Giacomo Oberto

 

GLI ACCORDI PREVENTIVI

SULLA CRISI CONIUGALE(*)

 

Sommario:

1. Alcune considerazioni introduttive tra storia, comparazione e sociologia.

2. La tesi della nullità (con particolare riguardo agli accordi preventivi sulle conseguenze patrimoniali del divorzio).

3. la piena validità delle intese preventive sulla crisi coniugale.

4. Validità degli accordi preventivi sulla crisi coniugale e intervento del giudice.

 

 

1. Alcune considerazioni introduttive tra storia, comparazione e sociologia.

 

Nella dottrina italiana il tema degli accordi stipulati al momento della celebrazione delle nozze in vista di un’eventuale rottura della loro unione si è sempre segnalato, per lo meno sino ad una decina d’anni or sono, per la quasi totale assenza di appositi contributi. Gli studi e le decisioni sulle intese di carattere preventivo, invero, apparivano – ed in buona parte continuano ad apparire ancora oggi – essenzialmente incentrati sul tema dei patti sul futuro divorzio tra coniugi separati [1]: profilo, quest’ultimo, che al primo è sicuramente legato, ma che altrettanto indubitabilmente presenta alcune caratteristiche sue proprie. Sul punto, una volta dimostrata la piena disponibilità delle attribuzioni patrimoniali postmatrimoniali [2], va subito detto che il riconoscimento della possibilità per i nubenti di accordarsi in vista di un’eventuale crisi coniugale trova conforto, oltre che – come si vedrà – nella constatazione dell’assenza di ostacoli in seno alla legislazione vigente, anche in alcune riflessioni di carattere storico, sociologico e comparatistico, di cui si è ampiamente trattato in altre sedi, alle quali si fa pertanto rinvio [3]. Nel contesto di questo lavoro sarà sufficiente rammentare, per sommi capi, per ciò che attiene ai profili storici, che già il diritto romano conosceva ed ammetteva una svariata serie di patti che accompagnavano la costituzione della dote e che ne disciplinavano la restituzione in caso di divorzio [4]. Pacta nuptialia di questo genere si rinvengono poi anche con una certa frequenza durante tutta l’evoluzione del diritto comune, allorquando la separatio thori aveva sostituito il divorzio come causa di restituzione dell’apporto dotale collegata alla crisi della famiglia [5].

Dal punto di vista comparatistico, poi, è sin troppo noto il successo che negli Stati Uniti riscuotono ormai da svariati anni i prenuptial agreements in contemplation of divorce, al termine di un’evoluzione storica [6], sicuramente non esente da contraddizioni, nella quale ha giocato un ruolo determinante il passaggio dal sistema dello scioglimento del matrimonio basato fondamentalmente sulla colpa alla regola del no fault divorce. Gli echi di quella giurisprudenza e di quell’atteggiamento, anche culturale, nei confronti dei vantaggi connessi alla definizione in via preventiva di una possibile crisi coniugale [7]  sono giunti – in questo mondo globalizzato – persino nel nostro per molti versi arretrato Paese, anche se da noi ciò ha fatto premio è stata piuttosto l’attenzione legata alle vicende di personaggi dello spettacolo o comunque notori [8].

Al di là dei confini degli States, analoga evoluzione in senso favorevole alla validità delle intese in discorso s’è manifestata in svariati altri ordinamenti di common law. Così in Gran Bretagna – ove peraltro già nei primi anni del XIX secolo una celebre monografia dedicata ai rapporti tra coniugi [9] non esitava a dichiarare sustainable e suscettibile di riconoscimento in our courts of justice ogni «agreement entered into in contemplation of a future separation» – sembrano ormai definitivamente superate le difficoltà emerse nel corso del XX secolo, collegate all’idea che tali contratti, in quanto diretti in qualche modo a favorire il divorzio, fossero «against public policy and void» [10], anche alla luce della considerazione secondo cui i giudici d’oltre Manica sembrano oggi assai più restii d’un tempo a procedere ad una allocazione e divisione del patrimonio accumulato durante la convivenza o alla previsione di assegni o attribuzioni patrimoniali d’altro genere in presenza di precisi accordi, i quali vengono intesi come «evidence of the parties intentions», di cui la corte non può non tenere conto [11]

Per quanto attiene poi all’Australia, vi è da notare che il tema degli accordi preventivi è affrontato e positivamente risolto dalla legislazione da oltre un ventennio con riguardo alla posizione dei conviventi more uxorio. Già nel 1984 il De Facto Relationships Act del Nuovo Galles del Sud aveva stabilito (art. 44) che un accordo di convivenza potesse essere «made in contemplation of the termination of a domestic relationship». Proprio tale disposizione (ora inserita nel Property (Relationships) Act) ha, in tempi più recenti, contribuito a determinare l’introduzione per via legislativa dell’ammissibilità della stipula di prenuptial agreements, conclusi anche eventualmente in contemplation of divorce, per effetto della riforma di cui al Family Law Amendment Act 2000 in vigore in Australia dal 1° gennaio 2001 [12]. Si è, invero, constatato al riguardo che «it seemed ‘illogical’ that parties to a de facto relationship may have contractual rights or entitlements enforceable by a court, whereas agreements by parties who intend to marry will generally after marriage not be recognised as binding or enforceable by the Family Court» [13].

