

 

 

sommario:

·         1. Ammissibilità di contratti relativi al trasferimento di diritti in sede di separazione e divorzio. L’esclusione della causa liberale.

·         2. Causa, cause e motivi dei trasferimenti.

·         3. Tipologia dei negozi in oggetto.

·         4. Soggetti e oggetto dei trasferimenti.

·         5. Profili formali e pubblicitari.

·         6. Gli accordi di carattere obbligatorio. Generalità. La natura dell’impegno a trasferire.

·         7. Segue. La natura dell’atto di trasferimento.

 

 

1. Ammissibilità di contratti relativi al trasferimento di diritti in sede di separazione e divorzio. L’esclusione della causa liberale.

 

Come già rilevato in un’apposita monografia sul tema [1], una sola disposizione del nostro vigente ordinamento consente espressamente ai coniugi in crisi di corrispondere «in unica soluzione» una prestazione postmatrimoniale (di carattere pecuniario) tradizionalmente prevista come periodica [2]; una sola (controversa) disposizione ammette(va) esplicitamente la possibilità di inserire nei procedimenti di separazione e divorzio «attribuzioni di beni patrimoniali» [3]. La prima delle due norme concerne però il solo procedimento di divorzio contenzioso e, come tale, non appare trasferibile alla procedura di divorzio su domanda congiunta e tanto meno a quella di separazione consensuale [4]; la disposizione non sembra del resto neppure (quanto meno direttamente) riferibile a «dazioni» diverse da quelle aventi ad oggetto somme di denaro. La seconda normativa – dai contorni e dai contenuti quanto mai incerti – risulta oggi, se non implicitamente abrogata, quanto meno di fatto inapplicabile per effetto di una nota decisione della Consulta [5].

In realtà, il fondamento del potere dei coniugi (o ex tali) di liquidare una tantum il contributo al mantenimento del separato, o dell’assegno di divorzio, così come di porre in essere, in occasione della crisi coniugale, negozi traslativi di diritti su uno o più beni determinati, va ricercato non già nelle norme ricordate, bensì in due fondamentali princìpi del nostro ordinamento. Ci si intende riferire, da un lato, al principio della libertà contrattuale, canone che gioca un ruolo decisivo all’interno dei contratti della crisi coniugale e, dall’altro, al carattere eminentemente disponibile dei diritti in gioco [6].

Strettamente legati a tali considerazioni sono i rilievi che si possono svolgere in merito all’individuazione del supporto causale delle attribuzioni in oggetto e, più in generale, dei contratti della crisi coniugale. In questa sede sarà sufficiente ricordare che fondamentale al riguardo è il rilievo – già mosso in dottrina di fronte ad una delle prime pronunce della Cassazione al riguardo [7] – secondo cui l’equiparazione dell’autonomia concessa ai coniugi a quella generalmente riconosciuta ai privati non può certo portare ad attribuire ai primi «maggiore libertà di determinazione di quanta l’ordinamento ne riconosca in generale a tutti i privati nei loro reciproci rapporti» [8]. Se è vero quindi che – come autorevolmente sottolineato [9] – alla causa, quale elemento essenziale del contratto in generale, spetta il compito di «giustificare di fronte all’ordinamento i movimenti dei beni da un individuo all’altro», è proprio alla presenza di tale requisito che, anche nella materia in esame, deve ritenersi condizionata la validità di qualsiasi attribuzione patrimoniale, reale od obbligatoria, in sede di crisi coniugale. In materia di atti traslativi, poi, l’ordinamento non s’accontenta della mera esistenza del requisito causale. Esso sembra infatti pretendere che tale elemento risulti anche, in maniera esplicita o implicita, dal negozio in questione [10].

Poste queste premesse, occorre constatare che risulta assai più agevole definire «in negativo», che non «in positivo», il supporto causale delle attribuzioni qui in discussione e, più in generale, di quelli che lo scrivente ha in altra sede definito «contratti della crisi coniugale». Invero, se vi è un punto che sembra trovare concordi la giurisprudenza – tanto di legittimità che di merito – e la dottrina, questo è costituito dalla corale negazione (quanto meno in linea tendenziale) del carattere liberale delle attribuzioni effettuate ex uno latere in occasione di separazione o divorzio, in quanto configuranti atti in cui non sono ravvisabili non solo l’animus donandi, ma neppure il titolo gratuito.

Per ciò che attiene alla giurisprudenza, va detto che, nei casi più risalenti, la materia del contendere era sovente determinata dal desiderio di un coniuge di recuperare l’attribuzione effettuata (o dal rifiuto di darvi esecuzione), allegando la nullità della medesima per violazione della norma che vietava le donazioni tra coniugi (art. 781 c.c.). Nelle decisioni più recenti, venuta meno tale ragione d’impugnazione, l’argomento della nullità è presentato invece – allorquando si tratta di meri impegni a trasferire diritti – sotto il profilo della nullità della promessa di donazione, facendo dunque valere quella tesi dottrinale [11], cara ai giudici di legittimità [12], secondo cui la coazione all’adempimento contrasterebbe con la spontaneità che deve caratterizzare la liberalità ex art. 769 c.c. Nelle ipotesi di donazione definitiva, poi, si lamenta per lo più il mancato rispetto della forma solenne prescritta dagli artt. 782 c.c. e 48, l.notar.

L’esposizione dei precedenti giurisprudenziali al riguardo si trova nelle trattazioni specifiche della materia, cui si fa rinvio: in questa sede basti ricordare che l’esclusione della natura non solo di donazione, bensì anche lato sensu liberale (ancorchè non donativa) dei contratti in discorso è assolutamente pacifica, pur non potendosi escludere l’ammissibilità, in taluni casi isolati, di donazioni definibili come «postmatrimoniali», cioè caratterizzate dalla presenza di un motivo da individuarsi nell’intenzione delle parti di considerare la medesima alla stregua di una delle «condizioni» della separazione e del divorzio, cioè di un elemento la cui presenza viene dai coniugi ritenuta essenziale al fine di acconsentire ad una definizione non contenziosa della crisi coniugale.

 

 

2. Causa, cause e motivi dei trasferimenti.

 

L’esclusione, in linea di massima, di ogni intento di liberalità in capo alle parti di un contratto della crisi coniugale potrebbe indurre a ricercare, sul versante opposto, la giustificazione causale delle attribuzioni in oggetto nella necessità di adempiere all’obbligo legale di mantenimento previsto dagli artt. 156 c.c. e 5, c. 6, l.div. [13]. Peraltro la tesi della causa solutionis va incontro ad alcuni rilievi di cui non è certo agevole sbarazzarsi.

In primo luogo, infatti, appare difficilmente contestabile quanto osservato in dottrina sul fatto che, in pratica, assai raramente, nei contratti di cui qui si discute, le parti fanno espresso richiamo alla causa praeterita (o causa esterna) – intesa, appunto, nel senso del (preesistente) obbligo legale di mantenimento – delle attribuzioni effettuate o previste, cosa che invece appare necessaria al fine di evitare la nullità di un negozio che, altrimenti, risulta privo di ogni giustificazione [14]. Ma, anche a volere ammettere che le parti menzionino sempre expressis verbis il proprio intento di adempiere, con le prestazioni previste, alle obbligazioni ex artt. 156 o 5 l.div., resta il fatto che l’affermata funzione solutoria non esisterebbe, con conseguente nullità dell’attribuzione compiuta, qualora quest’ultima fosse attuata in favore del coniuge cui tali diritti non dovessero competere [15]. Al tradens sarebbe dunque concesso, nei limiti della prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito, riottenere il bene trasferito dimostrando che l’accipiens non versava nelle condizioni descritte dalle norme citate, salva restando la prova (veramente… diabolica) da parte di quest’ultimo dell’esistenza di un’altra idonea causa.

E’ chiaro, poi, che, a prescindere dal richiamo operato alla precedente obbligazione, tale vincolo dovrebbe comunque imprescindibilmente esistere e, come tale, esso dovrebbe essere sempre stato previamente determinato nel suo preciso ammontare, vuoi da una decisione giudiziale, vuoi da un’intesa delle parti. E proprio questo elemento è quello che, il più delle volte, fa difetto nel caso di specie [16].

Un altro argomento, strettamente legato a quello della disponibilità dei diritti in questione, concerne la transazione, negozio cui si è istintivamente portati a pensare, laddove si ponga mente al fatto che le particolari circostanze in cui matura solitamente la decisione di addivenire ad un contratto della crisi coniugale inducono a ritenere la presenza di una res litigiosa, piuttosto che di una res dubia [17]. Il richiamo alla transazione, per il vero, appare più ricorrente ed insistente in giurisprudenza che non in dottrina [18]. In realtà, l’obiezione fondamentale, per effetto della quale occorre concludere che, almeno di regola, i negozi traslativi e, più in generale, i contratti della crisi coniugale si sottraggono alla causa transattiva, deriva dall’impossibilità (quanto meno in linea di massima) di riscontrare, negli accordi in oggetto, la presenza di concessioni reciproche [19]. Ciò si verifica, in maniera più che evidente, in tutti gli accordi nei quali si prevede l’unilaterale trasferimento di diritti su uno o più beni mobili o immobili; la stessa osservazione vale però anche con riguardo a tutte quelle pattuizioni che si limitano a stabilire l’erogazione d’un assegno da una parte all’altra, senza che la struttura stessa del negozio manifesti (come si è messo in evidenza poco sopra) la presenza di un contrasto attuale su contrapposti interessi delle parti e che sia risolto con la tecnica dell’aliquid datum e dell’aliquid retentum [20].

Una volta scartate le ipotesi prospettate, potrebbe immaginarsi – aderendo a stimoli provenienti da autorevole e ormai risalente dottrina [21], nonché da una parte della giurisprudenza [22]di puntare sulla tesi del contratto atipico. Ma, se si tiene conto del carattere di negoziazione globale che la coppia in crisi attribuisce al momento della «liquidazione» del rapporto coniugale, di fronte alla necessità di valutare gli infiniti e complessi rapporti di dare-avere che la convivenza protratta per anni genera, v’è da chiedersi se, in luogo di una miriade di possibili accordi innominati, non sia possibile tentare di intraprendere un’opera ricostruttiva che faccia perno sull’individuazione di una vera e propria causa tipica del negozio patrimoniale della crisi coniugale, di un vero e proprio contratto, cioè, di definizione della crisi coniugale o, più esattamente, dei suoi aspetti patrimoniali. Tale negozio dovrebbe abbracciare ogni forma di costituzione e di trasferimento di diritti patrimoniali compiuti, con o senza controprestazione, in occasione della crisi coniugale, ancorché non necessariamente in seno ad una separazione consensuale, ben potendo intervenire, oltre che nei casi di separazione legale, annullamento, scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche in relazione ad una separazione di fatto, oppure ancora in vista di una possibile crisi coniugale, addirittura prima della celebrazione delle nozze.

L’ipotesi sembra avvalorata dalla stessa terminologia impiegata dal legislatore, laddove esso si riferisce alle «condizioni della separazione consensuale» (art. 711 c.p.c.), e alle «condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici» in sede di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 4, c. 13, l.div.). Ora, una lettura coordinata delle predette disposizioni, alla luce di quella giurisprudenza ormai costante del S. C. a mente della quale ciascun coniuge ha il diritto di condizionare il proprio assenso alla separazione a un soddisfacente assetto dei rapporti patrimoniali [23], consente di attribuire a quel complemento di specificazione («della separazione») valore non più solo soggettivo, bensì anche oggettivo. In altri termini, «condizioni della separazione» non sono soltanto quelle «regole di condotta» destinate a scandire il ritmo delle reciproche relazioni per il periodo successivo alla separazione o al divorzio, bensì anche tutte quelle pattuizioni alla cui conclusione i coniugi intendono comunque ancorare la loro disponibilità per una definizione consensuale della crisi coniugale; e tra queste ultime non può non rientrare l’assetto, il più possibile definitivo, dei propri rapporti economici, con la liquidazione di tutte le «pendenze» ancora eventualmente in atto).

