Sommario: 1. Introduzione. La corrente disaffezione verso il regime legale. – 2. La comunione legale tra passato e presente. Clausola alsaziana (o … messinese) e unione civile. – 3. La comunione legale tra passato e presente. Comunione legale e contratto di convivenza: le perniciose conseguenze d’un trapianto affrettato. – 4. Segue. Dies a quo e dies ad quem di operatività del regime di comunione tra conviventi. – 5. Segue. Sulla possibilità di prevedere in un contratto di convivenza regimi convenzionali di comunione ordinaria. – 6. Segue. Il regime comunitario (ordinario e convenzionale) dei beni dei conviventi di fatto nei rapporti con i terzi. – 7. Come salvare la comunione? Gli interventi sui meccanismi dell’istituto. – 8. Segue. La leva fiscale e il rilievo dell’informazione ai cittadini. – 9. Segue. Comunione legale e libertà negoziale. |
1.
Introduzione. La corrente disaffezione verso il regime legale.
Il titolo del presente studio meriterebbe forse
l’aggiunta di un punto interrogativo. Alla luce dei dati statistici, che
impietosamente testimoniano un clamoroso e forse irreversibile declino del
regime di comunione legale, può legittimamente dubitarsi, infatti, che abbia
ancora un senso chiedersi se l’istituto in oggetto abbia una sua attualità e,
soprattutto, un futuro.
E dire che, al momento del varo della novella del
1975, tutti gli interpreti avevano salutato con favore l’introduzione della
comunione quale regime patrimoniale legale delle famiglie italiane, esattamente
qualificata come « la maggiore novità della riforma, sul piano dei rapporti
patrimoniali » [1].
Peraltro, ad alcuni decenni di distanza, la cattiva
prova di sé che, nei fatti, il regime ex artt.
177 ss. c.c., così come concretamente attuato, aveva cominciato a fornire ha
finito con il risospingere un numero vieppiù crescente di coniugi verso il «
vecchio » sistema di separazione, trasformando la relativa opzione in sede di
celebrazione delle nozze in una vera e propria « clausola di stile ». Il regime
legale, invero, ha ampiamente dimostrato di potersi tramutare, nel momento
cruciale del suo scioglimento (specie se visto nella dinamica della crisi
coniugale), in un groviglio inestricabile di lacci serrati attorno alla libertà
d’azione di coniugi che si vorrebbero ormai reciprocamente svincolati, così
offrendo più di un’occasione all’uno di esercitare verso l’altro pressioni,
talora indebite e tali da allontanare ogni possibile prospettiva di definizione
consensuale del contenzioso coniugale [2]. Di conseguenza, il vertiginoso aumento del numero
delle crisi coniugali cui abbiamo assistito nel corso di questi ultimi anni ha
finito con il favorire il massiccio ricorso, da parte delle nuove coppie, al
regime di separazione dei beni [3].
Il fenomeno – che è stato descritto in altra occasione
come un vero e proprio uso dello strumento della convenzione matrimoniale in contemplation of divorce [4] – appare strettamente legato anche ad alcune pervicaci
rigidità giurisprudenziali (e non solo) sul versante, da un lato, degli accordi
in vista della crisi coniugale [5] e, dall’altro, sul tema della libertà negoziale dei
coniugi in comunione: libertà che taluno vorrebbe ingabbiare in un sistema di
vincoli tanto ingiustificati quanto inspiegabili, quando si sia in presenza del
consenso di entrambi [6], tanto più che da tempo il nostro ordinamento ha
eliminato ogni possibile residuo di quelle antiche forme di incapacità un tempo
gravanti su determinate persone fisiche (nella specie: le donne) per il sol
fatto d’essere coniugate.
Si comprende dunque perché, dopo un iniziale
accoglimento favorevole della comunione legale da parte delle coppie italiane,
che, tanto per fare un esempio, avevano optato nel 1976 per il regime di
separazione in misura inferiore all’1% [7], anno dopo anno, è continuamente aumentata la quota
di coloro che, al momento della celebrazione delle nozze, hanno scelto il
regime separatista. In un primo momento, tale opzione cominciò ad essere effettuata,
principalmente, dalle coppie in cui uno dei coniugi svolgeva attività
imprenditoriale o una professione liberale (specie in considerazione dei rischi
cui l’art. 189 cpv. c.c. espone il patrimonio comune, sia pure pro quota, avuto riguardo alle possibili
azioni esecutive dei creditori personali) [8], nonché dalle famiglie a reddito medio-alto [9].
Ben presto, peraltro, il processo di disaffezione
verso il regime legale è venuto ad interessare tutti gli strati sociali.
Risalgono già ai primi anni di applicazione della
riforma i numerosi abbandoni del regime legale effettuati, per così dire, «in
corso d’opera» dai coniugi che – consapevolmente o meno – avevano scelto la
comunione all’atto della celebrazione delle nozze, o si erano comunque trovati
sottoposti a tale regime per effetto delle disposizioni transitorie. Pur non
esistendo statistiche al riguardo, non potrà non menzionarsi l’impressionante
numero di decisioni relative alla questione della necessità o meno di
autorizzazione giudiziale per siffatto mutamento di regime: problema, questo,
poi risolto – come noto – dalla l. 10 aprile 1981, n. 142 [10].
Ma è sul versante delle nuove coppie che si deve
registrare una vera e propria rivoluzione. Una rivoluzione che ha avuto luogo
in tutto il Paese, sebbene con velocità assai diverse nelle sue parti. Essa è
stata molto più rapida – almeno nei primi tempi – nelle regioni settentrionali
che in quelle meridionali, tanto da suscitare negli esperti di sociologia « un
senso di stupore e di incredulità » [11]. Chi ha studiato la famiglia sa bene che la sua è in
genere una storia di lentissimo svolgimento. Invece qui, dal 1976 al 1991, la
quota degli sposi che scelgono la separazione dei beni è passata dall’1% al 40,
al 50 o addirittura al 69%. Già nel 1995 risultava che nelle regioni
dell’Italia settentrionale, la maggioranza delle nuove coppie preferivano la
separazione dei beni; peraltro, in quelle meridionali gli sposi che si
comportavano in tal modo non raggiungevano il 30% [12], con il risultato che il dato complessivo a livello
nazionale si attestava sul 55% a favore della comunione. Ma la tendenza
negativa per il regime legale non ha fatto che accentuarsi negli anni
successivi.
Ora, già i dati generali Istat relativi ai matrimoni
celebrati in Italia nell’anno 2003([13]) suggellavano il definitivo « sorpasso » del regime di
separazione dei beni rispetto alla comunione a livello di media nazionale
complessiva, che vedeva – con riguardo alle coppie formatesi nell’anno di
riferimento – il regime legale scendere al 44.7%, con punte che andavano da un
minimo del 24,9% della Valle d’Aosta ad un massimo del 58,2% della Sardegna,
rimanendo confermato che la comunione apparivae costituire il regime
maggioritario ormai solo nell’Italia meridionale ed insulare, laddove nel
Nord-Ovest si attestava al 37,6%, nel Nord-Est al 40,6% e nel Centro al 34%. I
dati relativi al 2007 sottolineavano un ulteriore, pesante, calo del regime
legale al 38,66% di tutti i matrimoni celebrati in Italia in quell’anno,
mostrando che la comunione era ormai divenuta – per quel periodo di riferimento
– il regime minoritario in ciascuna delle « macro-regioni » della nostra
Penisola, ivi comprese quelle del Sud e delle Isole [14].
L’evoluzione successiva non ha fatto che confermare
tale trend [15].
Così, i dati ISTAT relativi al 2016 mostrano che in
Italia la scelta delle nuove coppie per il regime di comunione è scesa
abbondantemente al di sotto del terzo [16], in un contesto generale nel quale talune regioni
meridionali sembrano aver « scavalcato » quelle del nord.
A dispetto dell’opzione di politica legislativa
compiuta nel 1975, può ben dirsi che il regime di separazione dei beni sia
ormai divenuto, da tempo, nei fatti, il regime « normale » delle famiglie
italiane, e il fenomeno non può trovare una sua spiegazione se non nella
crescente consapevolezza, da parte di vasti strati della popolazione, del serio
rischio che corre oggi la famiglia italiana di andare incontro (in molti casi
assai presto) ad una crisi, e nel timore di dover venire un giorno a « fare i
conti » con i complessi meccanismi giuridici legati allo scioglimento del
regime legale.
Estremamente significativo al riguardo è il fatto che,
come dimostrato dai citati dati statistici, l’incremento delle opzioni per il
regime di separazione vada di pari passo, per aree geografiche, con quello dei
tassi di « separazionalità » e « divorzialità » del nostro Paese [17] ed è confermato dal raffronto con una realtà come
quella della vicina Francia, dove il fenomeno della crisi coniugale è esploso
ormai diversi decenni fa ed in cui il regime della séparation de biens è (pur in un sistema generale prevalentemente
comunitario), tra i vari regimi convenzionali, maggioritario da almeno
quarant’anni [18].
Anche in Germania si rileva che
il regime convenzionale della Gütertrennung
« den Vorzug der rechtlichen Klarheit und Einfachheit hat », anche perché
essa « vermeidet oft unerfreuliche Auseinandersetzungen beim Scheitern der Ehe
und betont die Eigenverantwortlichkeit des Ehegatten » [19], specie quando « ein
Ehepartner ein großes Vermögen mit in die Ehe bringt », posto che in tal caso «
Der schematisierte erbrechtliche Zugewinnausgleich wäre dann – insbesondere bei
kurzer Ehedauer – zu hoch und die güterrechtliche Ausgleichsforderung könnte
nach längerer Ehedauer manchen Betrieb in den Konkurs führen » [20]. Tutto ciò, si badi, in un sistema che non ha eretto
alcuna forma di contitolarità a regime legale (la Zugewinngemeinschaft, è, come noto, un regime sostanzialmente
separatista, « mitigato » da una compartecipazione – a livello puramente
obbligatorio – de residuo), e che da
tempo ammette la possibilità di predeterminare, sin dal momento della
celebrazione delle nozze, le conseguenze di un eventuale divorzio [21]. Allargando ancora ulteriormente il campo
dell’indagine si può scoprire che la separazione dei beni è ancora il regime
legale in diversi paesi del mondo e d’Europa e segnatamente in molti dei
sistemi di Common Law, nei quali
peraltro gli sbalorditivi (per lo meno ai nostri occhi) poteri concessi
all’autorità giudiziaria in sede di regolamento dei rapporti di dare-avere al
momento della crisi coniugale consentono un notevole assouplissement delle asprezze della regola rigidamente separatista
[22].
2. La
comunione legale tra passato e presente. Clausola alsaziana (o … messinese) e
unione civile.
Una delle ragioni che astrattamente
potrebbero forse spiegare l’insuccesso del regime di comunione legale in Italia
attiene ad un difetto di radicamento dell’istituto nella nostra cultura sociale
e giuridica. Non è questa la sede per ripercorrere i ricchi e complessi
precedenti storici di tale regime [23]. Basterà però ricordare, quanto meno a parziale
smentita dell’idea appena citata, che in alcune zone del nostro Paese (e
particolarmente in Sicilia e in Sardegna) la comunione costituì in effetti il
regime legale per alcuni secoli, prima delle moderne codificazioni. E le
soluzioni concrete adottate dalle prassi applicative delle consuetudini locali
di quei luoghi dimostravano di essere in grado di portare a realizzazione
interessi meritevoli di tutela, in maniera sovente assai più idonea del
generale e « paludato » sistema dotale, rigidamente innestato, come noto, su un
regime caratterizzato dalla più netta separazione dei patrimoni.
A titolo d’esempio, si potrà ancora una
volta evocare la decisione resa nel 1612 dal Concistorium del Regno di Sicilia in applicazione delle
consuetudini di Messina, ove per determinati tipi di matrimonio (detti « alla
latina ») vigeva un regime di comunione universale legale. La sentenza confermò
la validità della clausola del contratto matrimoniale che escludeva la
comunione « casu (quod absit) di separatione di
matrimonio, tanto senza figli come nati figli, & quelli morti in minori
età, vel maiori ab intestato »,
stabilendo altresì che, in tale ultima ipotesi, « detta sposa non possa
disponere, nisi tantum di unzi trenta
» [24].
Qualcosa, tra l’altro, di molto simile a ciò che per
secoli è avvenuto ed ancor oggi avviene Oltralpe con la c.d. « clausola
alsaziana ».
Tramite tale clause
alsacienne, invero, le coppie che optano in Francia per il regime di
comunione universale possono stabilire che, nell’ipotesi di scioglimento per
divorzio, ognuno dei coniugi riprenderà gli apporti alla comunione [25] e il risultato conseguito è sicuramente
commendevole [26]. La clausola, già ritenuta conforme al sistema del Code civil [27], ha ricevuto un ulteriore avallo dalla riforma
francese del 23 giugno 2006 (sulle successioni e liberalità), in vigore dal 1°
gennaio 2007, che ha introdotto un terzo comma all’art. 265 del Code, a
mente del quale « si le contrat de mariage le prévoit, les époux pourront
toujours reprendre les biens qu’ ils auront apportés à la communauté » [28].