Non potrà poi tacersi che un atteggiamento favorevole verso la validità di intese preventive sulle conseguenze del divorzio è riscontrabile ormai pure in numerosi sistemi dell’Europa continentale. Il caso più significativo è rappresentato dalla Germania, ove dottrina e giurisprudenza, sulla scorta di una radicata tradizione storica [14], da sempre avallano [15] la costante pratica dei coniugi (o meglio, dei notai) di predeterminare, in sede di stipula degli Eheverträge, gran parte degli effetti di un possibile divorzio tra le parti, vuoi dettando i criteri per la determinazione del nachehelicher Unterhalt (vale a dire dell’assegno divorzile), vuoi rinunziandovi in toto, vuoi ancora escludendo ogni forma di Versorgungsausgleich (cioè della liquidazione delle aspettative pensionistiche conseguente allo scioglimento del regime legale della Zugewinngemeinschaft), così come l’eventuale ricorso delle parti a quella Abänderungsklage che, ai sensi del § 323 ZPO, consentirebbe (conformemente a quanto da noi previsto dagli artt. 710 c.p.c. o dall’art. 9 l.div.) la modifica giudiziale di un’eventuale prestazione di mantenimento, per effetto di successive variazioni della situazione economica delle parti in considerazione della quale la prestazione era stata prevista [16].

Interessante risulta poi anche il raffronto con altre esperienze geograficamente e culturalmente piuttosto vicine alla nostra: dal Codi de familia catalano, che disciplinando il contenuto dei capítols matrimonials (art. 15), espressamente stabilisce che in essi «hom pot determinar el règim econòmic matrimonial, convenir heretaments, fer donacions i establir les estipulacions i els pactes lícits que es considerin convenients, àdhuc en previsió d’una ruptura matrimonial» [17], ad una storica decisione del Tribunale Supremo Federale elvetico, che ha espressamente escluso che per i contratti di matrimonio sia richiesta una «nachträgliche Genehmigung im Scheidungsverfahren» [18], all’opinione comunemente condivisa dalla dottrina austriaca, sulla base del disposto del § 80 EheG [19], secondo cui gli accordi sulla Unterhaltspflicht in caso di divorzio non debbono necessariamente essere stipulati in sede di procedura di scioglimento dell’unione, ma ben possono essere conclusi «sogar schon vor der Eingehung der Ehe» [20].

Si noti infine che, come già posto in luce in altra sede, alcuni segnali d’apertura in questo senso si vanno profilando da tempo anche in un sistema che, come quello francese, appare da sempre piuttosto chiuso alla possibilità di predeterminare tramite accordi conclusi in via preventiva an e quantum di prestazioni postdivorzili, stante anche il dato costituito dall’art. 232 del Code Civil, che consente al giudice di negare l’omologazione dell’accordo di divorzio nel caso in cui esso non salvaguardi in maniera sufficiente gli interessi «di uno dei coniugi» [21]. Non andrà peraltro trascurato che quello stesso ordinamento permette ai coniugi, sul versante dei regimi patrimoniali, un’ampia gamma di intese tramite le quali costoro possono, tra l’altro, aménager il regime legale di comunione in contemplazione di un possibile divorzio [22], prevedendo, in base ad una tradizione risalente al droit coutumier [23], l’inserimento di clausole che vanno dalla attribuzione (a titolo sia gratuito che oneroso) di beni personali di un coniuge al coniuge superstite [24], all’assegnazione, all’atto dello scioglimento, di beni comuni, previo pagamento di una somma di denaro predeterminata [25], o alla facoltà per l’uno o l’altro dei coniugi di prelevare, sempre in occasione dello scioglimento, determinati beni a titolo gratuito [26], o, ancora, alla possibilità di prestabilire la divisione della massa (o di parte di essa) in parti non uguali [27], o, infine, all’attribuzione dell’intera massa ad uno solo dei coniugi, con diritto, per l’altro ad ottenere una somma a titolo forfetario [28].

Venendo al significato che i sopra evidenziati elementi comparativi potrebbero assumere per l’esperienza italiana, va tenuto conto del fatto che, se si eccettua la citata disposizione catalana, nessuno degli ordinamenti continentali, nei quali si ammette la validità di intese preventive sulle conseguenze della crisi coniugale, contiene disposizioni ad hoc, mentre la conclusione favorevole viene desunta [29], in buona sostanza, da regole non molto dissimili dalle nostre, con particolare riguardo al principio di libertà negoziale. Per ciò che attiene, poi, all’esperienza dei sistemi di common law, neppure l’argomento del superamento del principio del divorzio per colpa dovrebbe lasciare indifferenti gli interpreti italiani, anche se si tratta di un tema che da noi – a differenza che negli Stati Uniti – non sembra essere stato preso in grande considerazione. In effetti, il possibile contrasto tra la regola della colpa e la predeterminazione delle condizioni di un’eventuale futura crisi coniugale risulta avvertito solo da una parte assai ridotta (e, oltre tutto, molto risalente) della dottrina continentale [30]. L’abbandono da quasi un quarto di secolo, anche nel nostro Paese, della regola che voleva, quale necessario presupposto della separazione legale, la sussistenza della colpa di uno dei coniugi s’accompagna dal 1987 alla corale affermazione del carattere eminentemente (se non addirittura esclusivamente) assistenziale dell’assegno di divorzio, con conseguente perdita di ogni rilievo di un’eventuale responsabilità del naufragio dell’unione. Una volta spezzata (quasi) ogni forma di collegamento tra «colpa» e conseguenze economiche della crisi coniugale [31] può dirsi che anche da noi, esattamente come negli Stati Uniti, non è più consentito negare rilievo ad un’intesa preventiva per il solo timore che questa potrebbe consentire ad un coniuge di trascurare le sue marital obligations e di buy himself out of the marriage.

