Giacomo Oberto

 

I PATTI PREMATRIMONIALI NEL QUADRO DEL DIRITTO EUROPEO

 

Sommario: 1. Introduzione. Il diritto di famiglia nel prisma del diritto internazionale privato. Patti prematrimoniali e ordine pubblico internazionale. – 2. La «lezione» del diritto eurounitario. Autoresponsabilità e autonomia contrattuale dei coniugi, anche in via preventiva, nei regolamenti UE. – 3. Il trattamento internazionalprivatistico dei patti prematrimoniali in vista del divorzio e il problema del dépeçage: profili «alimentari» vs. profili «di regime». – 4. Segue. Ancora sulle difficoltà della distinzione tra profili «alimentari» e profili «di regime» nei patti prematrimoniali. – 5. Ulteriori particolarità del dépeçage dei patti prematrimoniali in vista del divorzio: alla ricerca di un comune denominatore internazionalprivatistico tra le varie possibili clausole di un patto prematrimoniale. – 6. Limiti e rimedi al dépeçage dei patti prematrimoniali. – 7. Il trattamento internazionalprivatistico dei patti «pre-unione civile».

 

1. Introduzione. Il diritto di famiglia nel prisma del diritto internazionale privato. Patti prematrimoniali e ordine pubblico internazionale.

 

L’applicazione dell’ottica internazionalprivatistica ai settori giusfamiliari è venuta ad offrire nel corso degli ultimi anni spunti sempre più interessanti, anche per il cultore del diritto materiale interno e comparato e l’argomento dei patti (o accordi, o contratti) prematrimoniali stipulati in vista di un’eventuale crisi del rapporto affettivo non si sottrae certo a questa osservazione. L’autore del presente studio ricorda che, sin dal suo primo accostarsi alle questioni legate alla predeterminazione per via  negoziale delle conseguenze patrimoniali della separazione e del divorzio [1], ebbe modo di imbattersi in un caso in cui la Suprema Corte italiana era stata chiamata (correva l’anno 1984) a pronunziarsi sulla compatibilità di un contratto statunitense in contemplation of divorce con i principi del nostro ordine pubblico internazionale.

Quella decisione ha costituito, per così dire, il prodromo di una serie di «contatti» e «dialoghi», non sempre agevoli, tra esperienze e visioni diverse, o, se vogliamo, tra soluzioni collaudate all’estero per le crisi familiari, da un lato, ed una cultura giuridica, dall’altro, che, come la nostra, sembra aver smarrito la consapevolezza del fatto che la concezione negoziale in via preventiva dei rapporti inter coniuges costituisce parte integrante anche della più genuina tradizione romanistica [2]. Un’ottica, quest’ultima, che la Cassazione italiana ancora oggi preferisce invece rigettare, senza troppi complimenti, come «aliena» [3].

Va detto, a questo punto, che il principio di diritto internazionale privato stabilito dalla nostra giurisprudenza nella sentenza sopra citata conserva oggi sicura validità ed attualità.

Secondo tale decisione, invero, «L’accordo, rivolto a regolamentare, in previsione di futuro divorzio, i rapporti patrimoniali fra coniugi, che sia stato stipulato fra cittadini stranieri (nella specie, statunitensi) sposati all’estero e residenti in Italia, e che risulti valido secondo la legge nazionale dei medesimi (applicabile ai sensi degli artt. 19 e 20 delle disposizioni sulla legge in generale), è operante in Italia, senza necessità di omologazione o recepimento delle sue clausole in un provvedimento giurisdizionale, tenuto conto che l’ordine pubblico, posto dall’art. 31 delle citate disposizioni come limite all’efficacia delle convenzioni fra stranieri, riguarda l’ordine pubblico cosiddetto internazionale, e che in tale nozione non può essere incluso il principio dell’ordinamento italiano, circa l’invalidità di un accordo di tipo preventivo fra i coniugi sui rapporti patrimoniali successivi al divorzio, il quale attiene all’ordine pubblico interno e trova conseguente applicazione solo per il matrimonio celebrato secondo l’ordinamento italiano e fra cittadini italiani» [4].

Compiuti gli opportuni adattamenti alla situazione normativa attuale [5] e depurata la massima dal richiamo al principio (erroneamente dato per scontato) secondo cui gli accordi prematrimoniali inevitabilmente si porrebbero in contrasto con l’ordine pubblico interno, la regola fondamentale della non contrarietà degli accordi prematrimoniali «stranieri» rispetto al nostro ordine pubblico internazionale resta assolutamente intatta [6]. Il che costituisce una conclusione di non poco rilievo, a fronte del fatto che la soglia dell’ordine pubblico internazionale continua a permanere, anche nella produzione normativa eurounitaria più recente, sia quale limite all’applicazione della legge prescelta dinanzi al foro (così, ad es., l’art. 31 dei «regolamenti gemelli», nn. 1103 e 1104 del 2016 – in materia, rispettivamente, di regimi patrimoniali tra coniugi e di rapporti patrimoniali tra partner di un’unione registrata [7] – e l’art. 12 del regolamento n. 1259 del 2010, sulla legge applicabile alla separazione e al divorzio), sia quale motivo ostativo alla circolazione di una decisione o di un atto pubblico (artt. 37 e 59 dei citati «regolamenti gemelli», nn. 1103 e 1104 del 2016), sebbene in forma, per così dire, attenuata [8].

Non solo. Come si avrà modo di constatare tra breve, il principio appena citato, circa la non contrarietà degli accordi prematrimoniali «alieni» rispetto al nostro ordine pubblico internazionale, costituisce uno dei pochi punti fermi del settore in esame, caratterizzato dalle notevoli incertezze legate alla difficoltà di ricostruzione di un mosaico normativo quanto mai complesso. Un punto fermo che trova adeguato pendant in uno dei sistemi stranieri a noi più vicini, vale a dire quello francese. Pure oltralpe è, infatti, pacifico che un contratto matrimoniale sulla prestation compensatoire, anche nel caso di rinunzia anticipata alla stessa, non è contrario all’ordre public international [9].

Da notare che, per la cronaca, nel diritto interno francese si ritiene comunemente che analogo contratto, ove non caratterizzato da elementi di estraneità, sia invece nullo, similmente a quanto deciso dalla nostra giurisprudenza di legittimità; ciò, peraltro, con la non trascurabile differenza per cui oltralpe (contrariamente rispetto a noi) non fanno difetto disposizioni che chiaramente danno ad intendere che colà la prestation compensatoire non è disponibile. Si veda, ad esempio, quanto stabilito dall’art. 278 cpv. del Code Civil, a mente del quale il giudice può rifiutare l’omologa dell’accordo sulla prestation compensatoire nel caso di divorce par consentement mutuel, nel caso in cui l’accordo «fixe inéquitablement les droits et obligations des époux», laddove analogo potere compete ai tribunali italiani solo ed esclusivamente a condizione che l’accordo concerna la prole minorenne. Constatazione, questa, da cui appare agevole ricavare la piena disponibilità, da noi, dell’assegno inter coniuges [10], come del resto finalmente riconosciuto anche dalle Sezioni Unite nel 2018 [11].

Non deve poi trascurarsi il fatto che lo sfavore del diritto francese (interno) nei confronti dei patti prematrimoniali sull’assegno divorzile è ampiamente controbilanciato dall’assoluto favore dello stesso sistema per la predeterminazione delle conseguenze patrimoniali dello scioglimento del regime patrimoniale in caso di divorzio. Ciò è dimostrato, a tacer d’altro, dall’apprezzamento di cui godono in Francia la clausola alsaziana [12], nonché tutte quelle altre clausole che, nel regime di communauté légale, consentono al notaio, in sede di stipula del contrat de mariage, di adattare il regime legale alle esigenze di ogni singola coppia, attraverso un accorto sistema di aménagement contractuel della comunione in vista del momento del suo scioglimento. Tutto questo, si badi, sulla scorta di una tradizione vecchia di diversi secoli [13].

 

 

2. La «lezione» del diritto eurounitario. Autoresponsabilità e autonomia contrattuale dei coniugi, anche in via preventiva, nei regolamenti UE.

 

Venendo ora ad accostarci al tema dei rapporti tra diritto internazionale privato di fonte eurounitaria e contratti prematrimoniali, osserviamo subito che tale normativa, cui si fa riferimento nel presente §, assume vieppiù un ruolo fondamentale, anche e soprattutto per i suoi inevitabili riflessi interni.

La «lezione» che il diritto europeo di famiglia [14] ci impartisce, infatti, è quella secondo cui i problemi giuridici transnazionali della crisi di coppia vanno affrontati alla luce del principio di autoresponsabilità e di autonomia contrattuale. Un’autonomia, si badi, che può essere esercitata non solo al momento della crisi, ma anche prima di essa, sin dal momento della costituzione del vincolo personale. Tale principio, in verità, fa capolino in tutti gli strumenti di fonte eurounitaria volti a trattare speciali profili dei rapporti endofamiliari. Ci si riferisce, qui, ovviamente, in primis, al regolamento conosciuto come «Bruxelles II-bis», o, più esattamente, regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, «relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 [15]».

Altro strumento fondamentale in questa materia è il regolamento n. 1259 del 2010 (conosciuto anche come «Roma III»), relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale.

Si dovrà poi citare il regolamento n. 4/2009 del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari.

Infine, particolare menzione meritano i già ricordati «regolamenti gemelli» n. 1103 e n. 1104 entrambi del 2016: questi ultimi (come del resto quello sulle obbligazioni alimentari) di natura «doppia», essendo diretti, come tali, a disciplinare ad un tempo la competenza giurisdizionale e la circolazione delle decisioni, nonché la legge applicabile [16], rispettivamente con riferimento al regime patrimoniale tra coniugi e agli effetti patrimoniali delle unioni civili registrate. 

Ora, si afferma un’ovvietà quando si rimarca che l’ «impatto» dei nostri principi con accordi prematrimoniali stranieri è comunque destinato ad aumentare, in considerazione, da un lato, dell’incremento dei matrimoni (e delle unioni civili) con cittadini stranieri (o, in ogni caso, delle unioni caratterizzate dalla presenza di un elemento di estraneità), e, dall’altro, per via del correlato aumento del numero delle procedure conseguenti alla crisi di tali vincoli. Ciò è vero al punto che, ad esempio, il Consiglio Nazionale del Notariato si è sentito in dovere di elaborare un parere (in senso favorevole, nelle proprie conclusioni) sulla possibilità di estendere il trattamento italiano di esenzione per gli atti relativi alle separazioni ed ai divorzi anche ai trasferimenti (attratti alla disciplina fiscale italiana) che avvengano tra stranieri in relazione a separazioni e divorzi perfezionati secondo le regole degli ordinamenti competenti per i loro rapporti personali [17]. Ennesima riprova, questa, del fatto che alla prevedibile esplosione del contenzioso familiare cross border si può rispondere in modo adeguato solo puntando (esattamente come per i conflitti puramente «interni») sull’idea della negozialità [18].

Una negozialità che, in taluni casi, assume aspetti particolarmente incisivi, come quando, ad esempio, si concede ai coniugi di decidere se attribuire o meno effetto retroattivo alla scelta di un determinato regime patrimoniale, ai sensi dell’art. 22, par. 2 e 3 di ciascuno dei due «regolamenti gemelli» [19].

In questo contesto va considerato che il ricordato principio di autoresponsabilità ed autonomia delle parti aveva trovato nel diritto internazionale privato italiano una sua prima consacrazione già nell’art. 30, l. 218/1995, il quale consentiva ai coniugi, a mezzo di una convenzione scritta, di derogare al criterio fissato per l’individuazione della disciplina applicabile ai rapporti personali. Nello stesso senso andavano anche gli artt. 22 ss. della medesima legge [20].

La regola non ha fatto che svilupparsi nella legislazione di fonte comunitaria.

Così, il già ricordato regolamento n. 1103 del 2016 permette espressamente che l’accordo sulla legge applicabile al regime patrimoniale venga concluso prima del matrimonio, come previsto dal relativo considerando n. 45 [21], nonché dall’art. 22 del regolamento citato, che consente tale accordo non solo ai coniugi, ma anche ai «nubendi» [22].