Ad avviso di chi scrive, dunque, dal momento che l’intento principe delle parti è quello di sistemare definitivamente e in considerazione della crisi coniugale le «pendenze» che un più o meno lungo periodo di vita comune ha determinato, sembra più appropriato parlare di una causa tipica di definizione della crisi coniugale o, se si vuole essere più corretti, ancorché meno efficaci sotto il profilo espressivo, di una causa tipica di definizione degli aspetti economici della crisi coniugale. Ad un siffatto negozio tipico – tipico, appunto, in quanto previsto e disciplinato da apposite disposizioni (i già citati artt. 711 c.p.c. e 4, c. 13, l.div.) – potrebbe attribuirsi anche il nome di contratto tipico della crisi coniugale o di contratto postmatrimoniale. Di tale contratto i negozi traslativi di cui qui discorriamo costituiscono una peculiare tipologia.

Avuto riguardo, dunque, al profilo causale e secondo quanto già chiarito in altra sede [24] i contratti della crisi coniugale – e, per ciò che attiene al tema specifico della presente ricerca, i negozi traslativi di diritti tra coniugi in crisi – sono quelli che si caratterizzano per la presenza vuoi della causa tipica di definizione della crisi coniugale (contratto tipico della crisi coniugale, o contratto postmatrimoniale), vuoi per la semplice presenza, accanto ad una causa tipica diversa (donazione, negozio solutorio, transazione, convenzione matrimoniale, divisione), di un motivo «postmatrimoniale», rappresentato dal fatto che quel particolare contratto viene stipulato in contemplazione della crisi coniugale, avuto riguardo all’intenzione delle parti di considerare la relativa pattuizione alla stregua di una delle «condizioni» della separazione o del divorzio, cioè di un elemento la cui presenza viene dai coniugi ritenuta essenziale al fine di acconsentire ad una definizione non contenziosa della crisi coniugale [25].

L’impostazione, proposta alcuni anni or sono per la prima volta dallo scrivente, sembra essere stata recepita da una sentenza del 2004 della Corte di legittimità, la quale ha stabilito che «Gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della “donazione”, e tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all’actio revocatoria di cui all’art. 2901 c.c. rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di “separazione consensuale” (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità normativa nella distinta sede del divorzio congiunto), il quale, sfuggendo in quanto tale da un lato alle connotazioni classiche dell’atto di “donazione” vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sè, ad un contesto quello della separazione personale caratterizzato proprio dalla dissoluzione delle ragioni dell’affettività), e dall’altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l’assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua “tipicità” propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della “gratuità”, in ragione dell’eventuale ricorrenza o meno nel concreto, dei connotati di una sistemazione “solutorio-compensativa” più ampia e complessiva, di tutta quell’ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale» [26].

 

 

3. Tipologia dei negozi in oggetto.

 

        Per ciò che riguarda la tipologia degli atti in oggetto, il trasferimento può concretamente avvenire in due sedi distinte, ciascuna delle quali dà luogo a problemi suoi propri: quella giudiziale e quella stragiudiziale. Atto traslativo in sede giudiziale è quello che i coniugi pongono in essere dinanzi al giudice, nel verbale di separazione giudiziale redatto nel corso dell’udienza ex art. 711 c.p.c., oppure in quello di comparizione dinanzi al collegio nella procedura su domanda congiunta, ai sensi dell’art. 4, c. 13, l.div. L’atto traslativo in sede stragiudiziale si compie invece al di fuori di questo contesto, sovente in adempimento di un impegno a trasferire assunto nella fase giudiziale [27].

In un apposito lavoro sull’argomento si è avuto modo di esaminare in dettaglio l’evoluzione giurisprudenziale sul tema [28]. In questa sede potrà solo riassuntivamente rammentarsi che l’ammissibilità dei trasferimenti in sede (e non solo in occasione) di separazione e divorzio era stata riconosciuta [29] non soltanto in relazione a negozi aventi efficacia meramente obbligatoria, bensì anche a casi di atti immediatamente traslativi, a cominciare da una decisione di legittimità [30] che, già nel 1941, aveva ammesso la possibilità di inserire una donazione nel verbale di separazione consensuale, per passare a Cass., 12 giugno 1963, n. 1594 [31], che aveva consentito (quanto meno in astratto) la creazione di un diritto reale d’abitazione in un verbale di separazione (redatto, addirittura, nel 1920), per continuare con la successiva Cass., 7 giugno 1966, n. 1495 [32], che si era venuta a collocare nel medesimo ordine d’idee. Diversi anni più tardi, Cass., 11 novembre 1992, n. 12110 [33] aveva poi avallato l’interpretazione, alla stregua di un vero e proprio negozio traslativo, della dichiarazione contenuta nel verbale di separazione personale consensuale con la quale era stata a suo tempo riconosciuta al marito la proprietà esclusiva di un appartamento, confermando la valutazione dei giudici di secondo grado, secondo cui «tale riconoscimento, lungi dall’esprimere, come ritenuto dal Tribunale, una mera dichiarazione di scienza (...), configurava invece una volontà negoziale attributiva di tal bene al [marito] nel quadro di un complessivo regolamento di interessi che fra l’altro prevedeva ad esclusivo carico di costui il pagamento del prezzo (ancora in larga parte da versare) dell’appartamento».

Si noti che in quello stesso anno la Cassazione – tornando sul problema della distinzione degli atti in oggetto rispetto alla donazione – riconobbe anche validità agli accordi traslativi, anche se rivolti a disciplinare una mera separazione di fatto, in quanto «causalizzati dalla funzione solutoria (causa soggettiva o concreta) (...) ancorché strutturati in modo da non incorporare, attesa la unilateralità dell’attribuzione (...), la propria causa funzionale (causa oggettiva)» [34].

Ma è nel 1997 che la Corte di cassazione, occupandosi di un accordo concernente il diritto di proprietà su di un immobile, inserito in un verbale di separazione consensuale, affronta anche ex professo i profili concernenti, più specificamente, la natura di atto pubblico del verbale e la sua idoneità a costituire titolo per la trascrizione [35], affermando che «Sono pienamente valide le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 cod. civ., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 cod. civ., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi» [36]. L’importanza di tale leading case è stata adeguatamente illustrata in altra sede [37]; qui preme solo ricordare che esso è stato sempre seguito dalla giurisprudenza successiva di legittimità [38].

        Potranno così menzionarsi quelle numerose decisioni rese in materia fiscale che, discettando dell’applicabilità dell’art. 19, l. 6 marzo 1987, n. 74, hanno sempre dato per scontata la piena validità degli atti traslativi in oggetto [39]. Ad esse dovranno aggiungersi quelle pronunzie che, di volta in volta, hanno affermato la trasmissibilità in capo agli eredi dell’ex coniuge defunto dell’obbligazione di procedere al trasferimento, in capo all’altro ex coniuge, del diritto di proprietà sull’immobile oggetto dell’intesa di divorzio [40], ovvero riconosciuto carattere tipico negli accordi traslativi di cui si discute [41], ovvero ancora ribadito l’ammissibilità di un trasferimento in favore della prole [42], estendendo anche a tale ultimo tipo di negozio le esenzioni fiscali di cui al citato art. 19, l. 6 marzo 1987, n. 74 [43].

 

 

4. Soggetti e oggetto dei trasferimenti.

 

        Venendo ora a dire brevemente dei soggetti dei trasferimenti patrimoniali in discorso potrà notarsi come tali attribuzioni vengano normalmente effettuate da un coniuge nei riguardi dell’altro. Peraltro non è affatto raro il caso in cui un genitore compia (o prometta) un trasferimento in favore di uno o più figli  [44].

Sul punto è noto che la giurisprudenza di legittimità, superate alcune iniziali perplessità dei giudici di merito sulla liquidabilità con una prestazione una tantum delle attribuzioni in favore dei figli minorenni [45], stabilì, con un celebre leading case risalente al 1987, che l’impegno del marito – nel quadro di un accordo di separazione consensuale – di donare alla figlia un immobile quale contributo al mantenimento della stessa è configurabile alla stregua di un contratto (preliminare) a favore di terzi. Venne così deciso che «Allorché taluno, in sede di separazione coniugale consensuale, assume l’obbligo di provvedere al mantenimento di una figlia minore, impegnandosi a tal fine a trasferirle un determinato bene immobile, pone in essere con il coniuge un contratto preliminare a favore di terzo. Quando poi in esecuzione di detto obbligo, dichiara per iscritto di trasferire alla figlia tale bene, avvia il processo formativo di un negozio che, privo della connotazione dell’atto di liberalità, esula dalla donazione ma configura una proposta di contratto unilaterale, gratuito e atipico, che, a norma dell’art. 1333 c.c., in mancanza del rifiuto del destinatario entro il termine adeguato alla natura dell’affare, e stabilito dagli usi, determina la conclusione del contratto stesso e, quindi, l’irrevocabilità della proposta» [46].

        La decisione verrà commentata oltre, nella parte relativa alle questioni più specificamente legate agli accordi traslativi aventi efficacia meramente obbligatoria [47]. In questa sede si potrà aggiungere che, in tempi più recenti, Cass., 17 giugno 2004, n. 11342 ha stabilito che «È di per sè valida la clausola dell’accordo di separazione che contenga l’impegno di uno dei coniugi, al fine di concorrere al mantenimento del figlio minore, di trasferire, in suo favore, la piena proprietà di un bene immobile, trattandosi di pattuizione che dà vita ad un contratto atipico, distinto dalle convenzioni matrimoniali e dalle donazioni, volto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ai sensi dell’art. 1322 cod. civ.». La medesima decisione ha altresì fissato il principio secondo cui «La pattuizione, intervenuta in sede di separazione consensuale, contenente l’impegno di uno dei coniugi, al fine di concorrere al mantenimento del figlio minore, di trasferire, in favore di quest’ultimo, la piena proprietà di un bene immobile, non è soggetta nè alla risoluzione per inadempimento, a norma dell’art. 1453 cod. civ., nè all’eccezione d’inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., non essendo ravvisabile, in un siffatto accordo solutorio sul mantenimento della prole, quel rapporto di sinallagmaticità tra prestazioni che è fondamento dell’una e dell’altra, atteso che il mantenimento della prole costituisce obbligo ineludibile di ciascun genitore, imposto dal legislatore e non derivante, con vincolo di corrispettività, dall’accordo di separazione tra i coniugi, tale accordo potendo, al più, regolare le concrete modalità di adempimento di quell’obbligo. (Nella specie il padre, che aveva assunto tale impegno di trasferimento, convenuto in giudizio per l’esecuzione specifica ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., aveva chiesto la risoluzione della pattuizione deducendo l’inadempimento della madre all’obbligazione, da costei assunta nel medesimo accordo di separazione tra coniugi, di consentire che la figlia vedesse e frequentasse esso genitore)».