A quanto sopra illustrato s’aggiunga ancora che un uso dello strumento della convenzione matrimoniale in contemplation of divorce, piaccia o non piaccia, ha già fatto in qualche modo ingresso nel costume degli Italiani. Ci si intende qui riferire al vertiginoso aumento del numero delle coppie che optano per il regime di separazione dei beni [32]. Il fenomeno non può trovare una sua spiegazione se non nella crescente consapevolezza, da parte di vasti strati della popolazione, del serio rischio che corre oggi la famiglia italiana di andare incontro (e, in molti casi, assai presto) ad una crisi, e nel timore di dover venire un giorno a «fare i conti» con i complessi meccanismi giuridici legati allo scioglimento del regime legale. Estremamente significativo al riguardo è il fatto che, come dimostrato dai dati statistici [33], l’incremento delle opzioni per il regime di separazione vada di pari passo, per aree geografiche, con quello dei tassi di «separazionalità» e «divorzialità» del nostro Paese [34].

Conchiudendo questa panoramica introduttiva non potrà farsi a meno di notare come l’ «impatto» dei nostri principi con accordi del genere di quelli qui in esame è comunque destinato ad aumentare, in considerazione, da un lato, dell’incremento dei matrimoni con cittadini stranieri (o, in ogni caso, delle unioni caratterizzate dalla presenza di un elemento di estraneità), nonché, dall’altro, del principio, introdotto dall’art. 30, l. 218/1995, secondo cui i coniugi possono, a mezzo di una convenzione scritta, derogare al criterio fissato per l’individuazione della disciplina applicabile ai rapporti personali. Inoltre, non si dovrà trascurare che gli artt. 37 e 38 della proposta di regolamento UE in materia di obbligazioni alimentari [35] equiparano gli accordi tra le parti alle sentenze, mentre a tali intese viene riconosciuta «la stessa esecutività delle decisioni». Questo significa che i contratti prematrimoniali catalani, austriaci, tedeschi o inglesi ben potranno essere eseguiti in Italia, non comportando il profilo dell’ordine pubblico internazionale, come si avrà modo di vedere tra un attimo, alcun tipo di ostacolo. A quanto sopra s’aggiunga poi ancora che la proposta di regolamento n. 399 del 17 luglio 2006 [36], in tema di competenza giurisdizionale e legge applicabile alle cause transnazionali di separazione e divorzio, nel modificare le regole (del Regolamento detto «Bruxelles II bis») che contribuiscono oggi ad individuare la competenza giurisdizionale per le cause di separazione e divorzio, prevede l’attribuzione di un ruolo senza precedenti all’accordo delle parti. Un accordo la cui limitazione temporale viene individuata «al più tardi al momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale» [37]. Ora, proprio la mancata fissazione di un dies a quo per il raggiungimento di siffatta intesa (di cui, invece, come si è appena detto, viene con precisione specificato il momento sino al quale la stessa può essere conclusa), autorizza a ritenere che tali accordi possano essere stipulati già al momento della celebrazione delle nozze [38].

 

 

2. La tesi della nullità (con particolare riguardo agli accordi preventivi sulle conseguenze patrimoniali del divorzio).

 

La nostra giurisprudenza non ha ancora avuto modo, a quanto risulta, di esprimersi circa la validità di accordi conclusi in sede di stipula delle convenzioni matrimoniali in vista di un’eventuale crisi coniugale, se si eccettua una pronunzia di legittimità che ha affermato la compatibilità con l’ordine pubblico internazionale, ex art. 31 prel. (cfr. ora art. 16, l. 218/1995), di un accordo stipulato tra due coniugi statunitensi residenti in Italia e diretto a regolamentare i reciproci rapporti patrimoniali in vista del divorzio. Si trattava, per la precisione, di quello che in America si definirebbe postnuptial agreement, in quanto concluso in contemplation of divorce, ma in costanza di matrimonio [39]. L’esame della motivazione della decisione non evidenzia elementi ulteriori rispetto alla affermazione contenuta nella massima. La compatibilità con le regole dell’ordine pubblico internazionale forma oggetto di una dichiarazione piuttosto apodittica, che lascia deluso l’interprete ansioso di conoscere perché mai principi così solenni come, per esempio, quello della indisponibilità degli status, su cui la soluzione negativa nel diritto interno viene fondata, non sarebbero annoverabili tra quelli assolutamente irrinunciabili del nostro ordinamento, quando lo stesso si viene a trovare in situazione «di collisione» rispetto a sistemi stranieri. Si rafforza dunque il sospetto che, in realtà, neppure la Corte Suprema sia poi così convinta (o per lo meno lo fosse, quella volta) della bontà della tesi negativa.