In modo del tutto analogo, anche il regolamento in tema di legge applicabile alle cause transnazionali di separazione e divorzio (il già ricordato «Roma III») prevede l’attribuzione di un ruolo senza precedenti all’accordo delle parti sulla designazione della legge. Un accordo, questo, la cui limitazione temporale viene individuata «al più tardi al momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale» (cfr. art. 5, par. 2, regolamento n. 1259 del 2010 cit.). Ora, proprio la mancata fissazione di un dies a quo per il raggiungimento di siffatta intesa autorizza a ritenere che la stessa possa essere raggiunta già al momento della celebrazione delle nozze [23]. Da quanto appena detto sembra derivare, dunque, un’ulteriore conferma dell’ammissibilità dei contratti prematrimoniali, se non addirittura un incoraggiamento alla conclusione degli stessi [24].

Ma, al di là di quanto appena osservato, ciò che poi appare molto importante ai fini della presente indagine è l’osservazione per cui – oltre al fatto di concedere la possibilità di raggiungere in via preventiva un’intesa sulla legge applicabile a determinati rapporti endofamiliari – il diritto europeo della famiglia lascia vistosamente trapelare il fatto che esso presuppone, addirittura, e dà assolutamente per scontata la validità, sul piano del diritto materiale interno dei Paesi membri, di patti prenuziali in vista del divorzio.

Si veda ad esempio quanto stabilito dall’art. 3 del già citato regolamento n. 1103 del 2016, laddove, dal combinato disposto delle lett. b) ed a), emerge con chiarezza che (non solo, come si è detto, la scelta della legge applicabile, ma anche) la «convenzione matrimoniale» (intesa come «qualsiasi accordo» con cui le parti «organizzano il loro regime patrimoniale») ben può essere stipulata non solo tra coniugi, ma anche tra «nubendi» (e, dunque, prima delle nozze), al precipuo fine di regolare i rapporti patrimoniali tra le parti e rispetto ai terzi, in conseguenza non solo del matrimonio, ma anche «del suo scioglimento» [25]. Lo stesso principio appare desumibile dall’art. 27, laddove si afferma espressamente che l’accordo sulla legge applicabile determina, tra l’altro (cfr. la relativa lett. e, lo scioglimento del regime patrimoniale tra coniugi e la divisione, distribuzione o liquidazione dei beni [26].

Il principio appena ricordato trova poi una sua eco significativa nel regolamento «parallelo» sui rapporti patrimoniali in seno alle unioni registrate: strumento, questo, come si dirà [27], applicabile, alle nostre unioni civili caratterizzate da uno o più elementi di internazionalità. Ed infatti, il regolamento n. 1104 del 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate, pur riferibile a situazioni diverse da quelle matrimoniali, ma certamente ascrivibili alla costellazione familiare, richiama più volte gli accordi «tra futuri partner», così manifestando chiaramente un favore verso la pattuizione preventiva dei citati effetti patrimoniali: cfr. art. 3, par. 1, lett. c); art. 22, par. 1; art. 22, par. 1, lett. a) e b). E che tra tali effetti patrimoniali possano rientrare anche quelli collegati allo scioglimento dell’unione affettiva è ulteriormente reso chiaro dal par. 1, lett. b), del citato art. 3 [28].

Nel sistema del regolamento in questione appare, dunque, lampante che una «convenzione tra partner» è un accordo che ben può essere concluso (addirittura!) prima dell’inizio della unione registrata e ben può avere ad oggetto (anche, o solo) la divisione, distribuzione o liquidazione dei beni all’atto dello scioglimento dell’unione registrata [29].

Tornando alla questione della predeterminazione del diritto applicabile, deve constatarsi che la possibilità di fissare ex ante quale sarà il diritto applicabile a svariati aspetti dell’unione coniugale (o della sua crisi) appare costituire un dato ormai costante nella normativa internazionalprivatistica. Oltre ai casi già citati della legge applicabile alla separazione e al divorzio, nonché della scelta della legge applicabile al regime patrimoniale, potrà infatti farsi menzione dell’art. 8 del protocollo dell’Aia del 23 novembre 2007, relativo alla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, a sua volta richiamato dall’art. 15 del regolamento n. 4 del 2009 sulle obbligazioni alimentari. Secondo quest’ultimo principio, le parti possono designare di comune accordo la legge applicabile al loro rapporto mediante un’intesa che può essere conclusa, testualmente, «at any time». Quanto mai esplicita sul punto è la relazione esplicativa di Andrea Bonomi [30]. E in proposito sarà appena il caso di ricordare che tra tali obbligazioni ricadono, come noto, anche le prestazioni assistenziali postmatrimoniali in sede di separazione e divorzio [31].

Proprio con riguardo al regolamento n. 4 del 2009 sulle obbligazioni alimentari dovrà ancora menzionarsi il fatto che qualsiasi contratto prematrimoniale in vista della crisi coniugale in merito alla determinazione o all’esclusione delle prestazioni di mantenimento, stipulato in un Paese che ne ammetta la conclusione, beneficia del trattamento previsto dall’art. 48, con la conseguenza che, se contenuto in un documento definibile come «atto pubblico», ai sensi dell’art. 2, n. 3, è riconosciuto in ogni altro Stato membro ed ha la stessa esecutività delle decisioni rese ai sensi del capo IV del citato regolamento [32].

Quasi superfluo ricordare, poi, che alla regola che esalta la libertà negoziale nella scelta della legge applicabile fa pendant la libertà concessa ai coniugi, pur se «inquadrata» nel contesto di alcuni adeguati limiti, nell’elezione del foro competente: la volontà delle parti come vero e proprio criterio di giurisdizione riceve ormai, dunque, uno spazio adeguato in tutti gli strumenti normativi di cui si è fin qui discorso [33].

La conclusione di questa panoramica è, dunque, nel senso che non solo la comparazione con i sistemi stranieri, ma anche il diritto eurounitario (che, a differenza degli ordinamenti stranieri, è, come noto, parte integrante e fondamentale della nostra normativa) ci dice ormai che i contratti prematrimoniali in vista del divorzio (sono presupposti come, e pertanto) devono ritenersi validi e ammissibili. Di tale realtà appare quindi opportuno che anche la giurisprudenza interna cominci ad acquisire consapevolezza [34], utilizzando le considerazioni di cui sopra quale elemento determinante nel far pendere il piatto della bilancia nel senso della validità, anche nel diritto interno, delle intese qui in discorso. Questo, a maggior ragione, in un periodo che, come il presente, appare caratterizzato da evidenti «sbandamenti», mentre la visione tradizionale dei patti in vista del divorzio, che vedeva questi ultimi come irrimediabilmente contrari all’ordine pubblico (interno) ed all’art. 160 c.c., inizia a mostrare (a parte l’evidente antistoricità) talune vistose crepe [35].

 

 

3. Il trattamento internazionalprivatistico dei patti prematrimoniali in vista del divorzio e il problema del dépeçage: profili «alimentari» vs. profili «di regime».

 

E’ ora giunto il momento di affrontare il problema dell’individuazione dei principi di diritto internazionale privato applicabili ai contratti prematrimoniali in vista del divorzio. Si tratta di vedere, dunque, come tale tipo di accordi sono considerati e trattati in relazione alle regole di conflitto tra ordinamenti. Impresa, questa, quanto mai ardua, in considerazione di quella situazione, efficacemente descritta dagli internazionalprivatisti come dépeçage («frazionamento», «spezzettamento»), che caratterizza svariati aspetti dell’odierno diritto di famiglia di fonte eurounitaria. In forza di tale fenomeno [36], invero, un unico negozio giuridico può essere regolato da leggi nazionali differenti in relazione a differenti aspetti o parti di esso. Un dépeçage, si badi, che, in questo caso – e a differenza di quanto accade, ad esempio, nel regolamento detto «Roma I», sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, ove è il testo normativo stesso (cfr. art. 3, comma 1) a consentire ai contraenti di «designare la legge applicabile a tutto il contratto, ovvero ad una parte soltanto di esso» – viene ad operare automaticamente, a prescindere dalla volontà delle parti, quale effetto della contemporanea applicabilità di più strumenti normativi, ognuno dei quali agisce in relazione ad uno o più aspetti ed effetti riconnessi ad un’unica intesa negoziale endofamiliare.

Le conseguenze di questa situazione sono aggravate dal fatto che non solo l’argomento degli accordi, ma, più in generale, ogni aspetto della galassia giusfamiliare viene a presentarsi in maniera frammentaria nel contesto eurounitario. Come, infatti, efficacemente notato dalla nostra dottrina internazionalprivatistica, la frammentazione della legislazione europea in materia di famiglia costituisce uno dei maggiori problemi rilevati dall’analisi della prassi di applicazione dei regolamenti comunitari in questa materia. Da essa emerge che in caso di crisi del vincolo coniugale le questioni da trattare – obblighi alimentari, assegnazione della casa coniugale, liquidazione del regime matrimoniale e responsabilità genitoriale – di fatto sorgono nell’ambito della stessa causa, ma, pur strettamente correlate tra di loro, sono disciplinate in regolamenti diversi che le escludono reciprocamente dai rispettivi ambiti di applicazione. Il loro coordinamento non é semplice e può portare alla competenza di giudici diversi rispetto al giudice della separazione o del divorzio, così come, peraltro, all’applicazione di più leggi [37].

Il risultato finale è, dunque, un trattamento «a mosaico» – o, se si preferisce, «a macchia di leopardo» – delle varie fattispecie rilevanti, alla cui disciplina vengono in tal modo a partecipare, a diverso titolo, più strumenti normativi.

All’osservatore attento di questa materia non sarà, dunque, sfuggito che il contratto prematrimoniale in contemplation of divorce si pone, per così dire, proprio al crocevia tra le diverse facce di quel prisma che è oggi il diritto di famiglia europeo. Esso, infatti, attiene al matrimonio, ma anche al divorzio ed ai relativi effetti patrimoniali, intesi sia sul piano delle obbligazioni alimentari, che su quello dello scioglimento del regime patrimoniale inter coniuges [38].

Ed invero, se è certamente innegabile che, quando pensiamo ai contratti prematrimoniali, la mente corre agli accordi stipulati oltre oceano [39] tra v.i.p. al fine di arginare le (potenzialmente) devastanti conseguenze del divorzio, avuto riguardo, in primis, agli amplissimi poteri di cui dispone il giudice di common law di operare, in sede di divorzio, una riallocazione delle risorse acquisite da ciascuno durante la convivenza sulla base di criteri di ragionevolezza ed equità [40] e dunque in un’ottica che corrisponde, a ben vedere, a quella delle obbligazioni alimentari, è altrettanto vero che l’essenza e la ragion d’essere di un accordo prematrimoniale è anche quella, nei sistemi di matrice romano-germanica, di predefinire le conseguenze del divorzio sul regime patrimoniale. Si pensi, tanto per portare un esempio, che lo stesso Hegel, nei suoi Principi di filosofia del diritto, definiva lo scopo di questi accordi proprio come proprio quello di costituire una garanzia «gegen den Fall der Trennung der Ehe durch natürlichen Tod, Scheidung u. dergl.  (…), wodurch den unterschiedenen Gliedern auf solchen Fall ihr Anteil an dem Gemeinsamen erhalten wird» [41].

Appartengono dunque, optimo iure, alla categoria in discorso, ad es., i contrats de mariage francesi contenenti la c.d. «clausola alsaziana» [42], ma anche quelli che racchiudono discipline pattizie sullo scioglimento «atipico» della communauté légale [43], così come i capítols matrimonials catalani mercé i quali i coniugi stipulano modifiche al règim legal supletori [44], o gli Eheverträge tedeschi sulla scelta del regime di separazione dei beni (Gütertrennung), piuttosto che di un altro sistema diverso da quello legale, così come quelli che, pur optando per il regime legale della compartecipazione agli acquisti (Zugewinngemeinschaft), escludono magari da esso la liquidazione e ripartizione delle aspettative pensionistiche (Versorgungsausgleich) a seguito dello scioglimento del regime predetto [45]. Il tutto, non senza menzionare nel presente contesto la stessa opzione consentita alle (e massicciamente praticata dalla stragrande maggioranza delle) coppie italiane per il regime di separazione dei beni, che, come chi scrive ha più volte indicato, altro non rappresenta se non l’italica considerazione delle relazioni patrimoniali tra coniugi effettuata in contemplation of divorce [46].

