Giacomo Oberto

LE RESPONSABILITÀ CONSEGUENTI ALL’ATTO DISPOSITIVO

COMPIUTO DA UN SOLO CONIUGE

SU BENI IMMOBILI O MOBILI REGISTRATI

IN REGIME DI COMUNIONE LEGALE

 

ABSTRACT: La decisione in commento affronta per la prima volta il tema della responsabilità del coniuge che abbia compiuto un atto di straordinaria amministrazione su di un bene della comunione legale, senza il necessario consenso dell’altro coniuge, verso il terzo avente causa. Lo fa in modo singolare, perché la decisione d’appello aveva ritenuto nullo, anziché (secondo quanto opinato, invece, dal S.C.) annullabile ex art. 184, primo e secondo comma c.c., il contratto (preliminare) in oggetto e tale erronea statuizione era ormai passata in giudicato. Viene peraltro enunciato dalla Cassazione il principio secondo cui alla fattispecie in esame (a prescindere dal richiamo alla nullità o all’annullabilità) va comunque applicato l’art. 1338 c.c. La decisione offre quindi lo spunto per un’esposizione dei rimedi risarcitori offerti ai soggetti che possono risultare pregiudicati dal comportamento del coniuge che viola – in relazione a beni immobili o mobili registrati – il disposto dell’art. 180 cpv. c.c. Soggetti che sono, nella specie, il coniuge pretermesso e il terzo avente causa. La presentazione della materia viene effettuata, nel commento, distinguendo a seconda che l’azione di annullamento di cui alla speciale norma giusfamiliare sia stata accolta, ovvero respinta, ovvero non ancora proposta, o addirittura non proposta tout court.

 

Sommario: 1. La fattispecie affrontata dalla decisione in commento. - 2. La responsabilità in caso di accoglimento della domanda di annullamento: i rapporti tra il coniuge disponente e il terzo. - 3. La responsabilità in caso di accoglimento della domanda di annullamento: i rapporti tra il coniuge pretermesso e il terzo. - 4. La responsabilità in caso di accoglimento della domanda di annullamento: i rapporti tra il coniuge disponente e il coniuge pretermesso. - 5. La responsabilità (contrattuale) inter coniuges in caso di rigetto della domanda di annullamento. - 6. Ulteriori strumenti di tutela del coniuge pretermesso. - 7. I rimedi concessi al terzo in caso di mancato esperimento dell’azione di annullamento da parte del coniuge pretermesso.

 

1. La fattispecie affrontata dalla decisione in commento.

Il caso risolto dalla decisione in commento è (quanto meno nella sua parte di interesse giusfamiliare) relativamente «lineare». A e B sono coniugati in regime di comunione. Nella massa comune rientra l’immobile X. A (senza il consenso del coniuge B) promette di vendere a C il bene X. Di fronte all’inadempimento del promittente venditore A, C chiede giudizialmente la risoluzione del preliminare e la condanna di A al risarcimento danni, dopo aver scoperto che il bene è anche di B. Il tribunale pronunzia la risoluzione del preliminare per inadempimento di A e lo condanna al risarcimento del danno subito da C. La corte d’appello dichiara (erroneamente) nullo il preliminare, perché avente ad oggetto un bene della comunione, per l’alienazione del quale il coniuge B non aveva prestato il proprio consenso, ma condanna ugualmente A a risarcire il danno patito da C. A ritiene quindi di aver buon gioco ad impugnare la decisione d’appello, ponendo in evidenza la contraddittorietà intrinseca nel fatto di considerare, da un lato, il contratto nullo e, dall’altro, di condannare ugualmente il promittente venditore al risarcimento derivante al promissario acquirente dall’inadempimento del primo.

La Cassazione rileva in primo luogo che «Il contratto preliminare di vendita, concluso da uno solo dei coniugi in violazione dell’art. 180 c.c., non è inefficace né nullo per mancanza di consenso del coniuge pretermesso, ma soltanto annullabile su domanda di quest’ultimo ai sensi dell’art. 184 c.c., comma 1, se riguarda un bene immobile della comunione legale». Ciò premesso – e dopo aver rimarcato che sull’accertamento della nullità si è formato il giudicato, per difetto di impugnazione sul punto – la Corte di legittimità afferma che «per quanto non indichi la corte [territoriale] espressamente la norma su cui fonda la responsabilità risarcitoria del [promittente venditore], essa ha fondato la responsabilità risarcitoria di questi sulla circostanza che il [promissario acquirente] avesse “fatto legittimo affidamento nella conclusione del contratto di compravendita” senza conoscere che esso [rectius: il promittente venditore] era in comunione legale con il coniuge».

Conseguentemente, la S.C. condanna (decidendo nel merito, ex art. 384, primo comma, c.p.c.) il promittente venditore al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1338 c.c. in favore del promissario acquirente, peraltro condannando a sua volta quest’ultimo a restituire al primo quanto in più ricevuto per effetto della sentenza di primo grado, che aveva condannato il promittente venditore non solo al ristoro del nocumento patito, ma anche alla corresponsione di una parte del prezzo, portata da assegno emesso dal promissario acquirente.

La decisione rileva in punto diritto per il richiamo ch’essa compie all’art. 1338 c.c., collegandolo all’invalidità sub specie di annullamento comminata dall’art. 184, primo e secondo comma c.c., sebbene nella specie il contratto debba ritenersi nullo per effetto del giudicato interno formatosi su quella erronea statuizione. Tale ultimo profilo (quello, cioè, della nullità) risulta peraltro irrilevante rispetto alla questione di diritto, dovendo l’art. 1338 c.c. trovare applicazione con riferimento ad ogni ipotesi di invalidità. Può dunque dirsi che l’interesse della decisione in esame attiene al fatto che essa affronta il tema dei rapporti tra responsabilità precontrattuale e atto dispositivo di un bene in comunione legale.

Del tutto peculiare, poi, risulta un ulteriore elemento, di cui la Corte non tratta, almeno espressamente: nella specie, infatti, l’azione di annullamento non sembra essere mai stata esperita dal coniuge pretermesso, né è dato sapere se, all’atto della proposizione della domanda da parte del promissario acquirente, l’acquisto di quest’ultimo non si fosse per avventura già consolidato, per effetto dell’inutile decorso del termine prescrizionale di cui alla speciale norma giusfamiliare. Il tema sarà trattato nel presente commento, il quale deve però prendere necessariamente l’avvio da una panoramica su tutti i rimedi di tipo risarcitorio connessi alla violazione del precetto di cui all’art. 180 cpv. c.c., qualora l’atto abbia ad oggetto beni immobili o mobili registrati, in relazione a tutti i soggetti coinvolti.

 

2. La responsabilità in caso di accoglimento della domanda di annullamento: i rapporti tra il coniuge disponente e il terzo.

