Giacomo Oberto

 

I «BENI PREMATRIMONIALI»

EX ART. 179, LETT. A), C.C.

 

SOMMARIO

1. Generalità.

2. Il problema della prova.

3. Gli acquisti nelle fattispecie a formazione progressiva: le vendite ad effetti reali differiti. La vendita con riserva della proprietà.

4. Gli acquisti di immobili costruiti in regime di edilizia residenziale pubblica.

5. La vendita con patto di riscatto.

6. Ulteriori fattispecie controverse; il problema del preliminare (e del definitivo per scrittura privata).

7. L’acquisto per usucapione.

 

 

 

1. Generalità.

 

Ai sensi dell’art. 179, lett. a), c.c., non entrano a far parte della comunione legale – e sono dunque sottratti sia alla comunione immediata che a quella de residuo – «i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento» [1]. Nonostante il tenore letterale della norma, essa va riferita non tanto al momento dell’instaurazione del vincolo matrimoniale, quanto a quello di inizio del regime di comunione legale. Se, infatti, gli sposi dovessero optare inizialmente per il regime di separazione e solo in un secondo momento adottare quello comunitario, non vi sarebbero dubbi sul fatto che i beni acquistati durante la prima fase – anteriormente, dunque, alla stipula della convenzione costitutiva del regime ex artt. 177 ss. c.c. – continuerebbero a configurarsi come personali [2].

Problemi particolari si pongono in caso di trascrizione tardiva del matrimonio canonico, cui l’art. 8, commi 5° e 6°, l. 25 marzo 1985, n. 121 attribuisce efficacia retroattiva, che si estende sino al momento della celebrazione delle nozze, purché ciò non pregiudichi i terzi che legittimamente abbiano acquisito dei diritti. Secondo l’orientamento che appare preferibile, gli acquisti compiuti medio tempore dai coniugi, anche separatamente, ricadono in comunione, ma gli atti di disposizione sui beni così acquistati, posti in essere dall’intestatario (che abbia agito senza l’intervento del coniuge), non potranno essere annullati con l’azione prevista dall’art. 184 c.c., né essere in altro modo pregiudicati [3].

La lettera della norma in esame, con il suo richiamo ai beni di cui, prima del matrimonio, «il coniuge era proprietario», potrebbe indurre a ritenere dubbia l’esclusione dalla caduta in comunione legale di quei beni di cui entrambi i coniugi erano comproprietari (in situazione, ovviamente, di comunione ordinaria). Sarà peraltro sufficiente riferire la disposizione alla proprietà della quota per risolvere il problema, scartando la soluzione della caduta in comunione legale. In questo senso, d’altro canto, può invocarsi un precedente di legittimità, secondo cui la comunione convenzionale, sussistente tra i coniugi al riguardo di un bene e costituitasi prima dell’entrata in vigore del regime legale «non si trasforma in comunione legale, ma continua ad essere disciplinata dagli artt. 1100 e ss. cod. civ.», ove non venga posta in essere la convenzione prevista dall’art. 228 della legge di riforma del 1975 [4].

Un altro eventuale limite al dettato normativo in esame potrebbe ricavarsi dal riferimento testuale ai soli beni appartenenti ai coniugi a titolo di proprietà, o di altro diritto reale di godimento. Peraltro, dottrina [5] e giurisprudenza [6] hanno offerto un’interpretazione estensiva di tale principio, al fine di ampliarne l’operatività all’intero patrimonio (comprensivo, dunque, tanto di diritti reali che di diritti di credito) di cui ciascun coniuge fosse titolare prima delle nozze. Va peraltro notato che, anche se il legislatore della riforma non avesse inserito nell’art. 179 c.c. la previsione della lettera a), il chiaro e preciso riferimento effettuato dall’art. 177 c.c. ai soli acquisti compiuti manente communione avrebbe ugualmente condotto alla conclusione per cui ogni consistenza patrimoniale appartenente ai coniugi in forza di una vicenda acquisitiva maturata precedentemente sarebbe in ogni caso rimasta esclusa dalla massa comune [7]. Posto quanto sopra, è evidente che anche il denaro «prematrimoniale», alla stregua degli altri diritti acquistati prima delle nozze, è da considerarsi escluso dalla comunione [8].

 

 

2. Il problema della prova.

 

La dottrina ha esattamente rilevato che talune incertezze, a distanza di tempo, possono discendere dalla difficoltà di individuazione dei beni (mobili) già facenti parte del patrimonio personale prima delle nozze. Al riguardo, va notato che la nuova disciplina non ha ripetuto la prescrizione contenuta nell’abrogato art. 228, il quale imponeva di procedere ad una «descrizione autentica» dei beni mobili posseduti prima del matrimonio [9]. In caso di dubbio dovrebbe soccorrere la presunzione di comunione di cui all’art. 195 c.c. Peraltro si è osservato che, ai sensi degli artt. 179 e 195 c.c., la semplice prova dell’acquisto di un bene in data anteriore alla celebrazione delle nozze, pur essendo sufficiente ad escludere la sua caduta in comunione legale, non basterebbe ancora, di per se stessa, a dimostrare la proprietà esclusiva in capo al rivendicante: ciò accadrebbe, in particolare, tutte le volte in cui questi riuscisse a provare soltanto l’anteriorità della data dell’acquisto rispetto alla celebrazione delle nozze (o al passaggio della coppia dal regime separatista a quello comunitario), senza riuscire invece a dimostrare di essere l’autore dell’acquisto. In questi casi, dunque, sarebbe esclusa la presunzione di cui all’art. 195 c.c., mentre scatterebbe quella di cui al capoverso dell’art. 219 c.c. [10], norma dettata, come noto, in relazione al regime di separazione dei beni.