Ma l’attualità del regime di comunione legale, a
dispetto del fenomeno sociale di disaffezione cui ho fatto cenno sopra, sembrerebbe
affermata di questi tempi da un paio di novità introdotte nel 2016 dalla
riforma che porta comunemente il nome della senatrice Cirinnà.
La prima è contenuta nel comma tredicesimo dell’unico
articolo di cui si compone la l. 20 maggio 2016, n. 76, che, tra l’altro,
estende pari pari ai soggetti civilmente uniti la disciplina tutta di cui «
alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI del libro primo del
codice civile ». Rientrano, pertanto, in siffatto rinvio, le disposizioni tutte
in tema di comunione legale, ivi comprese quelle che, pur collocate al di fuori
della sezione III, regolano pur sempre quell’istituto: cfr. ad es. l’art. 210,
terzo comma, c.c. Anche le disposizioni pubblicitarie in tema di comunione e
regimi patrimoniali in genere sono applicabili all’unione civile [29]. Il tutto, ovviamente, ferma la premessa generale per
cui il contenuto dell’art. 159 c.c. viene ritrasposto – con gli (in)opportuni [30] adattamenti linguistici – al campo dei rapporti
patrimoniali tra civilmente uniti, ragion per cui anche per costoro la
comunione può dirsi costituire il regime legale.
Una differenza, per la precisione, permane rispetto
alla comunione legale inter coniuges.
Ci si intende qui riferire al profilo della cessazione
del regime in caso di crisi del rapporto. Rinviando a quanto ampiamente
illustrato in altra sede, in merito alla mancata equiparazione alla separazione
del divorzio (nel caso di c.d. « divorzio immediato » o « diretto »), per ciò
che attiene all’anticipazione degli effetti della cessazione del regime, per
via della modifica, operata nel 2015, dell’art. 191 c.c., per effetto della l.
6 maggio 2015, n. 55 [31], dovrà rammentarsi che gli interpreti si sono divisi
sul quesito circa l’applicabilità all’unione civile dell’istituto della
separazione personale [32]. Ora, comunque si intenda risolvere siffatto
interrogativo, è in ogni caso chiaro che la pronunzia di separazione non
costituisce sicuramente antecedente necessario del divorzio per i soggetti qui
presi in considerazione.
Ciò significa che i partners dell’unione civile in crisi potranno « andare »
direttamente al divorzio, ai sensi dei commi 23 ss. dell’art.
Nessun rilievo a tal fine avrà, invece, il semplice
esperimento della procedura di divorzio, nelle varie forme immaginabili [35], neppure in presenza di un’autorizzazione
presidenziale a vivere separati, nell’ambito di una procedura di divorzio
contenzioso [36]. In tale ipotesi la domanda non potrà essere proposta
che al tribunale, visto il generale rinvio all’art.
L’altro riferimento effettuato dalla riforma Cirinnà
alla comunione legale è contenuto nel comma 53, nel quale si stabilisce che «
53 (…) Il contratto può contenere: (…) c) il regime patrimoniale della
comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro
primo del codice civile (…) ».
La questione dell’applicabilità alle coppie conviventi
more uxorio del regime di comunione
legale è antica quanto il regime stesso [39] e un commento approfondito della disposizione appena
citata ci porterebbe lontano dal filo conduttore d’un lavoro precipuamente
incentrato sul tema dell’attualità del regime legale, per cui anche qui non
resterà che fare rinvio alle più opportune sedi [40]. Ciò che si può dire nel presente contesto è che,
oltre a sollevare l’interrogativo [41] circa la possibilità per i conviventi di dar vita a
regimi e comunque ad accordi patrimoniali diversi da quello della comunione di
cui agli artt. 177 ss. c.c., la norma pone svariati dubbi sulla sua concreta
portata ed applicabilità.
Al riguardo è sfuggito al frettoloso riformatore che la
comunione legale tra coniugi (così come ora tra i partners dell’unione civile) è un regime che, inter coniuges, va, come si dice, «per legge» ed opera non solo
quando l’acquirente dichiara di esservi sottoposto, ma anche quando un
qualsiasi acquisto rilevante ex art.
177, lett. a), c.c., sia effettuato, pure « separatamente », da uno dei due
soggetti a tale regime sottoposti.
Inoltre, il regime coniugale legale, richiamato sic et simpliciter dall’articolo appena
citato, si colloca, come noto, all’interno di un (peraltro bislacco e
criticatissimo) sistema di pubblicità « in negativo », risultante dal raffronto
tra i registri di stato civile (non quelli anagrafici!) e i pubblici registri
immobiliari, per cui, allorquando un qualsiasi soggetto vende o acquista beni
immobili o mobili registrati, i terzi potenziali aventi causa dovrebbero essere
in grado di sapere se quel trasferimento ha inciso su di una situazione di
comunione legale, vuoi ex latere
venditoris, vuoi ex latere emptoris;
lo stesso è a dirsi, naturalmente, per i creditori, che sono trattati in modo
assai differenziato, in relazione alla « categoria » cui appartengono (se, cioè
creditori « della comunione » o creditori « personali »), a seconda che essi
tentino di agire in executivis contro
beni comuni o, viceversa, personali dei coniugi: cfr. artt. 186, 187, 188, 189
e 190 c.c. [42].
Nulla di tutto ciò appare immaginabile in relazione alla
comunione di cui qui si discute, che è à
la fois « legale », per effetto del rinvio espresso « alla sezione III del
capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile », ma anche (e
soprattutto!) « convenzionale », perché nasce pur sempre da un accordo. A parte
il gioco di parole, e l’apparente antinomia logica, sarà però opportuno
ricordare, per evitare ogni equivoco, che comunque il « regime legale » (nel
senso di « normale » e « automatico ») dei conviventi, ancorché legati da
apposito contratto di convivenza, è e resta pur sempre, come detto, la più
totale assenza di qualsiasi regime. Il regime di comunione, che è legale
(sempre nel senso di « normale » e « automatico ») per coniugi e partners dell’unione libera, entrerà in
funzione per i conviventi solo a condizione che ciò sia stato espressamente
pattuito nel contratto di convivenza redatto nei modi e nelle forme descritti
(si fa per dire) dalla novella del 2016 (commi 50 ss.).
Ora, ciò che scandalizza l’interprete non è tanto la
circostanza che un regime legale possa scaturire da una manifestazione
negoziale: chi scrive ha già trattato dell’argomento in altra sede, con
riguardo proprio ai casi di comunione (legale) tra coniugi nascente non ex lege, ma da apposita convenzione [43], con conclusioni che debbono ora
trasporsi anche ai partners
dell’unione civile.
Ciò che lascia sbigottiti, invece, è che non si siano
minimamente affrontate, neppure a livello di mero abbozzo, le conseguenze
dell’introduzione di un regime come quello di cui agli artt. 177 ss. c.c. nel
campo delle relazioni tra conviventi.
Qui, tanto per fermarsi alle lacune più vistose, va
subito detto che, se non verrà istituito un adeguato sistema pubblicitario, il
terzo non si troverà mai e poi mai in condizione di sapere se il bene rispetto
al quale intende porsi quale avente causa o creditore agente in executivis sia di proprietà esclusiva
del suo dante causa/debitore, ovvero in contitolarità con il (la) convivente.
Inutile dire che, per le ragioni illustrate in altra sede [44], non può certo ritenersi idonea
la prescrizione secondo cui il professionista che ha ricevuto o autenticato il
contratto « deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne
copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe ai
sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 » (comma 52).
Sul punto è intervenuta, come noto, la circolare 1°
giugno 2016, n. 7/2016 del Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli affari
interni e territoriali – Direzione Centrale per i Servizi Demografici, prescrivendo
la « registrazione » nelle schede individuali di residenza ed in quella di
famiglia « della data e degli estremi della comunicazione da parte del
professionista » [45]. Ora, come già chiarito altrove [46], queste semplici(stiche)
formalità non appaiono idonee, di per sé, a fornire adeguata pubblicità ai
terzi circa l’eventuale esistenza di un regime di comunione inter partes, per non dire poi
dell’assoluta inidoneità a consentire ai terzi, di comprendere quale sia
l’esatta situazione del bene immobile o mobile registrato rispetto al quale
essi si pongono (o intendono porsi) quali aventi causa o creditori (personali
o, eventualmente, comuni) pignoranti.
La situazione appare qui ancor più grave di quella
ampiamente descritta in altre sedi [47] relativamente alla pubblicità
dei regimi patrimoniali inter coniuges,
posto che, nella presente fattispecie, il regime di cui agli artt. 177 ss. c.c.
non discende ex lege dalla mera
convivenza (certificata o meno che sia), né tanto meno dalla semplice stipula
di un contratto (registrato o meno che sia), ma dal fatto che il contratto
abbia per suo specifico oggetto (esclusivo o meno) la costituzione del regime
comunitario. Da ciò deriva il dubbio più che legittimo sull’applicabilità, ad
es., dell’art. 184, primo e secondo comma, c.c., al caso della vendita, senza
il consenso del partner, di un bene
immobile o mobile registrato acquistato dall’altro convivente senza menzione
del regime comunitario. In assenza di (istituende) idonee formalità
pubblicitarie presso gli uffici di anagrafe (o presso altri uffici), l’unico
caso ad oggi astrattamente immaginabile di sicura opponibilità di tale
situazione è infatti quello in cui il convivente eventualmente pretermesso
all’atto dell’acquisto immobiliare o mobiliare (con riguardo ad un bene mobile
registrato) abbia avuto l’accortezza di proporre domanda d’accertamento della
ricaduta in comunione di tale acquisto e l’abbia tempestivamente trascritta sui
pubblici registri immobiliari contro il proprio convivente [48].
In ogni caso, tuzioristicamente, appare indispensabile
raccomandare ai notai l’accertamento della situazione personale delle parti che
in atti risultino non coniugate (o non legate da unione civile), presso i
registri anagrafici, al fine di verificare nella provenienza del bene che il
dante causa non sia per caso legato a terzi da contratto di convivenza che
preveda la comunione dei beni. In ogni caso il notaio dovrà comunque far
risultare sulla nota il regime patrimoniale delle parti, secondo quanto
disposto dall’art. 2659 c.c., a dispetto del fatto che la norma contenga
l’inciso « se coniugate » (oggi riferibile anche alle parti dell’unione civile,
secondo quanto disposto dal c. 19 della legge n. 76 del 2016, che la citata
disposizione espressamente richiama), posto che la disposizione non può non
ritenersi implicitamente richiamata per le convivenze di fatto dal rinvio
operato dal c. 53, lett. c
all’istituto della comunione legale tra coniugi (da ciò, tra l’altro, sembra
derivare l’inevitabilità della menzione, nell’atto stipulato da un celibe o da
una nubile, del fatto che egli/ella non ha stipulato un contratto di convivenza
che preveda un qualche regime patrimoniale).
Risulta dunque confermata la tesi della sostanziale
inapplicabilità ai conviventi, pur nel caso di previsione negoziale del regime ex artt. 177 ss. c.c., del sistema di
opponibilità ex lege proprio di
quest’ultimo, valevole nei rapporti inter
coniuges (e tra civilmente uniti).
L’unico caso, invero, astrattamente immaginabile di sicura
opponibilità di tale situazione è semmai quello in cui il convivente
eventualmente pretermesso all’atto dell’acquisto immobiliare o mobiliare (con
riguardo ad un bene mobile registrato) abbia avuto l’accortezza di proporre
domanda d’accertamento della ricaduta in comunione di tale acquisto e l’abbia
tempestivamente trascritta sui pubblici registri immobiliari contro il proprio
convivente (che, a questo punto, sarà piuttosto da ritenere ex tale…), in base
alle comuni regole pubblicitarie relative domande giudiziali.
4. Segue. Dies a quo e dies ad quem di operatività del regime
di comunione tra conviventi.
Dubbi di una certa serietà investono poi
l’identificazione dei due momenti più rilevanti per il regime patrimoniale comunitario,
allorquando si trovi ad operare nel contesto di un contratto di convivenza:
vale a dire quelli che ne marcano, rispettivamente, l’insorgere e la
cessazione.
Quando inizia il regime?
Nel campo matrimoniale la risposta a questa domanda
appare relativamente semplice, atteso che il dies a quo di operatività della comunione legale è identificabile,
in assenza di opzione per un regime diverso, con quello di celebrazione delle
nozze; nel caso di scelta del regime di separazione, la comunione entra in
gioco a decorrere dal successivo momento dell’eventuale stipula della relativa
convenzione.