E’ noto che il profilo della sorte (invalidità e/o inefficacia) dell’atto dispositivo di un bene in comunione legale compiuto da un solo coniuge senza il necessario consenso dell’altro è affrontato dall’art. 184, primo e secondo comma, c.c.: disposizione, questa, della quale chi scrive si è occupato in altra sede, cui non rimarrà che fare rinvio [1], non senza stigmatizzare, ancora una volta, sul piano della tecnica legislativa, quella situazione di vero e proprio «strabismo normativo» in cui si colloca l’articolo appena citato. Da un lato, infatti, esso si occupa delle conseguenze dell’atto di straordinaria amministrazione compiuto senza il necessario consenso dell’altro coniuge per ciò che attiene ai beni mobili non registrati nel campo dei soli rapporti «interni» tra coniugi, senza stabilire alcunché per quanto riguarda la validità e l’efficacia dell’atto stesso verso i terzi (cfr. art. 184, terzo comma, c.c.); dall’altro, nel settore degli immobili e dei mobili registrati, la disposizione si limita a prendere in esame il solo profilo «esterno» (cfr. art. 184, primo e secondo comma, c.c.), rimanendo del tutto muta sul problema delle possibili ricadute del negozio stesso nei rapporti tra moglie e marito, specie allorquando l’azione verso il terzo non possa (più) essere esperita [2].

Concentrando l’attenzione sul solo argomento delle ricadute sul piano dei profili risarcitori dell’atto dispositivo compiuto in violazione della regola del necessario consenso di entrambi i coniugi per ciò che attiene ai beni immobili e mobili registrati, appare necessario distinguere, innanzi tutto, l’ipotesi dell’accoglimento da quella della reiezione (o, addirittura, della non proposizione) della domanda ex art. 184, primo e secondo comma, c.c.

La prima considerazione che si può svolgere di fronte al caso dell’intervenuta pronunzia di annullamento attiene alla posizione del coniuge che ha disposto (illegittimamente) del diritto verso il terzo. La soluzione proposta da una parte della dottrina è quella dell’applicazione analogica dell’art. 1398 c.c. [3], con conseguente risarcimento del danno al terzo che provi di avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto. Ma la disposizione citata attiene alla materia della rappresentanza senza potere, modello dal quale il legislatore della riforma si è chiaramente discostato [4]; inoltre, l’art. 1398 c.c. presuppone la spendita del nome del soggetto falsamente rappresentato, ciò che invece qui non si verifica [5]. Appare dunque più logico, oltre che rispettoso della scelta di politica legislativa in favore dell’annullamento, compiuta con la riforma del 1975, il richiamo all’art. 1338 c.c. [6], proprio nel segno della decisione che qui si annota [7], sebbene quest’ultima, come si è già detto e come si vedrà in dettaglio oltre [8], non avesse ad oggetto il caso dell’intervenuto (e vittorioso) esperimento dell’azione di annullamento da parte del coniuge pretermesso.

Per ciò che attiene, poi, all’assenza di colpa in capo al terzo contraente, non vi è dubbio che la responsabilità del coniuge agente andrà esclusa nel caso il terzo sia stato comunque (perché avvertito dal contraente, o per altra ragione) a conoscenza dell’appartenenza alla comunione del bene e dell’assenza del consenso del coniuge pretermesso. Più delicata appare la questione se il terzo debba dirsi in colpa per non avere verificato la situazione del bene raffrontando la data di acquisto di esso con le risultanze dei registri matrimoniali, qualora il venditore risultasse dai pubblici registri immobiliari come unico intestatario del cespite. Appare chiaro che, se questa dovesse essere la conclusione [9], il terzo non potrebbe praticamente mai ottenere il risarcimento del danno [10], se non nell’ipotesi in cui il venditore non gli avesse assicurato (falsamente) la sussistenza del consenso dell’altro coniuge.  Peraltro non sembra si possa pretendere che, anche ai fini che qui interessano, il terzo sia obbligato ad effettuare l’ «analisi incrociata» cui sopra si faceva riferimento. Egli, invero – se ci si passa l’espressione – è già «punito» a sufficienza per il fatto di vedersi opporre l’annullamento, laddove lo stato di colpa rilevante ai fini dell’art. 1338 c.c. (ma il discorso non cambierebbe se si volesse fare ricorso all’art. 1398 c.c.) non sembra potersi rinvenire in capo a chi ha legittimamente confidato sulle dichiarazioni e sul comportamento di chi avrebbe invece dovuto, in base ad elementari principi di correttezza e buona fede, avvertirlo. L’indagine sui pubblici registri (immobiliari e di stato civile) rileva certamente ai fini dei rapporti con il coniuge pretermesso (rispetto al quale, infatti, il terzo risulta soccombente), laddove qui si discute del comportamento scorretto del coniuge agente, nei confronti del quale il semplice affidarsi alla supposta correttezza della controparte, in difetto di elementi di fatto che avrebbero magari potuto insospettire l’acquirente, non sembra di per sé «etichettabile» alla stregua della colpa [11].

Se quanto sopra è vero, è pure vero che irrilevante potrebbe anche essere il caso della intestazione del bene ad entrambi i coniugi, con la conseguenza che anche in questa fattispecie il terzo non potrebbe ritenersi in colpa, sebbene occorre ammettere che l’opinione dominante appaia orientata in senso diverso [12]. Peraltro, non si può in linea di principio escludere che il terzo, pur sapendo che il bene era della comunione, abbia senza sua colpa ritenuto esistente il consenso dell’altro coniuge e che a ciò sia stato indotto proprio dal comportamento di colui con cui contrattava. Non si deve dimenticare che la conoscibilità dell’assenza o dell’insufficienza della procura non è elemento che, secondo la prevalente giurisprudenza, consente di escludere in via tassativa la responsabilità del falso rappresentante, quando le altre circostanze possano indurre a riporre un ragionevole affidamento sul consenso del rappresentato [13].

       Il risarcimento del danno sarà quello riconosciuto nelle fattispecie di responsabilità precontrattuale, vale a dire quello rispondente al c.d. interesse negativo [14], che comprende le spese inutilmente sostenute in relazione alle trattative (danno emergente) e le perdite sofferte dalla parte danneggiata per non aver usufruito delle occasioni, presentatesi nel corso delle trattative, di stipulare con altri un contratto simile o identico a quello non concluso (lucro cessante); non sarà invece risarcibile il c.d. interesse positivo, che corrisponde agli utili che la parte avrebbe conseguito se il contratto fosse stato concluso [15].

 

3. La responsabilità in caso di accoglimento della domanda di annullamento: i rapporti tra il coniuge pretermesso e il terzo.

Sin qui si è trattato dei rapporti intercorrenti tra il coniuge alienante ed il terzo. Si tratta ora di vedere se possano profilarsi situazioni in cui quest’ultimo vanti diritti risarcitori (non già o non solo verso il coniuge agente, ma) nei confronti del coniuge pretermesso.