Secondo Cass., 30 maggio 2005, n. 11458, poi, «Nella ipotesi di trasferimento di immobili in adempimento di obbligazioni assunte in sede di separazione personale dei coniugi, l’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (norma speciale rispetto a quella di cui all’art. 26 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131), alla luce delle sentenze della Corte costituzionale 10 maggio 1999, n. 154 e 15 aprile 1992, n. 176, deve essere interpretato nel senso che l’esenzione “dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa” di “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio” si estende “a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi”, in modo da garantire l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici, anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto applicabile, in una fattispecie riguardante il trasferimento gratuito da parte del padre separato alle figlie della propria quota di proprietà della casa di abitazione, in ottemperanza ad un’obbligazione assunta in sede di separazione consensuale, non la normativa generale sugli atti di trasferimento di beni immobili tra coniugi o tra parenti in linea retta, ma la normativa speciale sugli atti esecutivi di atti di separazione personale tra coniugi)» [48].

Sempre restando in tema di possibili soggetti dei trasferimenti, non è neppure da escludersi che se, seguendo l’indirizzo che pare oggi profilarsi come prevalente, si ammette la possibilità di estendere l’usuale contenuto degli accordi di separazione e divorzio anche ad accordi non direttamente rivolti a regolare gli aspetti più tipici della «vita da separati» o «da divorziati», purché ascrivibili alla categoria delle «condizioni della separazione», si possa arrivare ad ipotizzare, ad esempio, un trasferimento di alcuni beni mobili attuato in via transattiva da parte di un coniuge a favore dei creditori dell’altro, magari in cambio di una reciproca concessione da parte del coniuge debitore all’autore del trasferimento.

        Per ciò che attiene, invece, all’oggetto dei trasferimenti andrà detto che rilevano, sotto questo profilo, non soltanto gli atti traslativi della proprietà o di altri diritti reali, ovvero di quote di comunione su tali diritti, relativi a qualsiasi tipo di beni (immobili, mobili registrati e non, universalità di mobili [49], titoli di credito, ecc.), ma anche quelli aventi ad oggetto la costituzione di iura in re aliena; negozi, questi ultimi, che la giurisprudenza tende a parificare agli atti traslativi. Potrà citarsi, proprio con riguardo alla costituzione di diritti reali minori, la vicenda relativa al problema dell’applicabilità agli atti costitutivi di servitù prediali delle disposizioni in tema di compravendita, risolta in senso affermativo dalla giurisprudenza [50]. Tra gli iura in re aliena che potranno essere costituiti attraverso un contratto della crisi coniugale andranno menzionati i diritti di usufrutto, uso abitazione, mentre non è neppure da escludersi, almeno in teoria, che anche altri diritti reali minori possano venire presi in considerazione nell’àmbito di un regolamento pattizio della crisi coniugale: si pensi ad un pegno o ad un’ipoteca concessi a garanzia dell’adempimento di obbligazioni assunte proprio in quella sede. Né infine potrà escludersi, quanto meno in astratto, che il trasferimento abbia ad oggetto situazioni non connotate dalla realità: si pensi, ad esempio, alla cessione di un credito.

Accennando ora brevemente alla sede dei negozi familiari in oggetto, andrà subito sottolineato come i trasferimenti dei quali fino ad ora ci siamo occupati non trovino la loro collocazione necessaria nel procedimento di separazione o di divorzio. Essi, invero, ancorché conclusi in occasione della crisi coniugale, non per ciò solo debbono anche essere consacrati in sede di procedimento di separazione personale o di divorzio, vale a dire nel relativo verbale d’udienza di comparizione dinanzi al presidente o al collegio. Ciò corrisponde, del resto, al principio più generale secondo il quale, come si è avuto modo di vedere in altra sede, i contratti della crisi coniugale ben possono essere stipulati anche al di fuori di quelle procedure i cui effetti essi sono in qualche modo destinati a disciplinare [51].

La tesi dominante e preferibile conclude peraltro nel senso che «rientra (...) pertinentemente nel contenuto eventuale dell’accordo di separazione ogni statuizione finalizzata a regolare l’assetto economico dei rapporti tra i coniugi in conseguenza della separazione comprese quelle attinenti al godimento ed alla proprietà dei beni, il cui nuovo assetto sia ritenuto dai coniugi stessi necessario in relazione all’accordo di separazione e che il Tribunale – con l’omologazione – non abbia considerato in contrasto con interessi familiari prevalenti rispetto a quelli disponibili di ciascuno di essi» [52].

 

 

5. Profili formali e pubblicitari.

 

Venendo ora ai profili di carattere più squisitamente formale vanno ricordate le obiezioni che una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito hanno sollevato circa l’idoneità delle dichiarazioni emesse dalle parti in sede processuale a dispiegare effetti immediatamente traslativi di diritti [53]. Ora, a parte il fatto che la previsione, da parte del legislatore, di determinati requisiti o determinati effetti in relazione all’istituto del contratto non esclude certo a priori la possibilità che requisiti ed effetti analoghi siano eventualmente richiesti e prodotti con riguardo ad altri tipi di atti negoziali, rimane la constatazione che i negozi di cui qui si discute hanno, precisamente, natura contrattuale. Rilievo, quest’ultimo, che vale anche a confutare la tesi di chi, riferendo gli effetti traslativi al decreto d’omologazione, anziché al consenso delle parti [54], vorrebbe trarre argomenti dal carattere tassativo delle norme che attribuiscono effetti costitutivi alle sentenze (art. 2908 c.c.), rilevando come il provvedimento d’omologa non sia ascrivibile a tale novero, in quanto avente appunto la veste di mero decreto, per giunta non dichiarato espressamente idoneo dalla legge a produrre effetti costitutivi.

Nessuna norma, d’altro canto, consente di ritenere che le dichiarazioni negoziali siano limitate (anzi, perfino inibite) nei propri effetti traslativi sol perché emesse in sede processuale o che, addirittura, l’àmbito della giurisdizione, ivi compresa quella c.d. volontaria, non potrebbe estendersi anche all’attività di ricevimento di atti negoziali [55]. Invero, le stesse disposizioni in materia di separazione consensuale evidenziano in maniera clamorosa l’esistenza di (almeno) un caso di ricevimento, da parte di organi giurisdizionali, quali il presidente e il cancelliere, di un atto negoziale, quale sicuramente è l’accordo dei coniugi di vivere separati (così come le relative e conseguenti intese d’ordine personale). Passando, poi, a considerare l’attività contenziosa, basterà citare il caso del verbale di conciliazione giudiziale (artt. 185 c.p.c., 88 disp. att. c.p.c.), il quale ben può contenere, per esempio, una transazione con cui si disponga l’immediato trasferimento di diritti su di uno o più beni, e che, come atto (pubblico) immediatamente traslativo, ben può costituire titolo per la trascrizione [56].

Uno degli argomenti con maggiore frequenza addotti dai sostenitori dell’impossibilità di attuare immediate attribuzioni patrimoniali in sede di separazione consensuale investe il problema dell’individuazione della categoria di documento cui ascrivere il relativo verbale d’udienza. Verbale che, come ripetuto più volte, si forma nel corso dell’udienza presidenziale, e che, ex art. 711, c. 3, c.p.c., deve dare atto «del consenso dei coniugi alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole» [57].

Ora, la norma fondamentale in tema di processo verbale d’udienza è costituita dall’art. 130 c.p.c., che individua nel cancelliere il soggetto cui compete redigere tale documento, ancorché «sotto la direzione del giudice». Ulteriori dati normativi al riguardo sono forniti:

(a) dall’art. 57, c. 1, c.p.c., a mente del quale «il cancelliere documenta a tutti gli effetti, nei casi e nei modi previsti dalla legge, le attività proprie e quelle degli organi giudiziari e delle parti»;

(b) dall’art. 44, disp. att. c.p.c., secondo cui «oltre che nei casi specificamente indicati dalla legge, il cancelliere deve compilare processo verbale di tutti gli atti che compie con l’intervento di terzi interessati. Nel processo verbale fa risultare le attività da lui compiute, quelle delle persone intervenute nell’atto e le dichiarazioni da esse rese»;

(c) dall’art. 126 c. 2 c.p.c., in forza del quale il cancelliere, tra l’altro, deve sottoscrivere il processo verbale, il cui contenuto – ai sensi del primo comma del medesimo articolo – deve comprendere anche «le dichiarazioni ricevute».

Ve n’è abbastanza, dunque, per indurre la dottrina processualistica più autorevole a ricondurre al cancelliere la «paternità» del verbale d’udienza [58], relegando la funzione del giudice allo svolgimento di una mera attività di «cooperazione» [59]. E’ assolutamente incontestabile che, in base alle norme sopra indicate, avuto riguardo alla circostanza che al cancelliere (esattamente come al giudice) compete indubitabilmente la qualifica di pubblico ufficiale, e che lo svolgimento delle formalità relative all’udienza, ivi compresa la stesura del verbale, rientra nell’esercizio di una pubblica funzione (cfr. art. 357 c.p.), vadano riconosciute al verbale le caratteristiche di cui all’art. 2699 c.c., come confermato – con statuizioni di carattere assolutamente generale – dalla giurisprudenza di legittimità, così come dalla dottrina, costanti nel ribadire che gli atti redatti dal cancelliere, o formati con il concorso del cancelliere, nell’àmbito delle funzioni a questi attribuite e con l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge, costituiscono atti pubblici ai sensi dell’art. ult. cit. [60].

Una volta superata anche l’artificiosa distinzione tra «atto pubblico negoziale» e «atto pubblico non negoziale» [61] dovrà concludersi che gli accordi tra coniugi aventi effetto traslativo (ovvero costitutivo, modificativo o estintivo) di diritti reali immobiliari sono soggetti a trascrizione ex art. 2643 c.c. Per quanto attiene, in particolare, agli accordi conclusi in sede di udienza di separazione consensuale andrà ricordato che il relativo verbale, in quanto atto pubblico a tutti gli effetti (anche con riguardo alle eventuali clausole che dispongano trasferimenti immediati di diritti reali immobiliari), potrà costituire idoneo titolo per l’esecuzione delle formalità pubblicitarie, ex art. 2657 c.c. [62].

Se si ammette – come si è visto – la possibilità che l’intesa traslativa operi in favore della prole e se si riconduce tale ipotesi allo schema negoziale disegnato dagli artt. 1411 ss. c.c. [63], il verbale di separazione o di divorzio su domanda congiunta dei genitori costituirà titolo idoneo anche con riguardo ad un eventuale trasferimento a favore di uno o più figli. Le serie obiezioni prospettate, da un punto di vista generale, circa la sottoponibilità a pubblicità immobiliare del contratto a favore di terzi [64] sembrano invero superabili (ma l’argomento non può certo essere adeguatamente sviluppato nella presente sede) ove si ponga mente alla sicura riconducibilità della fattispecie in questione al disposto dell’art. 2643 c.c., riconducibilità che discende dalla citata premessa circa l’idoneità del contratto a favore di terzi a trasferire, modificare o costituire diritti reali (quelli, per l’appunto, cui si riferiscono i nn. 1, 2, 3 e 4 dell’art. cit.) e che determina, quale automatica ed inevitabile conseguenza, l’obbligo [65] di procedere all’esecuzione della prescritta formalità, senza che gli inconvenienti pratici, pur gravi, legati all’eventuale revoca della stipulazione [66] possano dispiegare effetto al riguardo [67].