Il vero problema è, semmai, legato al fatto che tra
conviventi, a differenza di ciò che accade nel caso della coppia coniugata, fa
difetto un negozio personale formale, solenne e provvisto di data certa quale
il matrimonio (o, per le coppie omosessuali, la stipula dell’unione civile), la
convivenza di fatto essendo definita dalla stessa legge n. 76/2016 (cfr. il
comma 36) alla stregua della situazione di « due persone maggiorenni unite
stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e
materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da
matrimonio o da un’unione civile ».
Ora, l’unico elemento che sia qui fornito di una data
certa è costituito, per l’appunto, dal contratto di convivenza (o dalla sua «
modifica », necessitante delle stesse forme). Del resto, come già detto, la
novella è chiara nel legare la comunione al contratto di convivenza e non alla
convivenza. Dovrà quindi concludersi che il regime eventualmente « previsto »
sarà operativo a decorrere dalla stipula del contratto di convivenza.
L’interrogativo che sorge spontaneo, però, a questo
punto, è se la concorde volontà dei paciscenti possa determinare un dies a quo diverso, legato o ad un
termine iniziale, o ad una condizione sospensiva. Qui, da un lato, l’ampia
facoltà di modifica « in qualunque
momento nel corso della convivenza », prevista dal testo normativo, e
dall’altro l’evidente irriferibilità della condicio
iuris di cui alla regola si nuptiae
sequantur, sembrerebbero convincere dell’ammissibilità di un accordo di tal
genere. Non si dimentichi, del resto, che l’opinione prevalente, storicamente
fondata ed assolutamente preferibile (oltre che evidentemente armoniosa
rispetto alla concezione contrattuale) in materia di convenzioni matrimoniali,
consente l’apposizione di termini e condizioni a queste ultime. Non si
comprenderebbe, pertanto, perché mai analoga regola non dovrebbe valere per i
contratti di convivenza.
L’unico dubbio sembrerebbe però suggerito dall’improvvida
disposizione di cui al comma
Venendo ora al tema dell’accertamento del dies ad quem di operatività del regime
va detto che, anche con riguardo a questo delicato profilo, le norme in
commento tacciono del tutto. Inutile ricordare la capitale importanza
dell’accertamento di questo momento, a decorrere dal quale l’effetto
coacquisitivo scolpito nell’art. 177, lett. a), c.c., per gli acquisti operati
dopo tale data, viene meno.
Neppure soccorre più di tanto, in questa sede, il
richiamo alle norme in tema di comunione legale tra coniugi.
L’art. 191 c.c. individua [50], come noto, inter coniuges, gli eventi idonei a determinare lo scioglimento del
regime legale, alcuni dei quali possono considerarsi riferibili anche ai
conviventi: dichiarazione di assenza o di morte presunta, separazione
giudiziale dei beni, mutamento convenzionale di regime, fallimento,
scioglimento convenzionale di azienda ai sensi dell’ult. cpv. dell’art. 191
c.c.
Peraltro, l’evento più rilevante dal punto di vista
statistico, vale a dire la crisi del rapporto di convivenza, non viene preso in
considerazione nei suoi effetti sul regime, laddove ben difficilmente sembra
prospettabile un’estensione analogica delle disposizioni di cui al citato art.
191 c.c. in materia di crisi coniugale. Queste ultime, infatti, appaiono
strettamente legate ad una « ritualizzazione » (annullamento del matrimonio,
separazione e divorzio, nelle rispettive variegate forme di manifestazione
procedurale: giurisdizionali o meno che siano), cui la crisi della famiglia di
fatto rimane, per effetto della novella del 2016, del tutto estranea.
Le uniche norme della l. n. 76/2016 latamente riferibili
al caso in esame sembrano essere costituite da quelle di cui ai commi 59, 60 e
61 [51].
Poiché, peraltro, le disposizioni in esame appaiono
carenti in ordine alla cessazione del regime di comunione, non rimarrà che
concludere nel senso che il dies ad quem
del regime di comunione tra conviventi va identificato nei momenti seguenti.
(a)
In caso di scioglimento del contratto di convivenza concordato o
unilaterale: nel momento in cui « la risoluzione viene redatta nelle forme di
cui al comma 51 ». Inutile soggiungere che, con riguardo allo specifico
problema dell’eventuale riconciliazione, per la coppia (dapprima non più e poi
di nuovo) convivente non varrà il principio dottrinale e giurisprudenziale di
automatica ricostituzione del regime legale [52], essendo il dato normativo
piuttosto chiaro nel collegare la nascita (e dunque, pure l’eventuale
rinascita) della comunione tra conviventi alla (necessaria) stipula di un
contratto.
(b)
In caso di matrimonio o unione civile tra i conviventi stessi o tra un
convivente ed altra persona: nel momento in cui tali eventi hanno luogo. Qui
potrà aggiungersi che quanto disposto dai commi 62 e 63 [53] non sembra rilevare ai fini
dello scioglimento del regime, trattandosi di attività meramente complementare
e successiva.
(c)
Per le altre cause descritte dall’art. 191 c.c. varranno le regole
elaborate con riguardo ad ogni singola causa di scioglimento della comunione
legale; così, ad es., in caso di morte di uno dei contraenti, l’effetto
estintivo si produrrà dal momento in cui tale evento ha luogo, e così via [54].
Appare quasi superfluo aggiungere che la parte aggiunta
al comma 60 dal « maxiemendamento » presentato al Senato il 25 febbraio 2016
non risulta di alcuna utilità. Stabilire, infatti, che « Qualora il contratto
di convivenza preveda, a norma del comma 53, lettera c), il regime patrimoniale
della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della
comunione medesima e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di
cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice
civile » significa esprimere un’ovvietà addirittura deprimente (è come dire che
« se si verifica una causa di scioglimento del regime legale, si applicano le
norme in tema di scioglimento del regime legale»).
Stabilire, poi, che « Resta in ogni caso ferma la
competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali
immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza » significa
stabilire una cosa gravemente errata, posto che nel nostro ordinamento risulta
ancora vigente l’art. 1350 c.c., che non impone – purtroppo, come più volte
spiegato dallo scrivente [55] – l’atto notarile per la
validità di un trasferimento immobiliare [56]. Se, invece, l’intento è solo
quello di chiarire che quella dell’atto pubblico continua ad essere (unitamente
alla scrittura privata autenticata o verificata) l’unica forma idonea alla
trascrizione di un titolo negoziale sui pubblici registri immobiliari ex art. 2657 c.c., si afferma allora un
principio risaputo.
Al di là di quanto così
grossolanamente disposto dai commi 53 e 54 della l. n. 76/2016, in base al
principio di libertà contrattuale che certamente governa i contratti di
convivenza, le parti potranno dar vita a situazioni di contitolarità del genere
di quelle preconizzate già diversi anni or sono dallo scrivente [57].
Si potrà ricordare al riguardo
che, pur non
sussistendo in linea di principio nel nostro ordinamento ragioni per ritenere
vietata una riproduzione per via negoziale di quello che nella famiglia
legittima è il regime legale [58], l’effetto (in assenza del richiamo
di cui alla novella qui in commento alla comunione legale, ma, come si è visto,
con seri problemi anche nel caso di espresso riferimento a tale eventualità)
non potrebbe comunque mai essere quello di un’applicazione dell’istituto della
comunione coniugale nella sua interezza. Invero, è evidente che, per il
principio della privity of contract
(art. 1372 c.c.), non potrebbero comunque mai essere imitati gli effetti «
esterni » tipici della comunione, che pure di tale regime costituiscono uno dei
punti più qualificanti. Si pensi, in particolare, all’opponibilità ex lege
della proprietà comune ex art. 177,
lett. a), c.c. anche in difetto di trascrizione dell’acquisto in favore di
entrambi [59], con il connesso rimedio
dell’annullabilità degli atti di disposizione relativi ai beni immobili o
mobili registrati compiuti da un coniuge senza il necessario consenso
dell’altro, ai sensi dell’art. 184, primo e secondo comma, c.c. [60].
Gioverà dunque ribadire – a scanso d’equivoci – che ciò
che si può prevedere è, invece, un regime di comunione (ordinaria) in relazione
a tutti (o eventualmente ad alcuni) i beni da acquistarsi durante la
convivenza, anche da parte di uno solo dei conviventi. L’effetto potrebbe
essere conseguito mediante la pattuizione di una versione contrattuale dell’«
acquisto automatico » di cui all’art. 177, lett. a), c.c. e, dunque, di un
effetto reale di trasferimento di una quota ideale dei diritti acquisiti [61] che si dovrebbe verificare
automaticamente all’atto stesso del perfezionamento di ogni negozio acquisitivo
da parte di uno dei partners.
Un’altra possibilità sarebbe costituita da un impegno di natura meramente
obbligatoria a trasferire la titolarità di una quota del diritto acquistato,
con un meccanismo analogo a quello di cui all’art. 1706 c.c. [62].
Nessuna obiezione sembra sollevabile circa la
determinabilità dell’oggetto di un simile contratto. È infatti noto che tale
requisito può ritenersi soddisfatto anche quando, una volta individuati nel
titolo gli elementi necessari e sufficienti per compiere la determinazione,
quest’ultima avvenga sulla base di eventi esteriori, quali comportamenti o
dichiarazioni delle stesse parti o di terzi: basti pensare alla nota teoria
giurisprudenziale della « determinabilità ex
post » [63]. L’impostazione sembra del resto
ricevere un conforto legislativo dalla disciplina normativa della cessione dei
crediti d’impresa, che ammette, per l’appunto, tale cessione « anche prima che
siano stipulati i contratti dai quali [i crediti stessi] sorgeranno » (cfr.
art.
Alla luce delle precisazioni di cui sopra, già fornite da
tempo da parte di chi scrive [64], appaiono piuttosto sorprendenti
le critiche di chi [65], in relazione all’ipotesi del
ritrasferimento automatico, rispolvera l’argomento dell’intrascrivibilità del
mandato: rilievo, questo, del tutto ininfluente nella specie, proprio perché,
come chi scrive si è sforzato (inutilmente, verrebbe da dire) di spiegare, il «
regime » tra conviventi è comunque una situazione puramente interna. A
prescindere, poi, dal fatto che non sembra metodologicamente corretto far
derivare dalla disciplina pubblicitaria (che rappresenta, semmai, un posterius) conseguenze sul piano
dell’esistenza degli istituti giuridici « sostanziali ».
Quanto all’asserita indeterminatezza dell’oggetto [66], si è anche qui (altrettanto inutilmente)
cercato di spiegare, da tempo, che non di (asserita) determinatezza si tratta,
bensì di (comprovata) determinabilità ex
post, esattamente come per decenni ha fatto la giurisprudenza di
legittimità per la fideiussione omnibus,
secondo una ratio decidendi condivisa
poi, come si è dimostrato, dallo stesso legislatore.
Quanto sopra, sempre a scanso di equivoci, lo si
ribadisce in relazione al caso in cui i conviventi, vuoi per difetto dei
presupposti di legge (si pensi ad es. al caso in cui i due siano legati da
rapporti di parentela), vuoi per qualunque altra scelta, decidano di non
avvalersi della possibilità concessa loro dalla novella di effettuare un puro e
semplice richiamo alla normativa in tema di comunione legale tra coniugi (e partners dell’unione civile), ma
intendano creare tra gli stessi un regime comunitario « sfruttando » il
generale principio di libertà contrattuale che pure a loro l’art. 1322 c.c.
certamente concede.
Venendo ora al profilo della determinazione dell’entità
delle quote, viene a porsi un problema in relazione alla possibilità di
stabilire una forma di comunione che veda i conviventi coacquistare in misura
diversa dal 50% per ciascuno di essi.
Prima della riforma del 2016 lo scrivente aveva più volte
preso posizione sul punto in senso affermativo, non sussistendo alcuna
disposizione in senso contrario e discendendo la soluzione positiva dalla
considerazione del principio di piena libertà contrattuale. Oggi qualche dubbio
potrebbe nascere dal fatto che le norme qui in commento operano un richiamo «
in blocco » a quella « sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo
del codice civile » in cui è contenuto l’art. 194 c.c. Norma, quest’ultima, che
contiene proprio uno dei due principi da cui si desume la regola della parità
delle quote inter coniuges.
Sarà però il caso di osservare che, a ben vedere, la vera
disposizione che sancisce l’inderogabilità del principio di parità delle quote
è quella di cui all’art. 210 c.c. [67]: norma, questa, che la riforma
qui in commento non richiama.
Non solo. Il contesto in cui ci muoviamo è, come più
volte detto, quello della negozialità, in relazione al quale non può non
operare il principio generale consacrato dall’art. 1322 c.c. A maggior ragione
ciò varrà se i conviventi dovessero disegnare i contorni di una comunione
ordinaria di fonte convenzionale, come qui indicato da chi scrive. Peraltro,
proprio per le ragioni appena addotte, la stessa conclusione va con forza
ribadita anche nell’ipotesi in cui gli stessi volessero richiamare in tutto e
per tutto le disposizioni di cui alla « sezione III del capo VI del titolo VI
del libro primo del codice civile », come previsto dal comma 53, lett. c), cit., divergendo solo sul punto
parità delle quote da quanto disposto dall’art. 194 c.c.