In proposito va rilevato che la giurisprudenza di legittimità ha escluso la possibilità di configurare profili di responsabilità precontrattuale in capo al coniuge del promittente alienante che, pur avendo preso parte alle trattative, non abbia poi concluso il contratto preliminare. Così si è esclusa una responsabilità ex art. 1337 c.c. del coniuge non stipulante che, in un primo momento, aveva preso parte alle trattative, aveva omesso di fare emergere l’esistenza dei regime di comunione legale ed aveva riscosso una parte del prezzo del bene oggetto del preliminare di compravendita, per poi domandare in un secondo momento l’annullamento ex art. 184 c.c. del preliminare stesso [16]. Proprio con riferimento a questa fattispecie la S.C. ha stabilito «che condizione necessaria perché sorga la responsabilità di cui agli art. 1337 e 1338 c.c., è che un soggetto assuma la qualità di parte nelle trattative, mentre è irrilevante, a tal fine, la sola circostanza che lo stesso sia titolare della situazione sostanziale sottostante»; e «pertanto il coniuge comproprietario dì un immobile acquistato in regime di comunione legale, pur essendo parte necessaria per l’alienazione dello stesso, non è responsabile ex art. 1337 c.c. ove non sia intervenuto in tale qualità nelle trattative» [17].

In dottrina si è però osservato che il comportamento del coniuge il quale, pur non prendendo parte alla conclusione del contratto, ometta di informare il terzo circa l’effettiva condizione del bene o lo informi falsamente al riguardo, per poi riservarsi la possibilità di agire per domandare l’annullamento ex art. 184 c.c., costituisce una condotta rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 2043 c.c. [18].

 

4. La responsabilità in caso di accoglimento della domanda di annullamento: i rapporti tra il coniuge disponente e il coniuge pretermesso.

Ultimo possibile scenario, in caso d’accoglimento della domanda d’annullamento, è quello di una responsabilità del coniuge che ha disposto del bene verso il coniuge pretermesso. Se è vero, infatti, che l’esperimento dell’azione di annullamento consente di recuperare il bene alla massa comune, è altrettanto vero che tale azione può non porre integrale rimedio al pregiudizio che la comunione abbia subito per effetto di tale alienazione. Ora, se si pone mente al fatto che qui ci troviamo di fronte ad un illecito contrattuale, come verrà tra breve spiegato, nulla esclude che se, in ipotesi, il coniuge pretermesso riesce a dimostrare che la mancata alienazione del bene (tornato poi nel patrimonio comune per effetto del vittorioso esperimento dell’azione di annullamento) avrebbe consentito di trarre nel frattempo determinate utilità, non recuperabili per effetto dell’azione di annullamento, egli possa chiedere il risarcimento del conseguente danno.

Si pensi alla prova che il coniuge pretermesso riesca a fornire circa il fatto che un determinato utilizzo del bene (o, al limite, la sua alienazione a terzi) avrebbe potuto consentire un certo guadagno, non più possibile una volta recuperato il bene (perché il potenziale nuovo utilizzatore o acquirente doveva realizzare l’affare in un arco temporale ormai decorso nel tempo resosi necessario per l’esperimento dell’azione di recupero del bene presso l’acquirente, ecc.). Naturalmente la realizzazione di questo ipotetico e sfumato guadagno sarebbe il più delle volte derivata dal compimento di un atto di amministrazione straordinaria sul bene stesso (si pensi al caso-limite della vendita ad un diverso soggetto, che per il bene avrebbe offerto assai di più del soggetto cui lo stesso è stato invece alienato dal coniuge «pretermittente»): peraltro il consenso del coniuge autore dell’alienazione ben si potrebbe presumere anche in relazione a tale ipotetica (e sfumata) rivendita, così come si può anche presumere che il consenso eventualmente mancante avrebbe potuto essere surrogato ex art. 181 c.c., specie aderendo alla tesi che ammette tale rimedio anche per il solo caso di utilità evidente [19].

 

5. La responsabilità (contrattuale) inter coniuges in caso di rigetto della domanda di annullamento.

Venendo invece all’ipotesi della reiezione della domanda di annullamento, non vi è dubbio che, almeno in linea di massima, il coniuge che abbia agito senza il consenso dell’altro sia chiamato a rispondere verso l’altro sotto il profilo risarcitorio. Sul punto occorre, invero, prendere le mosse dal rilievo per cui il compimento di un atto di disposizione posto in essere da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro, perpetrando la violazione di un preciso obbligo legale (art. 180 cpv. c.c.) ed arrecando una lesione al diritto di comproprietà dell’altro sul bene alienato, costituisce un atto illecito da cui consegue un obbligo di risarcire il danno [20].

In proposito, nonostante l’autorevole parere espresso in favore dell’idea della responsabilità aquiliana [21], la natura contrattuale della responsabilità in esame va invece, e con forza, ribadita, per effetto della constatazione secondo cui il coniuge che ha disposto di un bene comune, anche senza appropriarsene materialmente [22], viola per ciò solo il disposto dell’art. 180 c.c. e dunque un dovere giuridico specifico (derivante ex lege), consistente nel dovere di procurarsi il consenso del partner per l’effettuazione dell’atto: dovere che possiede un sicuro contenuto patrimoniale e che, come tale, appare definibile alla stregua di una vera e propria obbligazione, con conseguente applicazione dell’art. 1218 c.c. [23].

Si noti che la stessa regola vale non solo per gli atti dispositivi di beni mobili non registrati, ma anche per quelli su beni immobili o mobili registrati, in quanto il coniuge pretermesso non sia riuscito – per una ragione qualsiasi (intervenuto decorso del breve periodo prescrizionale previsto dall’art. 184 cpv. c.c., distruzione del bene stesso, successiva rivendita ad un terzo cui la domanda d’annullamento non sia opponibile) – a recuperare il bene stesso o semplicemente non voglia esperire l’azione d’annullamento. In quest’ultimo caso si porrebbe peraltro il problema d’un eventuale concorso di colpa, ex art. 1227 c.c., per non avere il coniuge legittimato proposto l’azione d’annullamento o per non averla esperita tempestivamente [24]. Il riconoscimento dell’applicabilità alla specie del disposto dell’art. 1218 c.c. esclude la possibilità, prospettata da taluni Autori [25], di ricorrere ad estensione analogica dell’art. 184, terzo comma, c.c., norma che, per il suo carattere eccezionale, non sembra suscettibile di estensione agli atti di amministrazione su beni immobili o mobili registrati.

Per quanto attiene al danno concretamente risarcibile in questa particolare fattispecie si è affermato [26] che qui si potrebbe ipotizzare anche il risarcimento del danno esistenziale per il disagio e lo stress provocato dal comportamento del coniuge che ha effettuato l’atto di disposizione di un bene di valore affettivo: ma la soluzione appare difficilmente conciliabile con il disposto dell’art. 2059 c.c. [27], anche nella lettura che di esso propongono le Sezioni Unite, che comunque ne limitano l’applicabilità ai soli casi di «lesione grave» e di «danni non futili» [28].

In conseguenza dell’affermata natura contrattuale del danno in oggetto, l’azione risarcitoria sarà sottoposta al termine prescrizionale generale ex art. 2946 c.c., nonché alla sospensione ex art. 2941, n. 1, c.c., non valendo nella specie il rationale di quella decisione di legittimità, risalente al 1987, che ha stabilito l’inapplicabilità di tale disposizione all’azione di annullamento, proposta ai sensi dei primi due commi dell’art. 184 c.c., relativamente a beni immobili o mobili registrati [29].

