Giacomo Oberto

 

ATTUALITÀ DEL REGIME LEGALE

 

 

Sommario: 1. Introduzione. La corrente disaffezione verso il regime legale. – 2. La comunione legale tra passato e presente. Clausola alsaziana (o … messinese) e unione civile. – 3. La comunione legale tra passato e presente. Comunione legale e contratto di convivenza: le perniciose conseguenze d’un trapianto affrettato. – 4. Segue. Dies a quo e dies ad quem di operatività del regime di comunione tra conviventi. – 5. Segue. Sulla possibilità di prevedere in un contratto di convivenza regimi convenzionali di comunione ordinaria. – 6. Segue. Il regime comunitario (ordinario e convenzionale) dei beni dei conviventi di fatto nei rapporti con i terzi. – 7. Come salvare la comunione? Gli interventi sui meccanismi dell’istituto. – 8. Segue. La leva fiscale e il rilievo dell’informazione ai cittadini. – 9. Segue. Comunione legale e libertà negoziale.

 

 

 

1. Introduzione. La corrente disaffezione verso il regime legale.

 

Il titolo del presente studio meriterebbe forse l’aggiunta di un punto interrogativo. Alla luce dei dati statistici, che impietosamente testimoniano un clamoroso e forse irreversibile declino del regime di comunione legale, può legittimamente dubitarsi, infatti, che abbia ancora un senso chiedersi se l’istituto in oggetto abbia una sua attualità e, soprattutto, un futuro.

E dire che, al momento del varo della novella del 1975, tutti gli interpreti avevano salutato con favore l’introduzione della comunione quale regime patrimoniale legale delle famiglie italiane, esattamente qualificata come « la maggiore novità della riforma, sul piano dei rapporti patrimoniali » [1].

Peraltro, ad alcuni decenni di distanza, la cattiva prova di sé che, nei fatti, il regime ex artt. 177 ss. c.c., così come concretamente attuato, aveva cominciato a fornire ha finito con il risospingere un numero vieppiù crescente di coniugi verso il « vecchio » sistema di separazione, trasformando la relativa opzione in sede di celebrazione delle nozze in una vera e propria « clausola di stile ». Il regime legale, invero, ha ampiamente dimostrato di potersi tramutare, nel momento cruciale del suo scioglimento (specie se visto nella dinamica della crisi coniugale), in un groviglio inestricabile di lacci serrati attorno alla libertà d’azione di coniugi che si vorrebbero ormai reciprocamente svincolati, così offrendo più di un’occasione all’uno di esercitare verso l’altro pressioni, talora indebite e tali da allontanare ogni possibile prospettiva di definizione consensuale del contenzioso coniugale [2]. Di conseguenza, il vertiginoso aumento del numero delle crisi coniugali cui abbiamo assistito nel corso di questi ultimi anni ha finito con il favorire il massiccio ricorso, da parte delle nuove coppie, al regime di separazione dei beni [3].

Il fenomeno – che è stato descritto in altra occasione come un vero e proprio uso dello strumento della convenzione matrimoniale in contemplation of divorce [4] – appare strettamente legato anche ad alcune pervicaci rigidità giurisprudenziali (e non solo) sul versante, da un lato, degli accordi in vista della crisi coniugale [5] e, dall’altro, sul tema della libertà negoziale dei coniugi in comunione: libertà che taluno vorrebbe ingabbiare in un sistema di vincoli tanto ingiustificati quanto inspiegabili, quando si sia in presenza del consenso di entrambi [6], tanto più che da tempo il nostro ordinamento ha eliminato ogni possibile residuo di quelle antiche forme di incapacità un tempo gravanti su determinate persone fisiche (nella specie: le donne) per il sol fatto d’essere coniugate.

Si comprende dunque perché, dopo un iniziale accoglimento favorevole della comunione legale da parte delle coppie italiane, che, tanto per fare un esempio, avevano optato nel 1976 per il regime di separazione in misura inferiore all’1% [7], anno dopo anno, è continuamente aumentata la quota di coloro che, al momento della celebrazione delle nozze, hanno scelto il regime separatista. In un primo momento, tale opzione cominciò ad essere effettuata, principalmente, dalle coppie in cui uno dei coniugi svolgeva attività imprenditoriale o una professione liberale (specie in considerazione dei rischi cui l’art. 189 cpv. c.c. espone il patrimonio comune, sia pure pro quota, avuto riguardo alle possibili azioni esecutive dei creditori personali) [8], nonché dalle famiglie a reddito medio-alto [9].

Ben presto, peraltro, il processo di disaffezione verso il regime legale è venuto ad interessare tutti gli strati sociali.

Risalgono già ai primi anni di applicazione della riforma i numerosi abbandoni del regime legale effettuati, per così dire, «in corso d’opera» dai coniugi che – consapevolmente o meno – avevano scelto la comunione all’atto della celebrazione delle nozze, o si erano comunque trovati sottoposti a tale regime per effetto delle disposizioni transitorie. Pur non esistendo statistiche al riguardo, non potrà non menzionarsi l’impressionante numero di decisioni relative alla questione della necessità o meno di autorizzazione giudiziale per siffatto mutamento di regime: problema, questo, poi risolto – come noto – dalla l. 10 aprile 1981, n. 142 [10].

Ma è sul versante delle nuove coppie che si deve registrare una vera e propria rivoluzione. Una rivoluzione che ha avuto luogo in tutto il Paese, sebbene con velocità assai diverse nelle sue parti. Essa è stata molto più rapida – almeno nei primi tempi – nelle regioni settentrionali che in quelle meridionali, tanto da suscitare negli esperti di sociologia « un senso di stupore e di incredulità » [11]. Chi ha studiato la famiglia sa bene che la sua è in genere una storia di lentissimo svolgimento. Invece qui, dal 1976 al 1991, la quota degli sposi che scelgono la separazione dei beni è passata dall’1% al 40, al 50 o addirittura al 69%. Già nel 1995 risultava che nelle regioni dell’Italia settentrionale, la maggioranza delle nuove coppie preferivano la separazione dei beni; peraltro, in quelle meridionali gli sposi che si comportavano in tal modo non raggiungevano il 30% [12], con il risultato che il dato complessivo a livello nazionale si attestava sul 55% a favore della comunione. Ma la tendenza negativa per il regime legale non ha fatto che accentuarsi negli anni successivi.

Ora, già i dati generali Istat relativi ai matrimoni celebrati in Italia nell’anno 2003([13]) suggellavano il definitivo « sorpasso » del regime di separazione dei beni rispetto alla comunione a livello di media nazionale complessiva, che vedeva – con riguardo alle coppie formatesi nell’anno di riferimento – il regime legale scendere al 44.7%, con punte che andavano da un minimo del 24,9% della Valle d’Aosta ad un massimo del 58,2% della Sardegna, rimanendo confermato che la comunione apparivae costituire il regime maggioritario ormai solo nell’Italia meridionale ed insulare, laddove nel Nord-Ovest si attestava al 37,6%, nel Nord-Est al 40,6% e nel Centro al 34%. I dati relativi al 2007 sottolineavano un ulteriore, pesante, calo del regime legale al 38,66% di tutti i matrimoni celebrati in Italia in quell’anno, mostrando che la comunione era ormai divenuta – per quel periodo di riferimento – il regime minoritario in ciascuna delle « macro-regioni » della nostra Penisola, ivi comprese quelle del Sud e delle Isole [14].

L’evoluzione successiva non ha fatto che confermare tale trend [15].

Così, i dati ISTAT relativi al 2016 mostrano che in Italia la scelta delle nuove coppie per il regime di comunione è scesa abbondantemente al di sotto del terzo [16], in un contesto generale nel quale talune regioni meridionali sembrano aver « scavalcato » quelle del nord.

A dispetto dell’opzione di politica legislativa compiuta nel 1975, può ben dirsi che il regime di separazione dei beni sia ormai divenuto, da tempo, nei fatti, il regime « normale » delle famiglie italiane, e il fenomeno non può trovare una sua spiegazione se non nella crescente consapevolezza, da parte di vasti strati della popolazione, del serio rischio che corre oggi la famiglia italiana di andare incontro (in molti casi assai presto) ad una crisi, e nel timore di dover venire un giorno a « fare i conti » con i complessi meccanismi giuridici legati allo scioglimento del regime legale.

Estremamente significativo al riguardo è il fatto che, come dimostrato dai citati dati statistici, l’incremento delle opzioni per il regime di separazione vada di pari passo, per aree geografiche, con quello dei tassi di « separazionalità » e « divorzialità » del nostro Paese [17] ed è confermato dal raffronto con una realtà come quella della vicina Francia, dove il fenomeno della crisi coniugale è esploso ormai diversi decenni fa ed in cui il regime della séparation de biens è (pur in un sistema generale prevalentemente comunitario), tra i vari regimi convenzionali, maggioritario da almeno quarant’anni [18].

Anche in Germania si rileva che il regime convenzionale della Gütertrennung « den Vorzug der rechtlichen Klarheit und Einfachheit hat », anche perché essa « vermeidet oft unerfreuliche Auseinandersetzungen beim Scheitern der Ehe und betont die Eigenverantwortlichkeit des Ehegatten » [19], specie quando « ein Ehepartner ein großes Vermögen mit in die Ehe bringt », posto che in tal caso « Der schematisierte erbrechtliche Zugewinnausgleich wäre dann – insbesondere bei kurzer Ehedauer – zu hoch und die güterrechtliche Ausgleichsforderung könnte nach längerer Ehedauer manchen Betrieb in den Konkurs führen » [20]. Tutto ciò, si badi, in un sistema che non ha eretto alcuna forma di contitolarità a regime legale (la Zugewinngemeinschaft, è, come noto, un regime sostanzialmente separatista, « mitigato » da una compartecipazione – a livello puramente obbligatorio – de residuo), e che da tempo ammette la possibilità di predeterminare, sin dal momento della celebrazione delle nozze, le conseguenze di un eventuale divorzio [21]. Allargando ancora ulteriormente il campo dell’indagine si può scoprire che la separazione dei beni è ancora il regime legale in diversi paesi del mondo e d’Europa e segnatamente in molti dei sistemi di Common Law, nei quali peraltro gli sbalorditivi (per lo meno ai nostri occhi) poteri concessi all’autorità giudiziaria in sede di regolamento dei rapporti di dare-avere al momento della crisi coniugale consentono un notevole assouplissement delle asprezze della regola rigidamente separatista [22].

 

 

2. La comunione legale tra passato e presente. Clausola alsaziana (o … messinese) e unione civile.

 

        Una delle ragioni che astrattamente potrebbero forse spiegare l’insuccesso del regime di comunione legale in Italia attiene ad un difetto di radicamento dell’istituto nella nostra cultura sociale e giuridica. Non è questa la sede per ripercorrere i ricchi e complessi precedenti storici di tale regime [23]. Basterà però ricordare, quanto meno a parziale smentita dell’idea appena citata, che in alcune zone del nostro Paese (e particolarmente in Sicilia e in Sardegna) la comunione costituì in effetti il regime legale per alcuni secoli, prima delle moderne codificazioni. E le soluzioni concrete adottate dalle prassi applicative delle consuetudini locali di quei luoghi dimostravano di essere in grado di portare a realizzazione interessi meritevoli di tutela, in maniera sovente assai più idonea del generale e « paludato » sistema dotale, rigidamente innestato, come noto, su un regime caratterizzato dalla più netta separazione dei patrimoni.

        A titolo d’esempio, si potrà ancora una volta evocare la decisione resa nel 1612 dal Concistorium del Regno di Sicilia in applicazione delle consuetudini di Messina, ove per determinati tipi di matrimonio (detti « alla latina ») vigeva un regime di comunione universale legale. La sentenza confermò la validità della clausola del contratto matrimoniale che escludeva la comunione « casu (quod absit) di separatione di matrimonio, tanto senza figli come nati figli, & quelli morti in minori età, vel maiori ab intestato », stabilendo altresì che, in tale ultima ipotesi, « detta sposa non possa disponere, nisi tantum di unzi trenta » [24].

Qualcosa, tra l’altro, di molto simile a ciò che per secoli è avvenuto ed ancor oggi avviene Oltralpe con la c.d. « clausola alsaziana ».

Tramite tale clause alsacienne, invero, le coppie che optano in Francia per il regime di comunione universale possono stabilire che, nell’ipotesi di scioglimento per divorzio, ognuno dei coniugi riprenderà gli apporti alla comunione [25] e il risultato conseguito è sicuramente commendevole  [26]. La clausola, già ritenuta conforme al sistema del Code civil [27], ha ricevuto un ulteriore avallo dalla riforma francese del 23 giugno 2006 (sulle successioni e liberalità), in vigore dal 1° gennaio 2007, che ha introdotto un terzo comma all’art. 265 del Code, a mente del quale « si le contrat de mariage le prévoit, les époux pourront toujours reprendre les biens qu’ ils auront apportés à la communauté » [28].

Ma l’attualità del regime di comunione legale, a dispetto del fenomeno sociale di disaffezione cui ho fatto cenno sopra, sembrerebbe affermata di questi tempi da un paio di novità introdotte nel 2016 dalla riforma che porta comunemente il nome della senatrice Cirinnà.

La prima è contenuta nel comma tredicesimo dell’unico articolo di cui si compone la l. 20 maggio 2016, n. 76, che, tra l’altro, estende pari pari ai soggetti civilmente uniti la disciplina tutta di cui « alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile ». Rientrano, pertanto, in siffatto rinvio, le disposizioni tutte in tema di comunione legale, ivi comprese quelle che, pur collocate al di fuori della sezione III, regolano pur sempre quell’istituto: cfr. ad es. l’art. 210, terzo comma, c.c. Anche le disposizioni pubblicitarie in tema di comunione e regimi patrimoniali in genere sono applicabili all’unione civile [29]. Il tutto, ovviamente, ferma la premessa generale per cui il contenuto dell’art. 159 c.c. viene ritrasposto – con gli (in)opportuni [30] adattamenti linguistici – al campo dei rapporti patrimoniali tra civilmente uniti, ragion per cui anche per costoro la comunione può dirsi costituire il regime legale.

Una differenza, per la precisione, permane rispetto alla comunione legale inter coniuges.

Ci si intende qui riferire al profilo della cessazione del regime in caso di crisi del rapporto. Rinviando a quanto ampiamente illustrato in altra sede, in merito alla mancata equiparazione alla separazione del divorzio (nel caso di c.d. « divorzio immediato » o « diretto »), per ciò che attiene all’anticipazione degli effetti della cessazione del regime, per via della modifica, operata nel 2015, dell’art. 191 c.c., per effetto della l. 6 maggio 2015, n. 55 [31], dovrà rammentarsi che gli interpreti si sono divisi sul quesito circa l’applicabilità all’unione civile dell’istituto della separazione personale [32]. Ora, comunque si intenda risolvere siffatto interrogativo, è in ogni caso chiaro che la pronunzia di separazione non costituisce sicuramente antecedente necessario del divorzio per i soggetti qui presi in considerazione.