Fatte salve le peculiari considerazioni appena esposte,
derivanti dal mancato rinvio all’art. 210, terzo comma, c.c., potranno per il
resto richiamarsi qui tutte le considerazioni svolte in altra sede a commento
dei principi che, in relazione alla coppia coniugale in regime di comunione,
contribuiscono a comprendere estensioni e limiti dell’autonomia negoziale [68].
Le considerazioni di cui sopra non sembrano ricevere
convincente smentita da uno studio ufficiale, approvato dal Consiglio Nazionale
del Notariato nel 2018 [69]. Il documento in questione, vero
e proprio atto di sfiducia verso la « forza del contratto » nel campo dei
rapporti tra i conviventi, emesso (ed è ciò che lascia più sbigottiti) dalla
rappresentanza ufficiale di una categoria professionale che, invece, del
contratto e dell’autonomia negoziale endofamiliare dovrebbe fare i propri
cavalli di battaglia, pare incentrato sull’idea secondo cui « comunione
eleggibile dai conviventi » sarebbe « soltanto quella legale, non potendosi
adottare un regime di comunione “convenzionale” ».
Ma, a ben vedere, e a tacer d’altro, appare veramente
difficile negare la piena operatività del principio di libertà contrattuale in
relazione ad un istituto che, non per nulla, viene chiamato dal legislatore «
contratto di convivenza », con conseguente, inevitabile, applicazione dell’art.
1322 c.c. Conclusione, questa rafforzata, in primo luogo, dall’argomento
specialmente desumibile dal fatto che il comma 53 della l. n. 76/2016 utilizza
il verbo « potere » in relazione ai descritti contenuti del contratto di
convivenza, chiaramente lasciando ad intendere che l’elenco (a dire il vero
piuttosto striminzito…) ivi contenuto ha carattere meramente esemplificativo e,
in secondo luogo, dalla constatazione per cui, se il successivo comma 54
riconosce ai conviventi la possibilità
di mutare il regime, esso implica inevitabilmente la possibilità di optare sin ab initio per regimi di tipo diverso da
quello ex artt. 177 ss. c.c. e dunque
anche per una comunione « ridotta » o « accresciuta » rispetto a quest’ultima.
Per non dire, poi, del fatto che lo stesso studio
dichiara la comunione inter concubinarios,
testualmente, « accessibile solo a quelle coppie “di fatto” (ma in realtà “di
diritto”) che, sulla base dei requisiti legali, abbiano registrato la loro
convivenza, assoggettandola alla legge speciale; abbiano stipulato un contratto
di convivenza ai sensi della legge stessa; abbiano in esso optato espressamente
per la comunione dei beni; abbiano realizzato la pubblicità dichiarativa prevista
dalla legge », così legando l’insorgenza del regime predetto alla (ritenuta
necessaria) realizzazione di una pubblicità che, pur se (giustamente) definita
come « dichiarativa », finirebbe però, nella prospettiva qui criticata, con il
divenire costitutiva, in quanto indicata come elemento imprescindibile perché
la coppia possa, per l’appunto, « accedere » al regime comunitario.
Come più volte anticipato, il limite principale
dell’istituto che si è tentato di delineare è costituito dai rapporti con i
terzi. Invero, l’opponibilità a questi ultimi della comproprietà sui beni
acquistati nel corso della convivenza non potrebbe essere riprodotto nemmeno
mediante il ricorso al meccanismo della trascrizione del contratto di
convivenza. Tale contratto, tanto nella sua versione a effetti reali differiti,
che in quella a effetti meramente obbligatori, non potrebbe certo operare
all’atto della sua conclusione il trasferimento di alcun diritto reale
immobiliare, ma si configurerebbe come una sorta di mero « accordo
programmatico ».
Conseguentemente, non soltanto si esulerebbe dalle
ipotesi per le quali l’istituto della trascrizione è (tassativamente) previsto,
ma verrebbe anche a mancare quella specifica indicazione dei singoli beni
oggetto dell’atto, che, sola, può rendere tecnicamente sottoponibile il negozio
a pubblicità (cfr. artt. 2659, n. 4, c.c., 2665 c.c.) [70]. L’unico rimedio di natura reale
competente al partner « pretermesso »
sarebbe allora quello della proposizione contro l’altro di un’azione di
rivendica (nel caso di effetto reale differito), ovvero di una domanda ex art. 2932 c.c. (nel caso di semplice
obbligo a trasferire) con immediata trascrizione dell’atto di citazione, ai
sensi e per gli effetti, rispettivamente, degli artt. 2653, n. 1 c.c. o 2652,
n. 2, c.c. [71].
Quel fenomeno tipico del regime comunitario tra coniugi
rappresentato dall’indisponibilità della quota, se non con il consenso di
entrambi [72], potrebbe essere conseguito
mediante un vincolo pattizio di inalienabilità sulle rispettive porzioni dei
beni acquistati, vincolo la cui previsione, in considerazione dei particolari
rapporti esistenti tra le parti, potrebbe ritenersi determinata da un interesse
« apprezzabile » ex art. 1379 c.c.
Proprio per via di questa norma, però, esso andrebbe contenuto entro
convenienti limiti di tempo, né potrebbe essere opposto ai terzi, nemmeno
mediante il meccanismo della trascrizione [73]. L’unico rimedio prevedibile in
sede di stipula del contratto di convivenza sembra dunque costituito da una
penale a vantaggio del convivente « pretermesso », che sarebbe così liberato
dall’onere di fornire la dimostrazione (per il vero tutt’altro che agevole) di
aver subito un danno per effetto della alienazione della sola quota di
comproprietà del partner.
Per quanto concerne l’amministrazione dei beni in
comunione l’art. 1100 c.c. lascia alle parti la massima discrezionalità,
espressamente enunciando il carattere dispositivo delle norme di cui al capo I
del titolo VII: potranno quindi fissarsi a piacimento regole
sull’amministrazione straordinaria ovvero ordinaria prevedendo la congiuntività
o disgiuntività delle stesse, così come enucleando singoli atti in relazione ai
quali venga imposto l’agire congiunto piuttosto che disgiunto [74]. Sarà appena il caso di
aggiungere che un eventuale patto di indivisione sarà soggetto alle
disposizioni di cui all’art. 1111 cpv. c.c., mentre i rimedi da applicarsi in
caso di « blocco » nell’amministrazione o di decisioni pregiudizievoli per le
cose comuni saranno quelli ex artt.
1105 c.c. e 1109 c.c. e non già quelli di cui agli artt. 181, 182 e 183 c.c.
Relativamente allo scioglimento della comunione
convenzionale ordinaria tra conviventi occorrerà fare richiamo innanzitutto
alla necessità – già illustrata in altra sede [75] – di legare il dies ad
quem a un evento ben preciso, quale,
per esempio, l’invio di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
Si potrà poi ricordare che è stata suggerita la redazione
di una lista dei beni mobili apportati da ciascuno dei conviventi, sottoscritta
da entrambi, che avrebbe carattere di negozio ricognitivo e servirebbe, in caso
di rottura, a risolvere possibili conflitti relativi alla rivendica di singoli
beni [76], in tal modo supplendo alla
mancanza tra conviventi di una regola analoga a quella di cui all’art. 219 c.c.
Peraltro l’utilità della redazione di tale checklist appare assai dubbia, essendo
controversa, come noto, l’estensibilità dell’effetto di cui all’art. 1988 c.c.
(astrazione processuale) ai rapporti di carattere reale [77]. Si potrebbe allora consigliare
di specificare accanto a ognuno dei singoli beni il rispettivo titolo
d’acquisto: la sottoscrizione apposta dal partner
assumerebbe così valore confessorio non solo in ordine alla proprietà (ed è
noto che sotto questo profilo la dichiarazione sarebbe irrilevante,
risolvendosi in un giudizio), ma anche sulle vicende (e dunque su meri fatti)
che giustificano l’acquisto singolarmente in capo a ciascuno dei conviventi. In
ogni caso potrebbe anche essere utile convenire una presunzione (iuris tantum) di comproprietà di determinati beni [78] (per esempio, tutti i mobili che
si troveranno nell’immobile destinato a residenza comune al momento della
cessazione del rapporto), che non sembra, almeno come tale, porsi in contrasto
con l’art. 2698 c.c.
7. Come
salvare la comunione? Gli interventi sui meccanismi dell’istituto.
Il presente studio si è, fin qui, concentrato, da un
lato, sul fenomeno sociale della disaffezione mostrata dalle famiglie italiane
verso il regime legale e, dall’altro, sui (sovente goffi e maldestri) tentativi
del legislatore di « rianimare » un istituto nei fatti ormai esangue,
evidenziando la necessità di una robusta attività di « sostegno » da parte
degli interpreti, al fine di perseguire il risultato di smussare le eccessive
asperità conseguenti ad un uso smodato dell’accetta su materie in cui si
sarebbe dovuto invece, con mano tremante, lavorare di cesello...
« La séparation de biens est un
régime de méfiance réciproque », osservava oltre un secolo fa un Autore
francese [79]. L’esplosione numerica delle scelte per il regime di
separazione sottolinea dunque la sfiducia con la quale oggi si guarda sempre
più spesso al vincolo coniugale? Lasciamo la risposta alla sociologia,
limitandoci ad osservare che quanto sin qui sembra evidenziare il fatto che
oggi la priorità non sembra più tanto costituita [80] dalla necessità di incentivare il ricorso alla
comunione coniugale, quanto piuttosto quella di salvare il regime legale da una
fine rovinosa e (per molti profili ingiustamente) ingloriosa. Se è vero,
infatti, che la comunione legale « istituto estraneo alla nostra tradizione
giuridica, non si è inserita adeguatamente nel nostro ordinamento » [81], è altrettanto vero che la medesima rischia di essere
esposta ad un imponente fenomeno di rigetto da parte del corpo sociale, se il
legislatore non saprà correre ai ripari.
Nessun Autore italiano potrebbe seriamente dire, come invece
è dato leggere ancora oggi in Francia, che la (nostra) comunione « séduit » [82], o che essa si caratterizza per regole di
funzionamento « très performantes, polies par des siècles de réflexion, qui
allient subtilement association des époux et respect de l’indépendance de
chacun d’entre eux » [83]. Nessun organo ufficiale del Belpaese potrebbe
credibilmente cantare, in relazione al nostro regime legale, le lodi di cui la Zugewinngemeinschaft viene gratificata
in Germania, nella relazione ministeriale d’accompagnamento al progetto di
riforma del sistema del Zugewinnausgleich, in vigore dal 1° settembre 2009 [84].
Ma per tentare un salvataggio dell’istituto occorre,
in primo luogo, cercare di prendere consapevolezza delle cause di questo suo
fallimento: bisogna cercare di capire, in altre parole, che cosa « non va ».
Senza alcuna pretesa di completezza, potrà tentarsi di enucleare al riguardo un
cahier de doléances nei termini
seguenti.
(a) Il primo intervento che lo scrivente raccomandava
nella monografia pubblicata nel 2010 sulla comunione legale, era quello avente
ad oggetto l’inserimento, tra le cause di scioglimento del regime, della
proposizione della domanda di separazione personale (così come di quella di
divorzio, se non preceduto da separazione legale, o di annullamento del
matrimonio), o, quanto meno, dell’autorizzazione da parte del presidente a
vivere separati, al fine di evitare le gravissime situazioni determinate dal
perdurare del regime legale nel periodo di più acuti contrasti e tensioni tra i
coniugi. La proposta è stata accolta, anche se tardivamente e in maniera
incompleta [85]. Rimane comunque ineludibile la necessità di
intervenire, almeno in parte, sui punti seguenti.
(b) Particolarmente urgente è la necessità di eliminare le
persistenti ambiguità in tema di comunione de
residuo, con particolare riguardo alla tutela del coniuge non titolare, manente communione, dei relativi beni,
mercé l’introduzione per via legislativa del principio secondo cui per
l’interessato è sufficiente la dimostrazione dell’acquisizione, da parte
dell’altro coniuge, dei cespiti ex
artt. 177, lett. b) e c), nonché 178 c.c., gravando invece su quest’ultimo
l’onere di dimostrare l’intervenuta consumazione, nonché l’esatta
individuazione degli atti di consumazione (da non confondere, come illustrato
in altra sede [86], con la semplice « sparizione ») dei beni medesimi [87]. In modo ancora più radicale, ci si potrebbe chiedere
se non sia addirittura il caso di « convertire » le ipotesi in esame in
altrettante situazioni di comunione immediata, così eliminando una figura «
ibrida », quale la comunione residuale, che si giustifica (sulla base, anche,
delle esperienze straniere) solo in quanto costituente un regime patrimoniale «
a sé » (vuoi legale, vuoi convenzionale), ma che, ove inserita nell’ambito di
un generale regime legale di comunione immediata viene porre una distonia
difficilmente comprensibile ed integrabile nel disegno complessivo.