 

6. Ulteriori strumenti di tutela del coniuge pretermesso.

A corollario di quanto esposto nel § precedente dovrà aggiungersi che la tutela del coniuge pretermesso può realizzarsi anche attraverso strumenti ulteriori rispetto a quello dell’annullamento dell’atto ex art. 184 c.c. L’atto compiuto senza il necessario consenso del coniuge, infatti, potrebbe presentare profili di nullità per illiceità del motivo comune (art. 1345 c.c.), o venire in considerazione nell’ottica dell’annullabilità per conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato (art. 1394 c.c.) [30].

Il fatto, poi, che l’atto dispositivo in assenza del consenso dell’altro coniuge sia riconducibile alla fattispecie dell’illecito contrattuale consente al coniuge pretermesso non solo, come si è detto, di agire nel più ampio termine decennale, ma permette a quest’ultimo, ove ne ricorrano i presupposti, di far emergere anche eventuali profili di responsabilità del terzo contraente chiamandolo a rispondere in solido dei danni patiti [31], nel caso in cui questo fosse in mala fede: la responsabilità dovrebbe limitarsi ai danni che il contratto di cui è stato parte ha, di per sé, arrecato alla comunione, e, dunque, solo all’eventuale sproporzione fra il valore del bene comune oggetto di disposizione e la controprestazione [32].

Non è, infine, da escludere che, in particolarissime fattispecie, non riconducibili all’art. 184 c.c., il rimedio possa essere quello dell’inefficacia.

Si pensi ad un’ipotesi risolta da una pronunzia di legittimità in cui il marito aveva prestato il suo consenso alla stipula di un contratto preliminare di vendita di un bene in comunione, riportandovi il nome della moglie, manifestando ai promissari acquirenti la necessità del consenso di quest’ultima, e provvedendo a sottoscrivere (lui solo) il negozio ad effetti obbligatori.

La Corte, dopo aver premesso che, nella specie, tutte le parti erano consapevoli della comunione vigente sui beni e la comune volontà di tutti era orientata alla stipula di un contratto in cui entrambi i titolari del bene avrebbero dovuto prestare il consenso alla vendita (come era dimostrato anche dal fatto che i promissari acquirenti avevano invitato alla stipula davanti al notaio entrambe le parti, ricevendo dal marito la comunicazione che neppure lui si sarebbe presentato stante il rifiuto della propria moglie), ne ha concluso che si sarebbe dovuta escludere l’applicabilità al caso di specie del disposto dell’art. 184 c.c., «il quale presuppone la effettiva autonoma disposizione di un bene comune da parte di uno solo dei coniugi, situazione non certamente equiparabile a quella di specie, in cui la mancata prestazione del consenso di uno dei coniugi non ha mai consentito il sorgere di una valida obbligazione neppure a carico dell’altro» (laddove l’aggettivo «valida» andrebbe piuttosto inteso, ad avviso dello scrivente, alla stregua di «efficace») [33].

 

7. I rimedi concessi al terzo in caso di mancato esperimento dell’azione di annullamento da parte del coniuge pretermesso.

Dopo aver distinto i casi di accoglimento da quelli di rigetto dell’azione di annullamento ed averne studiato le relative conseguenze nei rapporti tra i coniugi e con il terzo avente causa dal coniuge disponente, è giunto il momento di prendere in considerazione, per concludere, il caso in cui il rimedio ex art. 184, primo e secondo comma, c.c., non sia stato per nulla esperito. In quest’ambito si colloca, come detto più volte, la fattispecie affrontata dalla sentenza in commento, che va qui inquadrata nel più ampio contesto delle tutele concesse al terzo per l’ipotesi di mancato promovimento, da parte del coniuge pretermesso, dell’azione di annullamento.

Sul punto dovrà, in primo luogo, chiarirsi che il terzo non è comunque legittimato a far valere l’annullabilità, posto che l’azione è concessa al solo coniuge pretermesso (arg. ex art. 1441 c.c.); il terzo si trova pertanto esposto al rischio di dover dare egualmente esecuzione al contratto, anche se in questo caso si potrebbe forse argomentare dall’art. 1460 c.c. la possibilità per il terzo stesso di sospendere – fin tanto che l’acquisto non si consolidi per decorso del termine annuale – la prestazione, non potendosi certo dire che il trasferimento della proprietà di un bene, che può essere fatto venir meno sulla base della proposizione dell’azione di annullamento, configuri esatto adempimento della prestazione dovuta. Al medesimo risultato appare comunque possibile pervenire, in modo più convincente, sulla base dell’applicazione del dovere di buona fede nelle trattative, nonché nell’esecuzione dell’obbligazione e del contratto (1175, 1337, 1338 e 1375 c.c.), specie ove si abbia riguardo al comportamento omissivo del coniuge stipulante in ordine all’obbligo di informazione circa la carenza del consenso dell’altro coniuge e della conseguente invalidità dell’atto [34].

Per quanto attiene ad altri possibili strumenti, va escluso che nella specie siano invocabili rimedi in materia di evizione, quali l’art. 1479 c.c. o l’art. 1481 c.c. (dettato, quest’ultimo, per il caso del «pericolo di rivendica») [35], posto che il fenomeno che sta alla base di tali azioni (radicale ed insanabile inefficacia dell’atto dispositivo, con i conseguenti rischi) è diverso da quello descritto dall’art. 184, primo e secondo comma, c.c. Ed invero, l’art. 1481 c.c. presuppone il pericolo di un mancato perfezionamento dell’effetto traslativo, laddove l’art. 184 c.c. postula un trasferimento già verificatosi e subito efficace, sebbene in via provvisoria [36].

Sempre allo scopo di offrire al terzo una qualche forma di tutela, si è sostenuto che egli potrebbe pretendere di adempiere la controprestazione vincolandola a favore della comunione, così rifiutando di porre il corrispettivo nell’esclusiva disponibilità del singolo coniuge intervenuto all’atto [37]. La tesi non ha però, condivisibilmente, convinto altri Autori, sembrando attribuire alla comunione una qualche soggettività, di cui essa è invece priva, per cui non avrebbe molto senso pretendere di adempiere a favore della comunione o vincolare la prestazione in favore di questa [38].

Altri invece hanno affermato che il terzo potrebbe interpellare il coniuge pretermesso intorno all’eventuale esercizio dell’azione di annullamento, in analogia con quanto disposto dall’art. 1399, quarto comma, c.c. [39], in relazione alla ratifica, ma alla proposta si è esattamente obiettato che, sebbene possa darsi che una simile iniziativa dia risultati utili provocando una manifestazione di volontà rilevante sotto forma di convalida dell’atto, resta il fatto che il coniuge così interpellato non ha comunque alcun obbligo di rispondere o di manifestare le proprie intenzioni nell’immediato, visto che la legge gli accorda un anno di tempo per decidere se agire per l’annullamento e l’eventuale diffida del terzo acquirente non potrebbe certo considerarsi idonea a ridurre detto termine, ma, al limite, a determinarne la decorrenza in difetto di trascrizione qualora il coniuge fino a quel momento avesse ignorato il compimento dell’atto. Né il silenzio serbato dal coniuge a seguito dell’interpello potrebbe interpretarsi come una convalida tacita [40].