Ciò significa che i partners dell’unione civile in crisi potranno « andare » direttamente al divorzio, ai sensi dei commi 23 ss. dell’art. 1, l. n. 76/2016. Si poi deve tenere conto del fatto che il riformatore del 2015, in tema di « divorzio breve », non ha inteso attribuire rilievo, per uno scioglimento anticipato del regime, alle (rare in pratica, ma pur contemplate dalla legge) fattispecie di « divorzio immediato » tra coniugi (per lo più legate al compimento, da parte di uno di essi, di reati di particolare gravità), rifiutando l’estensione al divorzio non preceduto da separazione della regola oggi scolpita nel capoverso dell’art. 191 c.c. (per la sola separazione, per l’appunto). Nulla si è ritenuto di innovare sul punto anche in sede di riforma del 2016 sulle unioni civili. Non rimarrà, dunque, che concludere che le parti dell’unione civile per (loro dis)avventura sottoposte al regime legale, dovranno attendere, in caso di divorzio (in difetto, ovviamente, di autonoma e distinta causa rilevante ai sensi della norma citata: si pensi ad una convenzione notarile di scioglimento del regime), il passaggio in giudicato della relativa sentenza contenziosa [33], perché la comunione legale possa ritenersi a tutti gli effetti cessata [34].

Nessun rilievo a tal fine avrà, invece, il semplice esperimento della procedura di divorzio, nelle varie forme immaginabili [35], neppure in presenza di un’autorizzazione presidenziale a vivere separati, nell’ambito di una procedura di divorzio contenzioso [36]. In tale ipotesi la domanda non potrà essere proposta che al tribunale, visto il generale rinvio all’art. 4, l. div. contenuto nel comma 25 della l. n. 76/2016 [37]. Nessuna delle procedure qui descritte potrà, di per sé, determinare sin dal suo inizio la cessazione del regime legale (tanto meno, dunque, il mero « preannuncio » di cui al c. 24), dovendosi invece attendere, in alternativa, la stipula dell’accordo di divorzio in seno a procedura di negoziazione assistita, ovvero dinanzi al sindaco, ovvero ancora il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio su domanda congiunta, oppure di quello contenzioso. Un’estensione analogica del contenuto dell’art. 191 c.c. sembra improponibile, anche alla luce del carattere tassativo delle ipotesi di cessazione del regime delineate dall’art. cit., affermato da una costante, quarantennale, giurisprudenza [38].

 

 

3. La comunione legale tra passato e presente. Comunione legale e contratto di convivenza: le perniciose conseguenze d’un trapianto affrettato.

 

L’altro riferimento effettuato dalla riforma Cirinnà alla comunione legale è contenuto nel comma 53, nel quale si stabilisce che « 53 (…) Il contratto può contenere: (…) c) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile (…) ».

La questione dell’applicabilità alle coppie conviventi more uxorio del regime di comunione legale è antica quanto il regime stesso [39] e un commento approfondito della disposizione appena citata ci porterebbe lontano dal filo conduttore d’un lavoro precipuamente incentrato sul tema dell’attualità del regime legale, per cui anche qui non resterà che fare rinvio alle più opportune sedi [40]. Ciò che si può dire nel presente contesto è che, oltre a sollevare l’interrogativo [41] circa la possibilità per i conviventi di dar vita a regimi e comunque ad accordi patrimoniali diversi da quello della comunione di cui agli artt. 177 ss. c.c., la norma pone svariati dubbi sulla sua concreta portata ed applicabilità.

Al riguardo è sfuggito al frettoloso riformatore che la comunione legale tra coniugi (così come ora tra i partners dell’unione civile) è un regime che, inter coniuges, va, come si dice, «per legge» ed opera non solo quando l’acquirente dichiara di esservi sottoposto, ma anche quando un qualsiasi acquisto rilevante ex art. 177, lett. a), c.c., sia effettuato, pure « separatamente », da uno dei due soggetti a tale regime sottoposti.

Inoltre, il regime coniugale legale, richiamato sic et simpliciter dall’articolo appena citato, si colloca, come noto, all’interno di un (peraltro bislacco e criticatissimo) sistema di pubblicità « in negativo », risultante dal raffronto tra i registri di stato civile (non quelli anagrafici!) e i pubblici registri immobiliari, per cui, allorquando un qualsiasi soggetto vende o acquista beni immobili o mobili registrati, i terzi potenziali aventi causa dovrebbero essere in grado di sapere se quel trasferimento ha inciso su di una situazione di comunione legale, vuoi ex latere venditoris, vuoi ex latere emptoris; lo stesso è a dirsi, naturalmente, per i creditori, che sono trattati in modo assai differenziato, in relazione alla « categoria » cui appartengono (se, cioè creditori « della comunione » o creditori « personali »), a seconda che essi tentino di agire in executivis contro beni comuni o, viceversa, personali dei coniugi: cfr. artt. 186, 187, 188, 189 e 190 c.c. [42].

Nulla di tutto ciò appare immaginabile in relazione alla comunione di cui qui si discute, che è à la fois « legale », per effetto del rinvio espresso « alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile », ma anche (e soprattutto!) « convenzionale », perché nasce pur sempre da un accordo. A parte il gioco di parole, e l’apparente antinomia logica, sarà però opportuno ricordare, per evitare ogni equivoco, che comunque il « regime legale » (nel senso di « normale » e « automatico ») dei conviventi, ancorché legati da apposito contratto di convivenza, è e resta pur sempre, come detto, la più totale assenza di qualsiasi regime. Il regime di comunione, che è legale (sempre nel senso di « normale » e « automatico ») per coniugi e partners dell’unione libera, entrerà in funzione per i conviventi solo a condizione che ciò sia stato espressamente pattuito nel contratto di convivenza redatto nei modi e nelle forme descritti (si fa per dire) dalla novella del 2016 (commi 50 ss.).

Ora, ciò che scandalizza l’interprete non è tanto la circostanza che un regime legale possa scaturire da una manifestazione negoziale: chi scrive ha già trattato dell’argomento in altra sede, con riguardo proprio ai casi di comunione (legale) tra coniugi nascente non ex lege, ma da apposita convenzione [43], con conclusioni che debbono ora trasporsi anche ai partners dell’unione civile.

Ciò che lascia sbigottiti, invece, è che non si siano minimamente affrontate, neppure a livello di mero abbozzo, le conseguenze dell’introduzione di un regime come quello di cui agli artt. 177 ss. c.c. nel campo delle relazioni tra conviventi.

Qui, tanto per fermarsi alle lacune più vistose, va subito detto che, se non verrà istituito un adeguato sistema pubblicitario, il terzo non si troverà mai e poi mai in condizione di sapere se il bene rispetto al quale intende porsi quale avente causa o creditore agente in executivis sia di proprietà esclusiva del suo dante causa/debitore, ovvero in contitolarità con il (la) convivente. Inutile dire che, per le ragioni illustrate in altra sede [44], non può certo ritenersi idonea la prescrizione secondo cui il professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto « deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 » (comma 52).

Sul punto è intervenuta, come noto, la circolare 1° giugno 2016, n. 7/2016 del Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli affari interni e territoriali – Direzione Centrale per i Servizi Demografici, prescrivendo la « registrazione » nelle schede individuali di residenza ed in quella di famiglia « della data e degli estremi della comunicazione da parte del professionista » [45]. Ora, come già chiarito altrove [46], queste semplici(stiche) formalità non appaiono idonee, di per sé, a fornire adeguata pubblicità ai terzi circa l’eventuale esistenza di un regime di comunione inter partes, per non dire poi dell’assoluta inidoneità a consentire ai terzi, di comprendere quale sia l’esatta situazione del bene immobile o mobile registrato rispetto al quale essi si pongono (o intendono porsi) quali aventi causa o creditori (personali o, eventualmente, comuni) pignoranti.

La situazione appare qui ancor più grave di quella ampiamente descritta in altre sedi [47] relativamente alla pubblicità dei regimi patrimoniali inter coniuges, posto che, nella presente fattispecie, il regime di cui agli artt. 177 ss. c.c. non discende ex lege dalla mera convivenza (certificata o meno che sia), né tanto meno dalla semplice stipula di un contratto (registrato o meno che sia), ma dal fatto che il contratto abbia per suo specifico oggetto (esclusivo o meno) la costituzione del regime comunitario. Da ciò deriva il dubbio più che legittimo sull’applicabilità, ad es., dell’art. 184, primo e secondo comma, c.c., al caso della vendita, senza il consenso del partner, di un bene immobile o mobile registrato acquistato dall’altro convivente senza menzione del regime comunitario. In assenza di (istituende) idonee formalità pubblicitarie presso gli uffici di anagrafe (o presso altri uffici), l’unico caso ad oggi astrattamente immaginabile di sicura opponibilità di tale situazione è infatti quello in cui il convivente eventualmente pretermesso all’atto dell’acquisto immobiliare o mobiliare (con riguardo ad un bene mobile registrato) abbia avuto l’accortezza di proporre domanda d’accertamento della ricaduta in comunione di tale acquisto e l’abbia tempestivamente trascritta sui pubblici registri immobiliari contro il proprio convivente [48].

In ogni caso, tuzioristicamente, appare indispensabile raccomandare ai notai l’accertamento della situazione personale delle parti che in atti risultino non coniugate (o non legate da unione civile), presso i registri anagrafici, al fine di verificare nella provenienza del bene che il dante causa non sia per caso legato a terzi da contratto di convivenza che preveda la comunione dei beni. In ogni caso il notaio dovrà comunque far risultare sulla nota il regime patrimoniale delle parti, secondo quanto disposto dall’art. 2659 c.c., a dispetto del fatto che la norma contenga l’inciso « se coniugate » (oggi riferibile anche alle parti dell’unione civile, secondo quanto disposto dal c. 19 della legge n. 76 del 2016, che la citata disposizione espressamente richiama), posto che la disposizione non può non ritenersi implicitamente richiamata per le convivenze di fatto dal rinvio operato dal c. 53, lett. c all’istituto della comunione legale tra coniugi (da ciò, tra l’altro, sembra derivare l’inevitabilità della menzione, nell’atto stipulato da un celibe o da una nubile, del fatto che egli/ella non ha stipulato un contratto di convivenza che preveda un qualche regime patrimoniale).

Risulta dunque confermata la tesi della sostanziale inapplicabilità ai conviventi, pur nel caso di previsione negoziale del regime ex artt. 177 ss. c.c., del sistema di opponibilità ex lege proprio di quest’ultimo, valevole nei rapporti inter coniuges (e tra civilmente uniti).

L’unico caso, invero, astrattamente immaginabile di sicura opponibilità di tale situazione è semmai quello in cui il convivente eventualmente pretermesso all’atto dell’acquisto immobiliare o mobiliare (con riguardo ad un bene mobile registrato) abbia avuto l’accortezza di proporre domanda d’accertamento della ricaduta in comunione di tale acquisto e l’abbia tempestivamente trascritta sui pubblici registri immobiliari contro il proprio convivente (che, a questo punto, sarà piuttosto da ritenere ex tale…), in base alle comuni regole pubblicitarie relative domande giudiziali.

 

 

4. Segue. Dies a quo e dies ad quem di operatività del regime di comunione tra conviventi.

 

Dubbi di una certa serietà investono poi l’identificazione dei due momenti più rilevanti per il regime patrimoniale comunitario, allorquando si trovi ad operare nel contesto di un contratto di convivenza: vale a dire quelli che ne marcano, rispettivamente, l’insorgere e la cessazione.

Quando inizia il regime?

Nel campo matrimoniale la risposta a questa domanda appare relativamente semplice, atteso che il dies a quo di operatività della comunione legale è identificabile, in assenza di opzione per un regime diverso, con quello di celebrazione delle nozze; nel caso di scelta del regime di separazione, la comunione entra in gioco a decorrere dal successivo momento dell’eventuale stipula della relativa convenzione.

Il vero problema è, semmai, legato al fatto che tra conviventi, a differenza di ciò che accade nel caso della coppia coniugata, fa difetto un negozio personale formale, solenne e provvisto di data certa quale il matrimonio (o, per le coppie omosessuali, la stipula dell’unione civile), la convivenza di fatto essendo definita dalla stessa legge n. 76/2016 (cfr. il comma 36) alla stregua della situazione di « due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile ».

Ora, l’unico elemento che sia qui fornito di una data certa è costituito, per l’appunto, dal contratto di convivenza (o dalla sua « modifica », necessitante delle stesse forme). Del resto, come già detto, la novella è chiara nel legare la comunione al contratto di convivenza e non alla convivenza. Dovrà quindi concludersi che il regime eventualmente « previsto » sarà operativo a decorrere dalla stipula del contratto di convivenza.

L’interrogativo che sorge spontaneo, però, a questo punto, è se la concorde volontà dei paciscenti possa determinare un dies a quo diverso, legato o ad un termine iniziale, o ad una condizione sospensiva. Qui, da un lato, l’ampia facoltà di modifica « in qualunque momento nel corso della convivenza », prevista dal testo normativo, e dall’altro l’evidente irriferibilità della condicio iuris di cui alla regola si nuptiae sequantur, sembrerebbero convincere dell’ammissibilità di un accordo di tal genere. Non si dimentichi, del resto, che l’opinione prevalente, storicamente fondata ed assolutamente preferibile (oltre che evidentemente armoniosa rispetto alla concezione contrattuale) in materia di convenzioni matrimoniali, consente l’apposizione di termini e condizioni a queste ultime. Non si comprenderebbe, pertanto, perché mai analoga regola non dovrebbe valere per i contratti di convivenza.

L’unico dubbio sembrerebbe però suggerito dall’improvvida disposizione di cui al comma 56, a mente della quale « Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti ». Si sono peraltro già esposte, in altra sede, le ragioni [49] che consigliano di limitare l’operatività della regola ai soli elementi accidentali eventualmente apposti al contratto nel suo complesso e non già a singole clausole di esso. Sembra dunque doversi affermare la possibilità di far decorrere il regime di comunione a partire da un termine iniziale o dall’avverarsi di una condizione sospensiva eventualmente previsti nel contratto di convivenza.

Venendo ora al tema dell’accertamento del dies ad quem di operatività del regime va detto che, anche con riguardo a questo delicato profilo, le norme in commento tacciono del tutto. Inutile ricordare la capitale importanza dell’accertamento di questo momento, a decorrere dal quale l’effetto coacquisitivo scolpito nell’art. 177, lett. a), c.c., per gli acquisti operati dopo tale data, viene meno.