Come si è già rimarcato, la giurisprudenza italiana ha invece avuto più volte occasione di pronunziarsi circa la validità delle intese che, in sede di separazione consensuale, le parti raggiungono sull’assetto patrimoniale da dare ad un eventuale (ma, a questo punto, probabile) futuro divorzio. Anche in questo caso – come per quello del carattere disponibile o meno del contributo al mantenimento del coniuge separato e dell’assegno di divorzio – si assiste ad una significativa evoluzione del pensiero dei giudici di legittimità, da concezioni più «liberiste» (o, quanto meno, più «possibiliste») a posizioni di assai più rigida chiusura. Invero, dopo una serie di aperture nella giurisprudenza degli anni Settanta dello scorso secolo [40], a partire da una decisione del 1981 la Corte di legittimità comincia ad enucleare specifici profili di illegittimità degli accordi in questione, tali da sconsigliarne l’adozione anche a chi volesse attestarsi sulla tesi della validità delle rinunzie (successive) ai diritti patrimoniali insorgenti dallo scioglimento del vincolo matrimoniale.

La prima sentenza di tale «nuovo corso» concerne il caso di un accordo che prevedeva il diritto per il marito separato di mantenere fermo per un certo periodo l’ammontare dell’assegno dovuto alla moglie per il mantenimento di quest’ultima e dei figli, a prescindere da un eventuale divorzio. Qui la Corte, dopo aver negato la disponibilità dell’assegno divorzile per quanto si riferisce alla sua componente assistenziale (come espressione del perdurare, pur dopo lo scioglimento del vincolo, di un rapporto di solidarietà economica, nel quale viene trasferito ciò che rimane del reciproco soccorso della vita matrimoniale), stabilisce che, se conclusi prima della sentenza, gli accordi sull’assegno di divorzio sono comunque nulli, anche se riferiti alle sole componenti risarcitoria e compensativa [41]. E a questo punto la Cassazione presenta per la prima volta l’argomento destinato a diventare negli anni a seguire il suo vero e proprio «cavallo di battaglia» in questa materia: la tesi, cioè, che si basa sull’asserito condizionamento del comportamento delle parti nel futuro giudizio di divorzio e sull’asserito commercio dello status di coniuge [42].

Quattro anni più tardi, pronunziandosi su una rinunzia alla possibilità di chiedere la revisione dell’assegno di divorzio, contenuta nell’atto di transazione stipulato tra i coniugi separati, la Corte ribadisce che l’inoperatività di tale negozio deve ricollegarsi alla più radicale ragione della sua nullità per illiceità della causa, secondo quanto posto in luce dalla precedente decisione, in considerazione del fatto che «gli accordi preventivi tra i coniugi sul regime economico del divorzio prima che esso sia pronunziato hanno sempre lo scopo o, quanto meno, l’effetto di condizionare il comportamento delle parti nel giudizio concernente uno status, limitandone la libertà di difesa» [43]. E’ chiaro dunque che, in questa particolare ottica, gli accordi conclusi in sede di separazione consensuale possono assumere, al massimo, rispetto alla successiva procedura di divorzio, il valore di mero elemento indiziario [44], fornendo parametri sussidiari nella determinazione dell’assegno relativo [45], laddove un’eventuale rinunzia all’assegno di separazione non potrebbe comportare, automaticamente, una rinunzia anche all’assegno di divorzio [46].

I precedenti appena illustrati trovano ulteriore sviluppo nel corso dei primi anni Novanta, durante i quali si ribadisce la nullità, per illiceità della causa, dell’accordo tramite il quale i coniugi, in sede di separazione consensuale, stabiliscono, per il periodo successivo al divorzio, a favore dell’uno il diritto personale di godimento della casa di proprietà dell’altro [47], o escludono la facoltà di chiedere la revisione dell’assegno di mantenimento, qualora sopravvengano giustificati motivi [48]. Ancora, vengono dichiarati invalidi quegli accordi preventivi nei quali si prevede, sempre in caso di divorzio, la concessione in godimento alla moglie di beni mobili ed immobili del marito [49], ancorché si tratti dell’assegnazione della casa familiare [50], oppure viene fissata in anticipo la spettanza e l’entità dell’assegno di divorzio [51], o, infine, viene decisa la vendita di un immobile che le parti ritengono in comproprietà, con conseguente divisione del ricavato [52]. L’indirizzo più rigoroso continua quindi nel corso degli anni Novanta sino ad oggi, definitivamente consolidandosi con altre pronunce ispirate ai medesimi principi [53].

Tra gli interventi meno remoti, ha destato una certa eco una decisione del 2000 [54] che, pur riaffermando il tradizionale principio della nullità delle intese concluse in sede di separazione, con valore inteso dalle parti come vincolante anche per il divorzio, ha nella specie riconosciuto validità ad una di queste, così pervenendo al risultato paradossale di trasformare la nullità per violazione di regole d’ordine pubblico in una sorta di nullità relativa, la quale potrebbe essere fatta valere soltanto dal coniuge che avrebbe diritto all’assegno, con buona pace di quanto disposto dall’art. 1421 c.c. Ad ulteriore riprova degli sbandamenti cui può andare incontro la giurisprudenza quando, nel tentativo di mitigare le conseguenze più inaccettabili di proprie posizioni sbagliate, non esita a violare i più elementari principi dell’ordinamento giuridico, una successiva (e assai meno nota) decisione del medesimo anno [55] si è spinta ad affermare che tale forma di nullità non solo potrebbe essere invocata esclusivamente dal coniuge avente diritto all’assegno, ma dovrebbe essere fatta valere soltanto nell’ambito della procedura di divorzio (e pertanto non successivamente alla relativa pronunzia), così surrettiziamente introducendo una impropria forma di prescrizione, in aperta violazione, questa volta, non solamente del principio di cui all’art. 1421 c.c., ma anche di quello ex art. 1422 c.c.