La dottrina ha altresì posto in luce che l’eventualità per cui   il compratore si trovi nella condizione di dover ancora pagare una parte del prezzo dell’immobile si riscontra molto raramente con riferimento a contratti definitivi e molto più di frequente con riguardo al contratto preliminare. In quest’ultima ipotesi la potenziale annullabilità del contratto dovuta alla mancanza del necessario consenso del coniuge pretermesso può legittimare il rifiuto di stipulare il contratto definitivo [41]. Il coniuge interessato alla conclusione del definitivo, pertanto, potrà pretendere la stipulazione di detto contratto solo qualora assicuri alla controparte il regolare trasferimento del bene che ne forma oggetto, ben potendosi giustificare, in base al principio di buona fede, la sospensione della prestazione del promissario convenuto: di fronte all’altrui richiesta di adempimento esercitata contro la regola di correttezza, questi, infatti, potrebbe valersi dell’exceptio doli.

Sembra invece più difficile che l’acquirente, per il solo fatto di aver stipulato un preliminare annullabile, possa chiederne la risoluzione. Questa presuppone un’alterazione significativa dell’equilibrio sinallagmatico, tale da far perdere l’interesse alla conclusione del definitivo; alterazione non ravvisabile per il solo fatto dell’annullabilità del negozio. Invero, il preliminare è subito efficace, e la situazione di pendenza potrebbe stabilizzarsi in duratura efficacia a seguito di convalida o prescrizione; in questi casi si consoliderebbe lo stesso assetto di interessi che il promissario intendeva perseguire all’epoca del compromesso, con correlativa mancanza di una sopravvenienza funzionale giustificativa di uno scioglimento del vincolo [42].

In poche parole: sul piano della validità e dell’efficacia del negozio, il terzo può solo limitarsi a «giocare sulla difensiva».

Il profilo risarcitorio è invece quello in relazione al quale il terzo può anche «giocare in attacco». E ciò non solo allorquando, come si è visto [43], il contratto sia stato dichiarato nullo. Con la sentenza in commento, infatti, la Cassazione viene a riconoscere l’applicabilità dell’art. 1338 c.c. ad una situazione in cui, come più volte anticipato, non solo il contratto non era stato annullato, ma non risulta, anzi, neppure che il coniuge pretermesso avesse impugnato il preliminare, come pure sarebbe stato suo diritto fare [44].

A chi scrive sembra però che, nonostante il carattere costitutivo della sentenza d’annullamento, il rimedio risarcitorio sia esperibile per il solo fatto che il contratto è annullabile, atteso il tenore della norma citata, a mente della quale la responsabilità precontrattuale entra in gioco per il solo motivo che una parte «non ha dato notizia» dell’«esistenza di una causa di invalidità del contratto». Né la conclusione può porsi in contraddizione con quanto appena illustrato circa la possibilità per il terzo di rifiutarsi (legittimamente) di adempiere alle obbligazioni che con il contratto (preliminare o definitivo che sia) egli si è assunto. Tale potere, invero, non gli è concesso tanto per effetto di un meccanismo legato all’inadempimento di un’obbligazione dalla controparte assunta ex contractu (quale conseguenza della regola inadimplenti non est adimplendum, per intenderci), quanto piuttosto quale applicazione (come pure si è detto) di un’exceptio doli discendente dalla violazione delle regole di buona fede e correttezza nelle trattative.

Per questo il terzo potrà agire per il risarcimento del danno (nei limiti del solo interesse negativo, come già chiarito) subìto per effetto della reticenza della controparte sulla causa di invalidità, anche se non potrà per ciò solo chiedere la risoluzione del contratto. Se poi la consolidazione degli effetti del contratto annullabile (o addirittura la convalida) dovesse sopraggiungere in corso di causa, ciò varrebbe a determinare il rigetto dell’exceptio doli (non senza lasciare traccia in punto spese, attesa la legittimità del comportamento di chi si rifiuta di adempiere di fronte al rischio dell’annullamento del contratto, e fin tanto che il rischio perdura), mentre non dispiegherebbe necessariamente un effetto sulla domanda risarcitoria, posto l’autonomo rilievo che assume – come fatto storico fonte di responsabilità precontrattuale – la violazione del dovere di lealtà nelle trattative, anche alla luce della considerazione che tale violazione potrebbe aver cagionato danni cui la consolidazione degli effetti del negozio non pone rimedio [45]. 

Andrà ancora detto, in chiusura, che il particolare caso in cui il coniuge «pretermittente» abbia concluso con il terzo non già un contratto definitivo, bensì un preliminare (promessa di vendita) coinvolge una complessa serie di ulteriori problemi: dall’esperibilità dell’azione ex art. 2932 c.c. da parte del terzo promissario acquirente (specie se in pendenza del termine di impugnativa ex art. 184, primo e secondo comma, c.c.), all’impossibilità di ridurre l’effetto di quest’ultima alla quota del coniuge promittente venditore, alla presenza di un litisconsorzio necessario nel relativo giudizio: questioni tutte su cui chi scrive si è già intrattenuto in altra sede, cui va fatto pertanto rinvio [46].

 

ABSTRACT

SOMMARIO

SENTENZA COMMENTATA

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[1] Cfr., anche per gli ulteriori rimandi, impossibili in questa sede, Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, Milano, 2010, p. 1297 ss.

[2] Rileva questa macroscopica discrasia anche F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Milano, 1979, p. 141.

[3] Cfr. Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 424; F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, cit., p. 150 s.

[4] Come si è altrove illustrato: cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, Milano, 2010, p. 276 ss.

[5] Critica il riferimento all’art. 1398 c.c. anche Valignani, L’amministrazione dei beni in comunione, in Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da Ferrando, II, Rapporti personali e patrimoniali, Bologna, 2008, p. 523.

[6] Così Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, Milano, 2010, p. 1356 ss. In questo senso cfr. anche Segni, Gli atti di straordinaria amministrazione del singolo coniuge sui beni immobili della comunione, in Riv. dir. civ., 1980, I, p. 644 s.; C.M. Bianca, Gli atti di straordinaria amministrazione, in Aa.Vv., La comunione legale, a cura di C.M. Bianca, I, Milano, 1989, p. 623; Anelli, L’amministrazione della comunione legale, in Trattato di diritto di famiglia diretto da Zatti, III, Regime patrimoniale della famiglia, Milano, 2002, p. 270; Agnino, La sorte del contratto preliminare stipulato da un solo coniuge in regime di comunione legale, Nota a Cass., 8 gennaio 2007, n. 88, in Corr. giur., 2007, p. 510 ss.

[7] Cass.,  8 luglio 2010, n. 16149, qui commentata.

[8] V. infra, § 7.