Neppure soccorre più di tanto, in questa sede, il richiamo alle norme in tema di comunione legale tra coniugi.

L’art. 191 c.c. individua [50], come noto, inter coniuges, gli eventi idonei a determinare lo scioglimento del regime legale, alcuni dei quali possono considerarsi riferibili anche ai conviventi: dichiarazione di assenza o di morte presunta, separazione giudiziale dei beni, mutamento convenzionale di regime, fallimento, scioglimento convenzionale di azienda ai sensi dell’ult. cpv. dell’art. 191 c.c.

Peraltro, l’evento più rilevante dal punto di vista statistico, vale a dire la crisi del rapporto di convivenza, non viene preso in considerazione nei suoi effetti sul regime, laddove ben difficilmente sembra prospettabile un’estensione analogica delle disposizioni di cui al citato art. 191 c.c. in materia di crisi coniugale. Queste ultime, infatti, appaiono strettamente legate ad una « ritualizzazione » (annullamento del matrimonio, separazione e divorzio, nelle rispettive variegate forme di manifestazione procedurale: giurisdizionali o meno che siano), cui la crisi della famiglia di fatto rimane, per effetto della novella del 2016, del tutto estranea.

Le uniche norme della l. n. 76/2016 latamente riferibili al caso in esame sembrano essere costituite da quelle di cui ai commi 59, 60 e 61 [51].

Poiché, peraltro, le disposizioni in esame appaiono carenti in ordine alla cessazione del regime di comunione, non rimarrà che concludere nel senso che il dies ad quem del regime di comunione tra conviventi va identificato nei momenti seguenti.

(a)            In caso di scioglimento del contratto di convivenza concordato o unilaterale: nel momento in cui « la risoluzione viene redatta nelle forme di cui al comma 51 ». Inutile soggiungere che, con riguardo allo specifico problema dell’eventuale riconciliazione, per la coppia (dapprima non più e poi di nuovo) convivente non varrà il principio dottrinale e giurisprudenziale di automatica ricostituzione del regime legale [52], essendo il dato normativo piuttosto chiaro nel collegare la nascita (e dunque, pure l’eventuale rinascita) della comunione tra conviventi alla (necessaria) stipula di un contratto.

(b)           In caso di matrimonio o unione civile tra i conviventi stessi o tra un convivente ed altra persona: nel momento in cui tali eventi hanno luogo. Qui potrà aggiungersi che quanto disposto dai commi 62 e 63 [53] non sembra rilevare ai fini dello scioglimento del regime, trattandosi di attività meramente complementare e successiva.

(c)            Per le altre cause descritte dall’art. 191 c.c. varranno le regole elaborate con riguardo ad ogni singola causa di scioglimento della comunione legale; così, ad es., in caso di morte di uno dei contraenti, l’effetto estintivo si produrrà dal momento in cui tale evento ha luogo, e così via [54].

Appare quasi superfluo aggiungere che la parte aggiunta al comma 60 dal « maxiemendamento » presentato al Senato il 25 febbraio 2016 non risulta di alcuna utilità. Stabilire, infatti, che « Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53, lettera c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile » significa esprimere un’ovvietà addirittura deprimente (è come dire che « se si verifica una causa di scioglimento del regime legale, si applicano le norme in tema di scioglimento del regime legale»).

Stabilire, poi, che « Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza » significa stabilire una cosa gravemente errata, posto che nel nostro ordinamento risulta ancora vigente l’art. 1350 c.c., che non impone – purtroppo, come più volte spiegato dallo scrivente [55] – l’atto notarile per la validità di un trasferimento immobiliare [56]. Se, invece, l’intento è solo quello di chiarire che quella dell’atto pubblico continua ad essere (unitamente alla scrittura privata autenticata o verificata) l’unica forma idonea alla trascrizione di un titolo negoziale sui pubblici registri immobiliari ex art. 2657 c.c., si afferma allora un principio risaputo.

 

 

5. Segue. Sulla possibilità di prevedere in un contratto di convivenza regimi convenzionali di comunione ordinaria.

 

Al di là di quanto così grossolanamente disposto dai commi 53 e 54 della l. n. 76/2016, in base al principio di libertà contrattuale che certamente governa i contratti di convivenza, le parti potranno dar vita a situazioni di contitolarità del genere di quelle preconizzate già diversi anni or sono dallo scrivente [57].

Si potrà ricordare al riguardo che, pur non sussistendo in linea di principio nel nostro ordinamento ragioni per ritenere vietata una riproduzione per via negoziale di quello che nella famiglia legittima è il regime legale [58], l’effetto (in assenza del richiamo di cui alla novella qui in commento alla comunione legale, ma, come si è visto, con seri problemi anche nel caso di espresso riferimento a tale eventualità) non potrebbe comunque mai essere quello di un’applicazione dell’istituto della comunione coniugale nella sua interezza. Invero, è evidente che, per il principio della privity of contract (art. 1372 c.c.), non potrebbero comunque mai essere imitati gli effetti « esterni » tipici della comunione, che pure di tale regime costituiscono uno dei punti più qualificanti. Si pensi, in particolare, all’opponibilità ex lege della proprietà comune ex art. 177, lett. a), c.c. anche in difetto di trascrizione dell’acquisto in favore di entrambi [59], con il connesso rimedio dell’annullabilità degli atti di disposizione relativi ai beni immobili o mobili registrati compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro, ai sensi dell’art. 184, primo e secondo comma, c.c. [60].

Gioverà dunque ribadire – a scanso d’equivoci – che ciò che si può prevedere è, invece, un regime di comunione (ordinaria) in relazione a tutti (o eventualmente ad alcuni) i beni da acquistarsi durante la convivenza, anche da parte di uno solo dei conviventi. L’effetto potrebbe essere conseguito mediante la pattuizione di una versione contrattuale dell’« acquisto automatico » di cui all’art. 177, lett. a), c.c. e, dunque, di un effetto reale di trasferimento di una quota ideale dei diritti acquisiti [61] che si dovrebbe verificare automaticamente all’atto stesso del perfezionamento di ogni negozio acquisitivo da parte di uno dei partners. Un’altra possibilità sarebbe costituita da un impegno di natura meramente obbligatoria a trasferire la titolarità di una quota del diritto acquistato, con un meccanismo analogo a quello di cui all’art. 1706 c.c. [62].

Nessuna obiezione sembra sollevabile circa la determinabilità dell’oggetto di un simile contratto. È infatti noto che tale requisito può ritenersi soddisfatto anche quando, una volta individuati nel titolo gli elementi necessari e sufficienti per compiere la determinazione, quest’ultima avvenga sulla base di eventi esteriori, quali comportamenti o dichiarazioni delle stesse parti o di terzi: basti pensare alla nota teoria giurisprudenziale della « determinabilità ex post » .[63]. L’impostazione sembra del resto ricevere un conforto legislativo dalla disciplina normativa della cessione dei crediti d’impresa, che ammette, per l’appunto, tale cessione « anche prima che siano stipulati i contratti dai quali [i crediti stessi] sorgeranno » (cfr. art. 3, l. 21 febbraio 1991, n. 52 « Disciplina della cessione dei crediti di impresa »). A tale proposito, al fine di  In ogni caso sarebbe di somma utilità, allo scopo di prevenire liti future, sarà opportuno identificare con estrema precisione tanto il dies a quo che quello ad quem per l’operatività dell’effetto acquisitivo (per l’individuazione di quest’ultimo si potrebbe, per esempio, richiedere l’invio di una lettera raccomandata).

Alla luce delle precisazioni di cui sopra, già fornite da tempo da parte di chi scrive [64], appaiono piuttosto sorprendenti le critiche di chi [65], in relazione all’ipotesi del ritrasferimento automatico, rispolvera l’argomento dell’intrascrivibilità del mandato: rilievo, questo, del tutto ininfluente nella specie, proprio perché, come chi scrive si è sforzato (inutilmente, verrebbe da dire) di spiegare, il « regime » tra conviventi è comunque una situazione puramente interna. A prescindere, poi, dal fatto che non sembra metodologicamente corretto far derivare dalla disciplina pubblicitaria (che rappresenta, semmai, un posterius) conseguenze sul piano dell’esistenza degli istituti giuridici « sostanziali ».

Quanto all’asserita indeterminatezza dell’oggetto [66], si è anche qui (altrettanto inutilmente) cercato di spiegare, da tempo, che non di (asserita) determinatezza si tratta, bensì di (comprovata) determinabilità ex post, esattamente come per decenni ha fatto la giurisprudenza di legittimità per la fideiussione omnibus, secondo una ratio decidendi condivisa poi, come si è dimostrato, dallo stesso legislatore.

Quanto sopra, sempre a scanso di equivoci, lo si ribadisce in relazione al caso in cui i conviventi, vuoi per difetto dei presupposti di legge (si pensi ad es. al caso in cui i due siano legati da rapporti di parentela), vuoi per qualunque altra scelta, decidano di non avvalersi della possibilità concessa loro dalla novella di effettuare un puro e semplice richiamo alla normativa in tema di comunione legale tra coniugi (e partners dell’unione civile), ma intendano creare tra gli stessi un regime comunitario « sfruttando » il generale principio di libertà contrattuale che pure a loro l’art. 1322 c.c. certamente concede.

Venendo ora al profilo della determinazione dell’entità delle quote, viene a porsi un problema in relazione alla possibilità di stabilire una forma di comunione che veda i conviventi coacquistare in misura diversa dal 50% per ciascuno di essi.

Prima della riforma del 2016 lo scrivente aveva più volte preso posizione sul punto in senso affermativo, non sussistendo alcuna disposizione in senso contrario e discendendo la soluzione positiva dalla considerazione del principio di piena libertà contrattuale. Oggi qualche dubbio potrebbe nascere dal fatto che le norme qui in commento operano un richiamo « in blocco » a quella « sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile » in cui è contenuto l’art. 194 c.c. Norma, quest’ultima, che contiene proprio uno dei due principi da cui si desume la regola della parità delle quote inter coniuges.

Sarà però il caso di osservare che, a ben vedere, la vera disposizione che sancisce l’inderogabilità del principio di parità delle quote è quella di cui all’art. 210 c.c. [67]: norma, questa, che la riforma qui in commento non richiama.

Non solo. Il contesto in cui ci muoviamo è, come più volte detto, quello della negozialità, in relazione al quale non può non operare il principio generale consacrato dall’art. 1322 c.c. A maggior ragione ciò varrà se i conviventi dovessero disegnare i contorni di una comunione ordinaria di fonte convenzionale, come qui indicato da chi scrive. Peraltro, proprio per le ragioni appena addotte, la stessa conclusione va con forza ribadita anche nell’ipotesi in cui gli stessi volessero richiamare in tutto e per tutto le disposizioni di cui alla « sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile », come previsto dal comma 53, lett. c), cit., divergendo solo sul punto parità delle quote da quanto disposto dall’art. 194 c.c.

Fatte salve le peculiari considerazioni appena esposte, derivanti dal mancato rinvio all’art. 210, terzo comma, c.c., potranno per il resto richiamarsi qui tutte le considerazioni svolte in altra sede a commento dei principi che, in relazione alla coppia coniugale in regime di comunione, contribuiscono a comprendere estensioni e limiti dell’autonomia negoziale [68].

Le considerazioni di cui sopra non sembrano ricevere convincente smentita da uno studio ufficiale, approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato nel 2018 [69]. Il documento in questione, vero e proprio atto di sfiducia verso la « forza del contratto » nel campo dei rapporti tra i conviventi, emesso (ed è ciò che lascia più sbigottiti) dalla rappresentanza ufficiale di una categoria professionale che, invece, del contratto e dell’autonomia negoziale endofamiliare dovrebbe fare i propri cavalli di battaglia, pare incentrato sull’idea secondo cui « comunione eleggibile dai conviventi » sarebbe « soltanto quella legale, non potendosi adottare un regime di comunione “convenzionale” ».

Ma, a ben vedere, e a tacer d’altro, appare veramente difficile negare la piena operatività del principio di libertà contrattuale in relazione ad un istituto che, non per nulla, viene chiamato dal legislatore « contratto di convivenza », con conseguente, inevitabile, applicazione dell’art. 1322 c.c. Conclusione, questa rafforzata, in primo luogo, dall’argomento specialmente desumibile dal fatto che il comma 53 della l. n. 76/2016 utilizza il verbo « potere » in relazione ai descritti contenuti del contratto di convivenza, chiaramente lasciando ad intendere che l’elenco (a dire il vero piuttosto striminzito…) ivi contenuto ha carattere meramente esemplificativo e, in secondo luogo, dalla constatazione per cui, se il successivo comma 54 riconosce ai conviventi  la possibilità di mutare il regime, esso implica inevitabilmente la possibilità di optare sin ab initio per regimi di tipo diverso da quello ex artt. 177 ss. c.c. e dunque anche per una comunione « ridotta » o « accresciuta » rispetto a quest’ultima.

Per non dire, poi, del fatto che lo stesso studio dichiara la comunione inter concubinarios, testualmente, « accessibile solo a quelle coppie “di fatto” (ma in realtà “di diritto”) che, sulla base dei requisiti legali, abbiano registrato la loro convivenza, assoggettandola alla legge speciale; abbiano stipulato un contratto di convivenza ai sensi della legge stessa; abbiano in esso optato espressamente per la comunione dei beni; abbiano realizzato la pubblicità dichiarativa prevista dalla legge », così legando l’insorgenza del regime predetto alla (ritenuta necessaria) realizzazione di una pubblicità che, pur se (giustamente) definita come « dichiarativa », finirebbe però, nella prospettiva qui criticata, con il divenire costitutiva, in quanto indicata come elemento imprescindibile perché la coppia possa, per l’appunto, « accedere » al regime comunitario.

 

 

6. Segue. Il regime comunitario (ordinario e convenzionale) dei beni dei conviventi di fatto nei rapporti con i terzi.

 

Come più volte anticipato, il limite principale dell’istituto che si è tentato di delineare è costituito dai rapporti con i terzi. Invero, l’opponibilità a questi ultimi della comproprietà sui beni acquistati nel corso della convivenza non potrebbe essere riprodotto nemmeno mediante il ricorso al meccanismo della trascrizione del contratto di convivenza. Tale contratto, tanto nella sua versione a effetti reali differiti, che in quella a effetti meramente obbligatori, non potrebbe certo operare all’atto della sua conclusione il trasferimento di alcun diritto reale immobiliare, ma si configurerebbe come una sorta di mero « accordo programmatico ».