Gli argomenti impiegati dalla Cassazione per fondare il suo indirizzo restrittivo in materia di accordi preventivi in vista del divorzio hanno trovato il conforto di una parte della dottrina, la quale ha rilevato, per esempio, che «permettendo [ai coniugi] di determinare la somma da pagare si favorirebbe, indirettamente un loro accordo preventivo sulla conduzione del procedimento di divorzio, diretto a favorire l’accoglimento della domanda» [56]. Altri studiosi hanno invece espresso punti di vista assai divergenti da quelli della Cassazione. Come esattamente rilevato [57], le posizioni così fortemente restrittive della giurisprudenza hanno completamente disatteso le aspirazioni di quella parte della dottrina che invece vedeva, alla luce della nuova normativa, un superamento del «principio dell’ordinamento italiano circa l’invalidità di un accordo di tipo preventivo fra i coniugi sui rapporti patrimoniali successivi al divorzio» [58]. A ciò potrà aggiungersi l’esatto rilievo secondo cui risulta veramente peculiare l’ostinarsi a considerare un valore irrinunciabile la libertà di difendersi nel giudizio di divorzio, cioè una libertà connessa ad un potere che non esiste, nel senso che  l’opposizione al divorzio, come si è rimarcato, «costituisce una causa persa in partenza, perché la posizione di un coniuge nei confronti dell’altro coniuge è una posizione di soggezione non di diritto alla persistenza e vincolo», quasi che lo scioglimento del matrimonio fosse una concessione operata dai giudici, non dipendente dalla volontà delle parti, ma connessa alla attuazione di un interesse pubblico superiore [59].

Su di un diverso piano, poi, chi scrive non esita a qualificare la giurisprudenza dominante come altamente «diseducativa», posto che questa finisce con il promuovere il principio secondo cui proprio tra coniugi, cioè tra soggetti il cui rapporto dovrebbe essere caratterizzato dal massimo livello di affidamento nel rispetto della parola data, in realtà, pacta… non sunt servanda. E dunque l’accordo di separazione, faticosamente raggiunto dopo mesi (o anni) di trattative e obiettivamente inteso come solutorio dell’intero complesso dei rapporti nati da un’unione sbagliata, potrà essere accettato da una delle parti con la «riserva mentale» di porre tutto nuovamente in discussione al momento del divorzio, così spingendo, tra l’altro, la prassi a rinvenire soluzioni al limite del lecito e comunque inutili o facilmente frustrabili, quali, ad esempio, il rilascio di garanzie, o la stipula di simulati contratti di mutuo, risolubili solo all’atto della conclusione en souplesse della futura procedura di scioglimento del vicolo, e così via. Ciò che dimostra, se ancora ve ne fosse bisogno, quanto perniciosa sia l’influenza nella materia di influssi paternalistici, legati ad un concetto di persistenza del vincolo che, se non può più essere concepita in termini di indissolubilità matrimoniale, dovrebbe ancora intendersi nel senso di «indissolubilità patrimoniale» [60]. Più in generale – e sul piano delle intese raggiunte addirittura in una fase prenuziale, o comunque remota rispetto all’eventualità di una definitiva rottura – deve approvarsi, poi, il rilievo di chi, riprendendo le osservazioni dello scrivente, rimarca come la conclusione di intese preventive lenisce lo smarrimento psicologico che può derivare ai coniugi dal timore, fondato o solo paventato, di una situazione conflittuale, e, dall’altro sottrae al controllo giurisdizionale una materia che la coscienza sociale avverte, istintivamente, come inerente la sfera privata delle persone: il tutto, senza minare ulteriormente l’istituto matrimoniale, più di quanto non abbia già fatto l’introduzione del divorzio, evitando altresì di trattare i coniugi alla stregua di soggetti incapaci [61].

 

 

3. la piena validità delle intese preventive sulla crisi coniugale.

 

Lasciando la pars destruens del ragionamento che si è tentato sin qui di portare avanti e rinviando alle apposite sedi per un compiuto esame delle varie questioni, anche per quanto attiene alle svariate contraddizioni in cui cade la giurisprudenza della stessa Corte di legittimità [62], varrà la pena rammentare che gli accordi preventivi circa le conseguenze della separazione e/o del divorzio non vedono normalmente (né lo potrebbero), quale loro oggetto diretto, lo status coniugale, come avverrebbe se, per esempio, le parti stipulassero impegni in termini quali «mi obbligo a non divorziare», «mi impegno a non chiedere la separazione», «prometto di non far valere alcuna eventuale causa di invalidità del nostro matrimonio», ecc. [63]. La contrarietà di un siffatto patto ai principi dell’ordine pubblico non può oggi essere revocata in dubbio [64]. Ma ciò che l’opinione dominante si preoccupa di impedire è che le determinazioni dei coniugi circa il loro stato (di persone, appunto, coniugate o meno) siano anche solo indirettamente influenzate dagli accordi economici in precedenza stipulati. Tale preoccupazione non ha però ragione di sussistere, ogni qual volta le parti si limitano a prevedere le conseguenze dell’eventuale scioglimento del matrimonio, senza impegnarsi a tenere comportamenti processuali diretti ad influire sullo status coniugale.