        Appare dunque evidente che l’inquadramento, sotto il profilo del diritto internazionale privato, di un contratto prematrimoniale dipenderà in concreto dal tipo di accordi raggiunti dalle parti. Così, ad esempio, un Ehevertrag del genere di quello stipulato dalla coppia Radmacher/Granatino [47] andrebbe considerato, per un primo verso, come attinente, per la rinunzia all’assegno divorzile, alla categoria degli accordi sulle obbligazioni alimentari, con conseguente applicabilità del regolamento n. 4 del 2009. Per altro e distinto verso, vale a dire per ciò che attiene alla scelta, concretamente operata da quella coppia, del regime germanico di Gütertrennung, esso andrebbe inquadrato nella categoria degli accordi sul regime, con conseguente applicabilità del regolamento n. 1103 del 2016 [48].

A complicare la situazione vengono poi alcune considerazioni ricavabili da studi, anche autorevoli, sulla materia, dai quali parrebbe possibile, almeno a prima vista, estrapolare indicazioni per soluzioni meno frammentarie.

Così, ad esempio, quando si pone in luce, con riguardo al regolamento «Roma III», che, in sede di divorzio, «una volta venute meno le relazioni familiari da cui discende, abitualmente, l’obbligazione alimentare, le pretese fra ex coniugi sono regolate dalla legge che regola il fatto che fa venire meno (per l’appunto) la relazione familiare, affermandosi una tendenza a ricomprendere nello “statuto” del divorzio gli aspetti dell’accordo fra coniugi in occasione del divorzio ovvero del provvedimento del giudice che lo pronuncia» [49], si insinua il dubbio che il citato strumento eurounitario possa in qualche modo valere a disciplinare anche una conseguenza della pronunzia di divorzio, quale, per l’appunto, l’applicazione dell’intesa patrimoniale stipulata in via preventiva in contemplation di una siffatta evenienza.

In un più recente contributo internazionalprivatistico [50], poi, si adombra la possibilità che sia invece il regolamento n. 1103 del 2016 a disciplinare la questione del diritto applicabile ad ogni aspetto dei prenups caratterizzati dalla presenza di un elemento di estraneità.

La sostanza dello studio da ultimo citato – sia chiaro – appare assolutamente condivisibile. Così, ad esempio, è sicuramente vero che il regolamento sui regimi patrimoniali costituisce «una vera e propria “porta di entrata” della disciplina straniera, anche per profili – tra i quali rientrano i patti prematrimoniali sulla crisi dell’unione – che potrebbero non essere direttamente regolati, o addirittura non consentiti nello Stato membro dell’esecuzione. Il “veicolo” è costituito dalla scelta di una legge straniera da applicare al vincolo, ovvero da una decisione di cui sia chiesto il riconoscimento o l’esecuzione, o ancora da un accordo stragiudiziale che li contenga, formatisi in un paese Ue la cui legge consenta tali clausole. I regolamenti ricordati paiono consentire questa conclusione». Altrettanto condivisibile appare poi l’assunto per cui «L’ampiezza delle definizioni ricordate non contiene indicazioni che inducano a escludere dal loro novero i patti prenuziali e, del resto, la disciplina dei profili patrimoniali del vincolo e del suo scioglimento, pare trattare questi due momenti come fenomeno unitario».

Le considerazioni di cui sopra non possono, però (purtroppo, sarebbe il caso di dire), condurre alla conclusione per cui il citato regolamento del 2016 sarebbe oggi sempre e necessariamente l’unico strumento eurounitario di riferimento per i contratti prematrimoniali. Sicuramente una conclusione del genere sarebbe auspicabile de iure condendo, per l’evidente semplificazione che porterebbe con sé. Peraltro, de iure condito, se vi è un punto chiaro nel sistema dei regolamenti di cui qui si tratta, è che ciascuno di essi compie una netta opera di demarcazione del suo campo d’applicazione. In altri termini, ci troviamo – ci piaccia o meno – di fronte, in relazione ad ognuno degli strumenti normativi eurounitari che vengono qui in considerazione, ad una serie di actiones finium regundorum il cui esito è, inevitabilmente, proprio quel deprecabile dépechage di cui si è detto.

Così, il regolamento «Bruxelles II-bis» è perentorio nell’escludere dalla sua sfera d’applicazione le obbligazioni alimentari (cfr. art. 3, par. 1, lett. e, da un lato, e gli «effetti del matrimonio sui rapporti patrimoniali o altri provvedimenti accessori ed eventuali» (cfr. il considerando n. 8), dall’altro. Analogamente, il regolamento «Roma III» esclude espressamente dalla sua applicabilità tanto gli effetti patrimoniali del matrimonio (cfr. art. 1, par. 2, lett. e, quanto le obbligazioni alimentari (cfr. art. 1, par. 2, lett. g. Simili modo, il regolamento sui regimi patrimoniali delle coppie coniugate, n. 1103 del 2016 (cfr. art. 1, par. 2, lett. c, espressamente esclude dal suo ambito d’applicazione «le obbligazioni alimentari», così rendendo del tutto evidente che non può neppure presentarsi un problema di successione dei regolamenti nel tempo, per cui possa (conclusione, questa, che quanto appena evidenziato esclude nel modo più assoluto) ipotizzarsi un’abrogazione (parziale, nella parte relativa alle conseguenze del divorzio) per incompatibilità del regolamento sulle obbligazioni alimentari (n. 4 del 2009) per effetto dell’introduzione del citato regolamento del 2016.

 

 

4. Segue. Ancora sulle difficoltà della distinzione tra profili «alimentari» e profili «di regime» nei patti prematrimoniali.

 

Da quanto sopra esposto deriva, dunque, che il citato (e deprecato) effetto-dépechage è oggi inevitabile e, di fronte ad un contratto prematrimoniale, l’interprete dovrà chiedersi se ed in quale misura tale accordo (o una parte di esso) sarà riferibile alla materia delle obbligazioni alimentari o, invece, a quella del regime patrimoniale.

La conclusione appare del resto conforme ai risultati cui perviene la dottrina straniera. Così, oltralpe si è osservato che «L’élargissement du champ matériel des conventions prénuptiales conduit en effet nécessairement à leur dépeçage, impliquant ainsi que les clauses relatives au régime matrimonial soient soumises à la loi applicable au régime, tandis que celles relatives à la compensation financière soient soumises à la catégorie des obligations alimentaires» [51].

Non solo. Il dépeçage comporterà poi anche difficoltà di qualificazione delle fattispecie, nell’ipotesi di accordi prematrimoniali conclusi nel contesto di ordinamenti che, come quelli di common law, non distinguono (almeno tendenzialmente), neppure a livello concettuale, tra regimi patrimoniali (di cui tali sistemi non posseggono sovente neppure la nozione) e conseguenze patrimoniali del divorzio [52].

Si noti che quella appena delineata tra obbligazioni alimentari e regimi patrimoniali costituisce una demarcazione di antica data per il diritto internazionale privato. Ad esempio, già nel caso Van den Boogaard, risolto nel 1997, la Corte di giustizia stabilì che una decisione emessa in una causa di divorzio e che dispone il pagamento di una somma forfettaria e il trasferimento della proprietà di taluni beni da uno dei due coniugi all’altro deve considerarsi vertere su obbligazioni alimentari e, quindi, ricompresa nella sfera d’applicazione della Convenzione di Bruxelles del 1968, se è diretta a garantire il sostentamento dell’altro ex coniuge. Deve invece ritenersi che si verta in tema di regime matrimoniale se la prestazione mira unicamente ad operare una ripartizione dei beni tra i coniugi [53].

Orbene, se si pone mente alle difficoltà che sul piano teorico e pratico sorgono nella concreta applicazione di quel discrimen, ci si renderà pienamente conto del fatto che il ricorso al sistema del dépechage in questa materia potrebbe porre l’interprete dinnanzi a veri e propri rompicapo di assai difficile soluzione.

Basti pensare, tanto per citare un esempio, a tutte le volte in cui, in Italia, la parte che aveva sottoscritto un contratto della crisi coniugale prevedente il trasferimento di beni mobili o immobili al coniuge (o ex tale), ha poi cercato di svincolarsi dal relativo impegno facendo valere l’asserita nullità dello stesso per mancato rispetto delle forme prescritte dall’art. 162 c.c. Qui la giurisprudenza, posta di fronte al quesito sulla natura di convenzione matrimoniale (e dunque di accordo di regime) di tali intese, ha sempre fornito risposta negativa (negando, quindi, che per la validità di quei patti fosse richiesto il rispetto dell’atto pubblico notarile in presenza di testimoni), richiamandosi al contesto di crisi dell’unione, in cui il trasferimento era avvenuto (o era stato promesso). Proprio siffatto elemento sarebbe idoneo ad escludere la riferibilità del patto al concetto di convenzione o di accordo sul regime matrimoniale, laddove quest’ultimo tipo di intesa, detta convenzione matrimoniale, viene invece conclusa tra coniugi in relazione alla fase fisiologica, e non già patologica, della propria unione [54].

Ma il criterio appena visto non potrebbe certo funzionare nella fattispecie qui in esame, atteso che, nel presente contesto, si discute sempre di rapporti che si creano in relazione alla separazione personale o al divorzio. Il problema sarà semmai quello di vedere se detti trasferimenti, effettuati (una volta insorta la crisi) o promessi (in sede di accordo preventivo), ricadano nel versante delle obbligazioni alimentari, piuttosto che in quello del regime patrimoniale. Per rendere un’idea circa le difficoltà pratiche che potrebbero nascere basti pensare alla giurisprudenza sulle azioni revocatorie tendenti a colpire le intese traslative nella crisi coniugale, laddove i giudici faticano non poco, come noto, a far emergere la causa di mantenimento, giustamente preferendo riconoscere nei negozi in questione – sulla scorta delle indicazioni fornite da tempo dallo scrivente [55] – la presenza di una causa autonoma: una causa, tra l’altro, ben difficilmente riconducibile alla distinzione «secca» tra «sostentamento dell’altro ex coniuge» e «ripartizione dei beni» [56].

Posta di fronte a queste e a simili perplessità, la dottrina francese non esita, ad esempio, ad indicare, per i coniugi franco-britannici, l’opportunità di optare espressamente nel contrat de mariage per l’applicazione del diritto inglese, relativamente al regime patrimoniale, in base alla convenzione dell’Aja del 1978 sulla legge applicabile ai regimi patrimoniali (peraltro non sottoscritta dal Regno Unito). Per converso, in relazione alle disposizioni che predeterminino la maintenance in caso di divorzio, si raccomanda di insistere sulle nozioni di «bisogni» o «risorse» dei coniugi, per far comprendere al giudice francese che si tratta di accordi che ricadono sotto il concetto di «obbligazioni alimentari» [57].

Nessun dubbio sussiste, quindi, sul fatto che le decisioni rese e gli accordi che contengano patti diretti a disciplinare l’eventuale fase della crisi del legame, anche prima del suo verificarsi, risultano «suscettibili di circolare nello spazio Ue», come affermato in dottrina [58]; e ciò avverrà alle condizioni fissate dagli artt. 36 ss. (per le decisioni) e 58 ss. (per gli atti pubblici e le transazioni giudiziarie) del regolamento 1103 del 2016, relativamente ai coniugi (o ex tali), nonché 36 ss. e 58 ss. del regolamento 1104 del 2016, con riferimento ai partner (o ex tali) di unioni registrate. Ma quanto sopra avrà luogo solo relativamente ai profili «di regime patrimoniale» delle intese, laddove le stesse decisioni rese e gli accordi che contengano patti diretti a disciplinare l’eventuale fase della crisi del legame anche prima del suo verificarsi, per ciò che attiene ai profili attinenti alle obbligazioni alimentari (nel senso sopra precisato), circoleranno alle condizioni  di cui agli artt. 16 ss. (per le decisioni) e 48 (per le transazioni giudiziarie e gli atti pubblici) del regolamento n. 4 del 2009 [59]. 