Conseguentemente, non soltanto si esulerebbe dalle ipotesi per le quali l’istituto della trascrizione è (tassativamente) previsto, ma verrebbe anche a mancare quella specifica indicazione dei singoli beni oggetto dell’atto, che, sola, può rendere tecnicamente sottoponibile il negozio a pubblicità (cfr. artt. 2659, n. 4, c.c., 2665 c.c.) [70]. L’unico rimedio di natura reale competente al partner « pretermesso » sarebbe allora quello della proposizione contro l’altro di un’azione di rivendica (nel caso di effetto reale differito), ovvero di una domanda ex art. 2932 c.c. (nel caso di semplice obbligo a trasferire) con immediata trascrizione dell’atto di citazione, ai sensi e per gli effetti, rispettivamente, degli artt. 2653, n. 1 c.c. o 2652, n. 2, c.c. [71].

Quel fenomeno tipico del regime comunitario tra coniugi rappresentato dall’indisponibilità della quota, se non con il consenso di entrambi [72], potrebbe essere conseguito mediante un vincolo pattizio di inalienabilità sulle rispettive porzioni dei beni acquistati, vincolo la cui previsione, in considerazione dei particolari rapporti esistenti tra le parti, potrebbe ritenersi determinata da un interesse « apprezzabile » ex art. 1379 c.c. Proprio per via di questa norma, però, esso andrebbe contenuto entro convenienti limiti di tempo, né potrebbe essere opposto ai terzi, nemmeno mediante il meccanismo della trascrizione [73]. L’unico rimedio prevedibile in sede di stipula del contratto di convivenza sembra dunque costituito da una penale a vantaggio del convivente « pretermesso », che sarebbe così liberato dall’onere di fornire la dimostrazione (per il vero tutt’altro che agevole) di aver subito un danno per effetto della alienazione della sola quota di comproprietà del partner.

Per quanto concerne l’amministrazione dei beni in comunione l’art. 1100 c.c. lascia alle parti la massima discrezionalità, espressamente enunciando il carattere dispositivo delle norme di cui al capo I del titolo VII: potranno quindi fissarsi a piacimento regole sull’amministrazione straordinaria ovvero ordinaria prevedendo la congiuntività o disgiuntività delle stesse, così come enucleando singoli atti in relazione ai quali venga imposto l’agire congiunto piuttosto che disgiunto [74]. Sarà appena il caso di aggiungere che un eventuale patto di indivisione sarà soggetto alle disposizioni di cui all’art. 1111 cpv. c.c., mentre i rimedi da applicarsi in caso di « blocco » nell’amministrazione o di decisioni pregiudizievoli per le cose comuni saranno quelli ex artt. 1105 c.c. e 1109 c.c. e non già quelli di cui agli artt. 181, 182 e 183 c.c.

Relativamente allo scioglimento della comunione convenzionale ordinaria tra conviventi occorrerà fare richiamo innanzitutto alla necessità – già illustrata in altra sede [75] – di legare il dies ad quem a un evento ben preciso, quale, per esempio, l’invio di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Si potrà poi ricordare che è stata suggerita la redazione di una lista dei beni mobili apportati da ciascuno dei conviventi, sottoscritta da entrambi, che avrebbe carattere di negozio ricognitivo e servirebbe, in caso di rottura, a risolvere possibili conflitti relativi alla rivendica di singoli beni [76], in tal modo supplendo alla mancanza tra conviventi di una regola analoga a quella di cui all’art. 219 c.c.

Peraltro l’utilità della redazione di tale checklist appare assai dubbia, essendo controversa, come noto, l’estensibilità dell’effetto di cui all’art. 1988 c.c. (astrazione processuale) ai rapporti di carattere reale [77]. Si potrebbe allora consigliare di specificare accanto a ognuno dei singoli beni il rispettivo titolo d’acquisto: la sottoscrizione apposta dal partner assumerebbe così valore confessorio non solo in ordine alla proprietà (ed è noto che sotto questo profilo la dichiarazione sarebbe irrilevante, risolvendosi in un giudizio), ma anche sulle vicende (e dunque su meri fatti) che giustificano l’acquisto singolarmente in capo a ciascuno dei conviventi. In ogni caso potrebbe anche essere utile convenire una presunzione (iuris tantum) di comproprietà di determinati beni [78] (per esempio, tutti i mobili che si troveranno nell’immobile destinato a residenza comune al momento della cessazione del rapporto), che non sembra, almeno come tale, porsi in contrasto con l’art. 2698 c.c.

 

 

7. Come salvare la comunione? Gli interventi sui meccanismi dell’istituto.

 

Il presente studio si è, fin qui, concentrato, da un lato, sul fenomeno sociale della disaffezione mostrata dalle famiglie italiane verso il regime legale e, dall’altro, sui (sovente goffi e maldestri) tentativi del legislatore di « rianimare » un istituto nei fatti ormai esangue, evidenziando la necessità di una robusta attività di « sostegno » da parte degli interpreti, al fine di perseguire il risultato di smussare le eccessive asperità conseguenti ad un uso smodato dell’accetta su materie in cui si sarebbe dovuto invece, con mano tremante, lavorare di cesello...

« La séparation de biens est un régime de méfiance réciproque », osservava oltre un secolo fa un Autore francese [79]. L’esplosione numerica delle scelte per il regime di separazione sottolinea dunque la sfiducia con la quale oggi si guarda sempre più spesso al vincolo coniugale? Lasciamo la risposta alla sociologia, limitandoci ad osservare che quanto sin qui sembra evidenziare il fatto che oggi la priorità non sembra più tanto costituita [80] dalla necessità di incentivare il ricorso alla comunione coniugale, quanto piuttosto quella di salvare il regime legale da una fine rovinosa e (per molti profili ingiustamente) ingloriosa. Se è vero, infatti, che la comunione legale « istituto estraneo alla nostra tradizione giuridica, non si è inserita adeguatamente nel nostro ordinamento » [81], è altrettanto vero che la medesima rischia di essere esposta ad un imponente fenomeno di rigetto da parte del corpo sociale, se il legislatore non saprà correre ai ripari.

Nessun Autore italiano potrebbe seriamente dire, come invece è dato leggere ancora oggi in Francia, che la (nostra) comunione « séduit » [82], o che essa si caratterizza per regole di funzionamento « très performantes, polies par des siècles de réflexion, qui allient subtilement association des époux et respect de l’indépendance de chacun d’entre eux » [83]. Nessun organo ufficiale del Belpaese potrebbe credibilmente cantare, in relazione al nostro regime legale, le lodi di cui la Zugewinngemeinschaft viene gratificata in Germania, nella relazione ministeriale d’accompagnamento al progetto di riforma del sistema del Zugewinnausgleich, in vigore dal 1° settembre 2009 [84].

Ma per tentare un salvataggio dell’istituto occorre, in primo luogo, cercare di prendere consapevolezza delle cause di questo suo fallimento: bisogna cercare di capire, in altre parole, che cosa « non va ». Senza alcuna pretesa di completezza, potrà tentarsi di enucleare al riguardo un cahier de doléances nei termini seguenti.

(a)    Il primo intervento che lo scrivente raccomandava nella monografia pubblicata nel 2010 sulla comunione legale, era quello avente ad oggetto l’inserimento, tra le cause di scioglimento del regime, della proposizione della domanda di separazione personale (così come di quella di divorzio, se non preceduto da separazione legale, o di annullamento del matrimonio), o, quanto meno, dell’autorizzazione da parte del presidente a vivere separati, al fine di evitare le gravissime situazioni determinate dal perdurare del regime legale nel periodo di più acuti contrasti e tensioni tra i coniugi. La proposta è stata accolta, anche se tardivamente e in maniera incompleta [85]. Rimane comunque ineludibile la necessità di intervenire, almeno in parte, sui punti seguenti.

(b)    Particolarmente urgente è la necessità di eliminare le persistenti ambiguità in tema di comunione de residuo, con particolare riguardo alla tutela del coniuge non titolare, manente communione, dei relativi beni, mercé l’introduzione per via legislativa del principio secondo cui per l’interessato è sufficiente la dimostrazione dell’acquisizione, da parte dell’altro coniuge, dei cespiti ex artt. 177, lett. b) e c), nonché 178 c.c., gravando invece su quest’ultimo l’onere di dimostrare l’intervenuta consumazione, nonché l’esatta individuazione degli atti di consumazione (da non confondere, come illustrato in altra sede [86], con la semplice « sparizione ») dei beni medesimi [87]. In modo ancora più radicale, ci si potrebbe chiedere se non sia addirittura il caso di « convertire » le ipotesi in esame in altrettante situazioni di comunione immediata, così eliminando una figura « ibrida », quale la comunione residuale, che si giustifica (sulla base, anche, delle esperienze straniere) solo in quanto costituente un regime patrimoniale « a sé » (vuoi legale, vuoi convenzionale), ma che, ove inserita nell’ambito di un generale regime legale di comunione immediata viene porre una distonia difficilmente comprensibile ed integrabile nel disegno complessivo.

(c)    Sarebbe poi necessaria un’opera di chiarificazione legislativa di alcune delle principali questioni che affaticano gli interpreti in merito all’individuazione dell’oggetto della comunione [88]: dagli acquisti a titolo originario, ai diritti di credito, alle partecipazioni societarie, agli investimenti in titoli, ecc., procedendo ad una revisione della formula usata dal legislatore nell’art. 177 c.c., ritenuta insufficiente per dar soluzione alle ipotesi nelle quali la disciplina della comunione tra coniugi viene in conflitto con le norme che regolano l’appartenenza o la circolazione dei diritti su determinati beni in ragione della natura del bene considerato o del modo d’acquisto [89].

(d)    Ancora, occorrerebbe pervenire ad un chiarimento sul tema dei rapporti tra comunione, azienda coniugale, impresa coniugale ed impresa familiare, ciò che forse potrebbe indurre almeno determinate categorie di imprenditori a non optare sistematicamente, come oggi avviene, per il regime di separazione [90].

(e)    Andrebbe radicalmente abrogato l’inutilmente farraginoso sistema di responsabilità patrimoniale in executivis di cui agli artt. 186-190 c.c. [91], prevedendosi contemporaneamente l’automatica estromissione dal regime legale dei beni comuni eventualmente sottoposti a pignoramento [92].

(f)     Su un piano più generale, andrebbe poi radicalmente rivisto il sistema pubblicitario dei regimi patrimoniali, coordinando il sistema della trascrizione con quello dell’annotazione, al fine di garantire un più alto livello di certezza del traffico giuridico immobiliare [93].

 

 

8. Segue. La leva fiscale e il rilievo dell’informazione ai cittadini.

 

        Se i rimedi sopra indicati si pongono sul piano dei meccanismi normativi della comunione legale, una serie di incentivi ben potrebbero (e se si volesse veramente salvare la comunione dovrebbero) individuarsi in relazione a quel potente fattore economico che va sotto il nome di leva fiscale.

        Qui, infatti, potrebbero ipotizzarsi agevolazioni, come ad esempio la possibilità di operare con la comunione uno splitting dei redditi, attribuendo rilievo tributario alla comunione immediata dei proventi da attività lavorativa dei coniugi, eventualmente pattuita mercé stipula di apposita convenzione ex art. 210 c.c. [94], o, auspicabilmente, prevista da apposito intervento riformatore che abrogasse le lett. b) e c) dell’art. 177 c.c. Al riguardo deve dirsi che, nonostante il nutrito dibattito in sede politica [95], si preferisce ancora rimettere al meccanismo degli oneri deducibili e delle detrazioni di imposta per carichi di famiglia ogni strumento di sostegno fiscale per la famiglia, laddove, anche secondo l’esperienza di altri Paesi europei, bisognerebbe pensare ad una politica fiscale che guardi unitariamente alla comunità familiare ed ai redditi dalla stessa prodotti, in guisa da assicurare il soddisfacimento dei bisogni dell’intero nucleo familiare.

Non per nulla, nella nota sentenza che decretò la fine del sistema del « cumulo dei redditi » [96], la Consulta ebbe a formulare l’auspicio che, sulla base delle dichiarazioni dei propri redditi fatte dai coniugi, ed in un sistema ordinato sulla tassazione separata dei rispettivi redditi complessivi, potesse essere data ai coniugi la facoltà di optare per un differente sistema di tassazione (espresso in un solo senso o articolato in più modi), che agevolasse la formazione e lo sviluppo della famiglia e considerasse la posizione della donna casalinga e lavoratrice. Conseguentemente, avuto anche riguardo a quanto disposto dall’art. 31 Cost., per il quale la Repubblica deve agevolare con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose, sarebbe necessario pensare ad una opzione di imposizione tributaria su base familiare (che si affianchi all’attuale regime su base individuale), con enucleazione di un c.d. «quoziente familiare» determinato in relazione alla composizione del nucleo familiare ed alla capacità contributiva dello stesso [97].

Un « quoziente familiare » che, sebbene previsto in linea generale per ogni tipo di famiglia, potrebbe essere strutturato in modo particolarmente favorevole al contribuente per quei nuclei familiari che avessero scelto di non abbandonare il regime legale.

Sempre rimanendo sul piano degli effetti tributari del regime, in relazione all’ultima delle considerazioni sopra svolte, anche se non si dovesse optare per un sistema generale di « quoziente familiare », perché, in ipotesi, ritenuto troppo oneroso per le casse dello Stato, potrebbe pensarsi all’introduzione di adeguati incentivi al mantenimento della comunione mediante la previsione, sulla falsariga di quanto si ebbe transitoriamente a disporre con l’art. 228 della novella del 1975, di « elementi di diritto premiale » per le famiglie che non abbandonano tale regime [98]. Si potrebbe cioè immaginare un trattamento fiscale di favore per quei redditi, fondiari o di capitali o anche di impresa, conseguenti ad attribuzioni in comunione legale: e così ad esempio, con riguardo ai redditi derivanti da fabbricati, si potrebbe pensare ad un coefficiente di abbattimento della rendita catastale o dei reddito effettivo, e con riguardo ai redditi derivanti da terreni ad un coefficiente di abbattimento dei reddito dominicale o anche del reddito agricolo nell’ipotesi di attività congiunta dei coniugi. Inoltre, secondo l’esperienza propria del primo biennio di applicazione della legge, si potrebbe prevedere in via generalizzata una riduzione di imposte e tasse per gli atti ampliativi dell’oggetto della comunione legale o che comunque assoggettassero singoli beni al regime di comunione legale [99].

Ancora, al di là delle possibili riforme legislative, una maggiore divulgazione, anche tra i « non addetti ai lavori », dei diritti e doveri connessi al regime legale non potrebbe che fare del bene, inducendo i novelli sposi all’effettuazione di una scelta consapevole. Ancora una volta l’esempio francese è quanto mai significativo.