A tale impostazione si è obiettato [11] che la disposizione in tema di divisione dei beni già comuni – perché facenti oggetto del regime legale – non sembra presentare lacune bisognevoli di essere colmate con il richiamo all’art. 219 c.c. L’art. 195 c.c. non stabilisce infatti che la presunzione di appartenenza alla comunione (legale) cessi di fronte alla prova dell’effettuazione dell’acquisto in data anteriore alla comunione. Esso, al contrario, prevede che la prova verta sul fatto che i beni mobili «appartenevano ai coniugi stessi» (cioè, evidentemente, a chi di essi rivendica il bene) «prima della comunione o che sono ad essi pervenuti durante la medesima per successione o donazione». Ora, il fatto che un coniuge riesca a fornire solo la dimostrazione che la data dell’acquisto precede quella delle nozze, ma non a provare che fu proprio lui e non l’altro ad acquistare il bene (si pensi alla produzione in giudizio del relativo scontrino fiscale, cui la controparte obietti che il documento le sarebbe stato sottratto durante la convivenza), non soddisfa ancora, ovviamente, il requisito di cui alla prima parte dell’art. 195 c.c. Ne consegue che, in questo caso, il bene si presumerà comune già in forza di quanto disposto dall’art. cit., senza necessità di ricorrere ad altre disposizioni.

Si noti che affermare l’operatività della presunzione di cui all’art. 195 c.c. in luogo di quella ex art. 219 c.c. non è poi così irrilevante, come di primo acchito si potrebbe pensare. E’ pur vero che la prima delle disposizioni citate, collocandosi nella fase della divisione successiva allo scioglimento, viene, in buona sostanza, a rendere operativa un’attribuzione presuntiva a quella situazione di comunione ordinaria che subentra al momento della cessazione del regime legale [12]. E’ però altrettanto pacifico che l’art. 195 c.c. trova applicazione anche durante la vigenza del regime predetto [13]: ciò vuole dire che – in questo caso – il mancato superamento della presunzione determinerà la piena applicazione (a differenza, ovviamente, di ciò che accade per l’art. 219 c.c.) di tutte le disposizioni in tema di amministrazione, responsabilità patrimoniale e scioglimento di cui agli artt. 180 ss. c.c. Inoltre, nulla esclude che anche dopo lo scioglimento del regime legale possa avere un qualche costrutto disputare tra coniugi sul carattere già comune (ex art. 177 c.c.) di uno o più beni: si pensi, per esempio, ad una domanda proposta ai sensi dell’art. 184 ult. cpv. c.c. in relazione ad atti di disposizione compiuti da un coniuge su determinati beni mobili che l’altro coniuge affermi aver formato oggetto della comunione legale [14].

 

 

3. Gli acquisti nelle fattispecie a formazione progressiva: le vendite ad effetti reali differiti. La vendita con riserva della proprietà.

 

Notevole rilievo pratico rivestono le problematiche relative alle modalità di applicazione dell’art. 179, lett. a), c.c. alle fattispecie di acquisto a formazione progressiva, quando, per l’appunto, l’effetto traslativo finale si configura come la risultante di un procedimento complesso. In proposito, di fronte alla possibile divaricazione temporale tra: (1) il momento in cui la fattispecie negoziale risulta completa di tutti i suoi elementi, (2) quello in cui il coniuge affronta la spesa per l’acquisto e (3) quello in cui la vicenda acquisitiva si perfeziona, parte della dottrina ha ritenuto di dover indicare, quale momento determinante per l’accertamento della caduta o meno in comunione, quello – sopra indicato sub (2) – in cui «è stato sostenuto l’onere economico giustificativo dell’acquisto» [15]. Siffatta soluzione risulta peraltro contraria allo spirito così come alla lettera della Riforma del 1975, tesa a fornire alla comunione legale la massima capacità espansiva, a prescindere dal concreto contributo prestato da ciascuno dei coniugi non solo al ménage familiare [16], bensì anche ad ogni acquisto in sé considerato [17].

Per le medesime ragioni risulta inaccettabile pure il criterio – sopra indicato sub (1) – sostenuto invece dalla dottrina maggioritaria [18], la quale, fa leva unicamente sul momento di perfezionamento della fattispecie negoziale. Sembra infatti a chi scrive che il concetto di «acquisto», cui l’art. 177 c.c. effettua espresso richiamo, non possa riferirsi se non al pieno completamento della vicenda acquisitiva, con il trasferimento del diritto in capo all’acquirente. In altre parole, non appaiono convincenti tanto la tesi che fa richiamo alla «sostanza del tempo della formazione della ricchezza» [19], quanto l’idea che fa perno sul momento dello scambio dei consensi, di fronte ad un dato normativo indiscutibilmente legato alla nozione di «acquisto», che della vicenda acquisitiva costituisce non già la premessa, ma l’effetto.

Venendo all’applicazione pratica di tali principi andranno prese in esame le cosiddette vendite obbligatorie (rectius: ad effetti reali differiti). Qui, partendo dalla considerazione secondo cui, a seguito della stipulazione di un contratto di compravendita di cosa futura (art. 1472), di cosa altrui (art. 1478 s. c.c.), di cosa generica, o di cosa alternativa l’acquirente otterrebbe istantaneamente una situazione di titolarità del diritto reale, ancorché differita nel tempo, la dottrina maggioritaria opta per la personalità dell’acquisto, nel caso di conclusione di uno di tali negozi prima della celebrazione delle nozze [20]. In realtà, se è vero come è vero che la vicenda acquisitiva si perfeziona solo al momento in cui la cosa viene in essere o il venditore procura l’acquisto al compratore, o interviene la specificazione o la scelta, saranno solo ed esclusivamente questi ultimi momenti a rilevare per la produzione degli effetti ex art. 177 c.c.

Per quanto attiene, poi, alla vendita con riserva della proprietà, un primo orientamento – conformemente alle premesse da cui prende le mosse la dottrina maggioritaria – ritiene rilevante il momento della stipula del contratto [21]. Peraltro, se si individua (come pare più corretto), quale momento rilevante, quello del trapasso della proprietà, posto che quest’ultimo nel caso di specie si opera (ex art. 1523 c.c.) con il pagamento dell’ultima rata del prezzo, l’effetto del coacquisto automatico in capo al coniuge si produrrà se all’atto di tale pagamento l’acquirente si troverà sottoposto al regime legale. Ciò, si badi, indipendentemente dal fatto che l’altro coniuge abbia o meno preso parte al negozio acquisitivo [22]. Proprio in una fattispecie del genere la Corte d’appello di Genova ha riconosciuto la ca­duta in comunione di un immobile acquistato dal marito in epoca anteriore alla riforma del diritto di famiglia, ma con patto di riservato dominio sino all’integrale pagamento del prezzo avve­nuto il 26 novembre 1979, senza che nessuno dei coniugi si fos­se a suo tempo avvalso della facoltà di esclusione del regime legale ai sensi dell’art. 228, l. 19 maggio 1975, n. 151 [23].