Convenzioni con lo stesso oggetto potranno anche essere stipulate in Italia, richiamando la legge straniera che le disciplina, nei termini in cui i regolamenti ricordati lo consentano.  

 

 

5. Ulteriori particolarità del dépeçage dei patti prematrimoniali in vista del divorzio: alla ricerca di un comune denominatore internazionalprivatistico tra le varie possibili clausole di un patto prematrimoniale.

 

Partendo da quanto sopra esposto circa il fatto che, all’interno dei contratti prematrimoniali, i profili attinenti alle obbligazioni alimentari (nel senso che si è cercato di chiarire) vanno tenuti distinti, ai fini dell’applicazione delle norme di diritto internazionale privato, dai profili che potremmo definire come «di regime» (sempre nel senso che si è cercato sopra di chiarire), rimane una vasta galassia di altre possibili questioni oggetto d’intesa in via preventiva, che non risultano riferibili non solo al tema alimentare, ma neanche a quello della divisione o assegnazione dei beni acquistati durante la vigenza di un dato regime matrimoniale.

Potrà fornirsene in questa sede un rapido catalogo, con rinvio alle sedi più opportune per i relativi approfondimenti sul piano del diritto interno [60].

Si potranno pertanto qui ricordare, in primo luogo, le clausole volte a chiarire a priori la sorte di eventuali attribuzioni patrimoniali «a senso unico» eseguite in costanza di rapporto per l’acquisto di beni operati esclusivamente (o in una quota non proporzionale all’esborso effettuato) dal (futuro) ex coniuge, già in regime di separazione dei beni ed all’uno o all’altro, «intestati» in modo, per così dire, «difforme» rispetto al soggetto da cui il denaro proveniva [61].

Ulteriori esempi sono ricavabili da alcuni peculiari profili di carattere patrimoniale: dalla predeterminazione del contributo del coniuge (o del partner, nel caso di contratto di convivenza) ad un’eventuale impresa familiare (con l’attribuzione in via preventiva di eventuali diritti in caso di cessazione del rapporto collaborativo e/o coniugale), alla creazione di un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. a favore della famiglia, alla previsione di un trust familiare [62].

Nel contesto dei rapporti qui in esame rientra, naturalmente, anche la possibilità di dedurre in condizione l’eventuale rottura del rapporto in relazione alla ripetizione di attribuzioni patrimoniali pregresse, ad instar di quanto effettuato dalla coppia di fidanzati cui si riferisce una nota decisione di legittimità emanata alla fine del 2012 [63], o alla restituzione di un mutuo, secondo quanto stabilito da una sentenza dell’anno successivo [64]. Sarà dunque immaginabile legare l’effettuazione di un trasferimento immobiliare, o la restituzione di un mutuo prematrimoniale al «fallimento» (sempre per utilizzare la terminologia della prima di quelle due concrete coppie) del rapporto già in atto, o che sta per costituirsi tra i due [65]. Quanto, poi, alla possibile previsione di trasferimenti e di costituzione di diritti a tacitazione di eventuali pretese postmatrimoniali, analogamente a quanto già ampiamente consentito dalla giurisprudenza in tema di contratti della crisi coniugale [66], siffatti  negozi potranno avere nel contratto preventivo la struttura del mero impegno a trasferire (o a costituire), o, in alternativa, la struttura della traslazione o costituzione con efficacia reale, sottoposta alla condizione sospensiva della crisi coniugale.

Altri esempi di particolari accordi preventivi potrebbero essere costituiti dalle intese sulla gestione della responsabilità genitoriale, in relazione sia alla prole nascitura, che a quella già nata, che a quella che venga a porre un problema di affidamento in sede di crisi del matrimonio.

Orbene, ad avviso di chi scrive, tutti i tipi d’intesa cui si è fatto sopra riferimento, nell’ambito di questo §, sicuramente riferibili alla categoria degli accordi prematrimoniali (ovviamente, ove conclusi in epoca anteriore alla crisi coniugale, ma comunque in contemplation di essa), dovranno trovare il loro trattamento internazionalprivatistico nel regolamento n. 1103 del 2016, se conclusi inter coniuges, e nel regolamento n. 1104 del 2016 se relativi a partner di un’unione registrata [67]. In relazione ad essi, infatti, ben può richiamarsi la conclusione, già illustrata [68], per cui – proprio in base all’ampiezza (e al carattere potenzialmente «espansivo») delle definizioni contenute nei regolamenti citati, in merito alla nozione di regimi patrimoniali tra coniugi e rapporti patrimoniali tra partner di un’unione registrata – le questioni attinenti all’individuazione del giudice dotato di competenza giurisdizionale, al riconoscimento ed all’esecuzione delle decisioni e degli accordi relativi, nonché al diritto applicabile, andranno affrontate e risolte alla luce dei due strumenti normativi ora citati, tanto più ove si consideri la mancanza di atti normativi specifici riguardanti le peculiari intese in oggetto.

Diverso discorso potrebbe essere svolto, invece, in relazione ad un altro argomento, che ormai s’avvia a diventare un «classico» della crisi coniugale, vale a dire le clausole tendenti ad attribuire rilievo all’eventuale instaurazione di una convivenza more uxorio, da parte dell’uno e/o dell’altro dei (futuri) coniugi, una volta eventualmente pronunziato il divorzio. Come rilevato in altra sede [69], anche in questo caso è opportuno che le parti d’un prenuptial agreement s’accordino, espressamente prevedendo o, in alternativa, escludendo che la realizzazione di tale eventualità dispieghi effetti sulle attribuzioni postmatrimoniali (contributo al mantenimento del coniuge separato, assegno di divorzio, assegnazione convenzionale della casa coniugale, etc.) pattuite ex ante, così come su quelle che dovessero venire concordate ex post, o eventualmente anche determinate dal giudice, in caso di separazione o di divorzio contenziosi [70].

        Attesa la riferibilità di questo particolare tipo di clausole alla materia del mantenimento o comunque delle prestazioni alimentari, appare chiaro che la normativa internazionalprivatistica di riferimento – a differenza di quelle sopra illustrate, nella prima parte del presente § – sarà qui quella del regolamento n. 4 del 2009.

 

 

6. Limiti e rimedi al dépeçage dei patti prematrimoniali.

 

Tornando ora a considerare le situazioni nelle quali il fenomeno del dépeçage deve inevitabilmente trovare esplicazione con riguardo alla materia dei patti prematrimoniali, va detto che quanto sopra illustrato non deve indurre a trascurare il fatto che l’attuale sistema, pur nella sua complessità, contiene alcuni limiti e rimedi all’esplicazione degli effetti potenzialmente più «perversi» della lamentata «frantumazione» determinata dall’operatività congiunta di più strumenti normativi.

In particolare, per ciò che attiene al tema della competenza giurisdizionale, va detto che il regolamento sui regimi patrimoniali tra coniugi (n. 1103 del 2016), in presenza di un procedimento relativo alla crisi coniugale, stabilisce, all’art. 5, che «Fatto salvo il paragrafo 2, se un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro è investita di una domanda di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio ai sensi del regolamento (CE) n. 2201/2003, le autorità giurisdizionali di tale Stato sono competenti a decidere sulle questioni inerenti al regime patrimoniale tra coniugi correlate alla domanda in questione», laddove il successivo paragrafo 2 condiziona tale effetto alla sussistenza di un accordo tra le parti in una determinata serie di ipotesi [71]. Sul versante delle unioni registrate, l’art. 5 del regolamento n. 1104 del 2016 prevede che «Se un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro è investita di una domanda di scioglimento o annullamento di un’unione registrata, le autorità giurisdizionali di tale Stato sono competenti a decidere sugli effetti patrimoniali dell’unione registrata connessi con tale caso di scioglimento o annullamento, se sussiste accordo dei partner».

Anche in relazione alle obbligazioni alimentari, disposizioni lato sensu analoghe a quelle sopra viste sono contenute nel regolamento n. 4 del 2009. Così, l’art. 3, lett. c), attribuisce competenza giurisdizionale anche in relazione a tali questioni all’ «autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa allo stato delle persone qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti». Il successivo art. 4, paragrafo 1, lett. c) i), in merito alla possibile elezione del foro, prevede che le parti possano convenire che sia competente a conoscere delle controversie tra di esse in materia di obbligazioni alimentari «l’autorità giurisdizionale competente a conoscere delle loro controversie in materia matrimoniale».

        Sul versante, poi, della legge applicabile, il protocollo dell’Aja sulle obbligazioni alimentari (richiamato, come detto, dal regolamento n. 4 del 2009), prevede, all’art. 3, che, per le obbligazioni alimentari tra coniugi, ex coniugi o persone il cui matrimonio sia stato annullato, la regola dell’art. 3, secondo cui, in linea generale e tendenziale, la legge applicabile è quella dello Stato di residenza abituale del creditore, non si applichi «qualora une delle parti vi si opponga e la legge di un altro Stato, in particolare quello dell’ultima residenza abituale comune, presenti un collegamento più stretto con il matrimonio. In tal caso, si applica la legge dell’altro Stato». In ogni caso, poi, l’art. 8 consente al creditore e al debitore di alimenti di designare come applicabile «la legge designata dalle parti come applicabile al loro divorzio o separazione personale o quella effettivamente applicata ai medesimi».

Inutile dire che il limite delle regole qui richiamate è costituito dal fatto che viene richiesto, per il loro operare, un accordo tra le parti che, per le peculiari situazioni di conflitto caratterizzanti il contesto qui in esame, assai raramente potrà riscontrarsi in pratica.

 

 

7. Il trattamento internazionalprivatistico dei patti «pre-unione civile».

 

La tendenziale equiparazione tra effetti patrimoniali del matrimonio ed effetti patrimoniali dell’unione civile, anche in relazione alla fase della crisi dell’uno e dell’altra [72], comporta che il tema dell’ammissibilità, sul piano del diritto materiale italiano, dei contratti prematrimoniali in vista del divorzio si declini in modo assolutamente identico con riguardo all’unione civile. Anche con riferimento a quest’ultima, dunque, valgono gli stessi identici argomenti che da anni si contendono il campo pro e contro la validità di tale tipo di intese [73].  

Ma se il discorso sul piano del diritto interno si chiude in modo così rapido, altrettanto non può dirsi per il piano del diritto internazionale privato. Qui, infatti, vi è veramente da chiedersi se e in che misura le considerazioni e le conclusioni tutte svolte nei paragrafi precedenti circa le norme di conflitto applicabili ai contratti prematrimoniali valgano anche per i contratti «pre-unione civile» [74].

        La risposta a questo interrogativo appare solo parzialmente (e comunque dubitativamente) positiva.

E’ noto che l’attuale regime internazionalprivatistico dell’unione civile è fornito dagli artt. 32-ter, 32-quater e 32-quinquies della l. n. 218 del 1995, come inseriti dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 7 in attuazione della delega di cui all’art. 1, co. 28, lett. b), l.  n. 76 del 2016 (c.d. «legge Cirinnà») [75].

Sul punto notiamo una prima discrasia rispetto al matrimonio, per quanto attiene all’applicabilità del regolamento «Bruxelles II-bis», laddove la determinazione della legge applicabile al divorzio viene effettuata (per espresso rinvio contenuto all’art. 32-quater cpv. cit.) in base al regolamento n. 1259 del 2010 [76].

Il mancato rinvio, invece, al regolamento «Bruxelles II-bis» apre il problema dell’operatività di tale strumento in relazione alle questioni diverse dall’individuazione della sussistenza della competenza giurisdizionale (si pensi, ad es., al tema della circolazione delle decisioni). L’art. 32-quater, comma 1, cit., infatti, si occupa solo della determinazione del giudice competente, richiamando le norme degli artt. 3 e 9 della legge n. 218 del 1995 e soggiungendo che la competenza giurisdizionale italiana sussiste «anche quando una delle parti è cittadina italiana o l’unione è stata costituita in Italia. I medesimi titoli di giurisdizione si applicano anche in materia di nullità o di annullamento dell’unione civile». Rimane dunque aperto l’interrogativo per tutte le questioni trattate dal regolamento «Bruxelles II-bis», ma diverse dall’individuazione del giudice dotato di competenza giurisdizionale [77].