Si pensi che anche Oltralpe il profilo in esame rimase a lungo negletto, se è vero come è vero che, da un’inchiesta realizzata in vista della riforma del 1965, emerse che la stragrande maggioranza dei Francesi in regime di communauté légale pensava che il sistema loro applicabile fosse quello della comunione universale (anziché quello della comunione dei mobili e degli acquisti) [100]. Ancora diversi anni dopo un Autore, rilevando l’assenza di informazioni al riguardo, faceva notare che « notre société considère avoir rempli son devoir d’information et d’éducation civique, en instituant un régime matrimonial ou en permettant le choix d’autres conventions et en obligeant l’offìcier d’état civil à lire quelques articles du Code civil dans l’atmosphère mondaine et euphorique du mariage (...). C’est un peu léger pour induire une autonomie responsable chez les futurs époux » [101]. Per questa ragione, un decreto in data 26 luglio 2002 è venuto a prevedere Oltralpe che al libretto di famiglia venga allegato un « document d’information sur le droit de la famille », vera e propria guida sui diritti e sui doveri personali e patrimoniali dei coniugi (ivi compresi i rapporti successori e quelli connessi al regime patrimoniale).

 

 

9. Segue. Comunione legale e libertà negoziale.

 

Al di là degli interventi settoriali sopra individuati, un’importanza fondamentale assumerebbe nel sistema l’introduzione di una chiara indicazione legislativa che consentisse ad interpreti ed operatori di sbarazzarsi una volta per tutte di alcune persistenti posizioni giurisprudenziali eccessivamente rigide in punto libertà negoziale dei coniugi: dalla questione sulla possibilità di esclusione di singoli beni, sia al momento dell’acquisto che, in via successiva, sulla base del consenso dei coniugi, al problema della necessità della partecipazione del coniuge non acquirente, nel caso ricorrano le condizioni descritte dall’art. 179, lett. c), d) ed f) c.c. per un acquisto personale. Questo contribuirebbe, anche a livello di «immagine», a fornire l’idea che la comunione non è una «gabbia» nella quale i coniugi possano venirsi a trovare imprigionati [102].

E’ del resto ferma convinzione dello scrivente che una delle ragioni che spiegano il successo del regime comunitario in Francia (così come in altri sistemi stranieri) è rappresentato proprio dal ben diverso spazio che colà viene riconosciuto alla libertà negoziale in sede di « conformazione » del regime, ad opera del notaio, sulle necessità del nuovo nucleo familiare che si viene a costituire.

Così, sarebbe opportuno ammettere anche in Italia clausole che permettano un vero e proprio aménagement contractuel della comunione in vista del momento del suo scioglimento, sulla falsariga di ciò che è consentito Oltralpe, in base ad una tradizione risalente [103]:

¾dalla clausola di attribuzione (a titolo sia gratuito che oneroso) di beni personali di un coniuge al superstite [104],

¾a quella che prevede l’assegnazione, all’atto dello scioglimento, di beni comuni, previo pagamento di una somma di denaro predeterminata [105],

¾o la facoltà per l’uno o l’altro dei coniugi di prelevare, sempre in occasione dello scioglimento, determinati beni a titolo gratuito [106], o

¾di riprendere (in caso di stipula di una comunione convenzionale comprendente beni già posseduti prima della celebrazione delle nozze) i rispettivi apporti, nell’eventualità di scioglimento per crisi coniugale [107] o, ancora,

¾alla possibilità di prevedere la divisione della massa (o di parte di essa) in parti non uguali – eventualità, quest’ultima, che viene del resto ammessa non solo in Francia [108], ma in diversi altri sistemi europei [109] – o, ulteriormente,

¾all’attribuzione dell’intera massa ad uno solo dei coniugi, con diritto, per l’altro ad ottenere una somma a titolo forfetario [110], o, infine,

¾alla possibilità di pervenire ad un « bilanciamento » tra separazione e comunione, mercè una société d’acquêts adietta ad un regime separatista, nel senso che i coniugi potrebbero predeterminare l’applicabilità della regola comunitaria in relazione soltanto ad alcune, ben individuate, categorie di beni [111].

Inutile dire che l’accoglimento di questi principi presupporrebbe una modifica dell’art. 210, terzo comma, c.c., unitamente al definitivo accantonamento di ancora profondamente radicati pregiudizi circa l’indisponibilità preventiva delle conseguenze della crisi coniugale. Non bisogna però dimenticare che, come riconosciuto anche dalla nostra dottrina, allargare l’autonomia dei coniugi nella determinazione dell’oggetto della comunione significa molto spesso trattenere il concorde passo dei coniugi verso l’inevitabile approdo alla separazione dei beni [112]. Per le medesime ragioni, un’ampia libertà contrattuale andrebbe ammessa anche in relazione ai poteri d’amministrazione della massa comune [113].

Qualora le proposte di cui alla lettera precedente risultassero troppo « eversive », si potrebbe, in alternativa, valorizzare l’idea (a ben vedere, non troppo diversa da quelle or ora presentate) di chi ha suggerito una « tipizzazione, in via normativa, di possibili varianti del modello legale di comunione », tra cui ben potrebbe comprendersi una partecipazione (di carattere meramente obbligatorio) differita agli acquisti, sul modello della Zugewinngemeinschaft o della participation aux acquêts [114]. Regime, quest’ultimo, che sembra ormai costituire il modello cui potrebbe ispirarsi un’ipotetica normativa uniforme europea in tema di rapporti patrimoniali nella famiglia [115], sulla linea, del resto, della convenzione bilaterale franco-tedesca del 2010 sul regime patrimoniale dei coniugi, la quale si muove proprio nella direzione della predisposizione di un regime convenzionale di partecipazione agli acquisti (participation aux acquêts/Wahl-Zugewinngemeinschaft), modellato su quello conosciuto dal Code Civil agli artt. 1569-1581, come regime convenzionale e dal BGB ai §§ 1363-1390 ss. come regime legale [116].

 

INIZIO ARTICOLO

SOMMARIO

HOME PAGE

 



[1] Valga per tutti il richiamo a Schlesinger, Della comunione legale, nel Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 361. Sui rapporti tra sistemi di comunione e sistemi di separazione in generale cfr. Fusaro, Sistemi di comunione dei beni e sistemi a separazione, in Riv. dir. civ., 2001, p. 99 ss.

[2] Cfr. Oberto, Il regime di separazione dei beni tra coniugi. Artt. 215-219, in Il codice civile, Commentario fondato e già diretto da P. Schlesinger, continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2005, p. 7; Id., La comunione legale tra coniugi, nel Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo e L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, I, Milano, 2010, p. 372, 382; II, Milano, 2010, p. 1783.

[3] Di una « fuga verso la separazione » parlano anche Sesta e Valignani, Il regime di separazione dei beni, nel Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, III, Regime patrimoniale della famiglia, Milano, 2002, p. 460. Per analoghe considerazioni v. anche Rimini, La tutela del coniuge più debole fra logiche assistenziali ed esigenze compensative, in Fam. e dir., 2008, p. 414.

[4] Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 558 ss.; per analoghe considerazioni v. anche Sesta, Titolarità e prova della proprietà nel regime di separazione dei beni, in Familia, 2001, p. 871 ss.

[5] Sul tema, che non può certo essere approfondito in questa sede, v. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 483 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 171 ss.; Id., Contratto e famiglia, in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di V. Roppo, VI, Interferenze, a cura di V. Roppo, Milano, 2006, p. 251 ss.; Id., Gli accordi preventivi sulla crisi coniugale, in Familia, 2008, p. 25 ss.; Id., Per un intervento normativo in tema di accordi preventivi sulla crisi della famiglia, in Aa. Vv., Accordi in vista della crisi dei rapporti familiari, a cura di S. Landini e M. Palazzo, Biblioteca della Fondazione Italiana del Notariato, n. 1-2018, Milano, 2018, p. 33 ss.; Balestra, Gli accordi in vista del divorzio: la Cassazione conferma il proprio orientamento, Commento a Cass., 14 giugno 2000, n. 8109 - Cass., 18 febbraio 2000, n. 1810, in Corriere giur., 2000, p. 1023 ss.; Angeloni, La cassazione attenua il proprio orientamento negativo nei confronti degli accordi preventivi di divorzio: distinguishing o perspective overruling?, in Contratto e impresa, 2000, p. 1136 ss.; Bargelli, L’autonomia privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista del divorzio, in Riv. critica dir. priv., 2001, p. 303 ss.; Di Gregorio, Divorzio e accordi patrimoniali tra coniugi, nota a Cass., 14 giugno 2000, n. 8109, in Notariato, 2001, p. 17 ss.; Dellacasa, Accordi in previsione del divorzio, liceità e integrazione, nota a Cass., 14 giugno 2000, n. 8109, in Contr., 2001, p. 46; Ferrando, Crisi coniugale e accordi intesi a definire gli aspetti economici, nota a Cass., 14 giugno 2000, n. 8109, in Familia, 2001, p. 245; Pazzaglia, Riflessioni sugli accordi economici preventivi di divorzio, in Vita notarile, 2001, p. 1017; Busacca, Autonomia privata dei coniugi ed accordi in vista del divorzio, in Diritto & Formazione, 2002, p. 57 ss.; Catanossi, Accordi in vista del divorzio e ‘ottica di genere’. Uno sguardo oltre Cass. n. 8109/2000, in Riv. critica dir. priv., 2002, p. 169 ss.; Fusaro, Assetti patrimoniali in occasione della separazione, in Fam. pers. succ., 2011, p. 23 ss.; Grazzini, Accordi preventivi fra coniugi e assegno divorzile una tantum: spunti di riflessione alla luce delle evoluzioni normative in materia di gestione della crisi familiare, Nota a Cass., 30 gennaio 2017, n. 2224, in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 958 ss.; Scia, Le proposte in tema di accordi prematrimoniali: tra valorizzazione dell’autonomia negoziale dei coniugi e specialità delle regole del diritto di famiglia (in margine alla p.d.l. n. 2669), in Nuove leggi civ. comm., 2017, p. 191 ss.; Aa. Vv., Accordi in vista della crisi dei rapporti familiari, a cura di S. Landini e M. Palazzo, cit., passim.

[6] Sul tema si fa rinvio per tutti a Oberto, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia, 2003, p. 617 ss., 655 ss.

[7] Barbagli, La scelta del regime patrimoniale, in Aa.Vv., Lo stato delle famiglie in Italia, a cura di M. Barbagli e C. Saraceno, Bologna, 1997, p. 105.

[8] Cfr. Cavallaro, Il regime di separazione dei beni fra i coniugi, Milano, 1997, p. 5 ss.

[9] Già a dieci anni di distanza dalla riforma del diritto di famiglia Schlesinger, I regimi patrimoniali della famiglia, in La riforma del diritto di famiglia dieci anni dopo. Bilanci e prospettive, Atti del convegno di Verona 14-15 giugno 1985, Padova, 1986, p. 121 ss. notava che la comunione veniva rifiutata dal corpo sociale, almeno nelle famiglie che avevano una certa consistenza economica e la cui attività era di carattere imprenditoriale. Nello stesso senso cfr. E. Russo, L’oggetto della comunione legale e i beni personali. Artt. 177-179, in Il codice civile, Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1999, p. 6. Come esattamente rilevato in dottrina, con riguardo a queste ultime famiglie, il regime di separazione consente un’articolazione più flessibile dei rapporti patrimoniali (particolare, questo, evidenziato da G. Gabrielli, I rapporti patrimoniali e successori nell’ambito della famiglia, in Aa.Vv., Famiglia e diritto a vent’anni dalla riforma, a cura di A. Belvedere e C. Granelli, Padova, 1996, p. 48 ss.; nello stesso senso Cavallaro, Il regime di separazione dei beni fra i coniugi, cit., p. 5), anche al fine di evitare – mediante l’esclusione del regime di comunione – la somma dei benefici che derivano al coniuge superstite dall’applicazione del regime legale e dalla normativa sulle successioni; e ciò soprattutto in considerazione del fatto che, nelle ipotesi di mancanza di figli (statisticamente, tra l’altro, sempre più ricorrenti in Italia), il concorso delle due discipline determina, in ragione della semplice premorienza, uno spostamento di ricchezza da un gruppo familiare all’altro che non trova nel costume sufficiente « giustificazione » o consenso sociale (in tal senso cfr. G. Gabrielli, La successione per causa di morte nella riforma del diritto di famiglia, in Aa.Vv., La riforma del diritto di famiglia dieci anni dopo, Padova, 1986, p. 180 ss.). Non va, inoltre, neppure trascurato che proprio l’esigenza di sottrarre determinati cespiti al regime legale ha favorito il ricorso nella pratica a taluni atti negoziali – estromissione di un bene dalla comunione o rifiuto di coacquisto – che, pur non presentando gli estremi della convenzione matrimoniale, restringono comunque l’oggetto della comunione e ampliano la sfera di applicazione delle norme dettate per la separazione dei beni (cfr. G. Gabrielli, I rapporti patrimoniali e successori nell’ambito della famiglia, cit., p. 49 ss.; Oppo, Autonomia negoziale e regolamento tipico nei rapporti patrimoniali fra coniugi, in Riv. dir. civ., 1997, I, p. 19; Cavallaro, Il regime di separazione dei beni fra i coniugi, cit., p. 6). Sui temi specifici dell’estromissione di beni dalla comunione e del rifiuto preventivo del coacquisto v. i cenni ed i rinvii di cui infra, § 9.

[10] Per analoghe considerazioni v. anche E. Russo, Le convenzioni matrimoniali. Artt. 159-166 bis, in Il codice civile, Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 2004, p. 504 ss., che parla al riguardo di « fuga » dal regime di comunione legale. Per i richiami giurisprudenziali sulla questione di cui al testo si rinvia a Oberto, Le convenzioni matrimoniali: lineamenti della parte generale, in Fam. e dir., 1995, p. 610 ss.

[11] Barbagli, op. cit., p. 106.

[12] Barbagli, op. loc. ultt. citt.

[13] Cfr. Istat, Matrimoni, separazioni e divorzi 2003, Roma, 2006, p. 9, 50, 86 (tavole 1.1, 2.10, 2.11, 2.20), in www.istat.it.

[14] Cfr. i dati di cui al rapporto Istat, in http://www.demo.istat.it. Da tali risultati emerge che su 250.360 matrimoni celebrati in quell’anno 153.563 sono stati caratterizzati dalla scelta per il regime di separazione, laddove solo 96.797 dalla comunione. Interessanti poi i dati che incrociano il regime patrimoniale prescelto dai novelli sposi con riguardo al titolo di studio di questi ultimi (cfr. Istat, op. cit., p. 50, tavola 2.11. V. inoltre, per il 2007, www.demo.istat.it). Da tali dati emergeva che, a livello nazionale, il regime di separazione veniva già (maggioritariamente) prescelto dai laureati con percentuali assai più elevate rispetto alla media generale e con un rapporto nella media dai titolari di diploma di scuola media superiore, mentre i possessori di licenza di scuola media inferiore o di scuola elementare sceglievano (rectius, più probabilmente: non sceglievano) ancora maggioritariamente il regime di comunione.