(c) Sarebbe poi necessaria un’opera di chiarificazione
legislativa di alcune delle principali questioni che affaticano gli interpreti
in merito all’individuazione dell’oggetto della comunione [88]: dagli acquisti a titolo originario, ai diritti di
credito, alle partecipazioni societarie, agli investimenti in titoli, ecc.,
procedendo ad una revisione della formula usata dal legislatore nell’art. 177
c.c., ritenuta insufficiente per dar soluzione alle ipotesi nelle quali la
disciplina della comunione tra coniugi viene in conflitto con le norme che
regolano l’appartenenza o la circolazione dei diritti su determinati beni in
ragione della natura del bene considerato o del modo d’acquisto [89].
(d) Ancora, occorrerebbe pervenire ad un chiarimento sul
tema dei rapporti tra comunione, azienda coniugale, impresa coniugale ed
impresa familiare, ciò che forse potrebbe indurre almeno determinate categorie
di imprenditori a non optare sistematicamente, come oggi avviene, per il regime
di separazione [90].
(e) Andrebbe radicalmente abrogato l’inutilmente
farraginoso sistema di responsabilità patrimoniale in executivis di cui agli artt. 186-190 c.c. [91], prevedendosi contemporaneamente l’automatica
estromissione dal regime legale dei beni comuni eventualmente sottoposti a
pignoramento [92].
(f) Su un piano più generale, andrebbe poi radicalmente
rivisto il sistema pubblicitario dei regimi patrimoniali, coordinando il
sistema della trascrizione con quello dell’annotazione, al fine di garantire un
più alto livello di certezza del traffico giuridico immobiliare [93].
8. Segue. La leva fiscale e il rilievo
dell’informazione ai cittadini.
Se i rimedi sopra indicati si pongono
sul piano dei meccanismi normativi della comunione legale, una serie di
incentivi ben potrebbero (e se si volesse veramente salvare la comunione
dovrebbero) individuarsi in relazione a quel potente fattore economico che va
sotto il nome di leva fiscale.
Qui, infatti, potrebbero ipotizzarsi
agevolazioni, come ad esempio la possibilità di operare con la comunione uno splitting dei redditi, attribuendo
rilievo tributario alla comunione immediata dei proventi da attività lavorativa
dei coniugi, eventualmente pattuita mercé stipula di apposita convenzione ex art. 210 c.c. [94], o, auspicabilmente, prevista da apposito intervento
riformatore che abrogasse le lett. b) e c) dell’art. 177 c.c. Al riguardo deve
dirsi che, nonostante il nutrito dibattito in sede politica [95], si preferisce ancora rimettere al meccanismo degli
oneri deducibili e delle detrazioni di imposta per carichi di famiglia ogni
strumento di sostegno fiscale per la famiglia, laddove, anche secondo
l’esperienza di altri Paesi europei, bisognerebbe pensare ad una politica
fiscale che guardi unitariamente alla comunità familiare ed ai redditi dalla
stessa prodotti, in guisa da assicurare il soddisfacimento dei bisogni
dell’intero nucleo familiare.
Non per nulla, nella nota sentenza che decretò la fine
del sistema del « cumulo dei redditi » [96],
Un « quoziente familiare » che, sebbene previsto in
linea generale per ogni tipo di famiglia, potrebbe essere strutturato in modo
particolarmente favorevole al contribuente per quei nuclei familiari che
avessero scelto di non abbandonare il regime legale.
Sempre rimanendo sul piano degli effetti tributari del
regime, in relazione all’ultima delle considerazioni sopra svolte, anche se non
si dovesse optare per un sistema generale di « quoziente familiare », perché,
in ipotesi, ritenuto troppo oneroso per le casse dello Stato, potrebbe pensarsi
all’introduzione di adeguati incentivi al mantenimento della comunione mediante
la previsione, sulla falsariga di quanto si ebbe transitoriamente a disporre
con l’art. 228 della novella del 1975, di « elementi di diritto premiale » per
le famiglie che non abbandonano tale regime [98]. Si potrebbe cioè immaginare un trattamento fiscale
di favore per quei redditi, fondiari o di capitali o anche di impresa,
conseguenti ad attribuzioni in comunione legale: e così ad esempio, con
riguardo ai redditi derivanti da fabbricati, si potrebbe pensare ad un
coefficiente di abbattimento della rendita catastale o dei reddito effettivo, e
con riguardo ai redditi derivanti da terreni ad un coefficiente di abbattimento
dei reddito dominicale o anche del reddito agricolo nell’ipotesi di attività
congiunta dei coniugi. Inoltre, secondo l’esperienza propria del primo biennio
di applicazione della legge, si potrebbe prevedere in via generalizzata una
riduzione di imposte e tasse per gli atti ampliativi dell’oggetto della
comunione legale o che comunque assoggettassero singoli beni al regime di
comunione legale [99].
Ancora, al di là delle possibili riforme legislative,
una maggiore divulgazione, anche tra i « non addetti ai lavori », dei diritti e
doveri connessi al regime legale non potrebbe che fare del bene, inducendo i
novelli sposi all’effettuazione di una scelta consapevole. Ancora una volta
l’esempio francese è quanto mai significativo.
Si pensi che anche Oltralpe il profilo in esame rimase
a lungo negletto, se è vero come è vero che, da un’inchiesta realizzata in
vista della riforma del 1965, emerse che la stragrande maggioranza dei Francesi
in regime di communauté légale
pensava che il sistema loro applicabile fosse quello della comunione universale
(anziché quello della comunione dei mobili e degli acquisti) [100]. Ancora diversi anni dopo un Autore, rilevando l’assenza
di informazioni al riguardo, faceva notare che « notre société considère avoir
rempli son devoir d’information et d’éducation civique, en instituant un régime
matrimonial ou en permettant le choix d’autres conventions et en obligeant
l’offìcier d’état civil à lire quelques articles du Code civil dans
l’atmosphère mondaine et euphorique du mariage (...). C’est un peu léger pour
induire une autonomie responsable chez les futurs époux » [101]. Per questa ragione, un decreto in data 26 luglio 2002
è venuto a prevedere Oltralpe che al libretto di famiglia venga allegato un «
document d’information sur le droit de la famille », vera e propria guida sui
diritti e sui doveri personali e patrimoniali dei coniugi (ivi compresi i
rapporti successori e quelli connessi al regime patrimoniale).
9. Segue. Comunione legale e libertà
negoziale.
Al di là degli interventi settoriali sopra
individuati, un’importanza fondamentale assumerebbe nel sistema l’introduzione
di una chiara indicazione legislativa che consentisse ad interpreti ed
operatori di sbarazzarsi una volta per tutte di alcune persistenti posizioni
giurisprudenziali eccessivamente rigide in punto libertà negoziale dei coniugi:
dalla questione sulla possibilità di esclusione di singoli beni, sia al momento
dell’acquisto che, in via successiva, sulla base del consenso dei coniugi, al
problema della necessità della partecipazione del coniuge non acquirente, nel
caso ricorrano le condizioni descritte dall’art. 179, lett. c), d) ed f) c.c.
per un acquisto personale. Questo contribuirebbe, anche a livello di
«immagine», a fornire l’idea che la comunione non è una «gabbia» nella quale i
coniugi possano venirsi a trovare imprigionati [102].
E’ del resto ferma convinzione dello scrivente che una
delle ragioni che spiegano il successo del regime comunitario in Francia (così
come in altri sistemi stranieri) è rappresentato proprio dal ben diverso spazio
che colà viene riconosciuto alla libertà negoziale in sede di « conformazione »
del regime, ad opera del notaio, sulle necessità del nuovo nucleo familiare che
si viene a costituire.
Così, sarebbe opportuno ammettere anche in Italia
clausole che permettano un vero e proprio aménagement
contractuel della comunione in vista del momento del suo scioglimento, sulla
falsariga di ciò che è consentito Oltralpe, in base ad una tradizione risalente
[103]:
¾dalla clausola di attribuzione (a titolo sia gratuito
che oneroso) di beni personali di un coniuge al superstite [104],
¾a quella che prevede l’assegnazione, all’atto dello
scioglimento, di beni comuni, previo pagamento di una somma di denaro
predeterminata [105],
¾o la facoltà per l’uno o l’altro dei coniugi di
prelevare, sempre in occasione dello scioglimento, determinati beni a titolo
gratuito [106], o
¾di riprendere (in caso di stipula di una comunione
convenzionale comprendente beni già posseduti prima della celebrazione delle
nozze) i rispettivi apporti, nell’eventualità di scioglimento per crisi
coniugale [107] o, ancora,
¾alla possibilità di prevedere la divisione della massa
(o di parte di essa) in parti non uguali – eventualità, quest’ultima, che viene
del resto ammessa non solo in Francia [108], ma in diversi altri sistemi europei [109] – o, ulteriormente,
¾all’attribuzione dell’intera massa ad uno solo dei
coniugi, con diritto, per l’altro ad ottenere una somma a titolo forfetario [110], o, infine,
¾alla possibilità di pervenire ad un « bilanciamento »
tra separazione e comunione, mercè una société
d’acquêts adietta ad un regime separatista, nel senso che i coniugi
potrebbero predeterminare l’applicabilità della regola comunitaria in relazione
soltanto ad alcune, ben individuate, categorie di beni [111].
Inutile dire che l’accoglimento di questi principi
presupporrebbe una modifica dell’art. 210, terzo comma, c.c., unitamente al
definitivo accantonamento di ancora profondamente radicati pregiudizi circa
l’indisponibilità preventiva delle conseguenze della crisi coniugale. Non
bisogna però dimenticare che, come riconosciuto anche dalla nostra dottrina,
allargare l’autonomia dei coniugi nella determinazione dell’oggetto della
comunione significa molto spesso trattenere il concorde passo dei coniugi verso
l’inevitabile approdo alla separazione dei beni [112]. Per le medesime ragioni, un’ampia libertà
contrattuale andrebbe ammessa anche in relazione ai poteri d’amministrazione
della massa comune [113].
Qualora le proposte di cui alla lettera precedente
risultassero troppo « eversive », si potrebbe, in alternativa, valorizzare
l’idea (a ben vedere, non troppo diversa da quelle or ora presentate) di chi ha
suggerito una « tipizzazione, in via normativa, di possibili varianti del
modello legale di comunione », tra cui ben potrebbe comprendersi una
partecipazione (di carattere meramente obbligatorio) differita agli acquisti,
sul modello della Zugewinngemeinschaft
o della participation aux acquêts [114]. Regime, quest’ultimo, che sembra ormai costituire il
modello cui potrebbe ispirarsi un’ipotetica normativa uniforme europea in tema
di rapporti patrimoniali nella famiglia [115], sulla linea, del resto, della convenzione bilaterale
franco-tedesca del 2010 sul regime patrimoniale dei coniugi, la quale si muove
proprio nella direzione della predisposizione di un regime convenzionale di
partecipazione agli acquisti (participation aux
acquêts/Wahl-Zugewinngemeinschaft), modellato su quello conosciuto dal Code
Civil agli artt. 1569-1581, come regime convenzionale e dal BGB ai
§§ 1363-1390 ss. come regime legale [116].
[1] Valga per tutti il richiamo a
Schlesinger, Della comunione legale, nel Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977,
p. 361. Sui
rapporti tra sistemi di comunione e sistemi di separazione in generale cfr. Fusaro, Sistemi
di comunione dei beni e sistemi a separazione, in Riv. dir. civ., 2001, p. 99 ss.
[2] Cfr. Oberto, Il
regime di separazione dei beni tra coniugi. Artt. 215-
[3] Di una « fuga verso la
separazione » parlano anche Sesta e Valignani, Il regime di
separazione dei beni, nel Trattato di
diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, III, Regime patrimoniale della famiglia, Milano, 2002, p. 460. Per
analoghe considerazioni v. anche Rimini, La tutela del coniuge più debole fra logiche assistenziali ed esigenze
compensative, in Fam. e dir.,
2008, p. 414.
[4] Oberto, I contratti della crisi
coniugale, I, Milano, 1999, p. 558 ss.; per analoghe considerazioni v.
anche Sesta, Titolarità e prova della
proprietà nel regime di separazione dei beni, in Familia, 2001, p. 871 ss.
[5] Sul
tema, che non può certo essere approfondito in questa sede, v. per tutti Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 483 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in
via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 171 ss.; Id.,
Contratto e famiglia, in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di V. Roppo, VI, Interferenze, a cura di V. Roppo,
Milano, 2006, p. 251 ss.; Id., Gli accordi preventivi sulla crisi coniugale,
in Familia, 2008, p. 25 ss.; Id., Per un intervento normativo in
tema di accordi preventivi sulla crisi della famiglia, in Aa. Vv.,
Accordi in vista della crisi dei rapporti
familiari, a cura di S. Landini e M. Palazzo, Biblioteca della Fondazione
Italiana del Notariato, n. 1-2018, Milano, 2018, p. 33 ss.; Balestra,
Gli accordi in vista del divorzio: la
Cassazione conferma il proprio orientamento, Commento a Cass., 14 giugno
2000, n. 8109 - Cass., 18 febbraio 2000, n.