La giurisprudenza di merito ha anche avuto occasione di occuparsi del distinto problema concernente l’individuazione della posizione del compratore con patto di riservato dominio prima dell’integrale pagamento del prezzo. Con riferimento alla vendita a rate di un fondo rustico il Tribunale di Ferrara [24] ha riconosciuto in capo all’acquirente un mero diritto di credito sui generis, strettamente legato alla sussistenza di particolari requisiti soggettivi (nella specie si trattava di quelli imposti dalla normativa in tema di formazione della piccola proprietà contadina ai sensi del d. lgs. 24 febbraio 1948, n. 114). Si è così negata la caduta in comune legale di tale situazione soggettiva [25]. Ora, a prescindere dal caso particolare, in cui la circolazione del fondo acquistato era per legge vincolata al possesso di determinati requisiti personali, non vi è dubbio che, se si ammette (come appare preferibile) il presupposto della operatività del meccanismo dell’acquisto automatico in regime di comunione legale anche in relazione ai diritti di credito – i quali (non va dimenticato) sono di regola liberamente cedibili (cfr. artt. 1260, 1298, 2559 c.c.) – sembra difficile negare la caduta in comunione anche di tale posizione.

A ben vedere, però, è contestabile addirittura la premessa, e cioè che la posizione del compratore sia costituita da un diritto di credito. Dal momento che, infatti, la vendita in oggetto determina un effetto reale differito e non un’obbligazione di trasferire, ciò che il compratore acquista non è un credito, ma una situazione complessa, composta da un’aspettativa sul futuro acquisto e dalla detenzione del bene. Andrà quindi rilevato come l’aspettativa reale competente al compratore, in quanto liberamente cedibile a terzi, ben possa costituire «acquisto» ai sensi dell’art. 177, lett. a), c.c. Ove dunque l’acquirente con patto di riservato dominio si trovi ad essere, all’atto dell’acquisto, coniugato in regime di comunione, dovrà munirsi del necessario consenso del coniuge ex art. 180 c.c. se vorrà disporre della conseguente aspettativa prima dell’integrale pagamento del prezzo [26].

 

 

4. Gli acquisti di immobili costruiti in regime di edilizia residenziale pubblica.

 

L’impostazione proposta nel paragrafo che precede pare suffragata dalla giurisprudenza di legittimità in materia di acquisti di immobili costruiti in regime di edilizia residenziale pubblica. Al riguardo può constatarsi come, operata una distinzione tra la fase attributiva del diritto personale di godimento e quella in cui avviene il trasferimento del diritto dominicale, la Suprema Corte abbia focalizzato l’attenzione su tale secondo momento, quale quello rilevante ai fini della caduta o meno in comunione

Così, si è affermato che «L’assegnazione in locazione di un alloggio dell’edilizia residenziale pubblica, ancorché con patto di riscatto, e pure quando venga disposta in relazione alla consistenza del nucleo familiare dell’assegnatario (nella specie, a norma degli artt. 29 della l. 14 febbraio 1963, n. 60 e 70 del d.p.r. 11 ottobre 1963, n. 1471), attribuisce un diritto personale, non reale, del quale è esclusivo titolare l’assegnatario medesimo. Pertanto, nel caso di sopravvenienza della separazione dei coniugi, prima del trasferimento in proprietà dell’immobile, deve escludersi che il coniuge non assegnatario possa pretendere una quota del bene, invocando il pregresso regime di comunione legale di cui all’art. 177 cod. civ., poiché questo riguarda solo gli acquisti della proprietà od altro diritto reale» [27]. E’ da notare che in questo caso si discuteva solo del diritto di godimento del bene, ottenuto mediante assegnazione in godimento con patto di futura vendita, e non già della proprietà. La situazione appare così analoga ad un’altra, decisa dalla Corte, diversi anni dopo, nel modo seguente: «Non costituisce oggetto della comunione legale l’alloggio di cooperativa edilizia assegnato in godimento, ma non ancora trasferito, ad uno dei coniugi che sia socio della cooperativa, o il credito vantato verso la cooperativa da parte del socio coniugato che validamente abbia rinunciato all’assegnazione, in mancanza del trasferimento del diritto dominicale in base al contratto privatistico che richiede l’integrale pagamento del prezzo. Ne consegue che, non facendo parte della comunione legale l’assegnazione provvisoria prima del trasferimento, non sussiste altresì alcun diritto del coniuge non socio ad ottenere la metà del credito spettante all’altro coniuge nei confronti della cooperativa a seguito dell’effettuata rinuncia» [28].

Una decisione del 1990 [29] si è pronunciata invece su una situazione in cui era già intervenuta l’assegnazione in proprietà, a seguito del pagamento di tutte le rate previste al momento dell’assegnazione in godimento: «Qualora un coniuge si renda assegnatario e cessionario, con pagamento rateizzato del prezzo e conseguente riserva di proprietà in favore dell’ente cedente, di alloggio dell’edilizia residenziale pubblica, la data dell’acquisto di tale immobile, anche al fine di stabilire se esso ricada nella comunione legale dei beni con l’altro coniuge (art. 177 primo comma lett. a cod. civ.), va individuata in base al contratto privatistico di trasferimento del diritto dominicale, stipulato dopo l’integrale versamento di quel prezzo». Sulla stessa linea si colloca una sentenza pronunziata tre anni dopo, secondo cui «La comunione legale fra coniugi, ai sensi dell’art. 177 primo comma lett. a) cod. civ., riguarda gli ‘acquisti’ compiuti durante il matrimonio, indipendentemente dalla provenienza delle risorse che li abbiano consentiti (con le sole eccezioni elencate dall’art. 179 cod. civ.), e, pertanto, si estende ad alloggio dell’edilizia residenziale pubblica, che sia stato oggetto di assegnazione con promessa di futura vendita prima della data di celebrazione del matrimonio, quando il contratto di cessione, traslativo del diritto dominicale, sia stato stipulato dopo tale data» [30]. Ancora, secondo una pronunzia del 1998 [31], «Con il pagamento dell’ultima rata di prezzo si verifica la condizione sospensiva a cui è sottoposta la vendita con riserva di proprietà di un alloggio di edilizia popolare e pertanto, per il trasferimento di esso a favore degli eredi dell’assegnatario, con il quale è stato stipulato il contratto di cessione in proprietà, non occorre nessuna ulteriore manifestazione di volontà da parte di costoro».