Una prima osservazione, a conforto di questa tesi, proviene da quella dottrina che ha instaurato in proposito un interessante parallelo con la situazione «antagonista» rispetto a quella qui in esame, vale a dire la celebrazione delle nozze. Proprio con riguardo alla «purezza» della volontà matrimoniale, che non potrebbe subire alcuna compressione, essendo salvaguardata la assoluta libertà del soggetto in ordine alla celebrazione del matrimonio, si è osservato che l’ordinamento consente che il soggetto si «induca» al matrimonio attraverso motivazioni di ordine patrimoniale le quali, pur non essendo determinanti del consenso, indubbiamente lo orientano e lo sorreggono. Anzi, l’ordinamento sembra addirittura volere che il soggetto all’atto del matrimonio «costruisca» le sue prospettive matrimoniali attraverso la stipulazione delle convenzioni (pre)matrimoniali più idonee alla tutela dei suoi interessi in relazione alle circostanze e alle esigenze di vita [65].

L’argomentazione testé riferita costituisce il primo passo di un’analisi il cui punto cruciale appare quello di vedere se e in che misura l’ordinamento tuteli la libertà delle parti nelle loro determinazioni concernenti gli status o comunque gli aspetti indisponibili dei rapporti umani in quanto attinenti alla sfera delle relazioni personali e sessuali, con riferimento ai condizionamenti d’ordine economico che esse possono subire nelle proprie decisioni. E’ noto che la tutela della libertà delle determinazioni dei soggetti nella sfera personale e sessuale è rimessa dall’ordinamento alla sanzione della nullità della causa per violazione dell’ordine pubblico o del buon costume [66]. Peraltro la nullità consegue sempre al fatto che l’aspetto personale sia portato dai soggetti a costituire parte integrante della causa («io mi impegno a darti cento e tu ti impegni, in cambio, a disconoscere la paternità di tuo figlio»): esso deve essere, cioè, preso direttamente in considerazione dalle parti come oggetto di un preciso obbligo che queste (errando, ovviamente) vorrebbero come giuridicamente vincolante e quindi processualmente azionabile [67].

Ma la dottrina più autorevole ammette – e da tempo – che un comportamento umano non deducibile in obbligazione possa essere dedotto in condizione [68] e che tra siffatti comportamenti umani ben possa rientrare anche la volontà di assumere uno status [69]. Ciò in particolare si verifica quando le parti non intendono con il loro negozio porre un vincolo, giuridicamente rilevante a tenere o a non tenere quel certo comportamento, ma si limitano a prefigurare le conseguenze di quest’ultimo, condizionandovi l’efficacia di un determinato impegno di carattere patrimoniale. In questo modo può essere fatto sì che il comportamento di carattere personale non formi oggetto di vincolo, ma venga – di volta in volta – incoraggiato o scoraggiato a seconda che la promessa di carattere patrimoniale agisca, in alternativa, quale «deterrente» o «premio» per il fatto d’aver tenuto o meno quella certa condotta [70].

Rovesciando ora per un momento la prospettiva in cui ci si è sino a questo punto collocati e pensando alle pattuizioni dirette a costituire non già un deterrente, bensì un incoraggiamento per la tenuta di un determinato comportamento, occorrerà tenere presente quella clausola, in altre sedi definita «premiale» [71], consistente nell’accordo con cui – all’interno di un contratto di convivenza – uno dei due partners dell’unione libera promette all’altro l’adempimento di una prestazione patrimoniale subordinata all’esecuzione di una prestazione non patrimoniale dell’altra [72], oppure ancora nella promessa, effettuata da un fidanzato (o da un terzo) all’altro di corrispondere a quest’ultimo una somma di denaro nel caso di celebrazione delle nozze [73]. Lo stesso dovrebbe valere nel caso di donazione di una somma di denaro o di un certo bene sospensivamente condizionata alla circostanza che il matrimonio superi «indenne» un certo lasso di tempo. Reciprocamente, per chi vede il divorzio come un’eventualità positiva, di fronte ad una possibile crisi coniugale, dovrebbe avere un senso promettere la corresponsione di una determinata utilità economica al (futuro) ex coniuge «debole» al fine di invogliarlo, con l’assicurazione di un vantaggio economico, a porre più volentieri fine all’unione («se, nel caso di crisi coniugale, accederai senza porre condizioni alla mia richiesta di presentazione di ricorso per divorzio su domanda congiunta mi obbligo sin d’ora a corrisponderti...») [74].

Proprio con riguardo alle clausole «premiali» legate ad un comportamento personale di una delle parti, potrà aggiungersi che un’ulteriore conferma viene dallo stesso codice civile, che espressamente configura (cfr. art. 785 c.c.) il matrimonio (e dunque un fatto, per definizione, strettamente attinente alla vita personale oltre che costitutivo di uno status familiae) alla stregua di una condizione sospensiva delle attribuzioni patrimoniali gratuite effettuate (si badi: anche l’un l’altro dai promessi sposi) in vista della celebrazione delle nozze.