[6] Sul
tema si fa rinvio per tutti a Oberto, L’autonomia negoziale nei rapporti
patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia, 2003, p.
617 ss., 655 ss.
[7] Barbagli, La scelta del regime patrimoniale,
in Aa.Vv., Lo stato delle
famiglie in Italia, a cura di M. Barbagli e C. Saraceno, Bologna, 1997, p.
105.
[8] Cfr. Cavallaro, Il regime di separazione dei beni fra i coniugi, Milano, 1997, p. 5
ss.
[9] Già
a dieci anni di distanza dalla riforma del diritto di famiglia Schlesinger,
I regimi patrimoniali della famiglia,
in La riforma del diritto di famiglia
dieci anni dopo. Bilanci e prospettive, Atti del convegno di Verona 14-15
giugno 1985, Padova, 1986, p. 121 ss. notava che la comunione veniva rifiutata
dal corpo sociale, almeno nelle famiglie che avevano una certa consistenza
economica e la cui attività era di carattere imprenditoriale. Nello stesso
senso cfr. E. Russo, L’oggetto della comunione legale e i beni personali. Artt. 177-
[10] Per
analoghe considerazioni v. anche E. Russo,
Le convenzioni matrimoniali. Artt. 159-166 bis, in Il codice civile, Commentario diretto da
P. Schlesinger, Milano, 2004, p. 504 ss., che parla al riguardo di « fuga » dal
regime di comunione legale. Per i richiami giurisprudenziali sulla questione di
cui al testo si rinvia a Oberto, Le convenzioni matrimoniali: lineamenti
della parte generale, in Fam. e dir.,
1995, p. 610 ss.
[11] Barbagli, op. cit., p. 106.
[12] Barbagli, op. loc. ultt. citt.
[13] Cfr. Istat, Matrimoni,
separazioni e divorzi 2003, Roma, 2006, p. 9, 50, 86 (tavole 1.1, 2.10,
2.11, 2.20), in www.istat.it.
[14] Cfr. i dati di cui al
rapporto Istat, in http://www.demo.istat.it.
Da tali risultati emerge che su 250.360
matrimoni celebrati in quell’anno 153.563 sono stati caratterizzati dalla scelta
per il regime di separazione, laddove solo 96.797 dalla comunione. Interessanti
poi i dati che incrociano il regime patrimoniale prescelto dai novelli sposi
con riguardo al titolo di studio di questi ultimi (cfr. Istat, op. cit.,
p. 50, tavola 2.11. V. inoltre, per il 2007, www.demo.istat.it). Da tali dati emergeva che, a livello nazionale,
il regime di separazione veniva già (maggioritariamente) prescelto dai laureati
con percentuali assai più elevate rispetto alla media generale e con un
rapporto nella media dai titolari di diploma di scuola media superiore, mentre
i possessori di licenza di scuola media inferiore o di scuola elementare
sceglievano (rectius, più
probabilmente: non sceglievano) ancora maggioritariamente il regime di
comunione.
[15] Per i dati relativi al 2007 cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 377 s.
[16] Più esattamente, in tale anno hanno deciso di
non scegliere il regime di separazione dei beni solo il 27% delle nuove coppie,
con un minimo regionale del 19,7% in Calabria ed un massimo pari al 34,6% in
Trentino-Alto Adige (cfr. http://demo.istat.it/altridati/matrimoni/2016/tav1_1.pdf).
[17] «
Il secondo fattore è l’aumento del numero delle separazioni legali e dei
divorzi, che ha fatto
nascere, in un numero crescente di coppie, il timore che anche il loro
matrimonio possa finire nell’aula di un tribunale.
Così, è la paura di dover cedere metà del patrimonio familiare ad un coniuge
con cui ci si è accorti in ritardo di non riuscire a vivere che spinge molti
sposi a preferire
il regime della separazione dei beni e molti dei loro genitori a consigliarli
in questo senso (...). È significativo, da questo punto di vista, che gli
strati della popolazione che sono alla testa del mutamento del regime
patrimoniale sono anche quelli che corrono più rischi di rompere
il matrimonio con un divorzio: i più secolarizzati, i più ricchi e i più
istruiti delle regioni settentrionali » (cfr. Barbagli,
op. cit., p. 105 ss.).
[18] Cfr. Lamboley e Laurens-Lamboley, Droit des régimes
matrimoniaux, Paris, 1998, p. 88 ss.: « Au sein des régimes conventionnels,
la séparation de biens occupe la première place, au regard des données statistiques
établies par le Conseil supérieur du notariat à la suite d’une enquête menée en
1973 auprès des notaires de France, représentant à elle seule plus de 53% des
contrats de mariage; la seconde place est occupé e par la communauté réduite
aux acquêts qui, bien qu’elle soit devenue communauté légale le 1er
février 1966, représente encore 29,38% des contrats de mariage; la troisième
place est occupé e par la communauté des meubles et acquêts qui continue de
subsister, puisque près de 10% des couples qui se marient avec contrat l’adopte
encore; la quatrième place est occupé e par la communauté universelle avec un
pourcentage de 5,78%. La participation aux acquêts ne recueille, quant à elle,
que 0,18% ». Interessante poi è il raffronto
con la situazione della stessa Francia a cavallo tra Ottocento e Novecento. Come attestato dalla dottrina
dell’epoca (cfr. Colin e Capitant, Cours
élémentaire de droit civil français, III, Paris, 1929, p. 247), la
separazione non era a quel tempo adottata che « par des époux déjà âgés,
possédant chacun une fortune personnelle, et n’espérant pas avoir d’enfants de
leur union, ou par des époux qui ont des enfants d’un premier lit. La
statistique de l’année 1898 nous révèle que sur les 82.346 contrats de mariage
rédigés au cours de cette année, 2.128 seulement ont adopté la séparation de
biens ». Gli Autori testé citati concludevano quindi rilevando che « Dans notre
pays, accoutumé par une longue tradition à la communauté, la séparation de
biens nous parait peu conforme à l’union que le mariage crée entre les époux ».
[19] Cfr. Brambring, Ehevertrag und
Vermögenszuordnung unter Ehegatten, München, 1997, p. 45.
[20] Cfr. Von Münch, Ehe-und
Familienrecht, München, 1996, p. 151.
[21] Sul
tema v. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 529 ss.; Id.,
«Prenuptial agreements in contemplation
of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi
coniugale, cit., p. 189 ss.; Id.,
Contratto e famiglia, cit., p. 251
ss.
[22] Per approfondimenti v. i rinvii
in Oberto,
La comunione coniugale nei suoi profili
di diritto comparato, internazionale ed europeo, in Dir. fam. pers., 2008, p. 367 ss.; Id.,
La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 377 ss.
[23] Cfr. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 23 ss.
[24] Cfr. la sentenza del 20 giugno 1612 riportata
in Giurba, Decisionum novissimarum Consistorii Sacrae Regiae Conscientiae Regni
Siciliae volumen primum, Panormi, 1621,
p. 398 ss.
[25] Cfr. Malaurie e Aynès, Les régimes matrimoniaux,
Paris, 2007, p. 89, p. 325 s.: « les époux peuvent adopter un régime
alternatif, c’est-à-dire différent suivant la cause de dissolution : décès ou
divorce. C’est l’objet de la clause de reprise dans une communauté universelle,
dite souvent ‘clause alsacienne’, prévoyant qu’en cas de divorce, les époux
pourront reprendre leurs apports. Techniquement, cette clause est un avantage
matrimonial, une clause de partage ; si bien qu’elle ne modifie pas le régime
de communauté universelle. En pratique, il s’agit bien d’en revenir à la
communauté d’acquêts, si le mariage est un échec ».
[26] Come rileva la dottrina transalpina, « en période de divortialité
galopante, on peut comprendre la préoccupation des époux de faire en sorte que
le bénéfice susceptible d’être tiré du régime matrimonial soit minimal en cas
de divorce et maximal en cas de décès. La clause de liquidation alternative
répond à cette attente (également dénommée clause alsacienne en raison de son
développement par les praticiens alsaciens en réponse à la fréquence de la
communauté universelle dans cette région, pour des raisons historiques). Elle
consiste, dans le cas d’une communauté universelle, à liquider celle-ci
différemment selon la cause de dissolution. En cas de dissolution par décès,
les règles de la communauté universelle s’appliquent. Au contraire, en cas de
dissolution par divorce, la liquidation est réalisée comme s’il s’agissait
d’une communauté réduite aux acquêts, par la possibilité offerte à chacun des
époux de reprendre ses “apports”, c’est-à dire les biens qui auraient été
propres en régime légal ou les biens non constitutifs d’acquêts »: così Brun-Wauthier, Régimes matrimoniaux et régimes patrimoniaux des couples non mariés,
Orléans, 2009, p. 267. Sulla clause alsacienne v. i
riferimenti in Oberto, La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 386, nota 171; II, cit., p. 1671, nota 198.
[27] Nel senso che «
Ne porte pas atteinte au principe de l’immutabilité des conventions
matrimoniales la clause par laquelle, dans le cadre d’un régime de communauté
universelle, chaque époux reprendrait, en cas de dissolution de la communauté
par divorce, les biens tombés dans la communauté de son chef » v. App. Colmar, 16 maggio
[28] La disposizione testé citata apre il varco a nuove audacie applicative,
sempre nel segno di un’ampliata libertà negoziale: « Dans l’hypothèse dans
laquelle les époux auraient prévu une communauté universelle avec attribution
intégrale au survivant, ils pourraient prévoir une double clause : une clause
de reprise des apports en cas de divorce et une clause d’exclusion de reprise
des apports en cas de décès. On pourrait, également, songer à la clause qui
exclurait, dans le contrat de mariage portant adoption du régime de
participation aux acquêts, le calcul de la créance de participation en cas de
dissolution du mariage par divorce. Les époux préféreront organiser par
anticipation une telle modulation, plutôt que d’opérer un changement de régime,
plus onéreux, durant leur mariage » (Brun-Wauthier,
op. loc. ultt. citt).
[29] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, in Blasi, Campione, Figone, Mecenate e Oberto, La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze – Legge 20 maggio 2016, n. 76, Torino, 2016, p. 30 ss.
[30] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 39 ss.
[31] Cfr. Oberto, «Divorzio breve», separazione legale e comunione legale tra coniugi, in Fam. e dir., 2015, p. 615 ss.
[32]
In senso favorevole cfr. Oberto, I
rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 55 s.; in senso analogo v.
anche M. Finocchiaro, Su richiesta le parti possono sottoscrivere
un «contratto», in Guida al dir.,
n. 25, 11 giugno 2016, p. 55; contra De Filippis,
Unioni civili e contratti di convivenza,
Padova, 2016, p. 228, per il quale « la separazione non è prevista per i
componenti delle unioni civili »; di identico avviso Casaburi, Le unioni
civili tra persone dello stesso sesso nella l. 20 maggio 2016 n. 76, Nota a
Trib. Roma, 3 maggio
[33] O, in alternativa, una delle altre fattispecie consensuali analiticamente descritte in Oberto, «Divorzio breve», separazione legale e comunione legale tra coniugi, cit., p. 624 ss., con particolare riferimento alla negoziazione assistita.
[34] Così Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 57 s.
[35] Per una loro descrizione cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 56 s.
[36]
In proposito si dovrà considerare che il comma 24 della l. n. 76/2016 citata
concede alle parti dell’unione civile di proporre domanda di scioglimento dopo
tre mesi dalla manifestazione di volontà di scioglimento da effettuarsi
(congiuntamente o disgiuntamente) dinanzi all’ufficiale dello stato civile.
Poiché, però, il successivo comma 25 richiama le norme sulla negoziazione
assistita, è da ritenere che la domanda di scioglimento vada proposta
congiuntamente allo stesso ufficiale dello stato civile, nel caso di procedura
ai sensi dell’art. 12, d.l. 12 settembre 2014, n. 132, conv. con modificazioni
in l. 10 novembre 2014, n. 162, ma che non sia esclusa la possibilità di
seguire la via della negoziazione assistita da avvocati, ai sensi dell’art. 6,
d.l. cit., o, addirittura, anche la procedura camerale descritta dal (pure
richiamato) art. 4, comma
[37] Così Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 56 ss.; sull’applicabilità della procedura ex art. 12 cit. cfr. anche M. Finocchiaro, Su richiesta le parti possono sottoscrivere un «contratto», cit., p. 56; sulle modalità del divorzio tra partners dell’unione civile v. inoltre De Filippis, Unioni civili e contratti di convivenza, cit., p. 228 ss.
[38] Cfr. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1767 ss., 1783 ss.; Id., «Divorzio breve», separazione legale e comunione legale tra coniugi, cit., p. 615 ss.