Inutile dire che quanto sopra illustrato è riferibile, mutatis mutandis, anche alla materia degli accordi in tema di divorzio [68]. Qui, avuto riguardo al carattere negoziale dell’accordo di divorzio su domanda congiunta [69], andrà ribadito che gli effetti d’ordine patrimoniale derivano direttamente dal contratto di divorzio concluso dai coniugi, rispetto al quale la pronuncia del tribunale assume il mero carattere di omologa emessa all’esito di un procedimento di controllo sul rispetto delle norme inderogabili del vigente ordinamento. Il tribunale, dunque, di fronte alla pattuizione di un trasferimento in sede di accordi ex art. 4, c. 13, l.div. – pattuizione recepita dal verbale dell’udienza collegiale, sicuramente atto pubblico, secondo quanto sopra ampiamente chiarito – si dovrà limitare a «dare atto» dell’intesa intervenuta tra i coniugi, sia in relazione agli impegni di carattere obbligatorio [70], che per quanto concerne gli eventuali trasferimenti direttamente posti in essere in sede di verbale [71], come appare del resto confermato dalla circostanza che il riconoscimento di effetti traslativi (ma il discorso vale anche per i «semplici» effetti costitutivi di rapporti obbligatori) a questo tipo di pronunzia si porrebbe in contrasto con la regola generale espressa dall’art. 2908 c.c. [72].

 

 

6. Gli accordi di carattere obbligatorio. Generalità. La natura dell’impegno a trasferire.

 

Si è già accennato al fatto che i trasferimenti di diritti su beni di proprietà dei coniugi possono intervenire, nel corso della crisi coniugale, tanto in sede giudiziale che stragiudiziale. Possono, si è detto: sarà infatti opportuno ribadire subito, a scanso d’equivoci, che i contratti traslativi, in quanto poggianti sulla causa di definizione della crisi coniugale, ovvero su di una delle altre cause cui si è fatto cenno [73], non debbono necessariamente inserirsi in un àmbito processuale, tanto più avuto riguardo alla perfetta liceità di intese a latere rispetto alle procedure di separazione e di divorzio, per non parlare degli accordi diretti a disciplinare la separazione di fatto. Ricordato al riguardo che nel nostro ordinamento il requisito causale è soddisfatto anche quando un atto traslativo, pur non contenendo tale elemento in sé, si pone quale attuazione di un’intesa causale, che funge quindi, rispetto ad una siffatta attribuzione, quale causa esterna o praeterita [74], deve senz’altro consentirsi ai coniugi, in sede di udienza presidenziale di separazione consensuale o di udienza collegiale di divorzio su domanda congiunta, di limitarsi a pattuire un impegno a trasferire, mercé un successivo e distinto atto, un determinato diritto reale su uno o più beni, mobili o immobili. Lo stesso è a dirsi in relazione ad un impegno obbligatorio avente ad oggetto la futura costituzione di uno ius in re aliena [75].

Una volta chiarito che le parti possono limitarsi a pattuire in sede giudiziale (ma il discorso vale sicuramente anche per gli accordi a latere, così come per quelli modificativi o, ancora, per quelli conclusi a corredo di una separazione di fatto) un semplice impegno ad effettuare un distinto e successivo atto di trasferimento, si tratta ora di vedere:

(a) quale sia la struttura dell’impegno a trasferire;

(b) quale sia la struttura del successivo atto di trasferimento.

Prima di passare ad un esame più dettagliato di questi due distinti interrogativi, occorre innanzi tutto sgombrare il campo da quelle figure negoziali tipiche usualmente utilizzate dalla prassi notarile, preoccupata di evitare le incertezze che, sul piano fiscale, oltre che su quello civilistico (con conseguenti risvolti per il notaio di responsabilità civile e disciplinare), il mancato espresso riconoscimento legislativo della categoria generale del negozio di trasferimento solvendi causa comporta [76]. Il riferimento è qui in primo luogo alla donazione, per l’evidente incompatibilità tra animus donandi e intento di adempiere un’obbligazione [77]. Più che chiare sono le conseguenze sul piano giuridico di tale premessa: «oltre alla libertà della forma scritta (atto pubblico o scrittura privata), rimangono fuori: la revocazione per ingratitudine o sopravvenienza di figli (si pensi a giovani coniugi senza figli al momento delle separazione o divorzio), l’obbligo della collazione, l’azione di riduzione per lesione di legittima, l’obbligo alimentare del donatario verso il donante e, per quanto riguarda l’imposta di successione il coacervo, se il donatario diventerà anche erede del donante. Inoltre, vanno ricordate le diverse condizioni richieste dalla legge (art. 2901 c.c.) per esercitare l’azione revocatoria quando l’atto di disposizione è a titolo gratuito» [78].

Escluso dunque il ricorso alla donazione, vi è subito da aggiungere che le parti non potrebbero neppure appoggiarsi allo schema della compravendita. Qui, infatti, a parte il rilievo che, per assecondare l’intento dei contraenti, essa dovrebbe essere necessariamente simulata (e, trattandosi di simulazione «manifesta», il notaio ne dovrebbe rifiutare la stipulazione), resta comunque il fatto che una simulazione assoluta non consentirebbe ai paciscenti di conseguire lo scopo prefigurato, mentre una simulazione relativa lascerebbe aperto il problema dell’individuazione del negozio dissimulato, che – per le ragioni testé esposte – non potrebbe essere rappresentato da una donazione [79].

L’obbligazione assunta dinanzi al giudice di operare un trasferimento mobiliare o immobiliare può dunque trovare esecuzione solo attraverso un apposito atto di attuazione dell’obbligazione di trasferire. Si tratta però di vedere quale struttura concreta lo stesso atto possa assumere e, in particolare, se esso debba ricevere quella di un atto bilaterale (con la necessità, quindi, di una manifestazione di volontà anche da parte del destinatario dell’attribuzione), ovvero quella di un atto traslativo unilaterale (ciò che prescinderebbe dall’accettazione dell’accipiens), ovvero ancora quella di una proposta ex art. 1333 c.c. (con la conseguenza che l’accettazione non sarebbe necessaria, ma il contratto dovrebbe ritenersi concluso solo in mancanza di un rifiuto del destinatario «nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi»).

Proprio l’ultima di quelle appena indicate è la soluzione additata dalla Cassazione in una nota pronunzia [80] la quale, di fronte alle incognite del binomio: impegno a trasferire – atto di trasferimento, suggerisce le seguenti soluzioni: preliminare di contratto ex art. 1333 c.c. – contratto definitivo ex art. 1333 c.c. Concentrando l’attenzione sull’impegno a trasferire notiamo subito che la dottrina ha esattamente criticato, nella decisione appena ricordata, l’individuazione di un contratto preliminare nell’impegno del padre di trasferire l’immobile, sostenendo che è invece nel primo negozio (quello, appunto, stipulato in sede di separazione) che va ravvisato l’atto di autonomia, laddove nel secondo va riscontrato un mero atto solutorio [81].

 

 

7. Segue. La natura dell’atto di trasferimento.

 

Passando al secondo dei termini del binomio in cui s’articola l’effetto traslativo voluto dalle parti, sarà opportuno dire a questo punto che, una volta scartate la via della donazione e quella della compravendita [82], rimangono a disposizione tre possibilità. Esse consistono, più esattamente, nel ricorso al contratto, ex art. 1333 c.c., al negozio traslativo unilaterale (o pagamento traslativo) e al negozio traslativo bilaterale.

Per la prima soluzione si è già espressa la Corte di cassazione [83], oltre ad una parte (minoritaria) della dottrina [84]. La conclusione si scontra però con la lettera della disposizione in esame – che parla di sole «obbligazioni», senza fare cenno agli effetti reali – oltre che con i risultati cui perviene quella dottrina che, sulla base del dato testuale della norma, confortato da riflessioni comparatistiche, nega l’idoneità della proposta diretta a concludere un contratto «con effetto reale a carico del solo proponente» a porre in opera il meccanismo formativo del contratto descritto dall’art. 1333 c.c. [85]. L’osservazione è stata criticata da chi ha ritenuto di poter proporre un’estensione analogica della norma in questione [86]: operazione ermeneutica, questa, inaccettabile a fronte del carattere eccezionale dell’art. 1333 c.c. Carattere eccezionale che non può certo essere disconosciuto tramite l’accostamento [87] a fattispecie quali quelle di cui agli artt. 649, 1236, 1411, connotate da evidenti differenze strutturali rispetto al contratto con obbligazioni a carico del solo proponente.

In realtà, l’art. 649 c.c. è chiaro nell’attribuire al legato l’effetto traslativo immediato, al momento dell’apertura della successione, laddove l’art. 1333 c.c. collega, testualmente, la conclusione del contratto – e dunque il momento di produzione degli effetti – alla «mancanza del rifiuto»; rifiuto che deve oltre tutto essere espresso «nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi», con conseguente incertezza nella determinazione del mo­mento nel quale il diritto si trasferisce in capo all’acquirente, ciò che appare inconciliabile con il regime della circolazione dei beni immobili e con il sistema di pubblicità che lo accompagna. Questa incertezza è invece totalmente assente nella citata fattispecie successoria, e lo stesso discorso vale per gli artt. 1236 c.c. (sulla cui pertinenza alla materia degli effetti reali si potrebbe, tra l’altro, discutere) e 1411 c.c., così come per l’art. 785 c.c. Con riguardo a quest’ultima disposizione, andrà subito detto che, anche a voler ammettere la possibilità di estendere gli effetti del contratto concluso ex art. 1333 c.c. al di là di quelli meramente obbligatori (ciò che peraltro, per le ragioni sopra esposte, appare inaccettabile), rimane comunque il fatto che lo schema in esame appare difficilmente compatibile con la forma dell’atto pubblico [88]. Il «non rifiuto» – si è osservato – è un evento che comunque sfugge all’attività notarile, con conseguente impossibilità di una documentazione dello stesso presupposto della costituzione del diritto in capo all’oblato [89].

Se dunque la via indicata dalla Cassazione non sembra percorribile, non appare neppure consigliabile la strada del negozio unilaterale traslativo astratto solutionis causa, o pagamento traslativo, atto unilaterale riconducibile alla categoria più generale ex artt. 1176 ss. c.c. e svincolato da ogni forma di accettazione o di mancato rifiuto da parte del destinatario [90]. Ciò non solo per via delle persistenti incertezze sull’ammissibilità nel nostro ordinamento di un trasferimento di proprietà mediante atti a struttura unilaterale [91], ma anche per poter comunque offrire al destinatario il potere di impedire l’effettuazione del trasferimento allorquando egli abbia interesse a farlo: si pensi al caso in cui il creditore abbia perso interesse all’atto, oppure il medesimo si prospetti addirittura come fonte di possibili danni. Scartata la via dell’atto unilaterale la conclusione preferibile appare dunque quella di far assumere all’atto traslativo una struttura bilaterale [92] nella quale risulti appunto – oltre, ovviamente, alla specificazione della causa praeterita del negozio – anche il consenso del destinatario dell’attribuzione.