A seconda del tipo di accordi presi all’atto dell’assegnazione in godimento può poi capitare che il trasferimento del diritto dominicale sia legato alla stipula di contratto di mutuo individuale. Ciò che rileva, comunque, è ancora una volta il momento al quale la volontà delle parti ha ancorato il trasferimento del diritto di proprietà: «Nel caso di alloggio di cooperativa edilizia a contributo statale, il momento rilevante, al fine di stabilire l’acquisto della titolarità dell’immobile e, quindi, di verificare se esso ricada nella comunione legale, va individuato in quello della stipulazione, da parte del socio, del contratto di mutuo individuale, poiché soltanto con la stipulazione di detto contratto il socio acquista irrevocabilmente la proprietà dell’alloggio, assumendo la veste di mutuatario dell’ente erogatore del mutuo» [32]. «In tema di assegnazione di alloggi di cooperative edilizie a contributo statale, il momento determinativo dell’acquisto della titolarità dell’immobile da parte del singolo socio, onde stabilire se il bene ricada, o meno, nella comunione legale tra coniugi, è quello della stipula del contratto di trasferimento del diritto dominicale (contestuale alla convenzione di mutuo individuale), poiché solo con la conclusione di tale negozio il socio acquista, irrevocabilmente, la proprietà dell’alloggio (assumendo, nel contempo, la veste di mutuatario dell’ente erogatore), mentre la semplice qualità di socio, e la correlata ‘prenotazione’, in tale veste, dell’alloggio, si pongono come vicende riconducibili soltanto a diritti di credito nei confronti della cooperativa (inidonei, come tali, a formare oggetto della communio incidens familiare). Anche nell’ipotesi in cui l’acquisto del diritto alla quota in seno alla cooperativa da parte del socio risulti effetto di trasmissione iure haereditario da parte di altro socio defunto (nella specie, il padre), tale vicenda assume rilievo esclusivamente sotto il profilo della legittimazione soggettiva nei confronti dell’ente, senza spiegare alcuna influenza ai fini della esatta individuazione, quoad tempus, dell’effetto traslativo relativo all’immobile» [33].

I criteri appena esposti sono stati utilizzati dalla Cassazione anche al fine di risolvere le problematiche relative all’acquisto di proprietà di fondi rustici assegnati a coltivatori diretti nel rispetto delle leggi speciali sulla riforma agraria: in particolare, se il trasferimento della proprietà (effettuato come previsto dalla legge dopo il pagamento delle annualità di prezzo) avviene nel momento in cui i coniugi sono in comunione, il terreno diviene comune ex art. 177, lett. a), ovvero più frequentemente ex art. 177, lett. d), salvo il caso in cui il fondo sia destinato all’esercizio dell’impresa agricola condotta individualmente dal destinatario, dal momento che, in questo caso, il bene cadrà in comunione de residuo ai sensi dell’art. 178 c.c. [34].

Per concludere sul punto potrà rimarcarsi che anche una rilevante parte della dottrina ha aderito ai criteri introdotti in materia dalla Cassazione [35], pur non mancando opinioni difformi: così, mentre per taluni occorrerebbe attribuire rilievo al momento in cui si affronta la parte più rilevante dell’esborso economico [36], per altri, l’atto determinante andrebbe identificato in quello dell’assegnazione provvisoria [37].

 

 

5. La vendita con patto di riscatto.

 

Secondo la dottrina prevalente il bene sarebbe da considerarsi personale anche in caso di esercizio da parte del coniuge di un diritto di riscatto apposto ad una vendita antecedente al matrimonio, essendo la relativa clausola equiparata ad una condizione risolutiva [38]. Peraltro, un orientamento minoritario afferma che elemento determinante risulterebbe invece la provenienza del denaro usato per esercitare il riscatto [39].

Ora, trattando in altra sede del problema della «retroattività» del riscatto [40] si è avuto modo di illustrare come gli effetti dell’esercizio di tale diritto potestativo non siano coincidenti con quelli che determinano la retroattività della condizione ex art. 1360 c.c. e come, anzi, la legge si preoccupi soltanto di salvaguardare la posizione del venditore-riscattante nei riguardi dei diritti costituiti medio tempore dal compratore. Come si ricava dagli artt. 1504 s. c.c., tutto ciò che il legislatore vuole evitare è che l’esercizio del riscatto sia di fatto impedito dalla presenza di diritti concessi a terzi dal compratore. Ma ciò non significa, naturalmente, che la fattispecie sia insensibile alle vicende che abbiano coinvolto nel frattempo la persona del venditore [41]. Se è dunque vero che il riacquisto da parte del venditore non ha efficacia retroattiva (per lo meno nel senso di cui all’art. 1360 c.c.), bensì soltanto ex nunc, occorre allora concluderne che esso non si sottrae alla regola sancita dall’art. 177 c.c. e che pertanto (anche se il riscatto viene posto in essere disgiuntamente dal solo alienante) il diritto così riacquistato è sottoposto al regime comunitario [42].

La soluzione del problema di cui sopra, concernente la caduta in comunione del diritto di riscatto acquistato dal coniuge all’atto dell’effettuazione della vendita manente communione, condiziona anche la risposta all’interrogativo circa le conseguenze dell’alienazione con patto di riscatto di un bene personale. Non sembra qui accoglibile la tesi [43] secondo cui si tratterebbe di una «deductio della facoltà dispositiva del bene», con conseguente riacquisto alla massa personale del bene alienato, nel caso di esercizio del diritto di riscatto. Per le stesse ragioni sopra illustrate, infatti, l’innegabile verificarsi di una vicenda (ri)traslativa dal terzo acquirente al coniuge alienante non può non determinare quell’acquisto che è presupposto dall’art. 177, lett. a), c.c., salva, naturalmente, la facoltà in capo al coniuge interessato di porre in essere gli accorgimenti previsti dall’art. 179 c.c. al fine di conservare il carattere personale di siffatto (ri)acquisto [44].