        Non solo. Il legislatore sembra qui essersi scordato del fatto che il comma 20 dell’articolo unico della l. n. 76 del 2016 dichiara applicabili all’unione civile «le  disposizioni  che  si riferiscono al matrimonio e  le  disposizioni  contenenti  le  parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque  ricorrono  nelle leggi, negli atti aventi forza  di  legge,  nei  regolamenti  nonché negli atti amministrativi e nei contratti  collettivi». Ora, tra le disposizioni richiamate non possono non rientrare anche le norme dei regolamenti di fonte eurounitaria, che, tra l’altro, prevalgono rispetto alle norme interne.

Sarà dunque il citato regolamento «Bruxelles II-bis» a trovare applicazione con riguardo a tutti i profili relativi alla competenza giurisdizionale, circolazione delle decisioni, etc. concernenti le unioni civili [78].

Per ciò che attiene, invece, ai rapporti patrimoniali, l’art. 32-ter, comma quarto, cit. prevede che «I rapporti personali e patrimoniali tra le parti sono regolati dalla legge dello Stato davanti alle cui autorità l’unione è stata costituita. A richiesta di una delle parti il giudice può disporre l’applicazione della legge dello Stato nel quale la vita comune è prevalentemente localizzata. Le parti possono convenire per iscritto che i loro rapporti patrimoniali sono regolati dalla legge dello Stato di cui almeno una di esse è cittadina o nel quale almeno una di esse risiede». Successivamente, peraltro, all’approvazione della riforma in oggetto è entrato in vigore il regolamento n. 1104 del 2016 sulle convivenze registrate. La relativa disciplina, dunque, attesa la prevalenza del diritto eurounitario su quello interno, dovrà operare in relazione a tutti i profili patrimoniali, anche in vista dello scioglimento dell’unione [79], con la precisazione che le disposizioni del capo III si applicheranno solo «ai partner che hanno registrato la loro unione o che hanno designato la legge applicabile agli effetti patrimoniali della loro unione registrata successivamente al 29 gennaio 2019», laddove la disposizione di cui al comma quarto cit. varrà per le coppie che hanno costituito la loro unione civile prima di tale data.

        Quanto sopra non vale però per i profili alimentari, analogamente a quanto già detto per i coniugi [80]. Per le obbligazioni alimentari (e le situazioni ad esse comunque riconducibili) troveranno applicazione le disposizioni di cui al regolamento n. 4 del 2009, secondo quanto disposto dal richiamo all’art. 45 della l. n. 218 del 1995 previsto dal comma quinto dell’art. 32-ter della l. n. 218 del 1995, come inserito  dall’ art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 7. Si dovrà ricordare che l’ art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 7 ha provveduto a sostituire l’art. 45 cit. nella formulazione previgente, con il testo seguente: «art. 45. Obbligazioni alimentari nella famiglia. 1. Le obbligazioni alimentari nella famiglia sono regolate dalla legge designata dal regolamento 2009/4/CE del Consiglio del 18 dicembre 2008 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari, e successive modificazioni».

        Concludendo sul punto, dovrà quindi osservarsi che un «perfetto» parallelismo dei patti «pre-unione civile» con i contratti prematrimoniali inter (futuros) coniuges si pone solo con riguardo ai profili alimentari, attesa l’applicabilità a tutti (coniugi e civilmente uniti) delle norme del regolamento n. 4 del 2009.

        Per tutti i profili patrimoniali diversi, riconducibili all’ampia categoria degli «effetti patrimoniali delle unioni registrate» [81], varranno invece le norme del regolamento n. 1104 del 2016, ad eccezione delle disposizioni del relativo capo III, che, come già detto, si applicheranno solo «ai partner che hanno registrato la loro unione o che hanno designato la legge applicabile agli effetti patrimoniali della loro unione registrata successivamente al 29 gennaio 2019», laddove per le coppie che hanno costituito la loro unione civile prima di tale data varrà la disposizione di cui all’art. 32-ter, comma quarto, l. n. 218 del 1995.

 

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SOMMARIO

 



[1] Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 485 ss., 560 ss.; Id., «Prenuptial Agreements in Contemplation of Divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 171 ss. e in Aa. Vv., Accordi sulla crisi della famiglia e autonomia coniugale, a cura di Francesco Ruscello, Padova, 2006, p. 105 ss.; Id., Contratti prematrimoniali e accordi preventivi sulla crisi coniugale, in Fam. e dir., 2012, p. 69 ss.; per alcuni successivi contributi che tengono conto della legislazione sopravvenuta in tema di negoziazione assistita in materia di separazione personale e divorzio, nonché di taluni progetti di legge in materia cfr. Id., I contratti di convivenza nei progetti di legge (ovvero sull’imprescindibilità di un raffronto tra contratti di convivenza e contratti prematrimoniali), in Fam. e dir., 2015, p. 165 ss.; Id., Per un intervento normativo in tema di accordi preventivi sulla crisi della famiglia, in Aa. Vv., Accordi in vista della crisi dei rapporti familiari, a cura di Sara Landini e Massimo Palazzo, Biblioteca della Fondazione Italiana del Notariato, n. 1-2018, Milano, 2018, p. 33 ss.; cfr. inoltre Ballerini, Gli accordi preventivi sugli effetti patrimoniali del divorzio dopo il d. l. n. 132 del 2014, in Rass. dir. civ., 2016, p. 1 ss.; Rimini, I patti in vista del divorzio: spunti di riflessione e una proposta dopo l’introduzione della negoziazione assistita per la soluzione delle controversie familiari, in Dir. fam. pers., 2015, p. 207; Id., Funzione compensativa e disponibilità del diritto all’assegno divorzile. Una proposta per definire i limiti di efficacia dei patti in vista del divorzio, in Fam. e dir., 2018, p. 1041 ss.; Scia, Le proposte in tema di accordi prematrimoniali: tra valorizzazione dell’autonomia negoziale dei coniugi e specialità delle regole del diritto di famiglia, in Nuove leggi civ. comm., 2017, p. 191 ss.; Fusaro, La sentenza delle Sezioni Unite sull’assegno di divorzio favorirà i patti prematrimoniali?, in Fam. e dir., 2018, p. 1031 ss.; E. Quadri, In margine ad una recente iniziativa parlamentare in materia di “accordi prematrimoniali”, in Giust. civ., 2018, p. 291 ss.; Amagliani, Gli accordi prematrimoniali nel disegno di legge governativo per la riforma del codice civile, in Contratti, 2019, p. 601 ss.; Basini, I cosidetti “patti prematrimoniali”. Note de iure condendo, in Fam. e dir., 2019, p. 1153 ss.

[2] Cfr., anche per i richiami, Oberto, I precedenti storici del principio di libertà contrattuale nelle convenzioni matrimoniali, in Dir. fam. pers., 2003, p. 535 ss.; v. inoltre Id., I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 66 ss., 87 ss.

[3] Impropriamente, peraltro, secondo quanto si è tentato di dimostrare in altra sede: cfr. (oltre ai lavori citati supra, alla nota 1) Oberto, Gli accordi preventivi sulla crisi coniugale, in Familia, 2008, p. 25 ss.; Id., Per un intervento normativo in tema di accordi preventivi sulla crisi della famiglia, cit., p. 50 ss.

[4] Cfr. Cass., 3 maggio 1984, n. 2682, in Riv. dir. int. priv., 1985, p. 579; in Dir. fam. pers., 1984, p. 521.

[5] Su cui v. infra, § 2.

[6] Da notare che non riguarda, invece, il tema della contrarietà o meno all’ordine pubblico internazionale italiano degli accordi prematrimoniali la fattispecie risolta da Cass., 30 luglio 2012, n. 13556, in Fam. e dir., 2013, p. 879, con nota di Gancitano, la quale si è limitata a confermare il riconoscimento automatico di una sentenza straniera «parziale» di divorzio, ex art. 64, l. 31 maggio 1995, n. 218. Nella specie, il giudice texano aveva pronunciato la sentenza di divorzio statuendo unicamente sui rapporti patrimoniali tra i coniugi – cittadini statunitensi residenti dal 2002 in Italia – aderendo al contenuto degli accordi in quella sede (e, dunque, neppure di premarital agreement si trattava) conclusi, laddove le decisioni sulla prole venivano rimesse al giudice italiano. L’ex moglie, costituitasi nel giudizio di legittimità, lamentava la contrarietà della sentenza di secondo grado all’ordine pubblico, tra gli altri motivi, proprio per la mancanza di statuizioni in merito all’affidamento e al mantenimento dei figli. I giudici di legittimità hanno tuttavia confermato la sentenza emessa dalla Corte d’appello, sia per la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 64, legge n. 281 del 31 maggio 1995, necessari per il riconoscimento automatico delle sentenze emesse da un giudice straniero, sia perché «nessun principio costituzionale impone che la definitiva regolamentazione dei diritti e dei doveri scaturenti da un determinato status sia gettata in un unico contesto; che nel nostro ordinamento è prevista la sentenza non definitiva di divorzio con possibile rinvio al prosieguo anche per l’adozione dei provvedimenti definitivi relativi all’affidamento dei figli e al contributo per il loro mantenimento».

[7] Su cui v. per tutti veda Lagarde, Règlements 2016/1103 et 1104 du 24 juin 2016 sur les régimes matrimoniaux et sur le régime patrimonial des partenariats enregistrés, in Riv. dir. int. priv., 2016, p. 684 ss.

[8] Come rilevato in dottrina (cfr. Silvestri, Il contrat de mariage in Francia e la circolazione Ue degli accordi prematrimoniali, in Aa. Vv., Accordi in vista della crisi dei rapporti familiari, a cura di Sara Landini e Massimo Palazzo, cit., p. 498 s.), se si ha riguardo al regolamento n. 1103 del 2016, si può rilevare che il 7° considerando «evoca l’ordine pubblico nel suo tradizionale ruolo di meccanismo di regolazione dell’osmosi tra leggi di paesi diversi, ma il 54° considerando (del Reg. 1103, corrispondente al 53° considerando del Reg. 1104), ne delimita incisivamente l’operare. Esso precisa come “determinate disposizioni di una legge straniera” possano essere disattese soltanto in “circostanze eccezionali”, per “ragioni di interesse pubblico” e con riferimento a “una precisa fattispecie”, escludendo la possibilità di avvalersi dell’eccezione di ordine pubblico qualora ciò implicasse la violazione della normativa sui diritti CEDU e in particolare il principio di non discriminazione». L’Autrice sottolinea ulteriormente che «l’indicazione offerta dal considerando circa la necessità di un’interpretazione restrittiva della nozione di ordine pubblico, «costituisce una costante nella giurisprudenza della Corte di giustizia formatasi con riferimento ai motivi ostativi alla circolazione delle decisioni in base al sistema Bruxelles I».

[9] Cfr., anche per i necessari richiami alla dottrina e alla giurisprudenza transalpine, Gallant, Contrats nuptiaux internationaux et anticipation des conséquences financières du divorce: quel ordre public?, http://www.indret.com, p. 147 ss.

[10] Per richiami e approfondimenti in questo senso cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 379 ss., 421 ss.; Id., Sulla natura disponibile degli assegni di separazione e divorzio: tra autonomia privata e intervento giudiziale, in Fam. e dir., 2003, p. 389 ss., 495 ss.

[11] Cfr. Cass., Sez. Un.,  11 luglio 2018, n. 18287, in Corr. giur., 2018, p. 1186, con nota di S. Patti, che esprime condivisibilissime valutazioni critiche sul decisum; un altro pregevole commento, fortemente critico, si deve a Macario, Una decisione anomala e restauratrice delle sezioni unite nell’attribuzione (e determinazione) dell’assegno di divorzio, in Foro it., 2018, c. 3605 ss.

[12] Su cui v. infra, § 3.