[15] Per i dati relativi al 2007 cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 377 s.

[16] Più esattamente, in tale anno hanno deciso di non scegliere il regime di separazione dei beni solo il 27% delle nuove coppie, con un minimo regionale del 19,7% in Calabria ed un massimo pari al 34,6% in Trentino-Alto Adige (cfr. http://demo.istat.it/altridati/matrimoni/2016/tav1_1.pdf).

[17] « Il secondo fattore è l’aumento del numero delle separazioni legali e dei divorzi, che ha fatto nascere, in un numero crescente di coppie, il timore che anche il loro matrimonio possa finire nell’aula di un tribunale. Così, è la paura di dover cedere metà del patrimonio familiare ad un coniuge con cui ci si è accorti in ritardo di non riuscire a vivere che spinge molti sposi a preferire il regime della separazione dei beni e molti dei loro genitori a consigliarli in questo senso (...). È significativo, da questo punto di vista, che gli strati della popolazione che sono alla testa del mutamento del regime patrimoniale sono anche quelli che corrono più rischi di rompere il matrimonio con un divorzio: i più secolarizzati, i più ricchi e i più istruiti delle regioni settentrionali » (cfr. Barbagli, op. cit., p. 105 ss.).

[18] Cfr. Lamboley e Laurens-Lamboley, Droit des régimes matrimoniaux, Paris, 1998, p. 88 ss.: « Au sein des régimes conventionnels, la séparation de biens occupe la première place, au regard des données statistiques établies par le Conseil supérieur du notariat à la suite d’une enquête menée en 1973 auprès des notaires de France, représentant à elle seule plus de 53% des contrats de mariage; la seconde place est occupé e par la communauté réduite aux acquêts qui, bien qu’elle soit devenue communauté légale le 1er février 1966, représente encore 29,38% des contrats de mariage; la troisième place est occupé e par la communauté des meubles et acquêts qui continue de subsister, puisque près de 10% des couples qui se marient avec contrat l’adopte encore; la quatrième place est occupé e par la communauté universelle avec un pourcentage de 5,78%. La participation aux acquêts ne recueille, quant à elle, que 0,18% ». Interessante poi è il raffronto con la situazione della stessa Francia a cavallo tra Ottocento e Novecento. Come attestato dalla dottrina dell’epoca (cfr. Colin e Capitant, Cours élémentaire de droit civil français, III, Paris, 1929, p. 247), la separazione non era a quel tempo adottata che « par des époux déjà âgés, possédant chacun une fortune personnelle, et n’espérant pas avoir d’enfants de leur union, ou par des époux qui ont des enfants d’un premier lit. La statistique de l’année 1898 nous révèle que sur les 82.346 contrats de mariage rédigés au cours de cette année, 2.128 seulement ont adopté la séparation de biens ». Gli Autori testé citati concludevano quindi rilevando che « Dans notre pays, accoutumé par une longue tradition à la communauté, la séparation de biens nous parait peu conforme à l’union que le mariage crée entre les époux ».

[19] Cfr. Brambring, Ehevertrag und Vermögenszuordnung unter Ehegatten, München, 1997, p. 45.

[20] Cfr. Von nch, Ehe-und Familienrecht, München, 1996, p. 151.

[21] Sul tema v. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 529 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, cit., p. 189 ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., p. 251 ss.

[22] Per approfondimenti v. i rinvii in Oberto, La comunione coniugale nei suoi profili di diritto comparato, internazionale ed europeo, in Dir. fam. pers., 2008, p. 367 ss.; Id., La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 377 ss.

[23] Cfr. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 23 ss.

[24] Cfr. la sentenza del 20 giugno 1612 riportata in Giurba, Decisionum novissimarum Consistorii Sacrae Regiae Conscientiae Regni Siciliae volumen primum, Panormi, 1621, p. 398 ss.

[25] Cfr. Malaurie e Aynès, Les régimes matrimoniaux, Paris, 2007, p. 89, p. 325 s.: « les époux peuvent adopter un régime alternatif, c’est-à-dire différent suivant la cause de dissolution : décès ou divorce. C’est l’objet de la clause de reprise dans une communauté universelle, dite souvent ‘clause alsacienne’, prévoyant qu’en cas de divorce, les époux pourront reprendre leurs apports. Techniquement, cette clause est un avantage matrimonial, une clause de partage ; si bien qu’elle ne modifie pas le régime de communauté universelle. En pratique, il s’agit bien d’en revenir à la communauté d’acquêts, si le mariage est un échec ».

[26] Come rileva la dottrina transalpina, « en période de divortialité galopante, on peut comprendre la préoccupation des époux de faire en sorte que le bénéfice susceptible d’être tiré du régime matrimonial soit minimal en cas de divorce et maximal en cas de décès. La clause de liquidation alternative répond à cette attente (également dénommée clause alsacienne en raison de son développement par les praticiens alsaciens en réponse à la fréquence de la communauté universelle dans cette région, pour des raisons historiques). Elle consiste, dans le cas d’une communauté universelle, à liquider celle-ci différemment selon la cause de dissolution. En cas de dissolution par décès, les règles de la communauté universelle s’appliquent. Au contraire, en cas de dissolution par divorce, la liquidation est réalisée comme s’il s’agissait d’une communauté réduite aux acquêts, par la possibilité offerte à chacun des époux de reprendre ses “apports”, c’est-à dire les biens qui auraient été propres en régime légal ou les biens non constitutifs d’acquêts »: così Brun-Wauthier, Régimes matrimoniaux et régimes patrimoniaux des couples non mariés, Orléans, 2009, p. 267. Sulla clause alsacienne v. i riferimenti in Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 386, nota 171; II, cit., p. 1671, nota 198.

[27] Nel senso che « Ne porte pas atteinte au principe de l’immutabilité des conventions matrimoniales la clause par laquelle, dans le cadre d’un régime de communauté universelle, chaque époux reprendrait, en cas de dissolution de la communauté par divorce, les biens tombés dans la communauté de son chef » v. App. Colmar, 16 maggio 1990, in Rép. Defrénois, 1990, p. 1361, con nota di Champenois; in JCP, 1991, éd. N., II, p. 17, con nota di Simler. Ancora vent’anni dopo la validità della clausola è stata ribadita da Cass.1ère civ., 17 novembre 2010, n° 09-68292, la quale ha affermato che la stessa « ne confère aucun avantage matrimonial », confermando l’avviso della dottrina, secondo cui « loin de conférer un avantage, son effet est de faire obstacle à ce qu’un avantage matrimonial se réalise » (Simler, La validité de la clause de liquidation alternative de la communauté universelle menacée par le nouvel article 265 du Code civil, in JCP, N 2005, 1265). Anche per Cass. 1ère civ., 17 janvier 2006, la clausola è valida, costituendo « un aménagement des règles du partage (le bien repris est commun), qui ne porte pas atteinte à l’immutabilité ou à l’unicité du régime matrimonial ».

[28] La disposizione testé citata apre il varco a nuove audacie applicative, sempre nel segno di un’ampliata libertà negoziale: « Dans l’hypothèse dans laquelle les époux auraient prévu une communauté universelle avec attribution intégrale au survivant, ils pourraient prévoir une double clause : une clause de reprise des apports en cas de divorce et une clause d’exclusion de reprise des apports en cas de décès. On pourrait, également, songer à la clause qui exclurait, dans le contrat de mariage portant adoption du régime de participation aux acquêts, le calcul de la créance de participation en cas de dissolution du mariage par divorce. Les époux préféreront organiser par anticipation une telle modulation, plutôt que d’opérer un changement de régime, plus onéreux, durant leur mariage » (Brun-Wauthier, op. loc. ultt. citt).

[29] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, in Blasi, Campione, Figone, Mecenate e Oberto, La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze – Legge 20 maggio 2016, n. 76, Torino, 2016, p. 30 ss.

[30] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 39 ss.

[31] Cfr. Oberto, «Divorzio breve», separazione legale e comunione legale tra coniugi, in Fam. e dir., 2015, p. 615 ss.

[32] In senso favorevole cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 55 s.; in senso analogo v. anche M. Finocchiaro, Su richiesta le parti possono sottoscrivere un «contratto», in Guida al dir., n. 25, 11 giugno 2016, p. 55; contra De Filippis, Unioni civili e contratti di convivenza, Padova, 2016, p. 228, per il quale « la separazione non è prevista per i componenti delle unioni civili »; di identico avviso Casaburi, Le unioni civili tra persone dello stesso sesso nella l. 20 maggio 2016 n. 76, Nota a Trib. Roma, 3 maggio 2016, in Foro it., 2016, I, c. 2256, ad avviso del quale la soluzione negativa si fonderebbe sulla « soppressione di ogni riferimento al regime della separazione legale (consensuale o legale che sia) », laddove tale ultimo assunto appare clamorosamente smentito dai rinvii alla separazione contenuti nelle numerosissime norme richiamate dai c. 19 e 25 della novella qui in commento (cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 55 s.).

[33] O, in alternativa, una delle altre fattispecie consensuali analiticamente descritte in Oberto, «Divorzio breve», separazione legale e comunione legale tra coniugi, cit., p. 624 ss., con particolare riferimento alla negoziazione assistita.

[34] Così Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 57 s.

[35] Per una loro descrizione cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 56 s.

[36] In proposito si dovrà considerare che il comma 24 della l. n. 76/2016 citata concede alle parti dell’unione civile di proporre domanda di scioglimento dopo tre mesi dalla manifestazione di volontà di scioglimento da effettuarsi (congiuntamente o disgiuntamente) dinanzi all’ufficiale dello stato civile. Poiché, però, il successivo comma 25 richiama le norme sulla negoziazione assistita, è da ritenere che la domanda di scioglimento vada proposta congiuntamente allo stesso ufficiale dello stato civile, nel caso di procedura ai sensi dell’art. 12, d.l. 12 settembre 2014, n. 132, conv. con modificazioni in l. 10 novembre 2014, n. 162, ma che non sia esclusa la possibilità di seguire la via della negoziazione assistita da avvocati, ai sensi dell’art. 6, d.l. cit., o, addirittura, anche la procedura camerale descritta dal (pure richiamato) art. 4, comma 16, l. div.

[37] Così Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 56 ss.; sull’applicabilità della procedura ex art. 12 cit. cfr. anche M. Finocchiaro, Su richiesta le parti possono sottoscrivere un «contratto», cit., p. 56; sulle modalità del divorzio tra partners dell’unione civile v. inoltre De Filippis, Unioni civili e contratti di convivenza, cit., p. 228 ss.

[38] Cfr. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1767 ss., 1783 ss.; Id., «Divorzio breve», separazione legale e comunione legale tra coniugi, cit., p. 615 ss.

[39] Cfr. per i richiami storici Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 79, 299 ss. Da segnalare in particolare i riferimenti al pensiero di Lopez de Palacios Rubios (1450-1524), uno degli autori delle Leyes de Toro, che, nella sua opera dedicata alle donazioni tra coniugi, diede amplissimo spazio alla materia della communio o communicatio dei bona acquisita constante matrimonio, riferendo di una ricchissima serie di questioni, talune delle quali anche di sbalorditiva modernità, come, per l’appunto, l’applicazione dell’istituto ai concubinarii.

[40] Cfr. per tutti Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 92 ss.

[41] Da risolvere senz’altro in senso favorevole: cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 101 ss.

[42] Sul tema cfr. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1381 ss.

[43] Oberto, La comunione legale di fonte negoziale: riflessioni circa i rapporti tra legge e contratto nel momento genetico del regime patrimoniale tra coniugi, in Dir. fam. pers., 2011, p. 835 ss.

[44] Cfr. Oberto, I contratti di convivenza, Commento all’art. 1, commi 50-63, Legge 20 maggio 2016, n. 76, in Aa. Vv., Codice dell’unione civile e delle convivenze, a cura di M. Sesta, Milano, 2017, 1389 ss., 1398 ss.

[45] Sulla circolare 1° giugno 2016, n. 7/2016 del Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli affari interni e territoriali – Direzione Centrale per i Servizi Demografici, cfr. Oberto, I contratti di convivenza, cit., p. 1398 ss.

[46] Oberto, I contratti di convivenza, cit., p. 1398 ss.

[47] Cfr. ad es. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 2169 ss.

[48] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 95.

[49] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 90 ss.

[50] Non senza problemi: cfr. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1681 ss.

[51] Vale la pena di riportare per esteso il contenuto di siffatte disposizioni:

« 59. Il contratto di convivenza si risolve per: a) accordo delle parti; b) recesso unilaterale; c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona; d) morte di uno dei contraenti.

60. La risoluzione per accordo delle parti o per recesso unilaterale deve essere redatta nelle forme di cui al comma 51. Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53, lettera c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza.

61. Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza il professionista che riceve o che autentica l’atto è tenuto, oltre che agli adempimenti di cui al comma 52, a notificarne copia all’altro contraente all’indirizzo risultante dal contratto. Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione ».

[52] Per questi temi v., in relazione alla situazione anteriore alla novella di cui alla l. 6 maggio 2015, n. 55, Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1818 ss.; e, per la situazione successiva, Id., «Divorzio breve», separazione legale e comunione legale tra coniugi, cit., p. 615 ss.

[53] « 62. Nel caso di cui alla lettera c) del comma 59, il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all’altro contraente, nonché al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l’estratto di matrimonio o di unione civile.

63. Nel caso di cui alla lettera d) del comma 59, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l’estratto dell’atto di morte 11 affinché provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l’avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all’anagrafe del comune di residenza ».

[54] Cfr. sul tema Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1709 ss., 1718 ss., 1745 ss., 1777 ss., 1868 ss.

[55] Cfr. ad es. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Collana «Biblioteca del Diritto di Famiglia», Milano, 2000, p. 259 ss.

[56] Sul punto v. da ultimo, ad es., Cass., Sez. Un., 1° febbraio 2016, n. 2951, secondo cui « Il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta al titolare del diritto di proprietà al momento dell’evento dannoso, quale risulta anche da scrittura privata, salva cessione del credito ».

[57] Cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991, p. 260 ss.

[58] Con l’ovvia precisazione che « riproduzione » non significa meccanica trasposizione degli istituti del diritto matrimoniale, bensì creazione, per mezzo di un contratto e per quanto possibile, di effetti analoghi. In quest’ottica v. già Funaioli, Sui rapporti patrimoniali della convivenza «more uxorio», in Riv. dir. comm., 1941, II, p. 213 s.; contra Tedeschi, Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1963, p. 442, secondo cui le particolarità proprie dei regimi matrimoniali non potrebbero essere in alcun modo riprodotte nell’ambito di una convivenza more uxorio.