Neppure appare trascurabile il sistematico rifiuto, da parte della giurisprudenza di legittimità, di estendere al di là dei suoi angusti limiti quella disposizione (art. 636 c.c.) che, in materia di disposizioni mortis causa, fulmina di nullità – proprio in quanto attinente ad un aspetto personalissimo – la condizione «che impedisce le prime nozze o le ulteriori», al punto da affermare la validità della clausola che subordina le attribuzioni testamentarie alla condizione (generica) di contrarre matrimonio [75], o di contrarlo con «persona  appartenente  alla stessa classe sociale  dell’istituito» [76], ovvero ancora di non contrarlo con persona determinata [77]. Il favore nei confronti di una clausola del genere di quella sopra definita come «premiale», intesa nel senso testé chiarito, emerge con evidenza anche in una decisione del 1992, che ha affermato la piena validità della condizione ex art. 636 c.c., quando questa «non sia dettata dal fine di impedire le nozze ma preveda per l’istituito un trattamento più favorevole in caso di mancato matrimonio, e, senza per ciò influire sulle relative decisioni, abbia di mira di provvedere, nel modo più adeguato, alle esigenze dell’istituito, connesse ad una scelta di vita che lo privi degli aiuti materiali e morali di cui avrebbe potuto godere con il matrimonio» [78].

In conclusione, nemmeno l’art. 1354 c.c. può costituire un ostacolo in ordine alla configurazione del regolamento preventivo dei rapporti nascenti da un eventuale divorzio alla stregua di negozi sospensivamente condizionati all’evento dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, posto che la semplice predeterminazione delle conseguenze patrimoniali di un futuro ed eventuale divorzio non sembra poter dispiegare, di per sé, alcun effetto sulla spontaneità del comportamento attinente allo status.

 

 

4. Validità degli accordi preventivi sulla crisi coniugale e intervento del giudice.

 

A confutazione della tesi della validità delle intese preventive sulla crisi coniugale non sembrano convincenti le critiche mosse da parte della dottrina alla proposta dello scrivente, imperniate sul rilievo secondo cui l’avvicinamento del diritto di famiglia al diritto comune e dei contratti (ma forse sarebbe più corretto parlare di una vera e propria «irruzione» del diritto dei contratti nel campo giusfamiliare) dovrebbe accompagnarsi «ad una sempre maggiore penetrazione di forti spinte solidaristiche ed equitative nella disciplina generale dei rapporti contrattuali e di mercato» [79]. L’auspicio è sicuramente apprezzabile de iure condendo, pur se con il rispetto di ben precisi limiti che garantiscano appieno l’affidamento dei contraenti nel rispetto della «parola data», quale potrebbe essere, ad esempio, l’introduzione – sulla scorta dei modelli australiano o statunitense – dell’obbligo delle parti di previamente munirsi di un independent legal counsel [80]. Esso peraltro si scontra oggi inevitabilmente con i dati che de iure condito si sono illustrati.

Basti dire che, di fronte alla disciplina in tema di divorzio su domanda congiunta, la quale impone alle parti di presentarsi al giudice solo dopo che le stesse abbiano già raggiunto un’intesa sulle condizioni relative ai loro rapporti economici, parlare di un divorzio che le parti «hanno già deciso di conseguire e, quindi, non semplicemente prefigurato» [81] significa ricorrere ad una pura finzione, atteso che (come l’esperienza pratica dimostra quotidianamente) il consenso alla procedura su domanda congiunta ben può essere barattato, fino all’ultimo istante prima della firma dell’istanza, con più o meno estese concessioni della controparte, in assenza delle quali lo scioglimento del matrimonio rischia di arrivare, anziché subito, con diversi anni di ritardo. Il che evidenzia che, se il Legislatore avesse veramente voluto rendere la scelta sul divorzio del tutto avulsa da quella sulle relative condizioni economiche, non avrebbe consentito alle parti di discutere queste ultime se non dopo il passaggio in giudicato della decisione sullo scioglimento del vincolo.

Né alla asseritamente necessaria attesa del «momento giurisdizionale» sembra potersi assegnare il significato di una tappa indispensabile verso un controllo giudiziale sul merito delle intese [82]. Se è vero che, come altrove dimostrato [83], nel divorzio su domanda congiunta gli effetti d’ordine patrimoniale derivano direttamente dal contratto di divorzio concluso dai coniugi, rispetto al quale la pronuncia del tribunale assume il mero carattere di omologa, e se è vero che, come pure dimostrato [84], anche i contratti a latere rispetto alle procedure di divorzio hanno piena validità ed efficacia, non si vede per quale ragione si debbano costringere le parti ad attendere il momento in cui il tribunale non potrà far altro che ratificare le intese raggiunte [85].

Neppure appare possibile spostare il discorso sul piano dell’intervento successivo del giudice, quanto meno (ancora una volta!) de iure condito. Qui, esclusa, per evidenti ragioni, la possibilità per la magistratura di civil law di procedere ad una riallocazione delle risorse acquisite da ciascuno durante la convivenza sulla base di criteri di ragionevolezza ed equità, ad instar di quanto avviene invece nei sistemi di matrice anglosassone [86], magari tramite il ricorso – sovente praticato al di là della Manica, tanto per le coppie coniugate quanto per quelle conviventi – all’istituto del trust [87], si potrebbe a prima vista ipotizzare un impiego delle clausole generali (in special modo ordine pubblico e buona fede), al fine di «correggere» il contenuto di accordi preventivi che dovessero manifestarsi come eccessivamente «squilibrati» in danno di uno dei coniugi.