Venendo ad accennare brevemente alla tutela giudiziale dell’obbligazione di trasferire, dottrina e giurisprudenza appaiono concordi, in caso di rifiuto dell’obbligato ad operare il trasferimento, a concedere al creditore l’azione ex art. 2932 c.c. [93]. La soluzione è sicuramente da condividersi, né costituisce ostacolo al suo accoglimento l’aver negato la natura «preliminare» dell’impegno a trasferire concluso in sede di separazione consensuale o di divorzio su domanda congiunta. Se è vero, infatti, che, stando alla lettera della legge, l’art. 2932 c.c. postula la presenza di un obbligo a «concludere un contratto» (e non di un «obbligo a trasferire»), ponendo a disposizione del creditore un rimedio consistente nell’emanazione di una sentenza che produce gli effetti «del contratto non concluso» (e non di un «trasferimento non attuato»), è altrettanto vero che, ex art. 1324 c.c., la disciplina contrattuale è applicabile agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale. Non sembra quindi azzardato proporre un’estensione della sentenza costitutiva anche in funzione sostitutoria degli effetti che sarebbero dovuti scaturire dall’atto traslativo della proprietà, alla cui effettuazione un coniuge si era obbligato in sede di stipula del contratto di definizione della crisi coniugale. La soluzione testé prospettata riceve del resto ulteriore conforto dalla considerazione di quanto disposto dall’art. 1706 cpv. c.c., che estende il rimedio ex art. 2932 c.c. ad un’obbligazione di dare in senso tecnico (generata dal mandato senza rappresentanza ad acquistare), ossia di trasferire la proprietà del bene a mezzo di un atto in cui si suole identificare un negozio traslativo di esecuzione non astratto, ma causale, che si appoggia, cioè, al mandato e alla sua causa [94].


Giacomo Oberto

 

IL TRUST FAMILIARE

 

La relazione sul tema «Il trust familiare» è disponibile in forma ipertestuale al sito seguente:

 

http://utenti.lycos.it/giacomo305604/milano11giugno2005trust/relazionemilano.htm

 

 

Essa è anche raggiungibile dal sito dell’autore, all’indirizzo web seguente:

https://www.giacomooberto.com/

successivamente cliccando sul link:

DIRITTO DI FAMIGLIA

Nella parte relativa alle pubblicazioni online.

 

TORNA ALL’INIZIO DELL’ARTICOLO

HOME PAGE

 

 



(*) Testo della relazione presentata al convegno dal titolo «La circolazione della proprietà in famiglia. Donazioni e trasferimenti nella prassi e nella giurisprudenza», organizzato dall’Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia, con il patrocinio del Consiglio Nazionale Forense. Il convegno si è tenuto a Roma il 9 e 10 dicembre 2005.

[1] Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Milano, 2000, p. 3 ss.; sul tema v. in precedenza Id., I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, in Fam. dir., 1995, p. 155 ss.; Id., I contratti della crisi coniugale, II, Milano, 1999, p. 1211 ss.; cfr. anche T.V. Russo, I trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio, Napoli, 2001.

[2] Cfr. art. 5, c. 8, l. 898/1970, introdotto dall’art. 10, l. 74/1987; cfr. inoltre, in relazione all’eventuale assegno periodico a carico dell’eredità, quanto disposto dall’art. 9-bis c. 2, l.div., aggiunto dall’art. 3, l. 436/1978.

[3] Cfr. art. 8, lett. f, della tariffa allegata al d.p.r. 131/1986 (approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro).

[4] Occorre riflettere sul fatto che il carattere «a parte» del procedimento di divorzio su domanda congiunta (su cui v. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 306 ss.) dovrebbe dissuadere l’interprete dall’estendervi la disciplina dettata in relazione al divorzio contenzioso, specie laddove, come nel caso di specie, nessun riferimento, neppure per implicito, possa ritenersi compiuto, nel tessuto normativo di cui all’art. 4, 13° co., l.div., ad un istituto disciplinato in una distinta parte della legge sullo scioglimento e sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio. D’altro canto, nel caso di divorzio contenzioso, ancorché pronunziato su una o più conclusioni conformi delle parti, la struttura stessa del procedimento, non presentando alcuna delle caratteristiche proprie del rito camerale, non consente di affermare che la decisione del tribunale si limiti a svolgere una mera efficacia omologativa dell’accordo delle parti. In questo caso, infatti, la sentenza – diversamente da quanto accade con riguardo alla procedura su domanda congiunta – conserva tutto il valore determinativo e costitutivo che le è proprio, anche in relazione alle clausole economiche. Ora, l’inserimento di un «elemento spurio», di un aspetto di negozialità, come l’accordo sulla corresponsione una tantum nel quadro di una determinazione complessivamente giudiziale, non poteva attuarsi senza pagare un prezzo; un prezzo che tenesse conto, tra l’altro, del fatto che, in sede contenziosa, il tribunale è chiamato ad emettere una serie talora complessa di statuizioni su pretese patrimoniali che non coinvolgono solo l’assegno, ma che possono estendersi anche ad altri campi, dalla divisione della comunione legale, a richieste di restituzioni ex mutuo, a domande risarcitorie e (last but not least) a questioni concernenti il contributo per il mantenimento della prole. Dunque, il giudizio di equità di cui all’art. 5, 8° co., l.div. sembra giustificarsi proprio in ordine alla necessità di valutare la correttezza della determinazione operata dai coniugi alla luce del più vasto quadro costituito dal complesso delle statuizioni d’ordine patrimoniale che il tribunale effettuerà in sentenza (o comunque delle altre intese eventualmente raggiunte nel frattempo dai coniugi stessi su altri aspetti d’ordine patrimoniale) e di inserirla, recependola, in un assetto di rapporti che trova la propria fonte nella determinazione del giudice, anziché nella volontà delle parti. Ciò spiega perché, nel momento in cui il legislatore ha deciso di imporre il giudizio di equità (come «prezzo della giurisdizionalizzazione» dell’intesa dei coniugi) si è visto poi anche costretto a prevedere expressis verbis un effetto preclusivo in ordine alla esperibilità di azioni ex art. 9, l.div., proprio al fine di evitare che la determinazione della somma, fatta propria dalla autorità giudiziaria, privando l’intesa del suo carattere (inizialmente) contrattuale, conferisse a quest’ultima quella caratteristica che è tipica delle determinazioni giudiziali in materia di condizioni della separazione e del divorzio, vale a dire la modificabilità in ogni tempo per il sopravvenire di giustificati motivi, ciò che avrebbe indubbiamente frustrato l’intento delle parti (che nell’ipotesi in esame è sempre volto ad una regolamentazione definitiva) e dunque reso, in buona sostanza, priva di utilità pratica la previsione legislativa. Ciò spiega anche perché una norma analoga a quella in esame non sia stata inserita nell’àmbito delle disposizioni in materia di divorzio su domanda congiunta, fattispecie in cui l’autonomia privata – qui pienamente riconosciuta dal legislatore – è già di per sé sola sufficiente a raggiungere non solo l’effetto della corresponsione dell’assegno in unica soluzione, bensì anche quello dell’irretrattabilità della relativa pattuizione (cfr. sul punto Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 52 ss.).

[5] Corte cost., 10 maggio 1999, n. 154, in Guida al diritto, 1999, n. 20, p. 28, con nota di M. Finocchiaro; in Fam. e dir., 1999, p. 539, con nota di Caravaglios; in Fisco, 1999, p. 9076; in Foro it., 1999, I, c. 2168; in Giust. civ., 1999, I, p. 1930; in Cons. stato, 1999, II, p. 691; in Boll. trib., 1999, p. 1319, con nota di Cernigliaro Dini. Sugli effetti delle sentenze d’accoglimento della Corte costituzionale cfr. in generale G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna, 1977, p. 165 ss., secondo cui la «cessazione di efficacia» ex art. 136 Cost. è assimilabile «ad una irrimediabile abrogazione della legge». Il caso presentato dalla pronunzia in esame è più complesso, non avendo formato l’art. 8, lett. f, cit., oggetto di declaratoria di incostituzionalità da parte della Corte; la relativa disposizione risulta però sicuramente incompatibile con l’applicazione alla separazione legale dell’art. 19 l.div. disposta dalla sentenza «additiva» in oggetto (per una pronunzia di legittimità che non esita a dichiarare implicitamente abrogata una norma, quale conseguenza di una pronunzia «additiva» della Consulta avente ad oggetto una norma diversa, con conseguente incompatibilità tra tale effetto, per l’appunto, «additivo» e il disposto della distinta norma non – formalmente – investita dalla decisione d’accoglimento, cfr. Cass., 16 novembre 1973, n. 3056).

[6] Sul tema si fa rinvio a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 3 ss.

[7] Cass., 25 ottobre 1972, n. 3299, in Giust. civ., 1973, I, p. 221; ivi, 1974, I, p. 173, con nota di Bergamini.

[8] Cfr. Liserre, Autonomia negoziale e obbligazione di mantenimento del coniuge separato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1975, p. 483 s.; nello stesso ordine di idee v. anche Manzini, Spirito di liberalità e controllo giudiziario sull’esistenza della causa donandi, in Contr. impr., 1985, p. 409 ss. e, successivamente, Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, Milano, 1996, p. 5 ss.; Donisi, Limiti all’autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, in Famiglia e circolazione giuridica, a cura di G. Fuccillo, Milano, 1997, p. 19 s.

[9]  Cfr. Giorgianni, voce Causa, in Enc. Dir., VI, Milano, 1960, p. 573.

[10] Si vedano al riguardo, a titolo d’esempio, le due seguenti decisioni: Cass., 21 giugno 1965, n. 1299, in Giur. it., 1967, I, 1, c. 214 con nota di Bondoni; in Foro pad., 1966, I, c. 18; in Foro it., 1966, I, c. 504; in Giur. it., 1965, I, 1, c. 1412; in Giust. civ., 1965, I, p. 2021; Cass., 20 novembre 1992, n. 12401, in Foro it., 1993, I, c. 1506, con nota di Caringella; in Corr. giur., 1993, p. 174, con nota di V. Mariconda; in Giust. civ., 1993, I, p. 2759, con nota di Battaglia; in dottrina v., anche per i richiami ulteriori, Sacco, Il contratto, Torino, 1975, p. 581; Bozzi, Note preliminari sull’ammissibilità del trasferimento astratto, in Riv. dir. comm., 1995, I, p. 214 ss.

[11] Torrente, La donazione, Milano, 1956, p. 243; contra v. però Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, IV, Milano, 1954, p. 21; Sacco e De Nova, Il contratto, in Tratt. Sacco, I, Torino, 1993, p. 268.

[12] Cass., 12 giugno 1979, n. 3315, in Foro it., 1981, I, c. 1702, con nota di Di Lalla; cfr. inoltre Cass., 24 gennaio 1979, n. 526, in Giur. it., 1979, I, 1, c. 935; Cass., 18 dicembre 1975, n. 4153, in Giust. civ., 1976, I, p. 726.

[13] Del resto, proprio ad una «funzione solutoria» riconnessa all’adempimento dell’obbligo legale di mantenimento fanno richiamo alcune pronunzie della Cassazione. Tra queste, Cass., 17 giugno 1992, n. 7470, in Dir. fam., 1993, p. 70 e in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, p. 808, con nota di Sinesio menziona a proprio sostegno quattro precedenti, di cui veramente in termini sono esclusivamente due (Cass., 5 luglio 1984, n. 3940, in Dir. fam., 1984, p. 922 e Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, in Giust. civ., 1988, I, 1241).

[14] Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, cit., p. 279 s.

[15] A identiche conclusioni giunge Bianca, Commento all’art. 5, l. 1° dicembre 1970, n. 898, in Commentario al diritto italiano della famiglia, a Cura di Cian, Oppo e Trabucchi, VI, 1, Padova, 1993, p. 344., 359, facendo però applicazione della disciplina della novazione – art. 1234 c.c. – con riguardo alla liquidazione una tantum dell’assegno di divorzio.