 

 

6. Ulteriori fattispecie controverse; il problema del preliminare (e del definitivo per scrittura privata).

 

Tra le ulteriori ipotesi prese in considerazione dalla dottrina rinveniamo quella della divisione di un bene relativamente al quale uno dei coniugi sia titolare di una quota di comproprietà avente natura personale. Tra gli autori vi è assoluta concordia nell’escludere dalla massa comune il cespite assegnato in proprietà individuale al coniuge e ciò in considerazione della natura meramente dichiarativa della divisione stessa, come previsto dall’art. 757 c.c. [45]. La soluzione prospettata è sicuramente condivisibile, anche nel caso in cui il coniuge assegnatario è tenuto al pagamento di conguagli, per i quali si configurerà solo una questione di rimborsabilità ex art. 192, comma 1°, c.c. qualora per il pagamento siano utilizzati denaro o altre risorse della comunione [46].

Un altro caso in cui la dottrina si è espressa contro la caduta in comunione è quello in cui, successivamente all’instaurazione del regime legale, si sia accertata la nullità, ovvero siano stati pronunziati l’annullamento, la risoluzione o la rescissione di un contratto di acquisto concluso da uno dei coniugi in epoca precedente a tale evento [47], attesa la retroattività degli effetti di quell’accertamento o di quelle pronunce.

Venendo al contratto preliminare concluso prima dell’instaurazione del regime legale, seguito dal definitivo sotto la vigenza della comunione, va riscontrata un’ampia convergenza dottrinale sulla soluzione che assegna alla comunione l’acquisto del diritto oggetto del contratto definitivo; la conclusione è condivisa anche dai sostenitori della tesi che afferma come rilevante il momento di perfezionamento della fattispecie negoziale, posto che qui la vicenda negoziale relativa al contratto definitivo è percepita come distinta da quella racchiusa nella stipula del preliminare [48]. Quanto sopra vale, salvo, ovviamente, che non si ricada in una delle previsioni delle lett. b)-f) dell’art. 179 c.c.

Diverso è il caso in cui le parti concludano in forma scritta, ma inidonea alla trascrizione (si pensi ad una mera scrittura privata non autenticata), un contratto definitivo di compravendita provvedendo poi in un secondo momento, seguente alla celebrazione del matrimonio, alla ripetizione del negozio dinanzi al notaio. Qui appare pacifico che l’effetto traslativo si è verificato prima dell’instaurazione della comunione (ed è chiaro che la soluzione non cambierebbe neppure a voler abbracciare la tesi che fa perno sul «perfezionamento della fattispecie negoziale»). Peraltro, secondo parte della dottrina, nei rapporti con i terzi l’acquisto ricadrebbe in comunione [49]. Sul punto potrà rimarcarsi che, a ben vedere, il diritto di proprietà, per sua natura, non può dirsi «solitario» per taluni e «in comunione» per altri. L’unica regola in grado di determinare la sorte delle vicende relative al diritto dominicale – valevole, come tale, erga omnes – è racchiusa nell’art. 177 c.c. E tale regola conduce a ritenere che il bene sia, nel caso di specie, personale.

Questo risultato andrà peraltro coordinato con le disposizioni in materia di effetti dichiarativi della trascrizione immobiliare, effetti che riprendono vigore nel caso di specie, in cui la situazione di comunione non è opponibile ex lege, risultando da un dato non manifesto ai terzi, neppure a seguito di lettura incrociata dei registri matrimoniali e di quelli immobiliari. Ne consegue che i terzi, i quali vantino diritti sulla base di atti soggetti a trascrizione od iscrizione e che abbiano operato tali formalità, saranno autorizzati a ritenere comune il bene, a meno che le parti abbiano avuto l’accortezza di specificare nel secondo negozio il carattere confermativo di un acquisto precedente, o comunque che la proprietà personale del bene non risulti opponibile ai terzi che abbiano acquistato diritti sulla base della situazione pubblicizzata [50].

 

 

7. L’acquisto per usucapione.

 

Per quanto riguarda infine il fenomeno dell’usucapione maturata come conseguenza del compimento di un periodo di possesso ad usucapionem iniziato prima della celebrazione delle nozze (o comunque in regime di separazione) e terminato successivamente all’instaurazione della comunione, la dottrina prevalente è nel senso di attribuire rilievo decisivo al momento conclusivo di tale periodo. In proposito, una volta dimostrato che non sussistono ragioni d’ordine pregiudiziale tali da imporre un trattamento differenziato degli acquisti a titolo originario rispetto a quelli a titolo derivativo in relazione all’art. 177 c.c. [51], andrà detto che, secondo taluno, carattere impediente alla caduta in comunione potrebbe assumere il rilievo per cui l’effetto acquisitivo, conformemente alla logica dell’usucapione, dovrebbe per forza «adeguarsi alla realtà propria della situazione possessoria, quale situazione meramente fattuale», a prescindere, quindi, «dai particolari regimi in cui di volta in volta s’inquadri (...) la posizione dello stesso possessore in quanto coniuge» [52]. All’obiezione non sembra peraltro possa attribuirsi un peso eccessivo, se si pone mente al fatto che la regola fissata dall’art. 177, lett. a), c.c. non influisce in alcun modo sulle vicende acquisitive dei diritti, in sé considerate, ma si limita ad aggiungervi un effetto ulteriore e distinto, che entra in gioco in un «istante» immediatamente successivo [53].

Momento determinante è quello in cui si sono verificati tutti gli elementi costitutivi della fattispecie acquisitiva descritta dal legislatore, a nulla rilevando l’eventuale anteriorità del possesso rispetto alla data d’inizio del regime legale. Poste queste premesse, appare ovvio che – esattamente come per gli acquisti a titolo derivativo – non rileverà in alcun modo la circostanza che uno dei due coniugi non abbia mai esercitato alcun potere di fatto sulla cosa, o comunque lo abbia fatto per un periodo inferiore rispetto a quello richiesto ad usucapionem. In base alla stessa regola sarà indifferente lo stato di buona o mala fede del coniuge non (o per un periodo non sufficiente) possessore, così come la sua partecipazione o meno al titolo (astrattamente) idoneo al trasferimento della proprietà, per i casi di usucapione abbreviata o di acquisti in base all’art. 1153 c.c.