[9] Cfr. ad es. Bocchini, L’amministrazione dei beni in comunione legale, in Dir. priv., 2000, p. 67, secondo cui «il terzo, attraverso l’ispezione incrociata dei registri di stato civile e dei registri immobiliari e mobiliari, è in grado di conoscere lo statuto del bene acquistato. In ragione di ciò il terzo non può neppure avvalersi della tutela prevista dall’art. 1338 c.c. perché, ispezionando i detti registri, è in grado di conoscere la causa di invalidità».

[10] Secondo Agnino, op. loc. ultt. citt. l’esistenza di una colpa del terzo andrebbe affermata nel caso l’immobile risultasse intestato ad entrambi i coniugi, o a favore del solo coniuge non disponente, mentre più problematica sarebbe l’ipotesi in cui il bene risulti intestato al solo coniuge disponente, avendolo egli acquistato in costanza di matrimonio con trascrizione a suo esclusivo favore, dove la buona fede può sussistere.

[11] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1358.

[12] Cfr. A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, Milano, 1984, p. 1081 s.; Mastropaolo, Commento agli artt. 184-185 c.c., in Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, III, Padova, 1992, p. 211; Valignani, L’amministrazione dei beni in comunione, cit., p. 522. Contra Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1358.

[13] Nel senso che il terzo possa considerarsi in buona fede anche allorché, sulla base dell’esame dei registri immobiliari e degli atti dello stato civile, fosse in grado di accertare l’alienità del bene rispetto a colui con il quale ha contrattato, quando abbia senza sua colpa ritenuto sussistente il consenso dell’altro coniuge, cfr. Segni, Gli atti di straordinaria amministrazione del singolo coniuge sui beni immobili della comunione, cit., p. 644 s.

[14] Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1358. In questo senso v. anche C.M. Bianca, Gli atti di straordinaria amministrazione, cit., p. 623; Bruscuglia, L’amministrazione dei beni della comunione legale, in Trattato di diritto privato diretto da Bessone, IV, Il diritto di famiglia, II, Torino, 1999, p. 308; Valignani, L’amministrazione dei beni in comunione, cit., p. 522.

[15] Oberto, op. loc. ultt. citt. Per la giurisprudenza cfr. ex multis Cass., 30 agosto 1996, n. 9157, in Arch. civ., 1996, p. 189; Cass., 14 febbraio 2000, n. 1632; Cass., 18 luglio 2003, n. 11243; Cass., 10 ottobre 2003, n. 15172; Cass., 23 febbraio 2005, n. 3746, in Danno e resp., 2006, p. 46, con nota di Guerreschi; Cass., 13 ottobre 2005, n. 19883; Cass., 7 febbraio 2006, n. 2525.

[16] Cfr. Cass., 28 ottobre 1983, n. 6386, in Giust. civ., 1984, I, p. 404; Riv. giur. edil., 1984, I, p. 50.

[17] Cfr. Cass., 28 ottobre 1983, n. 6386, cit.

[18] Cfr. Bruscuglia, L’amministrazione dei beni della comunione legale, cit., p. 308, nt. 192; Valignani, L’amministrazione dei beni in comunione, cit., p. 525.

[19] Su questo punto cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1243 ss.

[20] Cfr. Oberto, La responsabilità contrattuale nei rapporti familiari, Milano, 2006, p. 34 s.

[21] C.M. Bianca, Gli atti di straordinaria amministrazione, cit., p. 620 s. Nel medesimo senso v. anche Segni, Gli atti di straordinaria amministrazione del singolo coniuge sui beni immobili della comunione, cit., p. 645; Natucci, Gli atti di amministrazione straordinaria del coniuge in regime di comunione legale, in Quadrimestre, 1988, p. 132.

[22] E si noti che, come appena ricordato nel testo, l’alienazione del bene stesso è, per dottrina e giurisprudenza prevalenti, perfettamente valida ed efficace anche senza la traditio.

[23] In questo senso cfr. già Oberto, Acquisti a titolo originario e comunione legale, in Fam. dir., 1994, Allegato, pp. 30 s.; Id., La responsabilità contrattuale nei rapporti familiari, cit., p. 34 s.;  Id., La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 1361 ss. Aderiscono a questa impostazione Bocchini, L’amministrazione dei beni in comunione legale, cit., p. 72 s., secondo cui «l’inosservanza della regola sull’amministrazione congiuntiva comporta violazione dell’obbligo di ricerca dell’accordo che discende dal matrimonio (come obbligo reciproco tra i coniugi), cui corrisponde una correlata situazione soggettiva di vantaggio. Poiché tale posizione di vantaggio, nella dimensione dell’amministrazione dei beni comuni, si connota di un contenuto patrimoniale, la relativa lezione comporta l’obbligo di risarcimento del danno a carico del soggetto agente. Trattasi pertanto di responsabilità c.d. contrattuale (rectius da inadempimento di obbligo), soggetta alle regole proprie di siffatto modello di responsabilità»; Barbiera, La comunione legale, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 3, II, Torino, 1996, p. 546; Bruscuglia, L’amministrazione dei beni della comunione legale, cit., p. 313; Anelli, L’amministrazione della comunione legale, cit., p. 263; Facci, I nuovi danni nella famiglia che cambia, Milano, 2004, p. 41 s., secondo cui la soluzione può giustificarsi alla luce anche dell’orientamento che tende sempre più ad ampliare l’ambito di operatività della responsabilità contrattuale sul presupposto che la stessa tuteli in modo più adeguato il danneggiato; Valignani, L’amministrazione dei beni in comunione, cit., p. 521; Gorgoni, Acquisti con denaro personale, alienazione e tutela del coniuge in comunione legale, in Obbl. e contr., 2010, p. 836 ss. Sul carattere contrattuale della responsabilità dello Stato per omessa o tardiva attuazione di direttive comunitarie, in quanto responsabilità per violazione di obbligazione ex lege, cfr. Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9147.

[24] Cfr., anche se in materia diversa da quella in esame, Cass., 26 novembre 1994, n. 10072, in Dir. lav., 1995, II, p. 14, con nota di Facchini, secondo cui «In tema di risarcimento del danno nei rapporti obbligatori, nella nozione di ordinaria diligenza del creditore di cui all’art. 1227, secondo comma, cod. civ., rientra anche il tempestivo esercizio del proprio diritto, ossia l’esercizio non differito fino al limite del termine di prescrizione, qualora il trascorrere del tempo possa determinare un incremento del danno».

[25] Cfr. Schlesinger, Della comunione legale, 1977, cit., p. 426; F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, cit., p. 152 s.; G. Gabrielli, I rapporti patrimoniali tra coniugi. Corso di diritto civile, Trieste, s.d. ma 1981, p. 126; Mastropaolo, Commento agli artt. 184-185 c.c., cit., p. 216. In giurisprudenza cfr. Trib. Trento, 11 giugno 1987, in Giur. merito, 1988, I, 762, con nota di M. Finocchiaro, (in motivazione).

[26] Cfr. Facci, I nuovi danni nella famiglia che cambia, cit., p. 40 s. 