[16] In stretto collegamento con la teoria del negozio solutorio e delle possibili obiezioni a questo va vista la tesi di chi ha proposto di ricorrere ad un’apposita categoria negoziale, costituita dai «negozi determinativi del contenuto di ob­blighi legali». Con tali atti, in particolare, le parti dovrebbero: (a) verificare ed accertare si­tuazioni di fatto e circostanze considerate rilevanti nel diritto­; (b) prendere atto che le predette circostanze danno luogo al concretizzarsi di obblighi legali puntualizzati verso le loro persone; (c) determinare il contenuto di tali obblighi legali, assumendo la posizione del debitore e del creditore e specificando il contenuto della prestazione (Russo, Negozio giuridico e dichiarazioni di volontà relative ai procedimenti «matrimoniali» di separazione, di divorzio, di nullità (a proposito del disegno di legge n. 1831/1987 per l’applicazione dell’Accordo 18 febbraio 1984 tra l’Italia e la S. Sede nella parte concernente il matrimonio), in Dir. fam., 1989, p. 1088 s.). La tesi non sembra però trovare un chiaro fondamento nelle norme di diritto positivo; essa inoltre – come ammesso dalla stessa dottrina che l’ha propugnata – appare strettamente collegata a quella, piuttosto controversa, del negozio d’accertamento. Ora, a parte tale constatazione, resta comunque da dire che l’effetto limitatamente preclusivo che, a detta della stessa opinione qui esposta, sarebbe normalmente riconnesso alle attribuzioni in esame – «ritrattabili» non già sulla base della discrepanza tra la valutazione operata dalle parti e quella prevista dalla legge, ma solo per effetto di circostanze sopravvenute – sembra poco conciliabile proprio con quel carattere meramente dichiarativo che, secondo l’impostazione tradizionale, avallata da una certa giurisprudenza, soprattutto in materia di diritti reali, dovrebbe caratterizzare il negozio d’accertamento. Né le cose cambierebbero se si volesse riconoscere che talora anche il negozio d’accertamento può sortire effetti dispositivi, tanto più in una materia come quella della determinazione di un obbligo di fonte, sì, legale, ma dalla legge ancorato a parametri di assai difficile valutazione. L’adozione di tale ipotesi ricostruttiva comporta poi il serio rischio che le posizioni piuttosto rigide assunte al riguardo da una parte della dottrina e della giurisprudenza, soprattutto di quella più recente, inducano ad assumere un atteggiamento, se non pregiudizialmente contrario, comunque tale da sconsigliare, in pratica, la conclusione di siffatti negozi di trasferimento. Il riferimento è qui, tanto per essere chiari, alla tesi che vedrebbe questi atti – pure ritenuti in linea di massima come ammissibili – sottoposti alla possibilità di una revisione in ogni tempo non solo (si badi) alla luce dei principi in tema di clausola rebus sic stantibus, ma addirittura anche per effetto di una «motivata denuncia dei motivi di illegalità (per violazione degli inderogabili principi di solidarietà e parità sanciti nella costituzione) che, sebbene non rilevati, inficiavano gli accordi già al tempo della separazione» (Liserre, op. cit., p. 490; per considerazioni lato sensu analoghe, in ordine però alla somma costituente la capitalizzazione una tantum dell’assegno di divorzio, con conseguente possibilità, concessa al tribunale, di negare rilievo all’accordo assunto dai coniugi ex art. 5, 8° co., l.div. cfr. A. Ceccherini, Crisi della famiglia e rapporti patrimoniali, Milano, 1991, p. 217 s.). Con il che è evidente che una siffatta possibilità di revisione annullerebbe – in maniera sicuramente più devastante della clausola rebus sic stantibus – uno dei vantaggi che i contraenti si ripromettono di ottenere, vale a dire quello di definire una volta per tutte le «pendenze» in atto al momento della crisi coniugale.

Naturalmente, nulla esclude che, in presenza dei requisiti sopra illustrati, anche tra coniugi in fase di crisi coniugale il contratto postmatrimoniale acquisti una valenza solutoria di determinate obbligazioni preesistenti e predeterminate, come avverrebbe, per esempio, nel caso in cui un coniuge, obbligato per sentenza di separazione a corrispondere un certo assegno all’altro, s’accordasse con quest’ultimo per la consegna mensile di beni di valore corrispondente alle prestazioni pecuniarie: ben si potrà parlare dunque, in questa ipotesi, di negozio solutorio (o di contratto con funzione solutoria, o di datio in solutum, a seconda dei casi) postmatrimoniale, ovvero di negozio solutorio caratterizzato da un «motivo postmatrimoniale» (per approfondimenti sui temi accennati nella presente nota si rinvia a Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 160; Id., I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 667 ss.).

[17] Nel senso che sulla presenza della res dubia ovvero della res litigiosa si dovrebbe fondare la distinzione tra negozio d’accertamento e transazione cfr., anche per ulteriori riferimenti, Costanza, Della transazione, in Comm. Cendon, IV, 2, Torino, 1991, p. 1791.

[18] In una pronunzia di legittimità emessa nel 1991 l’oggetto della de­cisione concerneva un accordo traslativo inserito dai coniugi separandi in un insieme di pattuizioni (definite, complessiva­mente, come transazione) relative ad un procedimento di sepa­razione personale e ad altri procedimenti giudiziari con­nessi. A tale negozio viene attribuita la natura di «modalità del più ampio accordo transattivo raggiunto tra i co­niugi nell’àmbito della loro discrezionale ed autonoma determinazione» (Cfr. Cass., 15 marzo 1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, 1787; in Corr. giur., 1991, 891, con nota di A. Cavallo). La relativa massima risulta dunque confezionata nei seguenti termini: «L’accordo con il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza può anche riguardare rapporti non immediatamente riferibili, né collegati in relazione causale al regime di separazione o ai diritti ed agli obblighi del perdurante matrimonio (cosiddette convenzioni familiari caratterizzate da un sostanziale parallelismo di volontà ed interessi) e pertanto può anche consistere in una transazione, ove ne rispecchi i requisiti di forma e di sostanza, sempre che non comporti una lesione di diritti inderogabili». In tempi meno remoti la medesima Corte (Cass., 12 aprile 1994, n. 4647) ha ribadito il principio secondo cui «Anche nella disciplina dei rapporti patrimoniali tra i coniugi è ammissibile il ricorso alla transazione per porre fine o per prevenire l’insorgenza di una lite tra le parti, sia pure nel rispetto della indisponibilità di talune posizioni soggettive, ed è configurabile la distinzione tra contratto di transazione novativo e non novativo, realizzandosi il primo tutte le volte che le parti diano luogo ad un regolamento d’interessi incompatibile con quello preesistente, in forza di una previsione contrattuale di fatti o di presupposti di fatto estranei al rapporto originario (nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che ha ritenuto novativa e, quindi, non suscettibile di risoluzione per inadempimento, a norma dell’art. 1976 cod. civ., la transazione con la quale il marito si obbligava espressamente, in vista della separazione consensuale, a far conseguire alla moglie la proprietà di un appartamento in costruzione, allo scopo di eliminare una situazione conflittuale tra le parti)».

[19] Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 160; per un approfondimento del concetto di «concessioni reciproche» si rinvia per tutti a D’Onofrio, Della transazione, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1959, p. 192 ss.; Palazzo, La Transazione, in Tratt. Rescigno, 13, Torino, 1985, p. 303 ss.; Valsecchi, Il giuoco e la scommessa. La transazione, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1986, p. 216 ss.; Del Prato, La transazione, Milano, 1992, 26 ss.; in giurisprudenza v. da ultimo Cass., 19 marzo 1999, n. 2526, in Contratti, 1999, p. 1113, con nota di Romeo.

[20] Quanto sopra esposto non impedisce che in concreto, caso per caso, un contratto concluso in occasione della crisi coniugale possa rivelare la presenza della causa transactionis, come ammesso dalla stessa dottrina che pure nega la possibilità di ravvisare in linea di massima la presenza di una siffatta ragione giustificatrice nei negozi traslativi di diritti in sede di separazione o di divorzio (così Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, cit., p. 270), purché gli estremi della figura negoziale disciplinata dagli artt. 1965 ss. siano riconoscibili (per approfondimenti sul tema v. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 106 ss.).

[21] Jemolo, Convenzioni in vista di annullamento di matrimonio, in Riv. dir. civ., 1967, II, p. 530.

[22] Per i richiami v. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 696 ss.

[23] Cfr. per esempio Cass., 5 luglio 1984, n. 3940, cit.; Cass., 15 marzo 1991, n. 2788, cit.; Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270, in Dir. fam., 1994, p. 563; Cass., 22 gennaio 1994, n. 657, in Dir. fam., 1994, p. 868.

[24] Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 709 s.

[25] Si noti che aderire alla tesi della causa tipica (giusfamiliare) comporta, tra l’altro, che i contratti della crisi coniugale vadano ascritti al novero di quelli che, ex art. 11 d.lgs. 70/2003, sono sottratti alla disciplina che ha recepito la normativa comunitaria in tema di commercio elettronico, dal momento che l’art. cit. richiama espressamente i «contratti disciplinati dal diritto di famiglia».

[26] Cfr. Cass., 23 marzo 2004, n. 5741, in Arch. civ., 2004, p. 1026.

[27] Naturalmente il termine «giudiziale» è qui inteso non nel senso in cui la separazione giudiziale viene contrapposta a quella consensuale, ma unicamente per denotare il particolare tipo di occasione in cui l’atto traslativo si opera, caratterizzata dalla presenza del giudice (sul carattere comunque giurisdizionale dell’attività di volontaria giurisdizione, tema che non può essere qui sviluppato, si fa rinvio per tutti a Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990, I, p. 393 ss.), fermo restando che non è il provvedimento giurisdizionale, bensì la volontà delle parti ad operare gli effetti traslativi dalle stesse perseguiti. Si noti poi che, anche con riguardo ai trasferimenti non effettuati di fronte al giudice può porsi una successiva fase giudiziale (e questa volta l’aggettivo «giudiziale» denota veramente la presenza di un procedimento contenzioso!), allorquando l’obbligato si rifiuti di adempiere all’impegno traslativo in precedenza assunto.

[28] Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 69 ss.

[29] Contrariamente a quanto asserito da Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, p. 391.

[30] Cass., 4 febbraio 1941, n. 345.

[31] Cass., 12 giugno 1963, n. 1594.

[32] Cass., 7 giugno 1966, n. 1495.

[33] Cass., 11 novembre 1992, n. 12110.

[34] La massima della pronunzia recita pertanto: «Il patto fra coniugi con il quale si prevedano trasferimenti immobiliari a regolamentazione dei reciproci rapporti patrimoniali ed a tacita­zione dell’obbligo di mantenimento non integra donazione stante la predetta funzione solutoria; tale patto peraltro deve ritenersi valido ed operante anche quando sia inserito in accordi di separazione di fatto alla stregua della liceità di tali accordi pur se non idonei a produrre gli effetti della separazione legale» (Cass., 17 giugno 1992, n. 7470, cit.).

[35] Cass., 15 maggio 1997, n. 4306, in Fam. dir., 1997, p. 417, con nota di Caravaglios; in Riv. notar., 1998, II, p. 171, con nota di Gammone.