[13] Sul punto si fa rinvio a Oberto, La comunione legale tra coniugi, nel Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni, continuato da Schlesinger, I, Milano, 2010, p. 385 ss. Le clausole in oggetto sono, in estrema sintesi, le seguenti: (a) attribuzione (a titolo sia gratuito che oneroso) di beni personali di un coniuge al superstite (c.d. clause commerciale, ai sensi degli artt. 1390 s. c.c. fr.); (b) assegnazione, all’atto dello scioglimento della comunione, di beni comuni ad uno dei coniugi (o ex tali), previo pagamento di una somma di denaro predeterminata (c.d. prélèvement moyennant indemnité, ai sensi dell’art. 1497 c.c. fr.); (c) facoltà per l’uno o l’altro dei coniugi di prelevare, sempre in occasione dello scioglimento, determinati beni a titolo gratuito (c.d. préciput, ai sensi dell’art. 1497 c.c. fr.); (d) divisione della massa comune (o di una porzione di essa) in parti non uguali (c.d. stipulation de parts inégales e di attribution de la totalité de la communauté au survivant, ai sensi dell’art. 1497 c.c. fr.); (e) attribuzione dell’intera massa ad uno solo dei coniugi, con diritto, per l’altro ad ottenere una somma a titolo forfetario (c.d. forfait de communauté, ammesso espressamente dal Code prima della riforma del 1965, sulla scorta della tradizione del droit coutumier e ritenuto valido ancora oggi); (f) possibilità di pervenire ad un «bilanciamento» tra separazione e comunione, mercé la creazione di una société d’acquêts adietta ad un regime separatista, con la possibilità per i coniugi di predeterminare l’applicabilità della regola comunitaria in relazione soltanto ad alcune, ben individuate, categorie di beni.

[14] Sul se ed in che misura si possa oggi parlare di un «diritto europeo della famiglia», cfr. Oberto, La comunione coniugale nei suoi profili di diritto comparato, internazionale ed europeo, in Dir. fam. pers., 2008, p. 367 ss.

[15] Da notare che, in prospettiva, il regolamento in oggetto sarà sostituito dal nuovo regolamento n. 1111 del 2019 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori. Il nuovo regolamento è stato adottato dal Consiglio UE il 25 giugno 2019 con la speciale procedura stabilita per il settore del diritto di famiglia, che prevede l’unanimità dei membri del Consiglio previa consultazione del Parlamento europeo. Esso è destinato a sostituire a partire dal 1° agosto 2022 il regolamento «Bruxelles II-bis», in tutti i paesi membri dell’Unione, con l’eccezione della Danimarca; ha partecipato alla sua adozione anche il Regno Unito, ma naturalmente il suo recesso dall’Unione comporta per esso la cessazione dell’efficacia di tutta la legislazione europea. Questo nuovo regolamento si potrebbe denominare «Bruxelles II-ter», ma nei documenti informativi della Commissione europea è invece sinora indicato come «Bruxelles II-bis (rifusione)».

[16] Deve peraltro tenersi presente che, ex art. 69, par. 3, «Le disposizioni del capo III [legge applicabile] sono applicabili solo ai coniugi che hanno contratto matrimonio [o ai partner che hanno registrato la loro unione] o che hanno designato la legge applicabile al loro regime patrimoniale successivamente al 29 gennaio 2019», con la conseguenza che, in caso contrario, trovano applicazione le norme della l. n. 218 del 1995. 

[17] Cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 148-2019/T, Il trattamento di esenzione da imposte per gli atti di trasferimento relativi a separazione e divorzio tra soggetti stranieri, di Giampiero Petteruti (Approvato dalla Commissione Studi Tributari il 17/10/2019), https://www.notariato.it/sites/default/files/148-2019-T.pdf.

[18] In generale sul ruolo dell’autonomia privata quale criterio di collegamento nel diritto internazionale privato cfr. Kohler, L’autonomie de la volonté en droit international privé: un principe universel entre libéralisme et étatisme, in Recueil des Cours, t. 359, 2013, p. 398 ss.; Kroll e Ludwigs, Die Rolle der Parteiautonomie im europäischen Collisionsrecht, Tübingen, 2013, passim; Maultzsch, Party autonomy in European private international law: uniform principle or context-dependent instrument?, in Journ. Priv. Int. Law, 2016, p. 466 ss.

[19] Come rilevato in dottrina (cfr. Viarengo, Effetti patrimoniali delle unioni civili transfrontaliere: la nuova disciplina europea, in Riv. dir. int. priv., 2018,, p. 50), la volontà delle parti può divenire un «fattore di variabilità» laddove esse pongano in essere la scelta di una nuova legge, ma la variabilità della legge applicabile può comportare delicati problemi, ad esempio quando si passi da un regime di comunione a un regime di separazione, o viceversa; o quando cambi la disciplina relativa all’amministrazione o alla disposizione dei beni delle parti, richiedendo la nuova legge per l’alienazione dei beni di uno il consenso dell’altro. La soluzione favorevole alla retroattività della nuova legge offre l’indubbio vantaggio di garantire l’unità della disciplina applicabile al regime patrimoniale e quindi del regime stesso, che rappresenta, come ovvio, un valore importante in questa materia. Per contro conduce all’inaccettabile conseguenza, ad esempio, di far cadere un bene, ritenuto acquisito al patrimonio personale di un coniuge o di un partner, in regime di comunione con l’altro solo a seguito di mutamento della legge applicabile, spesso non voluto né previsto dalla coppia. Ben si comprende quindi la soluzione del legislatore comunitario, una volta stabilito il principio di immutabilità della legge applicabile, di rimettere alla volontà delle parti la scelta in merito alla retroattività o non della legge applicabile, con il prodursi delle conseguenze che ne derivano. Da notare che la situazione viene a presentare elementi di analogia con il caso (di diritto interno) in cui i coniugi (o i civilmente uniti) in regime di separazione decidano di instaurare con apposita convenzione il regime legale con effetto ex tunc, per mezzo di un accordo di mutuo dissenso, mercé il quale si dissolva retroattivamente la convenzione (o la scelta) avente ad oggetto il regime separatizio: su quest’ultimo argomento cfr. Oberto, Mutuo dissenso e convenzione di separazione dei beni, in Riv. dir. civ., 2019, p. 817 ss.

[20] Cfr. Fantetti, Il regime patrimoniale europeo della famiglia, in Fam. pers. succ., 2011, p. 140 ss., secondo cui l’art. 30 cit. concedeva ai coniugi «di inserire nella lex contractus matrimonii istituti diversi da quelli propri del nostro ordinamento quali, ad esempio, gli accordi preventivi in vista del divorzio – i prenuptial agreements in contemplation of divorce –, e di stipulare un pactum de lege utenda che limita quanto disposto ex art. 161 del nostro codice civile, il quale trova applicazione solo ove i rapporti patrimoniali tra coniugi sono sottoposti alla legge italiana. L’articolo recita infatti che gli sposi non possono pattuire in modo generico che i loro rapporti patrimoniali siano in tutto od in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi, ma devono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono regolare questi loro rapporti. L’attuale disciplina di diritto internazionale privato attribuisce ai coniugi la possibilità di scegliere o modificare il diritto applicabile ai loro rapporti patrimoniali riconoscendo ampi margini di esplicazione della loro volontà». Sui rapporti tra art. 161 c.c. e diritto internazionale privato v. amplius Oberto, Del regime patrimoniale della famiglia. Disposizioni generali, Commento agli artt. 159, 160 e 161, in Aa. Vv., Commentario del codice civile, diretto da Enrico Gabrielli. Della Famiglia, II Edizione, a cura di Giovanni Di Rosa, artt. 74-230-ter, Torino, 2018, p. 1177 ss.

[21] «45. Per agevolare ai coniugi la gestione dei beni, il presente regolamento dovrebbe autorizzarli a scegliere la legge applicabile al loro regime patrimoniale, indipendentemente dalla natura o dall’ubicazione dei beni, tra le leggi che presentano uno stretto collegamento con i coniugi in ragione della residenza abituale o della cittadinanza dei medesimi. Sarà possibile operare tale scelta in qualsiasi momento: prima del matrimonio, all’atto della conclusione del matrimonio o nel corso del matrimonio».

[22] «I coniugi o nubendi possono designare o cambiare di comune accordo la legge applicabile al loro regime patrimoniale, a condizione che tale legge sia una delle leggi seguenti: (…)».

[23] In questo senso (con riguardo al progetto che avrebbe dato luogo al regolamento del 2010) cfr. anche Rimini, Arrivano i patti prematrimoniali, in La Stampa, 23 novembre 2006, p. 25. Analogamente, Campiglio, Prime applicazioni delle norme europee sui divorzi «internazionali», in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, p. 182, osserva che «Nulla dispone invece il regolamento quanto al dies a quo e, in particolare, in ordine alla possibilità di effettuare la scelta già prima della celebrazione delle nozze, in occasione dei sempre più frequenti prenuptial agreements. È bensì vero che a quell’epoca non può parlarsi ancora di «coniugi», ma non sembrano esservi ragioni per ritenere invalida la scelta. L’unico rischio è che il trascorrere del tempo faccia venir meno il collegamento con la legge scelta (ad esempio, perché i coniugi hanno stabilito la loro residenza in uno Stato diverso da quello la cui legge avevano scelto) e si finisca così per tradire lo spirito del regolamento». Inutile dire che a quest’ultimo dubbio si può replicare facendo presente che, per lo meno sulla base del comune accordo, i coniugi possono prevedere «in corso d’opera» una modifica dell’accordo originariamente raggiunto sulla scelta della legge applicabile.

[24] Di «porta aperta agli accordi prematrimoniali» parlano anche Velletti e Calò, La disciplina europea del divorzio, in Corr. giur., 2011, p. 733.

[25] «Ai fini del presente regolamento si intende per: a) “regime patrimoniale tra coniugi”: l’insieme delle norme che regolano i rapporti patrimoniali dei coniugi tra loro e rispetto ai terzi in conseguenza del matrimonio o del suo scioglimento; b) “convenzione matrimoniale”: qualsiasi accordo tra i coniugi o i nubendi con il quale essi organizzano il loro regime patrimoniale (…)».

[26] «La legge applicabile al regime patrimoniale tra coniugi ai sensi del presente regolamento determina tra l’altro: (…) e) lo scioglimento del regime patrimoniale tra coniugi e la divisione, distribuzione o liquidazione dei beni».

[27] V. infra, § 7.

[28] «Ai fini del presente regolamento si intende per: (…) b) “effetti patrimoniali di un’unione registrata”: l’insieme delle norme che regolano i rapporti patrimoniali dei partner tra loro e verso terzi, in conseguenza del rapporto giuridico creato dalla registrazione dell’unione o del suo scioglimento; c) “convenzione tra partner”: qualsiasi accordo tra i partner o i futuri partner con il quale essi organizzano gli effetti patrimoniali della loro unione registrata; (…)».

[29] Va precisato che, ove trasposto alla realtà italiana, il regolamento ha ad oggetto non già le convivenze di fatto – atteso che, ai sensi dell’art. 3, par. 1, lett. a), la registrazione deve essere prevista dalla legge nazionale come obbligatoria, laddove non è così per le italiche unioni di fatto – ma certamente le unioni civili; in relazione a queste ultime, però, le «convenzioni tra partner» di cui al regolamento in questione altro non sono se non le convenzioni matrimoniali (o patrimoniali, che dir si voglia: sul punto cfr. Oberto, I regimi patrimoniali delle unioni civili, in Giur. it., 2016, p. 1802), richiamate nel comma 13 dell’articolo unico di cui si compone la «riforma Cirinnà», mercé il rinvio all’art. 162 c.c.

[30] Cfr. Bonomi, Protocollo del 23 novembre 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari. Testo adottato dalla ventunesima sessione. Relazione esplicativa, https://assets.hcch.net/docs/a20ac557-f94d-42da-b625-776e7de69f01.pdf, p. 31, num. 126: «La scelta della legge applicabile è particolarmente utile nei rapporti tra i coniugi che concludono, prima o durante il matrimonio, un accordo sulle obbligazioni alimentari durante il matrimonio o dopo il divorzio. Grazie alla scelta, la legge applicabile all’obbligazione alimentare è determinata in anticipo, il che evita che la validità dell’accordo possa essere messa in discussione successivamente, in caso di cambiamento della residenza abituale dei coniugi o del coniuge creditore».