[59] Su cui v. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 2169 ss.; v. anche F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu e F. Messineo e continuato da L. Mengoni, I, Milano, 1979, p. 72.

[60] Quanto sopra era già stato chiaramente espresso, in termini identici, dall’autore di questo studio diversi anni or sono (Cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 262 ss., 268 ss.): sbalorditive appaiono dunque le asserzioni di chi, probabilmente senza aver letto il contributo citato, vorrebbe (impropriamente) imputare allo scrivente l’intento di… perseguire la « possibilità di fruire degli effetti cc.dd. esterni della comunione legale, quale l’automatica opponibilità del coacquisto, anche se trascritto in favore di un solo coniuge » (Cfr. de Scrilli, I patti di convivenza. Considerazioni generali, in Aa. Vv., Convivenza e situazioni di fatto, in Aa. Vv., Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, I, Famiglia e matrimonio, 1, Milano, 2002, p. 863.).

[61] Le gravi incertezze interpretative cui ha dato luogo la norma citata circa l’individuazione dell’oggetto della comunione legale sconsigliano in ogni caso il riferimento ad un concetto generico come quello di « acquisto ». Sarà invece opportuno indicare quali siano i diritti destinati a cadere in comunione, specificandone la natura (se cioè reale o obbligatoria) e distinguendo a seconda del modo d’acquisto (se cioè a titolo originario, derivativo, mortis causa, ecc.). È comunque consigliabile elencare con esattezza anche quelle categorie di rapporti che, in considerazione della loro natura personale, è opportuno restino esclusi dalla comunione.

[62] « Meccanismo analogo a quello di cui all’art. 1706 c.c. » (cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 265 ss.) non significa, ovviamente, che il negozio di cui si discute abbia natura di mandato senza rappresentanza, secondo l’equivoco su cui si basano i rilievi di del Prato, Patti di convivenza, in Familia, 2002, p. 985, ad avviso del quale lo schema di riferimento sarebbe quello del contratto preliminare. Sul punto sarà appena il caso di rilevare come un contratto preliminare, per effetto della disposizione di cui all’art. 1351 c.c., non possa concepirsi se non in relazione ad un definitivo che sia predeterminato per ciò che attiene non solo ai soggetti, ma anche all’oggetto; si tratta, dunque, di una situazione non riscontrabile nel caso di specie.

[63] Elaborata, come noto, dalla giurisprudenza di legittimità in tema di fideiussione omnibus (su cui v. ex multis Cass., 20 luglio 1989, n. 3386, in Foro it., 1989, I, c. 3100).

[64] Cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 260 ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., p. 377 ss. Aderiscono a siffatta impostazione Franzoni, I contratti tra conviventi «more uxorio», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, p. 755; Sesta, Diritto di famiglia, Padova, 2005, p. 415; Falletti, La famiglia di fatto: la disciplina dei rapporti patrimoniali tra i conviventi, in Aa. Vv., Gli aspetti patrimoniali della famiglia. I rapporti patrimoniali tra coniugi e conviventi nella fase fisiologica ed in quella patologica, a cura di G. Oberto, Padova, 2011, p. 81 s.; Riccio, La famiglia di fatto, Padova, 2007, p. 459; Arcani, I negozi patrimoniali nella convivenza, in Aa. Vv., Il regime patrimoniale della famiglia, a cura di Arceri e Bernardini, Santarcangelo di Romagna, 2009, p. 912 s.; Gremigni Francini, Autonomia privata e famiglia di fatto, in Aa. Vv., La famiglia e il diritto fra diversità nazionali ed iniziative dell’Unione Europea, a cura di D. Amram e A. D’Angelo, Padova, 2011, p. 348 s.

[65] Monteverde, La convivenza more uxorio, in Aa. Vv., Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, I, Famiglia e matrimonio, 2, Torino, 2007, p. 952.

[66] Cfr. sempre Monteverde, op. cit., p. 952.

[67] Sul punto v. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 386 ss., 397 ss., 859 ss., II, cit., p. 2010 ss.

[68] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 2105 ss.

[69] Cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, Comunione legale, contratto di convivenza e circolazione dei beni dopo la legge Cirinnà, Studio Civilistico n. 196-2017/C, Approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 24 gennaio 2018, in http://www.upel.va.it/wp-content/uploads/2018_StudioCNN196_Conv.pdf.

[70] Per non dire poi del fatto che, in assenza della specificazione dei beni oggetto dei negozi da trascrivere, non sarebbe neppure indivi­duabile la conservatoria (ora ufficio del territorio) territorialmente competente.

[71] Su questi temi v. già Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 268 s.

[72] Sul problema dell’alienabilità della quota di pertinenza di ciascun coniuge in regime di comunione legale v. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 315 ss.; cfr. inoltre Busnelli, La «comunione legale» nel diritto di famiglia riformato, in Riv. notar., 1976, I, p. 42; Schlesinger, Della comunione legale, cit., p. 365 s.

[73] Alla trascrivibilità del patto previsto dall’art. 1379 c.c. si oppongono non soltanto il carattere speciale di questa disposizione, ma anche la tassatività delle ipotesi in cui la pubblicità ex artt. 2643 ss. c.c. è consentita (su quest’ultimo argomento cfr. Cass., 18 febbraio 1963, n. 392, in Giust. civ., 1963, I, p. 249 e in Riv. notar., 1963, II, p. 340, nonché Cass., 13 maggio 1982, n. 3001, in Giust. civ., 1982, I, p. 2697 e in Giur. it., 1982, I, 1, c. 1132, sulla non trascrivibilità del patto di prelazione).

[74] Per alcuni esempi v. la formula della Direction de la recherche et de linformation de la Chambre des notaires du Québec (in Aa. Vv., Couple et modernité, 84ème congrès des notaires de France, La Baule, 29 mai - 1er juin 1988, Malesherbes, 1988, p. 516 ss.); cfr. inoltre Weitzman, Legal Regulation of Marriage: Tradition and Change, in California Law Review, 62, 1974, p. 1251.

[75] Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 270 s.

[76] Cfr. la formula della Direction de la recherche et de linformation de la Chambre des notaires du Québec (in Aa. Vv., Couple et modernité, 84ème congrès des notaires de France, cit., p. 514), nonché il cosiddetto « modello di Leida », redatto, negli anni Ottanta dello scorso secolo, sotto la direzione del prof. Van Mourik da un gruppo di studenti dell’Università di quella città (ivi, p. 524).

[77] Per la negativa v. Cass., 18 gennaio 1968, n. 128, in Rep. Foro it., 1968, voce « Servitù », n. 64; Cass., 31 marzo 1971, n. 936, in Giust. civ. 1971, I, p. 1063; Cass., 6 aprile 1971, n. 1017, in Giur. it., 1972, I, 1, c. 381. Per la dottrina cfr. Scognamiglio, Riconoscimento di proprietà contenuto in un testamento, in Giur. compl. Cass. civ., 1951, p. 31 ss.

[78] Secondo quanto suggerito dalla formula della Direction de la recherche et de linformation de la Chambre des notaires du Québec (in Aa. Vv., Couple et modernité, 84ème congrès des notaires de France, cit., p. 519) e dal « modello di Leida » (cfr. art. 6, primo comma, ivi, p. 523).

[79] Cfr. Coirard, La famille dans le code civil (1804-1904), Paris, 1907, p. 143.

[80] Come poteva ancora risultare nel 1995, secondo quanto suggerito da Bocchini, La comunione legale: un istituto da incentivare, in Fam. e dir., 1995, p. 500 ss.

[81] Così E. Russo, L’oggetto della comunione legale e i beni personali, cit., p. 6.

[82] Così Brun-Wauthier, Régimes matrimoniaux et régimes patrimoniaux des couples non mariés, cit., p. 242.

[83] Così sempre Brun-Wauthier, Régimes matrimoniaux et régimes patrimoniaux des couples non mariés, loc. ult. cit.

[84] Cfr. Drucksache 635/08 – Entwurf eines Gesetzes zur Änderung des Zugewinnausgleichs- und Vormundschaftsrechts – Begründung, p. 15 ss. (testo disponibile alla pagina web seguente: http://www.bmj.bund.de/files/-/3239/RegE_Gueterrecht.pdf): « Aus der gleichberechtigten Lebens- und Wirtschaftsgemeinschaft der Ehegatten leitet sich der Gedanke ab, dass beide Ehegatten während der Ehe ihre Fähigkeiten und Möglichkeiten gemeinsam einsetzen und damit das während der Ehe erwirtschaftete Vermögen grundsätzlich gemeinsam erarbeiten. Dieser Ansatz ist auch knapp 50 Jahre nach dem Inkrafttreten des geltenden Güterrechts am 1. Juli 1958 unverändert tragfähig. Er orientiert sich an der Ehe mit unterschiedlicher Aufgabenverteilung, in der der Ehegatte, der selbst nicht oder in eingeschränktem Maße beruflich tätig war, dem anderen jedoch die volle Teilhabe am Berufsleben ermöglichte, an dem Gewinn des anderen beteiligt wird ». Sulla riforma tedesca di cui al testo v. anche Cubeddu, Modelli uniformi di regime patrimoniale convenzionale, in S. Patti e M.G. Cubeddu, Introduzione al diritto della famiglia in Europa, Milano, 2008, p. 262 ss.

[85] Cfr. la modifica dell’art. 191 c.c. operata dalla l. 6 maggio 2015, n. 55, su cui si fa rinvio per tutti a Oberto, «Divorzio breve», separazione legale e comunione legale tra coniugi, cit., p. 615 ss.; v. anche Valongo, Lo scioglimento della comunione legale nelle recenti leggi in materia di diritto di famiglia, in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 1190 ss., 1192 ss.

[86] Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 903 ss.

[87] Al momento dell’entrata in vigore della riforma del 1975, rimarcava Scognamiglio, Il principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, in Aa. Vv., Eguaglianza morale e giuridica dei coniugi: atti di un convegno di studi, Napoli, 1975, p. 186 ss., che « Il sistema che ne risulta, oltre a creare impacci e difficoltà alla libera circolazione dei beni, potrebbe apparire in certa misura contraddittorio con la concezione della famiglia nucleare ed affettiva, che non vuole o non può accumulare un patrimonio ed appare piuttosto impegnata a realizzare un adeguato tenore di vita per i suoi membri, spendendo giorno per giorno i frutti del lavoro del marito o dei coniugi o addirittura anticipando le spese sugli introiti, con il ricorso sempre più diffuso agli acquisti rateizzati ». Secondo tale Autore il sistema oggi in vigore potrebbe inoltre « costituire un’ulteriore spinta a consumo da parte del coniuge che guadagna. E questo senza dire della pratica difficoltà di controllo e di contestazione sull’attività e sui guadagni del coniuge privilegiato ». Anche Riva, La comunione legale, Padova, 2007, p. 56, lamenta la mancata previsione di cautele contro l’eventuale attività dispositiva del coniuge sui propri redditi. Il tema è stato sviluppato in Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 903 ss., nonché (anche per l’indicazione di possibili rimedi in fase cautelare) p. 2284 ss.

[88] Definisce il tema della determinazione dell’oggetto della comunione legale « una delle grandi questioni aperte o irrisolte del nuovo diritto di famiglia » E. Russo, L’oggetto della comunione legale e i beni personali, cit., p. 5.

[89] Sulle critiche dottrinali alla formula in oggetto, con riferimento al progetto approvato dalla Camera il 1° dicembre 1971, cfr. Nicolò, Osservazioni generali, in Aa. Vv., La riforma del diritto di famiglia. Atti del 2. Convegno di Venezia svolto presso la Fondazione Giorgio Cini nei giorni 11-12 marzo 1972, Padova, 1972, p. 163. Dopo l’entrata in vigore della riforma cfr. Schlesinger, Della comunione legale, cit., p. 364 ss.; Pavone La Rosa, Comunione coniugale e partecipazioni sociali, in Riv. soc., 1979, p. 1; Nuzzo, L’oggetto della comunione legale tra coniugi, Milano, 1984, p. 18.

[90] Per l’indicazione dei principali, estremamente complessi, nodi ermeneutici che andrebbero legislativamente sciolti si fa rinvio a Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 2329 ss.

[91] Secondo quanto suggerito in Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1381 ss., 1423 ss.

[92] V. in dettaglio Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1423 ss.

[93] Il tema è stato affrontato in Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 2169 ss.