Per quanto attiene agli effetti, non bisogna dimenticare che l’operatività dell’art. 177, lett. a), c.c. può essere, per così dire, inibita, in considerazione di particolari tipi di destinazione del bene: così, il bene (mobile o immobile) posseduto da parte del coniuge imprenditore e inserito nell’ambito di un’azienda da quest’ultimo gestita sarà comune solo de residuo (art. 178 c.c.); se si tratterà di un bene (mobile) di uso strettamente personale o destinato all’attività professionale del coniuge l’acquisto sarà invece personale, ex art. 179 lett. c) e d) [54].

 

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[1] Sull’art. 179 c.c. in generale cfr. Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario Carraro-Oppo-Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, 393 ss.; Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, Milano, 1979, 95 ss.; Santosuosso, Delle persone e della famiglia. Il regime patrimoniale della famiglia, in Commentario del codice civile, I, 1, III, Torino, 1983, 204 ss.; Barbiera, La comunione legale, Bari, 1982, 421 ss.; A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, Milano, 1984, 987 ss.; Majello, voce Comunione di beni tra coniugi, I) Profili sostanziali, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, VII, 5 ss.; Bianca (a cura di), La comunione legale, I, Milano, 1989, 411 ss.; Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario Cian-Oppo-Trabucchi, III, Padova, 1992, 148 ss.; Caravaglios, La comunione legale, I, Milano, 1995, 665 ss.; De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, II, Milano 1995, 473 ss.; Barbiera, La comunione legale, in Trattato Rescigno, II, Torino, 1996, 510 ss.; Radice, La comunione legale tra coniugi. I beni personali, in Trattato Bonilini-Cattaneo, II, Torino, 1997, 125 ss.; Gabrielli e Cubeddu, Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, 1997, 24 ss.; Auletta, La comunione legale, in Trattato Bessone, IV, 2, Torino, 1999, 173 ss.; Russo, L’oggetto della comunione legale e i beni personali. Artt. 177-179, Commentario Schlesinger-Busnelli, Milano, 1999, 133 ss.; a Beccara, [La comunione legale]. I beni personali, in Trattato Zatti, III, Milano, 2002, 149 ss.

[2] Per una più ampia disamina delle altre possibili ipotesi relative all’instaurazione del regime di comunione legale in un momento successivo alla celebrazione del matrimonio v. Ubaldi, I beni posseduti dal coniuge anteriormente al matrimonio, in Bianca (a cura di), La comunione legale, I, cit., 412 ss.; cfr. inoltre Oberto, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia, 2003, 646 ss.

[3] Cfr. a Beccara, op. cit., p. 150; v. inoltre Barbiera, La comunione legale, in Trattato Rescigno, cit., 512 s.

[4] Nella specie è stata esclusa, ai fini della proposizione della domanda di divisione di una comunione convenzionale instaurata prima del 15 gennaio 1978, la necessità di una previa sentenza definitiva di separazione (Cass., 1 marzo 1991, n. 2183, in Giust. civ., 1991, I, 1735.

[5] Cfr, ex multis, Schlesinger, op. cit. (1977), 394; Corsi, op. cit., 97; Dogliotti, L’oggetto della comunione tra i coniugi: beni in comunione de residuo e beni personali, in Fam. dir., 1996, 387.

[6] In questo senso Trib. Parma, 28 marzo 1985, in Riv. notar., 1985, 1204, relativamente al problema del denaro di proprietà dei coniugi antecedentemente al matrimonio. L’interpretazione estensiva in esame è stata fatta propria, pur se implicitamente, anche da Cass., 17 aprile 1993, n. 4555, in Giur. it., 1994, I, 1, c. 1402, la quale ha affermato il carattere personale del diritto di godimento acquistato da uno dei coniugi prima del matrimonio a seguito dell’assegnazione provvisoria di un alloggio da parte di una cooperativa edilizia.

[7] In tal senso a Beccara, op. cit., 150; v. anche Gabrielli e Cubeddu, op. cit., 25, che reputano la disposizione dell’art. 179 lett. a) c.c. ripetitiva poiché già la norma dell’art. 177 lett. a) stabilisce che cadono in comunione gli acquisti compiuti dai coniugi «durante il matrimonio»; Russo, op. cit., 138.

[8] Cfr. per tutti Auletta, op. cit., 174, cui si rinvia anche per la questione (da risolversi negativamente) relativa all’esistenza o meno di un diritto di godimento, in capo a ciascun coniuge, dei beni personali dell’altro, similmente a ciò che era previsto dall’abrogato art. 217 c.c.

[9] Corsi, op. cit., 97.

[10] Attardi, Aspetti processuali del nuovo diritto di famiglia, in Commentario Carraro-Oppo-Trabucchi, I, 2, Padova, 1977, 965, 971.

[11] Oberto, Il regime di separazione dei beni tra coniugi. Artt. 215-219, in Commentario Schlesinger-Busnelli, Milano, 2005, 318 ss.

[12] Sul tema si fa rinvio per tutti a Lo Moro Biglia, Lo scioglimento della comunione legale tra i coniugi, Padova, 2000, 281 ss.

[13] Cfr. Corsi, op. cit., 196; Cass., 18 agosto 1994, n. 7437, in Fam. dir., 1994, 593; Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 551; Giust. civ., 1995, I, 2503; Riv. notar., 1995, II, 939; Dir. fam. pers., 1995, I, 965.

[14] La tesi dell’inapplicabilità dell’art. 219 c.c. al regime di comunione ricava ulteriore forza dalla considerazione della diversità di ratio rispetto a quella dell’art. 195 c.c.: mentre la prima disposizione tende principalmente a far chiarezza sulle posizioni delle parti e ad evitare che risulti favorito il coniuge più pronto ad appropriarsi di cose che si trovino nella disponibilità di entrambi, la seconda trae invece ispirazione da un evidente favor communionis, che non appare certo possibile invocare laddove i coniugi abbiano manifestato la volontà di optare per il regime separatista (cfr. Oberto, Il regime di separazione dei beni tra coniugi, cit., 318 ss., cui si fa rinvio per ulteriori considerazioni in merito al problema qui dibattuto).