[36] La lettura della motivazione per esteso evidenzia che i temi affrontati dalla Corte Suprema vanno ben al di là di ciò che la massima ufficiale lascia trasparire. Sintetizzando per sommi i capi i molteplici punti trattati, può dirsi che la Cassazione, oltre ad affermare la natura di atto pubblico del verbale di separazione consensuale anche ai fini della trascrizione in merito agli atti di trasferimento di diritti immobiliari in esso eventualmente contenuti, ribadisce i seguenti principi di diritto: (a) Carattere negoziale della separazione consensuale, intesa come «negozio di diritto familiare»; (b) Distinzione tra contenuto necessario e contenuto eventuale dell’accordo di separazione; (c) Individuazione della causa delle intese in oggetto nella finalità di «regolare l’assetto economico dei rapporti tra coniugi in conseguenza della separazione»; (d) Possibilità di inserire nel verbale redatto dinanzi al presidente del tribunale ogni intesa ritenuta dai coniugi stessi necessaria in relazione all’accordo di separazione; (e) Idoneità del verbale di separazione consensuale a recepire non solo negozi traslativi a titolo oneroso, ma anche «trasferimenti gratuiti», con un’apertura, dunque, alla possibilità di inserimento di donazioni; (f) Possibilità che, in sede di scioglimento della comunione legale, i coniugi pattuiscano esclusioni di beni dalla comunione medesima, a condizione che ciò avvenga con effetto a decorrere dal momento in cui la comunione avrà cessato d’esistere; (g) Automatica sottoposizione dell’accordo di separazione, anche nella parte contenente trasferimenti immobiliari, all’omologazione, con la conseguenza che in esso i coniugi ben possono disporre di diritti su beni della comunione, posto che gli atti traslativi prendono effetto nel momento in cui la comunione cessa d’esistere; (h) Presentazione di un dubbio (anche se a livello di mero obiter, dubbio comunque superato oggi dalla sentenza 10 maggio 1999, n. 154 della Corte costituzionale) circa l’effettiva sottoponibilità degli atti in oggetto al regime fiscale favorevole di cui all’art. 8, lett. f) d.p.r. 26 aprile  1986, n. 131.

[37] Cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 85 ss.

[38] Cfr. Cass., 30 agosto 1999, n. 9117: «E’ valida ed efficace la clausola di accordo di separazione sia che riconosca a uno o a entrambi i coniugi la pro­prietà esclusiva di singoli beni mobili o immobili, sia che ne operi il trasferimento in favore di uno di loro al fine di assicurarne il mantenimento, e sia, ancora, che impe­gni uno dei coniugi a compiere quel trasferimento al fine di provvedere al mantenimento della prole. (Nel caso di specie la moglie aveva chiesto la divisione di un immobile la cui quota di comproprietà essa si era però in precedenza, in sede di verbale di separazione consensuale, impegnata a trasferire alla figlia, maggiorenne, ma non autosufficiente. La C.S. conferma le decisioni di merito che avevano rigettato la domanda dell’attrice, trasferendo ex art. 2932 c.c. in capo alla figlia, volontariamente intervenuta nel giudizio tra i genitori, la quota di comproprietà della madre)». «Appare congruamente motivata la decisione della corte di merito che, in forza della interpretazione dell’accordo di separazione, fondata su una applicazione delle regole ermeneutiche dei contratti, applicabili in via di principio anche agli altri negozi (art. 1324 c.c.), e con argomentazione coerente sul piano logico, escluda che l’impegno assunto dalla moglie in sede di separazione consensuale di trasferire una quota di comproprietà ad un figlio maggiorenne ma non autosufficiente sia riconducibile alla donazione, afferendo invece tale impegno, per suo stesso oggetto e sede di assunzione, alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, finalizzato specificamente all’adempimento dell’obbligo proprio della moglie al mantenimento della prole, cui si correlava quello omologo del marito» (massime non ufficiali).

[39] Cfr. ad es. Cass., 12 maggio 1999, n. 4716; Cass., 12 maggio 2000, n. 6065; in Fam. dir., 2000, p. 437; Cass., 17 febbraio 2001, n. 2347; Cass., 3 dicembre 2001, n. 15231; Cass., 22 maggio 2002, n. 7493; Cass., 14 maggio 2003, n. 7437.

[40] Cfr. Cass.,5 settembre 2003, n. 12939, in Dir. fam., 2004, p. 66.

[41] Cfr. Cass., 23 marzo 2004, n. 5741, cit.

[42] Cfr. Cass., 17 giugno 2004, n. 11342, su cui v. il § seguente.

[43] Cfr. Cass., 30 maggio 2005, n. 11458, su cui v. il § seguente.

[44] Il tema è stato sviluppato in Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1143 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 149 ss.

[45] Del che si dà conto in Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 149 ss.

[46] Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, cit.

[47] V. infra, §§ 6 e 7.

[48] Tra i tanti problemi che tale peculiare caso dei trasferimenti in favore della prole coinvolge si potrà accennare a quelli posti dalla rappresentanza legale dei minori destinatari delle attribuzioni in esame. Per un approfondimento si fa rinvio a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 154 ss.

[49] Sul punto cfr. Trib. Bolzano, 15 dicembre 1967, in Rep. Giur. it., 1968, voce «Separazione dei coniugi», 46, in tema di cessione di un’azienda, da parte del marito alla moglie, all’atto della separazione consensuale.

[50] Così, in particolare, una prima pronunzia di legittimità (Cass., 29 marzo 1956, n. 915, in Giust. civ., 1956, I, p. 1272) ha fatto applicazione diretta alla fattispecie degli artt. 1476, n. 2 e 1478 c.c., mentre una seconda (Cass., 13 gennaio 1977, n. 160, in Rass. giur. Enel, 1977, p. 585), pur prendendo le mosse dalla constatazione secondo cui la vendita ha per oggetto il trasferimento e non la costituzione di un diritto, ha ritenuto analogicamente applicabili gli artt. 1483 e 1485 c.c. (Sul punto cfr. per tutti Oberto, Vendita «di cose» e vendita «di diritti» nell’art. 1470, in Riv. dir. priv., 1998, p. 532 ss.; Id., L’oggetto della vendita in generale, in Aa. Vv., La vendita, a cura di Marino Bin, I, 2, La formazione del contratto. Oggetto ed effetti in generale, Padova, 1999, p. 735 ss., 744 ss.).

[51] Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 321 ss., II, cit., p. 1407 ss.

[52] Cass., 15 maggio 1997, n. 4306, cit.

[53] In particolare, dagli artt. 1350, 1376 e 2932 c.c. discenderebbe che con tali atti i soggetti potrebbero soltanto obbligarsi a trasferire la proprietà di beni, mentre l’effetto reale potrebbe prodursi o a seguito della stipula di apposito negozio traslativo, in ottemperanza alle obbligazioni assunte, ovvero mediante sentenza costitutiva, a norma dell’art. 2932 c.c. Proprio sulla base di tale assunto un giudice di merito ha ritenuto di dover respingere l’istanza di omologazione della separazione consensuale dei coniugi contenente trasferimenti di diritti reali immobiliari (Cfr. Trib. Bergamo, 19 ottobre 1984, in Giust. civ., 1985, I, p. 216; in Riv. notar., 1985, II, p. 926; nel senso che l’accordo concluso tra i coniugi dinanzi al presidente del tribunale o al collegio potrebbe avere esclusivamente effetto obbligatorio, impegnando i contraenti alla successiva stipula di un atto pubblico definitivo cfr. anche Trib. Firenze, 29 settembre 1989, in Riv. notar., 1992, II, p. 595, con nota di Brienza).

[54] Cfr. Brienza, Attribuzioni immobiliari nella separazione consensuale, in Riv. notar., 1990, I, p. 1412; Id., Attribuzioni immobiliari nella separazione e nel divorzio consensuali, in Riv. notar., 1992, I, p. 604; cfr. inoltre Vaglio, Imposta di registro: un caso di evasione di imposta legalizzata, in Riv. dir. tribut., 1993, p. 436 s.; Id., Atto giudiziario di assegnazione della casa familiare al coniuge separato o divorziato e imposta di registro, in Fisco, 1994, p. 1933.

[55] Per la critica v. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 167 ss.

[56] In questo senso cfr. Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, 1, Milano, 1966, p. 80; Tondo, Sull’idoneità dei verbali di conciliazione alle formalità pubblicitarie, in Foro it., 1987, I, c. 3134; per il carattere di atto pubblico e di titolo esecutivo di un verbale di conciliazione giudiziale tra coniugi v. Trib. Firenze, 26 agosto 1987, in Giur. mer., 1988, p. 756, con nota di Pazienza.

[57] Per quanto attiene alle peculiarità del verbale dell’udienza collegiale di divorzio v. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 232 ss.

[58] Andrioli, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, p. 216 s.; cfr. inoltre, con specifico riferimento al caso del verbale d’udienza presidenziale in sede di separazione consensuale, Id., Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, p. 343; contra Gazzoni, La trascrizione immobiliare, I, Artt. 2643-2645-bis, c.c., Milano, 1998, p. 688, secondo cui il cancelliere «non è di certo il pubblico ufficiale che riceve l’atto, sol perché lo scrive sotto dettatura»: ma l’opinione sembra risentire della confusione – stigmatizzata in altre sedi da chi scrive (cfr. Oberto, Il giudizio di primo grado dopo la riforma del processo civile, in Giur. it., 1991, IV, c. 320; Id., Les éléments de fait réunis par le juge : l’administration judiciaire de la preuve dans le procès civil italien, in Rev. int. dr. comp., 1998, p. 801) – tra direzione, secondo quanto stabilito ex art. 130 c.p.c. e dettatura, secondo quanto invalso in una prassi che, sebbene invalsa per effetto della ben nota e sciagurata penuria di mezzi che affligge la giustizia civile, si pone manifestamente contra legem.

[59] Andrioli, Commento al codice di procedura civile, cit., p. 343.

[60] Cass., 25 maggio 1966, n. 1344, in Giust. civ., 1967, I, p. 385; in Foro it., 1967, I, c. 803; in Foro pad., 1966, I, c. 1102; in Riv. notar., 1966, II, p. 840: «L’art. 57 cod. proc. civ. attribuisce ai cancellieri funzioni giurisdizionali di documentazione in relazione alle attività proprie degli organi giudiziari e delle parti. Pertanto gli atti redatti dai cancellieri, o formati con il loro concorso, nell’ambito delle funzioni attribuite e con l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge, costituiscono atti pubblici, la cui falsificazione deve essere fatta valere mediante querela di falso (nella specie, si trattava del verbale e del registro di udienza e del frontespizio del fascicolo d’ufficio)»; v. inoltre Cass., 7 aprile 1981, n. 1971, in Mass. giur. lav., 1981, p. 391 e in Prev. sociale, 1981, p. 1421; Cass., 9 marzo 1984, n. 1639; Cass., 8 marzo 1988, n. 2349; Cass., 19 dicembre 1991, n. 13671; in dottrina cfr. Crisci, Atto pubblico (dir. civ.), in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, p. 268 s.; Andrioli, Commento al codice di procedura civile, cit., p. 343; Candian, Documentazione e documento (teoria generale), in Enc. Dir., XIII, Milano, 1964, p. 583; Comoglio, Le prove, in Tratt. Rescigno, 19, I, Torino, 1985, p. 258, nota 16.

[61] Su cui v. per una critica Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 181 ss.

[62] Per i richiami dottrinali e giurisprudenziali v. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 195 ss.

[63] Su cui v. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 154 ss.

[64] Sesta, Contratto a favore di terzo e trasferimento dei diritti reali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, p. 966.

[65] «Si devono rendere pubblici…», così esordisce la norma citata.

[66] Su cui v. approfonditamente, anche per gli ulteriori richiami, Sesta, Contratto a favore di terzo e trasferimento dei diritti reali, cit., p. 967 ss.

[67] Per ciò che attiene ai soggetti tenuti ad effettuare la trascrizione ex artt. 2671, ma anche ex artt. 6, d.lgs. 347/1990 e 1176 (notaio, cancelliere ed eventualmente avvocato) si fa rinvio a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 196 ss.

[68] Per una trattazione dettagliata della questione cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 225 ss.