[27] E’ particolarmente dibattuto se il disagio e lo stress, derivanti da lesioni di interessi non direttamente riconducibili a valori costituzionali, siano risarcibili, alla luce del nuovo assetto del danno non patrimoniale, delineato dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 233 del 2003 (Corte cost., 11 luglio 2003, n. 233, in Giur. it., 2004, p. 1129, con nota di Bona), attr­averso il richiamo al diritto vivente (cfr. Cass., 31 maggio 2003, n. 8827 e Cass., 31 maggio 2003, n. 8828). Al riguardo, si è osservato (cfr. Facci, I nuovi danni nella famiglia che cambia, cit., p. 41 nota 147) come in Cass., 31 maggio 2003, n. 8827 e in Cass., 31 maggio 2003, n. 8828, la lesione di un interesse costituzionale sarebbe di tutta evidenza: nella prima la lesione dell’interesse costituzionale deriverebbe dallo sconvolgimento delle abitudini di vita e dall’esigenza di provvedere perennemente ai bisogni di un figlio ridotto ad uno stato pressoché vegetativo; nella seconda dall’uccisione di un congiunto. Si deve, tuttavia, considerare come la Corte costituzionale non faccia alcun riferimento ad un criterio, come ad esempio la «gravità dell’offesa», per selezionare gli interessi di rango costituzionale, meritevoli di tutela risarcitoria. Sul criterio della «gravità dell’offesa», al fine di selezionare gli interessi non patrimoniali meritevoli di tutela risarcitoria, si veda Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino, 1996, p. 350; Ponzanelli, L’art. 2059 c.c. tra esame di costituzionalità e valutazione di opportunità, in Danno e resp., 2002, p. 878; Bargelli, Danno non patrimoniale ed interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059, in Resp. civ. prev., 2003, p. 702; in giurisprudenza v. Trib. Bergamo, 26 febbraio 2003, in Resp. civ. prev., 2003, p. 179, con nota di Navarretta; in Danno e resp., 2003, p. 547, con nota di Ponzanelli. Si noti che però, successivamente, Cass., Sez. Un., 19 agosto 2009, n. 18356, in Guida dir., 2009, n. 37, p. 24, con nota di Piselli, ha ritenuto risarcibile il danno esistenziale solo se la lesione subita si è rivelata grave, affermando che «rientra tra i principi informatori della materia, ai quali è tenuto a uniformarsi il giudice di pace nel giudizio di equità, quello di cui al disposto dell’art. 2059 c.c., il quale, secondo una lettura costituzionalmente orientata, non disciplina un’autonoma fattispecie di illecito, produttiva di danno non patrimoniale, distinta da quella prevista dall’art. 2043 c.c., ma regola i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, sul presupposto dell’esistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito richiesti dall’articolo 2043 c.c., con la peculiarità della tipicità di detto danno, stante la natura dell’articolo 2059 c.c., quale norma di rinvio ai casi previsti dalla legge ovvero ai diritti costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela minima risarcitoria, e con la precisazione, in tale ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve riguardare l’interesse leso e non il pregiudizio in conseguenza sofferto, e che la risarcibilità del danno non patrimoniale presuppone, altresì, che la lesione sia grave e che il danno non sia futile».

Secondo Facci, op. loc. ultt. citt., sarebbe deprecabile, se, stante l’indeterminatezza del riferimento agli interessi di rango costituzionale inerenti alla persona, si provvedesse all’invenzione di nuovi interessi di rango costituzionale, al fine di permettere il risarcimento anche dello stress e del disagio esistenziale. L’Autore rileva che tale modo di procedere è già stato respinto da Cass., Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500, la quale ha censurato il precedente orientamento che, per risarcire danni altrimenti considerati irrisarcibili, inventava nuovi diritti soggettivi e l’indirizzo sembra confermato dalla decisione delle Sez. Un. del 2009, appena citata. La chiave di lettura dovrebbe, invece, essere spostata sull’ingiustizia del danno, al fine di valutare se lo stress ed il disagio procurato debbano rimanere a carico della vittima, oppure debbano essere trasferiti sull’autore del fatto. Per ulteriori considerazioni sul tema del danno esistenziale e per i necessari richiami alla (sterminata) produzione dottrinale e giurisprudenziale – specie dopo l’intervento nel 2008 delle Sezioni Unite (cfr. le decisioni nn. 26972, 26973, 26974 e 26975), che sembrerebbe avere cancellato tale figura – cfr. Palmieri, Pardolesi e Simone, La rifondazione del danno non patrimoniale, all’insegna della tipicità dell’interesse leso (con qualche attenuazione) e dell’unitarietà, Nota a Cass., Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26973, in Foro it., 2009, I, c. 120 ss.; Hazan, Il nuovo danno non patrimoniale nel sistema della R.C. Auto: le difficoltà di accettare la svolta, in Danno e resp., 2009, p. 919 ss. Rimane però la constatazione, a sommesso avviso dello scrivente, che la chiara scelta di politica legislativa di limitare il risarcimento del danno non patrimoniale (nel cui alveo anche quello «esistenziale» non può non ricadere) al pregiudizio causato da un comportamento che costituisce reato (ovvero nelle altre ipotesi tassativamente prescritte dalla legge) non può essere superata dall’interprete attraverso una lettura, sostanzialmente, abrogatrice dell’ (ancora vigente!) art. 2059 c.c., come invece ormai sistematicamente proposto dalla Corte di legittimità: cfr. ad es. Cass., 19 giugno 2009, n. 14351, secondo cui «Il riconoscimento del danno non patrimoniale (nella specie: danno parentale, conseguente alla morte, in occasione di un sinistro stradale, di un congiunto degli attori) non è vincolato all’accertamento che il fatto che lo ha causato costituisca reato».

[28] Cfr. Cass., Sez. Un., 19 agosto 2009, n. 18356, cit.

[29] Cfr. Cass., 22 luglio 1987, n. 6369, in Dir. fam., 1988, I, p. 786; in Giust. civ., 1988, I, p. 135, con nota di M. Finocchiaro: «Con riguardo all’azione di annullamento proposta da un coniuge contro l’atto con cui l’altro coniuge abbia disposto di un bene immobile, oggetto di comunione legale, senza il necessario consenso di esso istante, il termine di un anno, fissato dall’art. 184 secondo comma cod. civ. con decorso dalla data della conoscenza dell’atto stesso, ed in ogni caso dalla data della sua trascrizione non è soggetto alla sospensione nel rapporto fra coniugi contemplata dall’art. 2941 cod. civ. per la prescrizione in considerazione del carattere speciale della prima delle citate norme, e manifestamente non si pone in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, tenuto conto che il termine medesimo, nonostante la sua brevità, giustificata dal contemperamento delle esigenze del coniuge leso con quelle del terzo, ha consistenza e decorrenza idonee ad assicurare un adeguato esercizio del diritto di difesa». Nello stesso senso si esprime G. Gabrielli, I rapporti patrimoniali tra coniugi. Corso di diritto civile, cit., p. 133. Su Cass., 22 luglio 1987, n. 6369, cit. cfr. anche Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1350.

[30] Cfr.  Cendon, Comunione fra coniugi e alienazioni mobiliari, Padova, 1989, p. 328; per la trattazione del tema cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1289 s.