[15] Schlesinger, op. cit. (1992), 149; in senso analogo Russo, op. cit., 161 ss., che propone un criterio di ripartizione attinente «alla sostanza del tempo della formazione della ricchezza» in virtù del quale «se la parte economicamente più importante del «bene» è antecedente al matrimonio, il bene non cade in comunione»; anche ancora Barbiera, La comunione legale, in Trattato Rescigno, cit., 475, parla di «componente più rilevante».

[16] Cfr. Schlesinger, op. cit. (1992), 70 ss.; v. inoltre Carraro, Il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1979, 54 s.; Corsi, op. cit., 54; Cataudella, Ratio dell’istituto e ratio della norma nella comunione legale tra coniugi, in Aa. Vv., Scritti in onore di Nicolò. Diritto di famiglia, Milano, 1982, 302; Santosuosso, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., 24 ss.; A. e M. Finocchiaro, op. cit., 710 s.

[17] In altri termini, risulta del tutto indifferente che il coniuge coacquirente ex lege ex art. 177 c.c. abbia o meno versato parte del prezzo corrisposto per l’acquisto. Il dato può dirsi pacifico tanto in dottrina (sul tema v. per tutti Schlesinger, op. cit. (1992), 93 s.) che in giurisprudenza (cfr. ad es. Cass., 16 dicembre 1993, n. 12439, secondo cui «La comunione legale fra coniugi, ai sensi dell’art. 177 primo comma lett. a) cod. civ., riguarda gli ‘acquisti’ compiuti durante il matrimonio, indipendentemente dalla provenienza delle risorse che li abbiano consentiti»; v. inoltre Cass., 18 giugno 1992, n. 7524, in Dir. fam. pers., 1993, 75, in motivazione; Cass., 27 febbraio 2003, n. 2954, in motivazione; per la giurisprudenza di merito v. Trib. Catania, 21 aprile 1987, in Dir. fam. pers., 1988, 320).

[18] Cfr. a Beccara, op. cit., 155; nello stesso senso v. Ubaldi, op. cit., 435 ss.; Gabrielli e Cubeddu, op. cit., 26 cfr. inoltre Lemmi, Comunione legale e vendita obbligatoria (sul concetto di «acquisti» ex art. 177, lett. a), c.c.), in Giur. it., 1989, IV, 430 ss.; De Paola, op. cit., 26; Auletta, op. cit., 177. Secondo Rimini, Acquisto immediato e differito nella comunione legale fra coniugi, Padova, 2001, 242 ss., occorre far riferimento al momento in cui si perfezionano gli elementi costitutivi della fattispecie acquisitiva del diritto, ma nell’eventualità in cui l’acquisto si completi dopo il matrimonio, mentre il relativo onere economico venga affrontato prima, il principio è regolato dalla regola in base alla quale l’acquirente potrà esercitare al momento dello scioglimento della comunione il diritto alla restituzione ai sensi dell’art. 192 comma 3°, c.c.

[19] Così invece Russo, op. cit., 160 ss., 163.

[20] Cfr. a Beccara, op. cit., 156; si vedano altresì Lemmi, op. cit., 430 ss.; Ubaldi, op. cit., 444; De Paola, op. cit., 390 s.; Radice, op. cit., 128; Auletta, op. cit., 179 s. In senso contrario, in materia di vendita di cosa futura, v. A. e M. Finocchiaro, op. cit., 895 s.

[21] In questo senso Ubaldi, op. cit., 444 s.; De Paola, op. cit., 409; Auletta, op. cit., 180 s.

[22] Sul punto v. per tutti Oberto, La vendita con riserva di proprietà, in Bin (a cura di), La vendita, III, 2, Padova, 1995, 953 ss.

[23] Cfr. App. Genova, 4 gennaio 1984, in Giur. merito, 1985, 585.

[24] Cfr. Trib. Ferrara, 21 maggio 1985, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 504.

[25] Nella specie, il marito aveva ceduto la propria posizione al padre e al fratello e di tale atto la moglie aveva chiesto l’annullamento ex art. 184 c.c.; il tribunale ha però respinto la relativa domanda, non essendo a suo avviso quel rapporto giuridico entrato a far parte del patrimonio in comunione. Secondo il giudice, infatti, «La vendita a rate con patto di riservato dominio attribuisce al compratore, prima del pagamento dell’ultima rata di prezzo, un mero diritto di credito. Non rientra nell’ambito di operatività dell’art. 177, lett. a) l’acquisto da parte di uno dei coniugi di un diritto di credito, quando la situazione creditoria sia strettamente connessa con la sussistenza di particolari requisiti soggettivi propri dell’acquirente».

[26] sul tema, anche per i necessari rinvii v. Oberto, La vendita con riserva di proprietà, loc. cit.

[27] Cass., 23 luglio 1987, n. 6424, in Nuova giur. civ., comm., 1988, I, 456.

[28] Cfr. Cass., 1 febbraio 1996, n. 875.

[29] Cfr. Cass., 29 gennaio 1990, n. 560.

[30] Cfr. Cass., 16 dicembre 1993, n. 12439 (nello stesso senso v. anche Cass., 17 dicembre 1993, n. 12523).

[31] Cfr. Cass., 13 luglio 1998, n. 6813.

[32] Cass., 23 agosto 1996, n. 7807.

[33] Cass., 12 maggio 1998, n. 4757.

[34] Sull’argomento si vedano Cass., 4 settembre 1998, n. 8792, in Fam. dir., 2000, p. 253; Cass., 19 aprile 2000, n. 5113.

[35] Per tutti v. A. e M. Finocchiaro, op. cit., 896 ss.; De Paola, op. cit., 425; Auletta, op. cit., 183.

[36] Cfr. in particolare Russo, op. cit., 172 s.

[37] Così Santini, Comunione legale tra coniugi e procedimento di vendita di alloggi di edilizia economica e popolare, in Dir. fam. pers., 1995, 331 s.