[69] Su cui v. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 303 ss.

[70] In questo senso cfr. Trib. Roma, 18 dicembre 1977, in Foro it., 1978, I, c. 1305.

[71] Per questa soluzione cfr. T. Mantova 26 gennaio 1988, in Angeloni, Rinunzie, transazione e arbitrato nei rapporti familiari, Padova, 1999, p. 1938 ss.; la pronunzia è stata però riformata in parte qua da App. Brescia, 30 giugno 1988, ivi, p. 1918, secondo cui, qualora le parti abbiano direttamente operato, nel ricorso congiunto, il trasferimento di un diritto reale immobiliare (peraltro chiedendo, nelle conclusioni, di operare con sentenza il trasferimento), il giudice può dichiarare l’autenticità delle sottoscrizioni apposte dai coniugi sul ricorso medesimo.

[72] Per una disamina di ulteriori profili circa gli inconvenienti ed i rischi cui possono andare incontro i trasferimenti «fai da te», quali la c.d. «funzione di adeguamento» e l’eventuale responsabilità per il mancato conseguimento dell’effetto traslativo, l’identificazione dei soggetti e dell’oggetto del trasferimento, gli incombenti imposti dalla disciplina urbanistica (quelli relativi alla disciplina fiscale sono invece stati eliminati dalla l. 29 luglio 2003, n. 229), l’eventuale «pubblicità sanante», i timori di strumentalizzazione dei trasferimenti in questione ai fini di frode alla legge, frode ai creditori o elusione fiscale, nonché sul paventato «conflitto di competenza» tra magistratura e notariato, cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 239 ss.

[73] V. supra, § 2.

[74] Sull’ammissibilità di negozi traslativi a causa esterna, cui perviene da tempo la più autorevole dottrina (Cfr. Giorgianni, voce Causa, cit., p. 564 ss.; Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio. Appunti dalle lezioni, II, Milano, 1967, p. 42 ss.; Mengoni, Gli acquisti a non domino, Milano, 1975, p. 200 ss.), v. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 266 ss.

[75] Si pensi ai diritti di usufrutto, uso o abitazione. Naturalmente, l’accertamento della conclusione dell’uno o dell’altro tipo di negozio (immediatamente traslativo, cioè, oppure meramente obbligatorio) costituisce una quaestio facti, da valutarsi caso per caso alla luce degli usuali criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 ss. c.c., applicabili agli accordi di cui qui si discute, dotati di natura contrattuale, per quanto attiene agli aspetti patrimoniali.

[76] Cfr. Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi causa, in Riv. dir. civ., 1989, II, p. 246 ss.; Id., Obbligazioni di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 48 ss.

[77] Cfr. V. Mariconda, Il pagamento traslativo, in Contr. impr., 1988, p. 736 s.; Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi causa, cit., p. 244; A. Ceccherini, Crisi della famiglia e rapporti patrimoniali, cit., p. 132; Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 165 s.

[78] Cfr. Metitieri, La funzione notarile nei trasferimenti di beni tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 1166.

[79] Cfr. Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi causa, cit., p. 244; Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 166.

[80] Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, cit.: «Allorché taluno, in sede di separazione coniugale consensuale, assume l’obbligo di provvedere al mantenimento di una figlia minore, impegnandosi a tal fine a trasferirle un determinato bene immobile, pone in essere con il coniuge un contratto preliminare a favore di terzo. Quando poi in esecuzione di detto obbligo, dichiara per iscritto di trasferire alla figlia tale bene, avvia il processo formativo di un negozio che, privo della connotazione dell’atto di liberalità, esula dalla donazione ma configura una proposta di contratto unilaterale, gratuito e atipico, che, a norma dell’art. 1333 c.c., in mancanza del rifiuto del destinatario entro il termine adeguato alla natura dell’affare, e stabilito dagli usi, determina la conclusione del contratto stesso e, quindi, l’irrevocabilità della proposta».

[81] Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi causa, cit., 238: «Il padre si obbliga verso il coniuge a trasferire un bene alla figlia, per adempire l’obbligo legale del suo mantenimento; questo sarebbe un preliminare a favore del terzo. Ma preliminare di che cosa? Risponde la Corte: è preliminare non di donazione, né di vendita, ma di un negozio traslativo solvendi causa. Ovvero: il negozio in cui vi è l’assunzione di un’obbligazione è il preliminare dell’atto di adempimento di quella obbligazione. In realtà nel verbale di separazione non vi è alcun preliminare ma una dichiarazione negoziale con cui il genitore si obbliga a compiere un atto traslativo solvendi causa. Secondo la Corte, il negozio in cui si esplica l’autonomia contrattuale è il secondo, che opera il trasferimento; e così il negozio che obbliga a trasferire viene inquadrato nell’area dei negozi preparatori. L’argomentazione va invece capovolta: l’atto di autonomia è il primo, con cui il genitore si obbliga a dare; il secondo negozio è un atto meramente solutorio, il cui compimento è coercibile in forma specifica ex art. 2932». Per un commento alla pronunzia in esame cfr. anche Costanza, Art. 1333 e trasferimenti immobiliari solutionis causa, nota a Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, in Giust. civ., 1988, I, p. 1241 ss.; V. Mariconda, Art. 1333 e trasferimenti immobiliari, nota a Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, in Corr. giur., 1988, p. 146 ss.; V. Mariconda, Il pagamento traslativo, cit., p. 735 ss.; Sciarrone Alibrandi, Pagamento traslativo e art. 1333 c.c., in Riv. dir. civ., 1989, II, p. 525 ss.; Gazzoni, Babbo Natale e l’obbligo di dare, nota a Cass., 9 ottobre 1991, n. 10612, in Giust. civ., I, 1991, p. 2895; Maccarone, Obbligazione di dare e adempimento traslativo, in Riv. notar., 1994, I, p. 1319 ss.; Di Majo, Causa e imputazione negli atti solutori, in Riv. dir. civ., 1994, I, p. 781 ss.

[82] Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 267 ss.

[83] Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, cit.

[84] In questo senso cfr. V. Mariconda, Art. 1333 e trasferimenti immobiliari, cit., p. 149 ss.; V. Mariconda, Il pagamento traslativo, cit., p. 758 s.; Camardi, Principio consensualistico, produzione e differimento dell’effetto reale, in Contr. impr., 1998, p. 595 ss.; cfr. anche Dogliotti, Separazione e divorzio, Torino, 1995, p. 11, in senso dubitativo e con specifico riferimento all’ipotesi dei trasferimenti in favore dei figli.

[85] Sacco, Il contratto, cit., p. 44 ss.; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1987, p. 264; Sacco e De Nova, Il contratto, I, cit., p. 75 ss.; cfr. anche Rimini, Il problema della sovrapposizione dei contratti e degli atti dispositivi, Milano, 1995, p. 288 s.; Sesta, Contratto a favore di terzo e trasferimento dei diritti reali, cit., p. 956; Maccarone, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contr. impr., 1998, p. 665 ss.

[86] Cfr. Sciarrone Alibrandi, Pagamento traslativo e art. 1333 c.c., cit., p. 535 ss., cui si fa rinvio per gli ulteriori richiami dottrinali.

[87] Proposto da V. Mariconda, Art. 1333 e trasferimenti immobiliari, cit., p. 151; V. Mariconda, Il pagamento traslativo, cit., p. 764.

[88] L’obiezione vale anche, ad avviso di chi scrive, a contrastare l’opinione secondo la quale il ricorso all’art. 1333 c.c. in relazione agli effetti reali sarebbe ammesso «quando il consenso all’acquisto è espresso in sede di programmazione dell’acquisto medesimo, mediante un contratto che lo prevede quale effetto di un futuro atto di trasferimento, a sua volta previsto come dovuto, e che nella stessa sede si provvede a giustificare sul piano della causa» (così Camardi, Principio consensualistico, produzione e differimento dell’effetto reale, cit., p. 596), dal momento che in tal caso verrebbe meno l’ostacolo che si frappone all’utilizzo della procedura semplificata per l’acquisto dei diritti reali, costituito dal fatto che l’acquisizione di un diritto su di un bene può accompagnarsi ad oneri e rischi in capo al titolare (Camardi, op. loc. ultt. citt.). Il problema, invero, non è costituto tanto dalla possibilità che l’acquisto si dimostri oneroso, quanto dall’assoluta impossibilità di documentare (e, prima ancora, di costituire) con la certezza dello scritto (e il discorso vale, ovviamente, tanto per la scrittura privata che per l’atto pubblico) l’an e il quando dell’acquisto stesso.

[89] Costanza, Art. 1333 e trasferimenti immobiliari solutionis causa, cit., p. 1242 s.; Maccarone, Obbligazione di dare e adempimento traslativo, cit., p. 1329.

[90] Sciarrone Alibrandi, Pagamento traslativo e art. 1333 c.c., cit., p. 525 ss., 544 ss.; Gazzoni, Babbo Natale e l’obbligo di dare, cit., p. 2900; De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, I, Milano, 1991, p. 238, nota 242, il quale non esclude peraltro neppure la via contrattuale; Gazzoni, Trascrizione del preliminare di vendita e obbligo di dare, in Riv. notar., 1997, p. 42 ss., che trae argomenti dal termine atto impiegato dall’art. 2645-bis, c. 2 e 3, c.c.; per una rassegna delle variegate opinioni in tema di atto traslativo solutionis causa si rinvia a V. Mariconda, Il pagamento traslativo, cit., p. 740 ss.; sui rapporti tra pagamento traslativo e condictio indebiti v. Gallo, Arricchimento senza causa e quasi contratti (i rimedi restitutori), in Tratt. Sacco, Torino, 1996, p. 124 ss.

[91] In senso contrario cfr. Carresi, Il contratto con obbligazioni del solo proponente, in Riv. dir. civ., 1974, I, p. 393 ss.; Sacco, Il contratto, cit., p. 46 ss.; Maccarone, Considerazioni d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, cit., p. 660 ss.; favorevoli invece alla struttura unilaterale dell’atto traslativo solvendi causa appaiono L. Ferri, Della trascrizione immobiliare, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1955, p. 80 s.; Benatti, Il pagamento con cose altrui, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1976, p. 480 ss.; Moscati, Pagamento dell’indebito, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 200; Gazzoni, Babbo Natale e l’obbligo di dare, cit., p. 2900; Sacco e De Nova, Il contratto, I, cit., p. 80 s. (peraltro a condizione che sussista «un interesse precostituito e tipico dell’oblato all’appropriazione»); Gazzoni, Trascrizione del preliminare di vendita e obbligo di dare, cit., p. 19 ss., 41 ss.

[92] In questo senso cfr. A. Ceccherini, Crisi della famiglia e rapporti patrimoniali, cit., p. 132; Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 166.

[93] Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi causa, cit., p. 238; A. Ceccherini, Crisi della famiglia e rapporti patrimoniali, cit., p. 132; Rimini, Il problema della sovrapposizione dei contratti e degli atti dispositivi, cit., p. 291; Dogliotti, Separazione e divorzio, cit., p. 11; A. Ceccherini, I rapporti patrimoniali nella crisi della famiglia e nel fallimento, Milano, 1996, p. 211; per la giurisprudenza v., ancorché in obiter, Cass., 2 dicembre 1991, n. 12897, in relazione all’impegno assunto dal marito a costituire un diritto d’usufrutto in favore della moglie separata su di un alloggio.

[94] Sul tema si fa rinvio a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 277 ss., anche per i necessari approfondimenti in tema di esecuzione in via coattiva dell’impegno a trasferire in favore della prole.

1