[31] Cfr. Anelli, L’amministrazione della comunione legale, cit., p. 263.

[32] Così Segni, Gli atti di straordinaria amministrazione del singolo coniuge sui beni immobili della comunione, cit., p. 647; C.M. Bianca, Gli atti di straordinaria amministrazione, cit., p. 622; Anelli, L’amministrazione della comunione legale, cit., p. 263; Valignani, L’amministrazione dei beni in comunione, cit., p. 521.

[33] Cfr. Cass., 24 febbraio 2004, n. 3647, in Vita not., 2004, I, p. 971.

[34] Per una analitica illustrazione cfr. Anelli, L’amministrazione della comunione legale, cit., p. 272; cfr. inoltre Schlesinger, Della comunione legale, 1977, cit., p. 424; A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, cit., p. 1080, per i quali al contraente obbligato ad adempiere non resta altro rimedio che quello risarcitorio, una volta subito l’annullamento. Per la tesi favorevole all’eccezione inadimplenti non est adimplendum, cfr. Mastropaolo, Commento agli artt. 184-185 c.c., cit., p. 210, per il quale, a fronte dell’inadempimento dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede da parte del coniuge che gli abbia tenuto nascoste le ragioni di invalidità del contratto, il terzo potrà formulare la relativa eccezione e rifiutare la propria prestazione, salvo il diritto al risarcimento del danno. Analogamente, ma, con argomentazioni diverse, cfr. Segni, Gli atti di straordinaria amministrazione del singolo coniuge sui beni immobili della comunione, cit., p. 642 s., secondo cui il terzo non potrebbe comunque essere chiamato ad adempiere prima di avere avuto la garanzia della convalida o dell’inerzia da parte del coniuge pretermesso per tutto il periodo occorrente alla prescrizione dell’azione di annullamento: in tutti questi casi colui che ha contrattato con il singolo coniuge può quindi opporre alla richiesta di esecuzione della prestazione un’eccezione fondata sul principio dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede. La tesi esposta nel testo è ritenuta non soddisfacente da Uda, Comunione legale e regime degli atti dispositivi compiuti da uno solo dei coniugi, Nota a Cass., 2 febbraio 1995, n. 1252, in Fam. dir., 1995, p. 235, secondo il quale l’obbligo d’informazione, su cui si fonda la tesi sopra esposta, sussisterebbe soltanto in fase di trattative, mentre non rileverebbe in fase di esecuzione del contratto, con conseguente impossibilità di fondare l’eccezione suddetta. L’Autore ritiene, invece, che, nella circostanza di specie, vi sia, piuttosto, un obbligo di astensione da parte del coniuge agente, almeno limitatamente al periodo annuale, in cui sussiste il pericolo, per il terzo, che il contratto venga posto nel nulla. Sarebbe tale obbligo, e non quello di informazione, a fondare, secondo tale ricostruzione, l’eccezione d’inadempimento.

[35] Il richiamo in via analogica a tale ultima norma è suggerito da F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, cit., p. 150, nt. 131; nello stesso senso v., con riguardo al caso del contratto preliminare, Agnino, op. loc. ultt. citt.; Di Cristo, Contratto preliminare e comunione legale, Nota a Cass., 8 gennaio 2007, n. 88, in Fam. pers. succ., 2008, p. 405 ss.; Anelli, L’amministrazione della comunione legale, cit., p. 274. Cfr. inoltre, nella medesima prospettiva, Cian e Villani, La comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), in Riv. dir. civ., 1980, I, p. 362; G. Gabrielli, I rapporti patrimoniali tra coniugi. Corso di diritto civile, cit., p. 135; A. Giusti, L’amministrazione dei beni della comunione legale, Milano, 1989, p. 233 ss. (che si richiama peraltro più in generale anche al principio inadimplenti non est adimplendum, contenuto negli artt. 1460 e 1461 c.c.); Bruscuglia, L’amministrazione dei beni della comunione legale, cit., p. 309; Galasso, Del regime patrimoniale della famiglia, I, Art. 159-230, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca a cura di Galgano, Bologna-Roma, 2003, p. 367; Valignani, L’amministrazione dei beni in comunione, cit., p. 526; Ead., Preliminare di vendita di immobile facente parte della comunione legale, esecuzione forzata in forma specifica e litisconsorzio necessario, Nota a Cass., Sez. Un., 24 agosto 2007, n. 17952, in Corr. giur., 2008, p. 517.

[36] Segni, Gli atti di straordinaria amministrazione del singolo coniuge sui beni immobili della comunione, cit., p. 638.

[37] Cfr. Schlesinger, Della comunione legale, 1977, cit., p. 424; la soluzione è criticata da Cendon, Comunione fra coniugi e alienazioni mobiliari, cit., p. 332 s., nt. 104, secondo cui il terzo potrà cautelarsi «trattenendo la propria prestazione per un anno e un giorno», in modo tale da far trascorrere il termine di prescrizione (così anche Sacco, Regime patrimoniale e convenzioni, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, cit., p. 336), ovvero invocando l’art. 1399, terzo comma, c.c.

[38] Cfr. A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, cit., p. 1079 s.; Valignani, L’amministrazione dei beni in comunione, cit., p. 525.

[39] Cfr. Segni, Gli atti di straordinaria amministrazione del singolo coniuge sui beni immobili della comunione, cit., p. 640 ss. Sul punto, v. anche Bruscuglia, L’amministrazione dei beni della comunione legale, cit., p. 298, secondo il quale nulla impedisce al terzo di «sollecitare», attraverso l’interpello, una manifestazione di volontà rilevante sotto forma di convalida dell’atto.

[40] Cfr. A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, cit., p. 1079; A. Giusti, L’amministrazione dei beni della comunione legale, cit., p. 228; Mastropaolo, Commento agli artt. 184-185 c.c., cit., p. 214; Valignani, L’amministrazione dei beni in comunione, cit., p. 525 s.

[41] Cfr. Anelli, L’amministrazione della comunione legale, cit., p. 274.

[42] Così Agnino, op. cit., p. 511. L’Autore suggerisce peraltro un’applicazione analogica dell’art. 1481 c.c. che, per le ragioni esposte nel testo, non appare possibile, potendosi sostanzialmente pervenire al medesimo risultato tramite il richiamo all’istituto generale dell’exceptio doli, come illustrato nel testo.

[43] V. supra, § 2.

[44] Sull’annullabilità del preliminare di vendita di un bene in comunione legale da parte del coniuge pretermesso v. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1314 ss.

[45] Si pensi al caso in cui il compratore (o promissario acquirente), intenzionato a rivendere a terzi il bene, non sia riuscito a farlo, per via di quella peculiare situazione (cioè della «spada di Damocle» del possibile annullamento pendente sul contratto concluso), mentre avrebbe potuto ricavare un vantaggio certo, sebbene minore, se avesse compiuto un altro possibile acquisto in luogo di quello effettuato con il contratto che più tardi avrebbe scoperto essere esposto al rischio dell’annullamento ex art. 184, primo e secondo comma, c.c.

[46] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 768 ss.