[38] Così Ubaldi, op. cit., 445; De Paola, op. cit., 410 s.; Auletta, op. cit., 181.

[39] Cosi Russo, op. cit., 167. La soluzione sarebbe invece diversa in caso di patto di rivendita, laddove occorre avere la manifestazione di volontà delle parti a cui l’acquirente è obbligatoriamente tenuto per effetto della clausola contrattuale di rivendita (cfr. Ubaldi, op. cit., 445).

[40] Cfr. per tutti Oberto, La vendita con patto di riscatto, in Bin (a cura di), La vendita, III, 2, Padova, 1995, 1034 ss.

[41] A conferma di quanto sopra si ponga mente, per esempio, all’ipotesi in cui l’alienante abbia, prima del riscatto, venduto a terzi il bene: sembra evidente che in questo caso l’esercizio del riscatto determinerebbe senz’altro ed automaticamente l’effetto previsto dall’art. 1478 cpv. c.c.

[42] Oberto, La vendita con patto di riscatto, cit., 1090 ss., cui si rinvia anche per ulteriori approfondimenti, in merito, tra l’altro, alla possibilità che il coniuge si avvalga della facoltà concessa dall’art. 179 lett. f) c.c., quando intenda conservare il carattere personale del bene venduto prima del matrimonio e riscattato successivamente, nonché alla situazione che si determina in caso di vendita con patto di riscatto di un bene comune effettuata durante la vigenza del regime legale; sul tema v. inoltre Tordo, Brevi note sul riscatto convenzionale e sulle implicazioni correlate al regime patrimoniale della famiglia, in Vita notar., 1993, 594 s.

[43] Tordo, op. cit., 597 s.

[44] Si noti, infine, che l’eventuale intervento dello scioglimento del regime legale nel periodo intercorrente tra la vendita e l’esercizio del diritto di riscatto farà «degradare» al rango di contitolarità ordinaria la comunione del diritto di riscatto stesso, con la conseguenza dell’applicabilità del disposto dell’art. 1507 c.c. e la relativa facoltà per ciascuno dei coniugi (o ex tali, o dei loro eredi) di esercitare disgiuntamente il riscatto.

[45] Per tutti v. A. e M. Finocchiaro, op. cit., 877.

[46] a Beccara, op. cit., 159 s. Per un diverso approccio v. Russo, op. cit., 155 ss., che, contestata la natura dichiarativa della divisione, propone l’applicazione di un criterio sistematico, con la conseguenza che, ad esempio, la divisione che segua ad una ragione ereditaria anteriore al matrimonio non potrebbe essere trattata in modo diverso da una ragione ereditaria maturata dopo il matrimonio; per le altre ipotesi opererebbe l’efficacia retroattiva disposta dall’art. 757 c.c., in forza del rinvio operato dall’art. 1116 c.c. alle norme sulla divisione dell’eredità.

[47] Cfr. a Beccara, op. cit., 160; nello stesso senso v. anche Auletta, op. cit., 184; Russo, op. cit., 158 s.

[48] Cfr. a Beccara, op. cit., 155; v. anche Finocchiaro, op. cit., 991, nota 56; Ubaldi, op. cit., 437; De Paola, op. cit., 392; Auletta, op. cit., 182. A livello giurisprudenziale è orientata in tal senso l’unica pronuncia edita: cfr. Trib. Parma, 1° dicembre 1987, in Giur. it., 1989, I, 594. Contra Di Martino, Gli acquisti in regime di comunione legale tra coniugi, Milano, 1987, 116 s. (e successivamente in La comunione legale tra coniugi. L’oggetto in Trattato Bonilini-Cattaneo, II, Torino, 1997, 73); Barbiera, La comunione legale, in Trattato Rescigno, cit., 475; Radice, op. cit., 128. Secondo Russo, op. cit., 168 ss. il bene è personale se il prezzo, o la parte più rilevante di esso, viene pagata prima del matrimonio; diversamente l’acquisto cade in comunione.

[49] Corsi, op. cit., 98; A. e M. Finocchiaro, op. cit., 900 s.

[50] Così a Beccara, op. cit., 156. Per approfondimenti sul tema della pubblicità delle vicende attinenti ai rapporti patrimoniali tra coniugi, non legate a situazioni pubblicizzabili a mezzo trascrizione nei pubblici registri immobiliari ovvero annotazione a margine dell’atto di matrimonio si fa rinvio a Oberto, Il regime di separazione dei beni tra coniugi, cit., 113 ss. (e ivi ulteriori rinvii).

[51] Oberto, Acquisti a titolo originario e comunione legale, in Fam. dir., 1994, Allegato, passim (sugli acquisti per usucapione v. in particolare 13 ss.). Per la caduta in comunione del bene acquistato sulla base di un possesso iniziato prima del matrimonio v. anche Cian, Usucapione e comunione legale dei beni, in Riv. dir. civ., 1989, II, 236; De Paola, op. cit., 382, Auletta, op. cit., 136. Contra Russo, op. cit., 173 s., che pone l’accento sul momento di inizio del possesso.

[52] Così Tondo, Sugli acquisti originari nel regime di comunione legale, in Foro it., 1981, V, 166.

[53] Si noti che anche in materia contrattuale il legislatore impone quale regola una rigida coincidenza tra i protagonisti della vicenda acquisitiva (i contraenti, appunto) e i soggetti nei cui confronti questa dispiega i suoi effetti (cfr. art. 1372 c.c.): eppure nessuno si sognerebbe di derivarne un argomento in grado di annullare la portata dell’avverbio «separatamente» (art. 177, lett. a), c.c.) che consacra il principio dell’acquisto automatico tra coniugi.

[54] Su tali argomenti cfr., anche per ulteriori approfondimenti, nonché per i necessari riferimenti dottrinali, Oberto, Acquisti a titolo originario e comunione legale, cit., 13 ss. La tesi della caduta in comunione degli acquisti per usucapione ha ricevuto l’avallo della giurisprudenza: cfr. Cass., 20 marzo 1991, n. 2983; Cass., 3 novembre 2000, n. 14347. Per quanto attiene ai giudici di merito v., nello stesso senso, Trib. Roma, 7 aprile 2003, in Dir. fam. pers., 2004, 120 ss.

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