[39] Cfr. per i richiami storici Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 79, 299 ss. Da segnalare in particolare i riferimenti al pensiero di Lopez de Palacios Rubios (1450-1524), uno degli autori delle Leyes de Toro, che, nella sua opera dedicata alle donazioni tra coniugi, diede amplissimo spazio alla materia della communio o communicatio dei bona acquisita constante matrimonio, riferendo di una ricchissima serie di questioni, talune delle quali anche di sbalorditiva modernità, come, per l’appunto, l’applicazione dell’istituto ai concubinarii.
[40] Cfr. per tutti Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 92 ss.
[41] Da risolvere senz’altro in senso favorevole: cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 101 ss.
[42] Sul tema cfr. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1381 ss.
[43] Oberto, La comunione legale di fonte negoziale: riflessioni circa i rapporti tra legge e contratto nel momento genetico del regime patrimoniale tra coniugi, in Dir. fam. pers., 2011, p. 835 ss.
[44]
Cfr. Oberto,
I contratti di convivenza, Commento all’art. 1, commi 50-63, Legge 20
maggio 2016, n.
[45] Sulla circolare 1° giugno 2016, n. 7/2016 del Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli affari interni e territoriali – Direzione Centrale per i Servizi Demografici, cfr. Oberto, I contratti di convivenza, cit., p. 1398 ss.
[46] Oberto, I contratti di convivenza, cit., p. 1398 ss.
[47] Cfr. ad es. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 2169 ss.
[48] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 95.
[49] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 90 ss.
[50] Non senza problemi: cfr. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1681 ss.
[51] Vale la pena di riportare per esteso il contenuto di siffatte disposizioni:
« 59. Il contratto di
convivenza si risolve per: a) accordo delle parti; b) recesso
unilaterale; c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un
convivente ed altra persona; d) morte di uno dei contraenti.
60. La risoluzione per accordo
delle parti o per recesso unilaterale deve essere redatta nelle forme di cui al
comma 51. Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53,
lettera c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione
determina lo scioglimento della comunione medesima e si applicano, in quanto
compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI
del libro primo del codice civile. Resta in ogni caso ferma la competenza del
notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque
discendenti dal contratto di convivenza.
61. Nel caso di recesso unilaterale da un
contratto di convivenza il professionista che riceve o che autentica l’atto è
tenuto, oltre che agli adempimenti di cui al comma
[52] Per questi temi v., in relazione alla situazione anteriore alla novella di cui alla l. 6 maggio 2015, n. 55, Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1818 ss.; e, per la situazione successiva, Id., «Divorzio breve», separazione legale e comunione legale tra coniugi, cit., p. 615 ss.
[53] « 62. Nel caso di cui alla lettera c) del comma 59, il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all’altro contraente, nonché al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l’estratto di matrimonio o di unione civile.
63. Nel caso di cui alla lettera d) del comma 59, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l’estratto dell’atto di morte 11 affinché provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l’avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all’anagrafe del comune di residenza ».
[54] Cfr. sul tema Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1709 ss., 1718 ss., 1745 ss., 1777 ss., 1868 ss.
[55] Cfr. ad es. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Collana «Biblioteca del Diritto di Famiglia», Milano, 2000, p. 259 ss.
[56] Sul punto v. da ultimo, ad es., Cass., Sez. Un., 1° febbraio 2016, n. 2951, secondo cui « Il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta al titolare del diritto di proprietà al momento dell’evento dannoso, quale risulta anche da scrittura privata, salva cessione del credito ».
[57] Cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991, p. 260 ss.
[58] Con l’ovvia precisazione che
« riproduzione » non significa meccanica trasposizione degli istituti del
diritto matrimoniale, bensì creazione, per mezzo di un contratto e per quanto
possibile, di effetti analoghi. In quest’ottica v. già Funaioli, Sui rapporti patrimoniali della convivenza «more uxorio», in Riv. dir.
comm., 1941, II, p. 213 s.; contra Tedeschi,
Il regime patrimoniale della famiglia,
Torino, 1963, p. 442, secondo cui le particolarità proprie dei regimi matrimoniali
non potrebbero essere in alcun modo riprodotte nell’ambito di una convivenza more uxorio.
[59] Su cui v. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 2169 ss.; v. anche F.
Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu e
F. Messineo e continuato da L. Mengoni, I, Milano, 1979, p. 72.
[60] Quanto sopra era già stato chiaramente espresso, in termini identici, dall’autore di questo studio diversi anni or sono (Cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 262 ss., 268 ss.): sbalorditive appaiono dunque le asserzioni di chi, probabilmente senza aver letto il contributo citato, vorrebbe (impropriamente) imputare allo scrivente l’intento di… perseguire la « possibilità di fruire degli effetti cc.dd. esterni della comunione legale, quale l’automatica opponibilità del coacquisto, anche se trascritto in favore di un solo coniuge » (Cfr. de Scrilli, I patti di convivenza. Considerazioni generali, in Aa. Vv., Convivenza e situazioni di fatto, in Aa. Vv., Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, I, Famiglia e matrimonio, 1, Milano, 2002, p. 863.).
[61] Le gravi incertezze
interpretative cui ha dato luogo la norma citata circa l’individuazione dell’oggetto
della comunione legale sconsigliano in ogni caso il riferimento ad un concetto
generico come quello di « acquisto ». Sarà invece opportuno indicare quali
siano i diritti destinati a cadere in comunione, specificandone la natura (se
cioè reale o obbligatoria) e distinguendo a seconda del modo d’acquisto (se
cioè a titolo originario, derivativo, mortis
causa, ecc.). È comunque consigliabile elencare con esattezza anche quelle
categorie di rapporti che, in considerazione della loro natura personale, è opportuno
restino esclusi dalla comunione.
[62] « Meccanismo analogo a
quello di cui all’art. 1706 c.c. » (cfr. Oberto,
I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 265 ss.) non
significa, ovviamente, che il negozio di cui si discute abbia natura di
mandato senza rappresentanza, secondo l’equivoco su cui si basano i rilievi di del Prato, Patti di convivenza,
in Familia, 2002, p. 985, ad avviso
del quale lo schema di riferimento sarebbe quello del contratto preliminare.
Sul punto sarà appena il caso di rilevare come un contratto preliminare, per
effetto della disposizione di cui all’art. 1351 c.c., non possa concepirsi se
non in relazione ad un definitivo che sia predeterminato per ciò che attiene
non solo ai soggetti, ma anche all’oggetto; si tratta, dunque, di una
situazione non riscontrabile nel caso di specie.
[63] Elaborata, come noto, dalla
giurisprudenza di legittimità in tema di fideiussione omnibus (su cui v. ex multis Cass., 20 luglio 1989, n.
[64] Cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 260 ss.; Id., Contratto
e famiglia, cit., p. 377 ss. Aderiscono a siffatta impostazione Franzoni, I contratti tra conviventi
«more uxorio», in Riv. trim. dir.
proc. civ., 1994, p. 755; Sesta,
Diritto di famiglia, Padova, 2005, p. 415; Falletti, La famiglia
di fatto: la disciplina dei rapporti patrimoniali tra i conviventi, in Aa. Vv.,
Gli aspetti patrimoniali della famiglia.
I rapporti patrimoniali tra coniugi e conviventi nella fase fisiologica ed in
quella patologica, a cura di G. Oberto, Padova, 2011, p. 81 s.; Riccio, La famiglia di fatto, Padova, 2007, p. 459; Arcani, I negozi
patrimoniali nella convivenza, in Aa.
Vv., Il regime patrimoniale della famiglia, a cura di Arceri e
Bernardini, Santarcangelo di Romagna, 2009, p. 912 s.; Gremigni Francini, Autonomia
privata e famiglia di fatto, in Aa.
Vv., La famiglia e il diritto fra diversità nazionali ed iniziative
dell’Unione Europea, a cura di D. Amram e A. D’Angelo, Padova, 2011, p. 348
s.
[65] Monteverde, La convivenza more uxorio, in Aa.
Vv., Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, I,
Famiglia e matrimonio, 2, Torino,
2007, p. 952.
[66] Cfr.
sempre Monteverde, op. cit., p. 952.
[67] Sul punto v. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 386 ss., 397 ss., 859 ss., II, cit., p. 2010 ss.
[68] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 2105 ss.
[69] Cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, Comunione legale, contratto di convivenza e
circolazione dei beni dopo la legge Cirinnà, Studio Civilistico n.
196-2017/C, Approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 24 gennaio
[70] Per non dire poi del fatto
che, in assenza della specificazione dei beni oggetto dei negozi da
trascrivere, non sarebbe neppure individuabile la conservatoria (ora ufficio
del territorio) territorialmente competente.
[71] Su questi temi v. già Oberto, I regimi
patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 268 s.
[72] Sul problema
dell’alienabilità della quota di pertinenza di ciascun coniuge in regime di
comunione legale v. per tutti Oberto,
La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 315 ss.; cfr. inoltre Busnelli,
La «comunione legale» nel diritto
di famiglia riformato, in Riv. notar.,
1976, I, p. 42; Schlesinger, Della comunione legale, cit.,
p. 365 s.
[73] Alla trascrivibilità del
patto previsto dall’art. 1379 c.c. si oppongono non soltanto il carattere
speciale di questa disposizione, ma anche la tassatività delle ipotesi in cui
la pubblicità ex artt. 2643 ss. c.c.
è consentita (su quest’ultimo argomento cfr. Cass., 18 febbraio 1963, n.
[74] Per alcuni esempi v. la formula della Direction
de la recherche et de
l’information
de la Chambre des notaires
du Québec (in Aa. Vv., Couple et modernité, 84ème congrès des notaires de France, La Baule, 29 mai - 1er juin 1988, Malesherbes, 1988, p. 516 ss.); cfr. inoltre Weitzman,
Legal Regulation of Marriage: Tradition
and Change, in California
Law Review, 62, 1974, p. 1251.
[75] Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 270 s.
[76] Cfr. la formula della Direction de la recherche et de l’information
de la Chambre des notaires
du Québec (in Aa. Vv., Couple et modernité, 84ème congrès des notaires de France, cit., p. 514), nonché il
cosiddetto « modello di Leida », redatto, negli anni Ottanta dello scorso
secolo, sotto la direzione del prof. Van Mourik da un gruppo di studenti
dell’Università di quella città (ivi,
p. 524).
[77] Per la negativa v. Cass., 18
gennaio 1968, n.
[78] Secondo quanto suggerito dalla formula della Direction de la recherche
et de l’information de la Chambre
des notaires du Québec (in Aa. Vv., Couple et modernité,
84ème congrès des notaires de France, cit., p. 519)
e dal « modello di Leida » (cfr. art. 6, primo comma, ivi, p. 523).
[79] Cfr. Coirard, La famille dans le code civil (1804-1904),
Paris, 1907, p. 143.
[80] Come poteva ancora risultare nel 1995,
secondo quanto suggerito da Bocchini,
La comunione legale: un istituto da
incentivare, in Fam. e dir.,
1995, p. 500 ss.
[81] Così E.
Russo, L’oggetto della comunione
legale e i beni personali, cit., p. 6.
[82] Così Brun-Wauthier,
Régimes matrimoniaux et régimes
patrimoniaux des couples non mariés, cit., p. 242.
[83] Così sempre Brun-Wauthier, Régimes
matrimoniaux et régimes patrimoniaux des couples non mariés, loc. ult. cit.
[84] Cfr. Drucksache 635/08 – Entwurf eines Gesetzes zur Änderung des Zugewinnausgleichs- und Vormundschaftsrechts – Begründung, p. 15 ss. (testo disponibile alla pagina web seguente: http://www.bmj.bund.de/files/-/3239/RegE_Gueterrecht.pdf): « Aus der gleichberechtigten Lebens- und Wirtschaftsgemeinschaft der Ehegatten leitet sich der Gedanke ab, dass beide Ehegatten während der Ehe ihre Fähigkeiten und Möglichkeiten gemeinsam einsetzen und damit das während der Ehe erwirtschaftete Vermögen grundsätzlich gemeinsam erarbeiten. Dieser Ansatz ist auch knapp 50 Jahre nach dem Inkrafttreten des geltenden Güterrechts am 1. Juli 1958 unverändert tragfähig. Er orientiert sich an der Ehe mit unterschiedlicher Aufgabenverteilung, in der der Ehegatte, der selbst nicht oder in eingeschränktem Maße beruflich tätig war, dem anderen jedoch die volle Teilhabe am Berufsleben ermöglichte, an dem Gewinn des anderen beteiligt wird ». Sulla riforma tedesca di cui al testo v. anche Cubeddu, Modelli uniformi di regime patrimoniale convenzionale, in S. Patti e M.G. Cubeddu, Introduzione al diritto della famiglia in Europa, Milano, 2008, p. 262 ss.