[31] Cfr. Oberto, Crisi della famiglia e obblighi di mantenimento nella UE – I rimedi all’inadempimento, in Aa. Vv., Crisi della famiglia e obblighi di mantenimento nell’Unione Europea, a cura di Vincenzo Roppo e Giovanna Savorani, Torino, 2008, p. 85 ss.; Id., Gli obblighi di mantenimento  e il recupero dei crediti alimentari  in diritto comunitario:  la nozione comunitaria di «alimenti»  e i principi in tema di competenza giurisdizionale, https://www.giacomooberto.com/milano2009/relazione.htm.

[32] Tra l’altro, pur avendo lo scrivente sostenuto in passato (peraltro, in forma ampiamente dubitativa) che il regolamento in oggetto non si sarebbe applicato alle unioni di fatto (cfr. Oberto, Gli obblighi di mantenimento  e il recupero dei crediti alimentari  in diritto comunitario:  la nozione comunitaria di «alimenti»  e i principi in tema di competenza giurisdizionale, cit., § 3), vi è da ritenere che l’evoluzione normativa a livello europeo (v. in particolare l’adozione del regolamento n. 1104 del 2016 sui rapporti patrimoniali nelle unioni registrate), e, soprattutto, la giurisprudenza CEDU sulla nozione di «vita familiare», come estesa anche alle convivenze more uxorio, nonché la «riforma Cirinnà» in Italia, consentano oggi di superare ogni dubbio nel senso di ritenere applicabile il regolamento in oggetto non solo alle prestazioni alimentari nel contesto della famiglia basata sul matrimonio, ma anche a quelle relative all’unione civile e alle convivenze di fatto. Da ciò deriva che, ad es., anche i contratti di convivenza per atto pubblico saranno rilevanti ex art. 48, reg. n. 4 del 2009, mentre saranno prestazioni alimentari rilevanti ai fini dello strumento normativo in oggetto pure le prestazioni di alimenti in assenza di contratto di convivenza eventualmente stabilite dal giudice a seguito della rottura del legame di fatto, ai sensi del comma 65 dell’articolo unico della citata novella del 2016.

[33] In argomento, per un’ampia panoramica illustrativa, cfr. da ultimo Bariatti, Volontà delle parti e internazionalità del rapporto giuridico: alcuni sviluppi recenti nella giurisprudenza della corte di giustizia sui regolamenti europei in materia di diritto internazionale privato, in Riv. dir. int. priv., 2019, p. 513 ss.

[34] Una consapevolezza, si badi, che neppure sembra caratterizzare la posizione «ufficiale» dello stesso governo italiano. Ed invero, quest’ultimo si è fatto latore, nel 2019, di una proposta di legge in materia (cfr. il d.d.l. di iniziativa governativa S/1151/XVIII, presentato al Senato il 19 marzo 2019), dal contenuto quanto mai vago e generico, posto che trattasi di una sorta di «scatola vuota», che si limita a proporre una legge delega, la quale, tra varie possibili riforme del codice civile, dovrebbe essere volta all’emanazione, da parte del governo medesimo, di un decreto legislativo al fine di «b) consentire la stipulazione tra i nubendi, tra i coniugi, tra le parti di una programmata o costituita unione civile, di accordi intesi a regolare tra loro, nel rispetto delle norme imperative, dei diritti fondamentali della persona umana, dell’ordine pubblico e del buon costume, i rapporti personali e quelli patrimoniali, anche in previsione dell’eventuale crisi del rapporto, nonché a stabilire i criteri per l’indirizzo della vita familiare e l’educazione dei figli». Ora, nella relativa relazione d’accompagnamento si legge che, al riguardo, esisterebbe una lacuna nel nostro ordinamento, «nel quale tuttora tali tipologie di accordi, sia patrimoniali che personali, sono reputati nulli rispetto invece ad altri ordinamenti, nei quali sono ammessi e regolamentati».

[35] Sul tema si rimanda per tutti a Oberto, Gli accordi prematrimoniali in Cassazione, ovvero quando il distinguishing finisce nella Haarspaltemaschine, Nota a Cass., 21 dicembre 2012, n. 23713, in Fam. e dir., 2013, p. 323 ss.

[36] Su cui v. in generale Lagarde, Le « Dépeçage » dans le droit international privé des contrats, Padova, 1975, passim; Symeonides, Choice of law, Oxford, 2016, p. 685 ss.; Villani, Diritto internazionale privato: profili generali, Napoli, 2019, p. 24 ss.

[37] Così Viarengo, op. cit., p. 35.

[38] Si noti, poi, che questo contratto può anche presentarsi come intimamente collegato al suo pendant nel campo dei rapporti tra conviventi di fatto, come dimostrato, ad esempio, dall’esperienza australiana, ove la riforma del 2000 sui prenuptial agreements è «figlia» della normativa del 1984 in tema di contratti di convivenza (per l’excursus storico al riguardo si fa rinvio a Oberto, Per un intervento normativo in tema di accordi preventivi sulla crisi della famiglia, cit., p. 50 ss.), o da quella del Codi civil della Catalogna (v. art. 231-20), il quale, da un lato, fornisce un’ampia e dettagliata regolamentazione dei Pactes en previsió d’una ruptura matrimonial, e, dall’altro (v. artt. 234-1 e 234-14) estende ai partner dell’unione libera la possibilità di concludere accordi en previsió del cessament de la convivència, con espresso rinvio alla citata normativa codicistica sui patti prematrimoniali (cfr. Id., op. loc. ultt. citt.).

[39] Cfr. per tutti Al Mureden, I prenuptial agreements negli Stati Uniti e nella prospettiva del diritto italiano, in Fam. e dir., 2005, p. 542 ss.

[40] Sul tema cfr. per tutti Ronchese, Regno Unito: una nuova regola sulla divisione dei beni dopo il divorzio, in Familia, 2002, p. 843 ss.; v. inoltre Thorpe, Financial consequences of divorce: England versus the rest of Europe, in The future of family property in Europe, a cura di Boele-Woelki, Miles e Scherpe, Cambridge-Antwerp-Portland, 2011, p. 4 ss.; Fusaro, Marital contracts, Ehevertraege, convenzioni e accordi prematrimoniali. Linee di una ricerca comparatistica, in Nuova giur. civ. comm., 2012, II, p. 475 ss. Sulla non contrarietà rispetto all’ordine pubblico internazionale italiano della sentenza di divorzio, emessa da una corte statunitense, con la quale veniva disposta l’assegnazione, in sede di divisione dei patrimoni dei coniugi, a seguito del divorzio medesimo, di un immobile sito in Roma ma intestato al marito, in base alle norme vigenti nello stato dell’Illinois, cfr. Cass., 18 aprile 2013, n. 9483. Non si deve poi anche trascurare che i sistemi di matrice anglosassone consentono di operare la citata redistribuzione delle risorse patrimoniali acquisite dai coniugi durante il matrimonio mercé il ricorso (e ciò sia in relazione alle coppie coniugate, che a quelle conviventi more uxorio) all’istituto del trust (sul tema c. per tutti Oberto, Il regime di separazione dei beni tra coniugi. Artt. 215-219, in Il codice civile. Commentario fondato e già diretto da Piero Schlesinger, continuato da Francesco Donato Busnelli, Milano, 2005, p. 183 ss.).

[41] Cfr. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, Leipzig, 1930, p. 147.

[42] Tramite la quale le coppie che optano in Francia per il regime di comunione universale possono stabilire che, nell’ipotesi di scioglimento per divorzio, ognuno dei coniugi riprenderà gli apporti alla comunione (su tale istituto, anche per i necessari rinvii e per gli inediti raffronti con l’esperienza storica italiana, cfr. Oberto, Attualità del regime legale, in Fam. e dir., 2019, p. 88 s.).

[43] Per un cenno al riguardo v. supra, § 1, in fine.

[44] Cfr. Oberto, Per un intervento normativo in tema di accordi preventivi sulla crisi della famiglia, cit., p. 44 s., 52 s.

[45] Sui relativi possibili accordi in sede di Ehevertrag tedesco cfr. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, cit., II, Milano, 2010, p. 2153, nota 168.

[46] Cfr. Oberto, Attualità del regime legale, cit., p. 85 ss.

[47] Cfr. Oberto, Prenuptial Agreements in Contemplation of Divorce: European and Italian Perspectives, in Aa. Vv., Party Autonomy in European Private (and) International Law, I, Edited by Ilaria Queirolo, Bettina Heiderhoff, Ariccia, 2015, p. 228 ss.; anche in Contratto e impresa/Europa, 2016, p. 141 ss.; Id., Les contrats prénuptiaux en vue d’un éventuel divorce et le rôle du notaire dans la prédetermination des conséquences de la crise du couple, in Europa e diritto privato, 2019, p. 226 ss.

[48] Peraltro, per ciò che attiene al capo III, la regola vale solo se i coniugi hanno contratto matrimonio o hanno designato la legge applicabile al loro regime patrimoniale successivamente al 29 gennaio 2019 (cfr. art. 69, par. 3, del regolamento n. 1103 del 2016), applicandosi in caso contrario le regole di conflitto desumibili dal combinato disposto degli artt. 29 e 30, l. n. 218 del 1995.

[49] Cfr. Nascimbene, Divorzio, diritto internazionale privato e dell’Unione europea, Milano, 2011, p. 47 (e ivi ulteriori richiami).

[50] Cfr. Silvestri, op. cit., p. 497 ss.

[51] Così Gallant, op. cit., p. 144, la quale soggiunge che «La jurisprudence française avait adopté le même raisonnement en matière de loi applicable à propos de la mise œuvre de la convention de La Haye de 1973 sur la loi applicable aux obligations alimentaires. Cette jurisprudence peut parfaitement être transposée au règlement Aliments et au Protocole de La Haye qui sont venus réformer les règles de droit international privé en matière d’obligations alimentaires».

[52] In questo senso cfr. Gallant, op. loc. ultt. citt.; v. inoltre Niboyet, Le remède à la fragmentation des instruments européens de droit international privé (à la lumière de la porosité des catégories « alimony » et « matrimonial property » en droit anglais, in Aa. Vv., Mélanges Bernard Audit, Paris, 2014, p. 552 ; Chalas, Contrats de mariage et nuptial agreements : vers une acculturation réciproque ? - Regards croisés entre la France et l’Angleterre (étude de droit comparé, de droit international privé et de droit interne), in Journal dr. int., 2016, p. 781 ss.; Perreau-Saussine, Les prenuptial agreements et les contrats de mariage : perspective franco-anglaise, in Droit de la famille, n. 6, Juin 2015, p. 7 ss.

[53] Cfr. Corte di giustizia UE, 27 febbraio 1997, Antonius van den Boogaard v Paula Laumen, C-220/95. Sulla decisione v. anche Gallant, op. cit., p. 144. 

[54] Per approfondimenti sul punto Oberto, Contratto e famiglia, in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di Vincenzo Roppo, VI, Interferenze, a cura di Vincenzo Roppo, Milano, 2006, p. 171 ss.

[55] Cfr. ad es. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 627 ss., spec. 696 ss.

[56] Sul tema v. da ultimo Cass., 25 ottobre 2019, n. 27409: «Gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti reciproche attribuzioni patrimoniali e concernenti beni mobili o immobili, rispondono, di norma, ad uno specifico spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di separazione consensuale che svela una sua tipicità propria la quale, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., può colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della gratuità, in ragione dell’eventuale ricorrenza, o meno, nel concreto, dei connotati di una sistemazione solutorio-compensativa più ampia e complessiva, di tutta quella serie di possibili rapporti aventi significati, anche solo riflessi, patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale». La decisione è solo l’ultima di un cospicuo filone che trae ispirazione dalle tesi dello scrivente sull’esistenza, nei contratti della crisi coniugale, di una causa autonoma e tipica: cfr. Oberto, op. loc. ultt. citt.; Id., La revocatoria degli atti a titolo gratuito ex art. 2929-bis c.c. Dalla pauliana alla «renziana»?, Torino, 2015, p. 99 ss.