[94] Uno dei principali incentivi all’effettuazione di una siffatta previsione potrebbe essere costituito dall’imputazione per quote paritarie dei redditi da lavoro, con conseguente fruizione dell’aliquota più bassa, nell’ipotesi di famiglia monoreddito o comunque in cui il divario tra i redditi da lavoro dei coniugi sia consistente. Attualmente una siffatta conclusione cozza con il dato normativo. L’art. 4, l. 13 aprile 1977, n. 114 (che ha riformulato l’art. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973; la disposizione è stata quindi ripresa dall’art. 4 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, Testo Unico delle Imposte sui Redditi, in vigore dal 1° gennaio 1988) stabilisce infatti che i redditi dei beni che formano oggetto della comunione legale di cui agli artt. 177 s. c.c. sono imputati per metà del loro ammontare netto a ciascuno dei coniugi: la norma, pertanto, non solo non fa menzione della comunione convenzionale (ostacolo che potrebbe essere aggirato – come in effetti lo è stato da una parte della giurisprudenza tributaria – aderendo alla tesi per cui la comunione convenzionale altro non è se non una « variazione sul tema » della comunione legale), ma menziona espressamente i soli redditi dei beni, tacendo su quelli da lavoro. Per questo, nonostante le perplessità della giurisprudenza tributaria (nel senso dell’imputazione del reddito da lavoro pro quota, v. Comm. trib., I grado di Prato, 16 giugno 1985, in Vita notar., 1985, p. 771; Comm. trib., II grado di Avellino, 4 aprile 1986, in Vita notar., 1986, p. 1328; Comm. trib., I grado Salerno, 7 maggio 1988, in C.E.D. – Corte di Cassazione, Arch. Merito, pd. 890622; contra Comm. trib., II grado Firenze, 29 ottobre 1986, in Dir. e prat. trib., 1987, p. 611; Comm. trib., II grado Firenze, 6 novembre 1986, in Vita notar., 1986, p. 1328; cfr. inoltre Comm. trib., I grado di Avellino, 6 maggio 1985, in Vita notar., 1985, p. 771, secondo cui la convenzione matrimoniale con la quale si estende la comunione legale ai proventi dell’attività separata di ciascun coniuge non è opponibile, ai fini fiscali, all’Amministrazione Finanziaria e pertanto l’indennità di fine rapporto di lavoro deve imputarsi per intero al coniuge percettore) e della relativa dottrina (su cui v. per tutti Fantozzi, Regime tributario, in Aa. Vv., La comunione legale, a cura di C.M. Bianca, II, Milano, 1989, p. 1116 s.), la soluzione favorevole al contribuente non può trovare accoglimento. A ciò s’aggiunga che (come osservato da Bocchini, La comunione legale: un istituto da incentivare, cit., p. 506 s.), proprio per contrastare la testé evidenziata tendenza di una parte della giurisprudenza in senso favorevole allo splitting dei redditi tra i coniugi in regime di comunione convenzionale, si è poi espressamente previsto che i proventi dell’attività separata di ciascun coniuge vengano imputati, in ogni caso, allo stesso per l’intero ammontare: l’art. 26 del d.l. 2 marzo 1989, n. 69, convertito nella l. 27 aprile 1989, n. 154, stabilisce a chiare lettere che « i proventi dell’attività separata di ciascun coniuge sono a lui imputati in ogni caso per l’intero ammontare »; richiamano l’attenzione su tale disposizione anche Pepe, Convenzioni matrimoniali – Comunione convenzionale – Separazione dei beni, in Nuova giur. civ. comm., 1991, II, p. 252; E. Quadri, Della comunione convenzionale, in Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, III, Padova, 1992, p. 402; Confortini, La comunione convenzionale tra coniugi, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, II, Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1997, p. 308; cfr. inoltre, nella dottrina tributaria, Sanguinetti, L’imputazione “pro quota” ai coniugi dei redditi oggetto di comunione convenzionale ai sensi dell’art. 210 codice civile: lo ‘splitting’ all’italiana, in Dir. pratica trib., 1987, II; Ciampani, Il divieto di splitting e la via alternativa per un’equa tassazione dei redditi familiari, in Fisco, 2004, n. 28; Scalinci, La famiglia «community care» nell’imposizione sul reddito, Nota a Cass., 26 aprile 2004, n. 7951, in Dir. prat. tribut., 2004, p. 861 ss. Anche la Cassazione (Cass., 24 febbraio 2005, n. 3866, in Vita not., 2005, p. 376, in Corr. tribut., 2005, p. 1609, con nota di C. Pino) ha stabilito che « Indubbiamente il percettore di un reddito può disporre della sua destinazione e, pertanto, il soggetto coniugato può, con apposita convenzione matrimoniale ai sensi dell’art. 162 c.c., prevedere che i proventi derivanti dalla attività separata dallo stesso svolta siano immediatamente oggetto di comunione legale tra i coniugi stessi. Lo stesso, peraltro, non può attribuire a tale pattuizione un valore di accertamento costitutivo della imputazione soggettiva della produzione del reddito, trattandosi di un dato oggettivo il cui accertamento è riservato, ai fini della imposizione fiscale, alla amministrazione finanziaria. È evidente, pertanto, che è irrilevante, nei confronti della amministrazione finanziaria (al fine di imputare il reddito stesso ai fini i.r.pe.f. al 50% a ciascun coniuge) la convenzione matrimoniale con la quale i coniugi hanno previsto che il regime di comunione legale si estenda ai redditi derivanti dalle loro attività separate ». E’ da notare, poi, che una questione relativa alla presunta incostituzionalità del sistema attuale di tassazione del reddito familiare, non informata al principio dello splitting, « nella parte in cui non prevede che, ai fini dell’imposizione tributaria, il reddito di uno dei coniugi venga imputato parzialmente all’altro qualora questi sia privo di reddito proprio anziché essere interamente attribuito al solo coniuge produttore del reddito stesso, per contrasto con gli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione » è stata dichiarata inammissibile da Corte cost., 13 luglio 1995, n. 358. Per alcune informazioni sullo splitting tra coniugi in altri Paesi europei, con particolare riguardo alla Germania, v. Unione Italiana del Lavoro, Famiglia e Fisco. Le politiche fiscali per la famiglia in Italia e in Europa, documento disponibile alla pagina web seguente: http://docplayer.it/13300480-Unione-italiana-del-lavoro-servizio-politiche-fiscali-famiglia-e-fisco-le-politiche-fiscali-per-la-famiglia-in-italia-e-in-europa.html.

[95] Su cui v. i richiami in Bocchini, La comunione legale: un istituto da incentivare, cit., p. 507.

[96] Cfr. Corte cost., 15 luglio 1976, n. 179.

[97] Cfr. Bocchini, op. loc. ultt. citt.; Scalinci, op. loc. ultt. citt. Nell’ambito della sterminata mole di studi di tipo economico e tributario sul tema del « quoziente familiare » v. per tutti Rapallini, Il quoziente familiare: valutazione di un’ipotesi di riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, disponibile al seguente indirizzo web: https://www.unite.it/UniTE/Engine/RAServeFile.php/f/File_Prof/PACE_383/Rapallini_Quoziente_familiare.pdf.

[98] Così Bocchini, La comunione legale: un istituto da incentivare, cit., p. 508.

[99] Cfr. Bocchini, op. loc. ultt. citt.

[100] Cfr. Brun-Wauthier, Régimes matrimoniaux et régimes patrimoniaux des couples non mariés, cit., p. 4. Allo « scandalo » mostrato in proposito dalla dottrina transalpina potrebbe però replicarsi che, per una coppia che non avesse proceduto all’acquisto di immobili in costanza di matrimonio, il risultato finale non sarebbe stato poi così difforme da quello determinato dalla presenza di un regime di comunione universale.

[101] Cfr. Brazier, Réforme du divorce : améliorer ou trahir la loi de 1975 ?, in Gaz. Pal., 1999, doctr., 1, p. 710.

[102] Osserva Galgano, La comunione dei beni fra coniugi a trentanni dalla sua introduzione, in Contratto e impresa, 2005, p. 1007, che il « mutamento della giurisprudenza, che esclude l’autonomia contrattuale dei coniugi in comunione dei beni e introduce quegli elementi di “forzosità” della comunione che in precedenza aveva negato, non giova certo alla causa di chi vuole contrastare le unioni libere ». L’illustre Autore paventava, dunque, più ancora che una « fuga dalla comunione », una « fuga dal matrimonio »: e non può certo dirsi che i dati statistici gli abbiano dato torto.

[103] Per un approfondimento del tema delle clausole accessorie al regime di comunione in vista dello scioglimento del matrimonio nel diritto consuetudinario francese (préciput, forfait de communauté, reprise de l’apport de la femme) si fa rinvio a Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 87 ss.; Id., Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, Nota a Cass., 20 marzo 1998, n. 2955, in Foro it., 1999, I, c. 1314 ss. V. inoltre Id., La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 49 ss. Sugli aménagements conventionnels de la gestion des biens in comunione v. per tutti Terré e Simler, Droit civil. Les régimes matrimoniaux, Paris, 1994, p. 402 ss. Da notare che anche il codice civile spagnolo consente ai coniugi un’ampia libertà di conformazione del contenuto del regime legale: per tutti v. l’analisi comparata di Reiners, Die Errungenschaftsgemeinschaft des gemeinspanischen Código Civil und die Zugewinngemeinschaft des BGB – Eine rechtsvergleichende Darstellung, Bonn, 2001, p. 33 ss., 88 ss., 117 ss., con particolare riferimento sia alle possibilità di ampliamento che di restrizione e di esclusione del coacquisto di singoli beni, nonché circa le regole d’amministrazione.

[104] La clausola, impropriamente definita clause commerciale, costituisce eccezione al divieto dei patti successori: cfr. artt. 1390 s. c.c. fr., su cui cfr. Terré e Simler, op. cit., p. 534 ss.; sulla libertà contrattuale dei coniugi nella determinazione di clausole accessorie al regime legale v. anche Terré e Simler, op. cit., p. 190 s.; Malaurie e Aynès, Les régimes matrimoniaux, Paris, 2007, p. 81 ss., 319 ss.

[105] Si tratta della clausola conosciuta in Francia come di prélèvement moyennant indemnité (art. 1497 c.c. fr.), su cui v. Terré e Simler, op. cit., p. 542 ss.

[106] Si tratta della clausola detta di préciput (art. 1497 c.c.: il termine era tradotto come « precapienza » da Finocchiaro-Sartorio, La comunione dei beni tra coniugi nella storia del diritto italiano, Milano-Palermo-Napoli, 1902, p. 238, ma potrebbe oggi essere reso con quello « prelievo »), su cui cfr. Terré e Simler, op. cit., p. 546 ss., i quali osservano che tale intesa « rompt l’égalité dans le partage ». Sul préciput nel Code Napoléon v. per tutti Dalloz, voce Contrat de mariage, in Jurisprudence générale. Répertoire méthodique et alphabétique de législation de doctrine et de jurisprudence, XIII, Paris, 1852, p. 555 ss.

[107] Si tratta della già ricordata « clause alsacienne », su cui v. supra, § 2. Sulla clausola di reprise de l’apport franc et quitte nel Code Napoléon v. per tutti Dalloz, voce Contrat de mariage, cit., p. 547 ss.

[108] Si tratta delle clausole dette di stipulation de parts inégales e di attribution de la totalité de la communauté au survivant (cfr. art. 1497 c.c. fr.), su cui v. Terré e Simler, op. cit., p. 549 ss.; Malaurie e Aynès, Les régimes matrimoniaux, cit., p. 323 s.

[109] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 2018 ss. Per un’analoga proposta cfr. E. Quadri, Regime patrimoniale e autonomia dei coniugi, in Dir. fam. pers., 2006, II, p. 1822. Da notare che l’introduzione di criteri di quantificazione non paritaria delle quote è stata prospettata proprio al fine di equilibrare l’autonomia degli interessati e a salvaguardia delle esigenze perequative: cfr. Oppo, Autonomia negoziale e regolamento tipico nei rapporti patrimoniali tra coniugi, cit., p. 24.

[110] La clausola, detta di forfait de communauté, ammessa espressamente dal Code prima della riforma del 1965 (sulla scorta, come si è detto, della tradizione del droit coutumier), è ritenuta valida ancora oggi: cfr. Terré e Simler, op. cit., p. 541; Cornu, Les régimes matrimoniaux, Paris, 1995, p. 715. Peraltro, rilevano Terré e Simler, op. loc. ultt. citt., « à une époque de plus forte dépréciation monétaire et de moindre stabilité des fortunes, une telle clause, d’ailleurs très rare avant 1965, représenterait un pari insensé ».

[111] Il modello viene suggerito ex multis in Francia da Brun-Wauthier, Régimes matrimoniaux et régimes patrimoniaux des couples non mariés, cit., p. 288 ss., sulla base di una risalente tradizione (da notare che la figura di cui qui si riferisce non va confusa con l’omonimo regime legale del Québec, che prevede una caduta in comunione solo differita al momento dello scioglimento, laddove l’Autrice qui citata ha in mente un’ipotesi di contitolarità immediata, ancorchè limitata a determinate categorie d’acquisti). Si pensi alla clausola con la quale, sotto il regime legale della comunione dei mobili e degli acquisti (e dunque prima della riforma del 1965), i coniugi d’Oltralpe optavano per la (semplice) communauté d’acquêts (o communauté réduite aux acquêts), mercé un contratto nel quale, pur dichiarando di scegliere il regime legale, gli stessi vi eccettuavano tutti i beni mobili presenti, nonché quelli futuri, destinati a pervenire a titolo di successione o donazione (cfr. ad es. Planiol, Traité élémentaire de droit civil, III, Paris, 1924, p. 100 ss.). Sotto il vigore del regime legale attuale (che già esclude i beni mobili di cui i coniugi siano titolari, nonché quelli destinati ad essere acquistati per donazione o successione) una simile intesa potrebbe essere utilizzata per escludere dalla caduta in comunione, ad esempio, tutti i (o determinate categorie di) mobili (o, per converso) gli immobili (o determinate categorie di immobili) acquisendi in constanza d’unione. Siffatto risultato è sicuramente già realizzabile (anche) in Italia (cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1102 ss., 1688 ss., 2246 ss.). Un’esplicita previsione della fattispecie a livello normativo potrebbe peraltro svolgere una funzione « promozionale » di soluzioni diverse da quella puramente e semplicemente separatista.

[112] Cfr. Bocchini, La comunione legale: un istituto da incentivare, cit., p. 503, il quale soggiunge che non « può valere, a contrario, la considerazione che in tal modo si finirebbe col sacrificare il coniuge più debole, esposto ad un progressivo svuotamento (del contenuto) della comunione legale quante volte lo stesso non sia in grado di negare il proprio consenso alla richiesta di riduzione dell’oggetto della comunione legale. Se il coniuge in parola non è in grado di opporsi al tentativo di circoscrivere l’oggetto della comunione legale, evidentemente non ha neppure la forza di opporsi alla stipula di una convenzione di separazione dei beni! La salvaguardia del coniuge più debole, in relazione al momento distributivo della ricchezza, si è in realtà spuntata con l’affidare sostanzialmente alla sola forza del consenso la tutela della sua posizione: mentre è vero che la formazione del consenso – come è ormai esperienza ricevuta – si lega di sovente a motivazioni di carattere socio-economico sulle quali bisogna incidere se si vuole garantirne l’effettiva libertà di svolgimento. Allo stato, il favor della novella del 1975 per la comunione dei beni sollecita una interpretazione che tenda a dilatare e non a restringere le maglie della comunione legale: la possibilità di avvalersi – nei limiti fissati dalla legge – di un regime di comunione funzionale alle esigenze dello specifico nucleo familiare, specialmente in relazione alla determinazione dell’oggetto della comunione, potrà spesso evitare che la coppia (ovvero la forza del consenso... di uno dei coniugi) più facilmente si indirizzi verso la separazione dei beni, secondo uno standard che del resto è in continua ascesa ».

[113] Per la soluzione francese cfr. Terré e Simler, op. cit., p. 402 ss.

[114] In questo senso cfr. E. Quadri, Regime patrimoniale e autonomia dei coniugi, in Dir. fam. pers., 2006, II, p. 1821.

[115] Cfr. Oberto, La comunione coniugale nei suoi profili di diritto comparato, internazionale ed europeo, cit., p. 367 ss.; Id., La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 377 ss.

[116] Per ulteriori informazioni e rinvii al riguardo cfr. Oberto, Breve prontuario per le cause che presentano elementi di estraneità (questioni processuali), disponibile al sito web seguente: http://giacomooberto.com/prontuario.htm#par23d, nonché Stürner, Il regime patrimoniale convenzionale franco-tedesco come modello per l’armonizzazione del diritto europeo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 888 ss.