[85] Cfr. la modifica dell’art. 191 c.c. operata dalla l. 6 maggio 2015, n. 55, su cui si fa rinvio per tutti a Oberto, «Divorzio breve», separazione legale e comunione legale tra coniugi, cit., p. 615 ss.; v. anche Valongo, Lo scioglimento della comunione legale nelle recenti leggi in materia di diritto di famiglia, in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 1190 ss., 1192 ss.
[86] Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 903 ss.
[87] Al momento dell’entrata in
vigore della riforma del 1975, rimarcava Scognamiglio,
Il principio di eguaglianza morale e
giuridica dei coniugi, in Aa. Vv., Eguaglianza
morale e giuridica dei coniugi: atti di un convegno di studi, Napoli, 1975,
p. 186 ss., che « Il sistema che ne risulta, oltre a creare impacci e
difficoltà alla libera circolazione dei beni, potrebbe apparire in certa misura
contraddittorio con la concezione della famiglia nucleare ed affettiva, che non
vuole o non può accumulare un patrimonio ed appare piuttosto impegnata a
realizzare un adeguato tenore di vita per i suoi membri, spendendo giorno per
giorno i frutti del lavoro del marito o dei coniugi o addirittura anticipando
le spese sugli introiti, con il ricorso sempre più diffuso agli acquisti
rateizzati ». Secondo tale Autore il sistema oggi in vigore potrebbe inoltre «
costituire un’ulteriore spinta a consumo da parte del coniuge che guadagna. E
questo senza dire della pratica difficoltà di controllo e di contestazione
sull’attività e sui guadagni del coniuge privilegiato ». Anche Riva, La comunione legale, Padova, 2007, p. 56, lamenta la mancata
previsione di cautele contro l’eventuale attività dispositiva del coniuge sui
propri redditi. Il tema è stato sviluppato in Oberto,
La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 903 ss., nonché (anche per l’indicazione di possibili rimedi in fase
cautelare) p. 2284 ss.
[88] Definisce il tema della determinazione
dell’oggetto della comunione legale « una delle grandi questioni aperte o
irrisolte del nuovo diritto di famiglia » E.
Russo, L’oggetto della comunione
legale e i beni personali,
cit., p. 5.
[89] Sulle critiche dottrinali alla formula in oggetto,
con riferimento al progetto approvato dalla Camera il 1° dicembre 1971, cfr. Nicolò, Osservazioni generali, in Aa.
Vv., La riforma del diritto di
famiglia. Atti del 2. Convegno di Venezia svolto presso
[90] Per l’indicazione dei principali, estremamente complessi, nodi ermeneutici che andrebbero legislativamente sciolti si fa rinvio a Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 2329 ss.
[91] Secondo quanto suggerito in Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1381 ss., 1423 ss.
[92] V. in dettaglio Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1423 ss.
[93] Il tema è stato affrontato in Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 2169 ss.
[94] Uno dei principali
incentivi all’effettuazione di una siffatta previsione potrebbe essere
costituito dall’imputazione per quote paritarie dei redditi da lavoro, con
conseguente fruizione dell’aliquota più bassa, nell’ipotesi di famiglia
monoreddito o comunque in cui il divario tra i redditi da lavoro dei coniugi
sia consistente. Attualmente una siffatta conclusione cozza con il dato
normativo. L’art.
[95] Su cui v. i richiami in Bocchini, La comunione legale: un istituto da incentivare, cit., p. 507.
[96] Cfr. Corte cost., 15 luglio 1976, n. 179.
[97] Cfr. Bocchini,
op. loc. ultt. citt.; Scalinci, op. loc. ultt. citt. Nell’ambito della sterminata mole di studi di
tipo economico e tributario sul tema del « quoziente familiare » v. per tutti Rapallini, Il quoziente familiare: valutazione di un’ipotesi di riforma
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, disponibile al seguente
indirizzo web: https://www.unite.it/UniTE/Engine/RAServeFile.php/f/File_Prof/PACE_383/Rapallini_Quoziente_familiare.pdf.
[98] Così Bocchini,
La comunione legale: un istituto da
incentivare, cit., p. 508.
[99] Cfr. Bocchini,
op. loc. ultt. citt.
[100] Cfr. Brun-Wauthier, Régimes matrimoniaux et régimes patrimoniaux des couples non mariés, cit., p. 4. Allo « scandalo » mostrato in proposito dalla dottrina transalpina potrebbe però replicarsi che, per una coppia che non avesse proceduto all’acquisto di immobili in costanza di matrimonio, il risultato finale non sarebbe stato poi così difforme da quello determinato dalla presenza di un regime di comunione universale.
[101] Cfr. Brazier,
Réforme du divorce : améliorer ou trahir
la loi de 1975 ?, in Gaz. Pal.,
1999, doctr., 1, p. 710.
[102] Osserva Galgano, La comunione dei beni fra coniugi a trent’anni dalla sua introduzione, in Contratto e impresa, 2005, p. 1007, che il « mutamento della giurisprudenza, che esclude l’autonomia contrattuale dei coniugi in comunione dei beni e introduce quegli elementi di “forzosità” della comunione che in precedenza aveva negato, non giova certo alla causa di chi vuole contrastare le unioni libere ». L’illustre Autore paventava, dunque, più ancora che una « fuga dalla comunione », una « fuga dal matrimonio »: e non può certo dirsi che i dati statistici gli abbiano dato torto.
[103] Per un approfondimento del tema delle
clausole accessorie al regime di comunione in vista dello scioglimento del
matrimonio nel diritto consuetudinario francese (préciput, forfait de communauté, reprise de
l’apport de la femme) si fa rinvio a Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 87 ss.; Id., Gli accordi sulle conseguenze
patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella
prospettiva storica, Nota a
Cass., 20 marzo 1998, n.
[104] La clausola, impropriamente definita clause commerciale, costituisce
eccezione al divieto dei patti successori: cfr. artt. 1390 s. c.c. fr., su cui cfr. Terré e Simler,
op. cit., p. 534 ss.; sulla libertà
contrattuale dei coniugi nella determinazione di clausole accessorie al regime
legale v. anche Terré e Simler, op. cit., p. 190 s.; Malaurie
e Aynès, Les régimes matrimoniaux, Paris, 2007, p. 81 ss., 319 ss.
[105] Si tratta della clausola conosciuta in
Francia come di prélèvement moyennant
indemnité (art. 1497 c.c. fr.),
su cui v. Terré e Simler, op. cit., p. 542 ss.
[106] Si tratta della clausola
detta di préciput (art. 1497 c.c.: il
termine era tradotto come « precapienza » da Finocchiaro-Sartorio, La comunione dei beni tra coniugi nella storia del diritto italiano,
Milano-Palermo-Napoli, 1902, p. 238, ma potrebbe oggi essere reso con quello « prelievo »), su cui
cfr. Terré e Simler, op. cit., p. 546 ss., i quali osservano che tale intesa « rompt
l’égalité dans le partage ». Sul préciput nel Code Napoléon v.
per tutti Dalloz, voce Contrat de mariage, in Jurisprudence générale. Répertoire méthodique et
alphabétique de législation de doctrine et de jurisprudence, XIII, Paris,
1852, p. 555 ss.
[107] Si tratta della già
ricordata « clause alsacienne », su cui v. supra,
§ 2. Sulla clausola di reprise
de l’apport franc et quitte nel Code
Napoléon v. per tutti Dalloz, voce Contrat
de mariage, cit., p. 547 ss.
[108] Si tratta delle
clausole dette di stipulation de parts
inégales e di attribution de la totalité
de la communauté au survivant (cfr. art. 1497 c.c. fr.), su cui v. Terré
e Simler, op. cit., p. 549 ss.; Malaurie
e Aynès, Les régimes matrimoniaux, cit., p. 323 s.
[109] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 2018 ss. Per un’analoga proposta cfr. E. Quadri, Regime patrimoniale e autonomia dei coniugi, in Dir. fam. pers., 2006, II, p. 1822. Da notare che l’introduzione di criteri di quantificazione non paritaria delle quote è stata prospettata proprio al fine di equilibrare l’autonomia degli interessati e a salvaguardia delle esigenze perequative: cfr. Oppo, Autonomia negoziale e regolamento tipico nei rapporti patrimoniali tra coniugi, cit., p. 24.
[110] La clausola, detta di forfait de communauté, ammessa espressamente dal Code prima della riforma del 1965 (sulla
scorta, come si è detto, della tradizione del droit coutumier), è ritenuta valida ancora oggi: cfr. Terré e Simler,
op. cit., p. 541; Cornu, Les régimes matrimoniaux, Paris, 1995, p. 715. Peraltro,
rilevano Terré e Simler, op. loc. ultt. citt., « à une époque de plus forte dépréciation
monétaire et de moindre stabilité des fortunes, une telle clause, d’ailleurs
très rare avant 1965, représenterait un pari insensé ».
[111] Il modello viene suggerito ex multis in Francia da Brun-Wauthier, Régimes matrimoniaux et régimes patrimoniaux des couples non mariés, cit., p. 288 ss., sulla base di una risalente tradizione (da notare che la figura di cui qui si riferisce non va confusa con l’omonimo regime legale del Québec, che prevede una caduta in comunione solo differita al momento dello scioglimento, laddove l’Autrice qui citata ha in mente un’ipotesi di contitolarità immediata, ancorchè limitata a determinate categorie d’acquisti). Si pensi alla clausola con la quale, sotto il regime legale della comunione dei mobili e degli acquisti (e dunque prima della riforma del 1965), i coniugi d’Oltralpe optavano per la (semplice) communauté d’acquêts (o communauté réduite aux acquêts), mercé un contratto nel quale, pur dichiarando di scegliere il regime legale, gli stessi vi eccettuavano tutti i beni mobili presenti, nonché quelli futuri, destinati a pervenire a titolo di successione o donazione (cfr. ad es. Planiol, Traité élémentaire de droit civil, III, Paris, 1924, p. 100 ss.). Sotto il vigore del regime legale attuale (che già esclude i beni mobili di cui i coniugi siano titolari, nonché quelli destinati ad essere acquistati per donazione o successione) una simile intesa potrebbe essere utilizzata per escludere dalla caduta in comunione, ad esempio, tutti i (o determinate categorie di) mobili (o, per converso) gli immobili (o determinate categorie di immobili) acquisendi in constanza d’unione. Siffatto risultato è sicuramente già realizzabile (anche) in Italia (cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1102 ss., 1688 ss., 2246 ss.). Un’esplicita previsione della fattispecie a livello normativo potrebbe peraltro svolgere una funzione « promozionale » di soluzioni diverse da quella puramente e semplicemente separatista.
[112] Cfr. Bocchini, La comunione legale: un istituto da incentivare, cit., p. 503, il
quale soggiunge che non « può valere, a
contrario, la considerazione che in tal modo si finirebbe col sacrificare
il coniuge più debole, esposto ad un progressivo svuotamento (del contenuto)
della comunione legale quante volte lo stesso non sia in grado di negare il
proprio consenso alla richiesta di riduzione dell’oggetto della comunione
legale. Se il coniuge in parola non è in grado di opporsi al tentativo di
circoscrivere l’oggetto della comunione legale, evidentemente non ha neppure la
forza di opporsi alla stipula di una convenzione di separazione dei beni! La
salvaguardia del coniuge più debole, in relazione al momento distributivo della
ricchezza, si è in realtà spuntata con l’affidare sostanzialmente alla sola
forza del consenso la tutela della sua posizione: mentre è vero che la
formazione del consenso – come è ormai esperienza ricevuta – si lega di sovente
a motivazioni di carattere socio-economico sulle quali bisogna incidere se si
vuole garantirne l’effettiva libertà di svolgimento. Allo stato, il favor della novella del 1975 per la
comunione dei beni sollecita una interpretazione che tenda a dilatare e non a
restringere le maglie della comunione legale: la possibilità di avvalersi – nei
limiti fissati dalla legge – di un regime di comunione funzionale alle esigenze
dello specifico nucleo familiare, specialmente in relazione alla determinazione
dell’oggetto della comunione, potrà spesso evitare che la coppia (ovvero la
forza del consenso... di uno dei coniugi) più facilmente si indirizzi verso la
separazione dei beni, secondo uno standard
che del resto è in continua ascesa ».
[113] Per la soluzione francese cfr. Terré e Simler,
op. cit., p. 402 ss.
[114] In questo senso cfr. E. Quadri, Regime patrimoniale e autonomia dei coniugi, in Dir. fam. pers., 2006, II, p. 1821.
[115] Cfr. Oberto, La comunione coniugale nei suoi profili di diritto comparato, internazionale ed europeo, cit., p. 367 ss.; Id., La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 377 ss.
[116] Per ulteriori informazioni
e rinvii al riguardo cfr. Oberto, Breve prontuario per le cause che presentano
elementi di estraneità (questioni processuali), disponibile al sito web seguente: http://giacomooberto.com/prontuario.htm#par23d,
nonché Stürner, Il regime patrimoniale convenzionale
franco-tedesco come modello per l’armonizzazione del diritto europeo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 888
ss.