[57] Cfr. Gallant, op. loc. ultt. citt.

[58] Così Silvestri, op. cit., p. 500.

[59] Non sembra invece possibile, nel caso in esame, fare riferimento all’art. 48 del regolamento n. 2201 del 2003 (così invece Silvestri, op. loc. ultt. citt.) e neppure all’art. 46, posto che il citato strumento normativo è, come si è già visto, assai chiaro nell’escludere la sua applicabilità alle conseguenze patrimoniali e alimentari della crisi coniugale (v. supra, § 3).

[60] Cfr. Oberto, Accordi prematrimoniali e contratti di convivenza, in Aa. Vv., Il nuovo diritto di famiglia. Profili sostanziali, processuali e notarili, a cura di A. Cagnazzo, F. Preite e V. Tagliaferri, IV, Tematiche di interesse notarile. Profili internazionalprivatistici, Milano, 2015, p. 3 ss.

[61] Sul punto cfr. Oberto, Accordi prematrimoniali e contratti di convivenza, cit., p. 6 s.; Id., Per un intervento normativo in tema di accordi preventivi sulla crisi della famiglia, cit., p. 52 ss.

[62] Per il diritto interno l’ammissibilità di un patto prenuziale contenente un trust familiare è legata al più ampio tema della configurabilità di un trust interno: sull’argomento, che, ovviamente non è possibile affrontare nella presente sede, si fa rinvio a Oberto, Le destinazioni patrimoniali nell’intreccio dei rapporti familiari, in Aa. Vv., Le destinazioni patrimoniali, a cura di R. Calvo e A. Ciatti, nel Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno e E. Gabrielli, Torino, 2014, p. 147 ss. Si tenga però presente che, nella specie, si sta parlando di un patto prematrimoniale che presenti elementi di internazionalità (e, come tale, per definizione non interno): elementi che andranno, dunque, comunque valutati in relazione alla convenzione dell’Aja del 1985 sul trust. 

[63] Cfr. Cass., 21 dicembre 2012, n. 23713, in Fam. e dir., 2013, p. 321, con nota di Oberto. Dalla decisione sono estrapolabili le seguenti massime (non ufficiali): «In linea generale, gli accordi sulle conseguenze patrimoniali del divorzio conclusi prima del matrimonio, così come quelli stipulati in sede di separazione consensuale e in vista del futuro divorzio, sono nulli per illiceità della causa, perché in contrasto con i principi di indisponibilità degli status e dello stesso assegno di divorzio. Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali del divorzio conclusi prima del matrimonio, così come quelli stipulati in sede di separazione consensuale e in vista del futuro divorzio, sono nulli allorquando intendono regolare l’intero assetto economico tra i coniugi o un profilo rilevante (come la corresponsione di assegno), con possibili arricchimenti e impoverimenti; questi accordi sono invece validi nel caso in cui prevedano prestazioni e controprestazioni tra loro proporzionali, in un contesto in cui la crisi del rapporto viene in considerazione alla stregua di una condizione. L’accordo stipulato prima delle nozze tra i futuri coniugi, in forza del quale si prevede che la moglie cederà al marito un immobile di sua proprietà, quale indennizzo delle spese sostenute dallo stesso per la ristrutturazione di altro immobile, pure di sua proprietà, da adibirsi a casa coniugale, non configura un’ipotesi di accordo prematrimoniale nullo per illiceità della causa, né, in particolare, per violazione dell’art. 160 c.c., ma un contratto atipico, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi, sicuramente diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell’art. 1322 cpv. c.c.; tale intesa consiste infatti in una datio in solutum, in cui l’impegno negoziale assunto è collegato alle spese affrontate, e il fallimento del matrimonio non rappresenta la causa genetica dell’accordo, ma è degradato a mero evento condizionale». Per una disamina parzialmente critica cfr. Oberto, Gli accordi prematrimoniali in Cassazione, ovvero quando il distinguishing finisce nella Haarspaltemaschine, cit., p. 323 ss.

[64] Cfr. Cass., 21 agosto 2013, n. 19304: «L’inderogabilità dei diritti e dei doveri che scaturiscono dal matrimonio non viene meno per  il fatto che uno dei coniugi, avendo ricevuto un prestito dall’altro, si impegni a restituirlo per il caso della separazione. Che poi l’esistenza di un simile accordo si possa tradurre in una pressione psicologica sul coniuge debitore al fine di scoraggiarne la libertà di scelta per la separazione è questione che nel caso specifico non ha trovato alcun riscontro probatorio; e che comunque, ove pure sussistesse, non si tradurrebbe di per sé nella nullità di un contratto come quello in esame».

[65] Cfr. Oberto, Per un intervento normativo in tema di accordi preventivi sulla crisi della famiglia, cit., p. 57.

[66] Cfr. Oberto,  Gli accordi patrimoniali tra coniugi  in sede di separazione o divorzio  tra contratto e giurisdizione: il caso delle intese traslative, https://www.giacomooberto.com/trasferimenti/taormina2009/relazione_oberto_taormina.htm.

[67] Sul peculiare tema degli accordi preventivi tra futuri partner di un’unione civile v. infra, § 7.

[68] V. supra, §§ 3 e 4.

[69] Cfr. Oberto, Per un intervento normativo in tema di accordi preventivi sulla crisi della famiglia, cit., p. 47 s.

[70] Cfr. Oberto, Per un intervento normativo in tema di accordi preventivi sulla crisi della famiglia, cit., p. 59 s. Inutile rammentare che una soluzione del genere è valida alla sola condizione che, secondo la tesi di gran lunga preferibile, le prestazioni postmatrimoniali in oggetto (concernenti i rapporti tra i coniugi, così come quelle coinvolgenti la prole minorenne, a condizione che le stesse non si pongano in contrasto con l’interesse di quest’ultima) siano pienamente disponibili inter partes: quest’ultimo tema è sviluppato in Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 379 ss., 421 ss.; Id., Sulla natura disponibile degli assegni di separazione e divorzio: tra autonomia privata e intervento giudiziale, cit., p. 389 ss., 495 ss. e le relative conclusioni sembrano ora accettate anche dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. la già ricordata Cass., Sez. Un.,  11 luglio 2018, n. 18287, cit.).

[71] «Articolo 5.

Competenza in caso di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio

1. Fatto salvo il paragrafo 2, se un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro è investita di una domanda di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio ai sensi del regolamento (CE) n. 2201/2003, le autorità giurisdizionali di tale Stato sono competenti a decidere sulle questioni inerenti al regime patrimoniale tra coniugi correlate alla domanda in questione.

2. La competenza in materia di regimi patrimoniali tra coniugi ai sensi del paragrafo 1 è condizionata all’accordo dei coniugi se l’autorità giurisdizionale investita della domanda di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio:

a) è l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel cui territorio si trova la residenza abituale dell’attore e questi vi ha risieduto per almeno un anno immediatamente prima della presentazione della domanda, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), quinto trattino, del regolamento (CE) n. 2201/2003,

b) è l’autorità giurisdizionale di uno Stato membro di cui l’attore è cittadino e questi vi risiede abitualmente e vi ha risieduto per almeno sei mesi immediatamente prima della presentazione della domanda, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), sesto trattino, del regolamento (CE) n. 2201/2003,

c) è adita ai sensi dell’articolo 5 del regolamento (CE) n. 2201/2003 in casi di conversione della separazione personale in divorzio, o

d) è adita ai sensi dell’articolo 7 del regolamento (CE) n. 2201/2003 in casi di competenza residua.

3. Se è concluso prima che l’autorità giurisdizionale sia adita per decidere su questioni inerenti ai regimi patrimoniali tra coniugi, l’accordo di cui al paragrafo 2 del presente articolo deve essere conforme all’articolo 7, paragrafo 2».

[72] Cfr. Oberto, I regimi patrimoniali delle unioni civili, cit., p. 1797 ss. 

[73] É dunque evidente che chi, come lo scrivente, è (da sempre) partigiano dell’ammissibilità, già de iure condito, dei contratti prematrimoniali, necessariamente dovrà concludere per l’ammissibilità di analogo tipo di negozio in vista della costituzione di un’unione civile: cfr. Oberto, I regimi patrimoniali delle unioni civili, cit., p. 1807.

[74] La fantasia dei giuristi dovrà qui esercitarsi non poco per partorire una terminologia idonea a costituire un adeguato pendant dell’espressione «contratto prematrimoniale», atteso che quella «contratto preunitario» sembrerebbe colorarsi di sfumature, per così dire, «storiografiche» (facendo pensare ai contratti stipulati nella vigenza dei codici «preunitari», per l’appunto); i termini «contratto preunionistico» o «contratto preunionale», dal canto loro, appaiono di singolare sgradevolezza, per cui sembra giocoforza optare, come si propone nel presente lavoro, per un’espressione tipo «contratto pre-unione civile».

[75] Sul tema v. per tutti Campiglio, La disciplina delle unioni civili transnazionali e dei matrimoni esteri tra persone dello stesso sesso, in Riv. dir. int. priv., 2017, p. 58 ss.; Viarengo, op. cit., p. 38 ss.

[76] Si è notato al riguardo in dottrina (cfr. Campiglio, op. cit., p. 62 s.) che tale disposizione appare decisamente innovativa, atteso che essa ricorre «a una nuova forma di incorporazione di norme sovranazionali, nazionalizzando un atto che riguarda una classe di fattispecie diversa da quella qui contemplata: il regolamento riguarda infatti, nella fase patologica, il matrimonio e non già l’unione civile. In altre parole, l’incorporazione non opera in relazione a una fattispecie specificamente esclusa dalla sfera di applicazione delle norme comunitarie sebbene attinente alla materia da quelle disciplinata, ma concerne una materia differente (non matrimoniale, appunto)». La medesima dottrina, poi, rimarca che «i criteri di collegamento utilizzati dal regolamento n. 1259/2010 (residenza abituale e cittadinanza) potrebbero anche condurre a un ordinamento che non conosce l’istituto dell’unione civile e che il decreto non indica quale soluzione dovrebbe seguire il giudice italiano in una simile eventualità».

[77] Cfr. ad es. quanto stabilito da una decisione di merito, che ha affermato l’applicabilità all’unione civile delle disposizioni del regolamento «Bruxelles II-bis» in materia di litispendenza internazionale (cfr. Trib. Bologna, 18 ottobre 2018, in Guida dir., 16 novembre 2019, n. 47, p. 44), rilevando che la materia dell’unione civile è «equiparabile» a quella matrimoniale e che lo scioglimento dell’unione civile è retto, nel sistema della «riforma Cirinnà», dal rinvio alle norme sul divorzio; la sentenza non affronta, peraltro, il problema discusso qui nel testo (con particolare riguardo all’art. 32-quater della l. n. 218 del 1995) e, soprattutto, non menziona il ricordato comma 20 della l. n. 76 del 2016.

[78] La conclusione è contraria alla communis opinio internazionalprivatistica. Invero,  anche la dottrina che ritiene che nell’ambito di applicazione del regolamento «Bruxelles II-bis» debba rientrare lo scioglimento del matrimonio tra persone dello stesso senso tende a non ricondurvi le partnership registrate. Cfr., ad es., Tomasi, La tutela degli status familiari nel diritto dell’Unione europea, Padova, 2007, p. 295; Bogdan, Registered partnerships and EC Law, in Aa.Vv., Legal recognition of Same- Sex Couples in Europe, a cura di Boele-Woelki e Fuchs, Cambridge-Antwerp-Portland, 2011, p. 171 ss.; Viarengo, op. cit., p. 42.

[79] Cfr. supra, §§ 3, 4 e 5.

[80] Cfr. supra, §§ 3 e 4.

[81] Si pensi, in particolare, alla predeterminazione degli effetti dello scioglimento del regime, ma anche a tutte le clausole descritte supra, nel § 5 (come, ad es., a quella diretta a dare un senso alle future ed eventuali attribuzioni patrimoniali dallo scrivente definite come «a senso unico»).