La proposta, avanzata anche nella dottrina italiana [88], prende lo spunto da un paio di decisioni rese in Germania dal Bundesverfassungsgericht e dal Bundesgerichtshof, a parziale modifica di una giurisprudenza che, come detto, da sempre ammetteva l’assoluta validità delle intese prenuziali sulla sorte dell’assegno di divorzio. Ora, le due decisioni in questione [89], facendo leva sul concetto di Sittenwidrigkeit (§ 138 BGB) – già richiamato da alcuni Autori e da una parte della giurisprudenza in relazione ai casi in cui, ad esempio, un coniuge avesse sfruttato l’inesperienza o un’eventuale situazione di particolare labilità psichica dell’altro, ovvero avesse approfittato delle condizioni economiche particolarmente svantaggiate di quest’ultimo, ovvero ancora in cui la rinunzia a vantaggi economici si fosse posta quale «merce di scambio» per l’affidamento dei figli [90] – e recependo le istanze di una parte della dottrina volte ad invocare una penetrante Inhaltskontrolle sul contenuto degli Eheverträge [91], hanno affermato la possibilità per il giudice di ritenere nullo il contratto matrimoniale nel quale sia contenuta una distribuzione degli oneri unilaterale e palesemente a svantaggio della donna, se concluso prima del matrimonio, contestualmente alla presenza di uno stato di gravidanza della donna medesima [92], ovvero di pervenire alle medesime conseguenze «wo die vereinbarte Lastenverteilung der individuellen Gestaltung der ehelichen Lebensverhältnisse in keiner Weise mehr gerecht wird, weil sie evident einseitig ist und für den belasteten Ehegatten bei verständiger Würdigung des Wesens der Ehe unzumutbar erscheint» [93].

L’avvicinamento, in questo caso, dei giudici tedeschi al modo di ragionare dei loro colleghi di common law è reso evidente dal ricorso all’idea del patto evident einseitig, che, anche per assonanza linguistica, richiama quell’ «essere so one-sided», che costituisce oltre Oceano proprio il criterio per valutare se un prenuptial agreement in contemplation of divorce sia da ritenersi unconscionable, anche alla luce di quanto disposto dall’Uniform Premarital Agreement Act, ora adottato da svariati Stati dell’Unione [94]. Ma l’introduzione in Germania di un siffatto controllo sul contenuto delle intese non ha mancato di sollevare gravi e motivate perplessità, incentrate, da un lato, sul deficit di certezza nei rapporti giuridici dei soggetti coniugati che il (parziale) revirement in atto è venuto inopinatamente a portare e, dall’altro, sui timori per l’abbandono dei tradizionali e radicatissimi principi di libertà contrattuale, sostituiti da una nuova forma di incapacità di protezione: una vera e propria schützende Bevormundung, che rischierebbe di riportare il diritto di famiglia tedesco, in un percorso a ritroso rispetto a quello preconizzato dalla celebre frase di Maine, «from contract to status – wobei status in diesem Fall nicht den Familienstatus, sondern den Schutzstatus kennzeichnet» [95].

Queste perplessità sembrano trovare conferma nella considerazione dell’inidoneità dello strumento giudiziale, nei sistemi di civil law, ad incidere sul contenuto dei rapporti negoziali con strumenti di tipo equitativo, non potendosi passare sotto silenzio – tra l’altro – che i diversi poteri di cui il giudice di common law dispone, rispetto a quello della tradizione continentale, sono strettamente connessi ad una ben diversa forma di legittimazione del primo, che, per profonde ragioni storiche e culturali, non appare estensibile al secondo [96]. A ciò s’aggiunga che, pur non disconoscendosi la crescente tendenza ad attribuire anche da noi al giudice il potere di intervenire, grazie all’impiego delle clausole generali, sul contenuto delle pattuizioni dei privati [97], rimane il fatto che, quanto meno a sommesso avviso dello scrivente, la materia dell’Einseitigkeit, cioè dell’ «unilateralità» dell’accordo nel senso sopra precisato, forma nel nostro ordinamento precipuo oggetto dell’istituto della rescissione. Ne deriva che il semplice elemento della obiettiva sproporzione tra le prestazioni non può, di per sé solo, e in difetto di puntuali interventi normativi [98], essere invocato, neppure in un contratto della crisi coniugale, per ottenere una modifica giudiziale degli accordi tra le parti, pena la completa vanificazione di quanto disposto dagli artt. 1447 ss.

In definitiva, e rinviando ancora una volta alle più volte citate specifiche trattazioni per una completa disamina delle varie argomentazioni sul tema, nessun serio ostacolo sembra frapporsi sulla strada della liceità, già de iure condito, delle intese prematrimoniali sulle conseguenze patrimoniali di un’eventuale crisi coniugale.

 

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(*) Relazione presentata al convegno sul tema «La crisi coniugale tra contratto e giudice», organizzato dal Comitato Regionale Notarile Toscano in collaborazione con i Consigli Notarili della Toscana, a La Biodola (Isola d’Elba), il 28 e 29 settembre 2007.

[1] Al riguardo v. per esempio Comporti, Autonomia privata e convenzioni preventive di separazione, di divorzio e di annullamento del matrimonio, in Foro it., 1995, I, c. 105 ss. 113; Gabrielli, Indisponibilità preventiva degli effetti patrimoniali del divorzio: in difesa dell’orientamento adottato dalla giurisprudenza, in Riv. dir. civ., 1996, I, p. 699 ss.

[2] Il tema, che non può essere trattato in questa sede, è sviluppato in Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 387 ss.; Id.,  Sulla natura disponibile degli assegni di separazione e divorzio: tra autonomia privata e intervento giudiziale, in Fam. dir., 2003, p. 389 ss., 495 ss.; Id., Contratto e famiglia, in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di Vincenzo Roppo, VI, Interferenze, a cura di Vincenzo Roppo, Milano, 2006, p. 242 ss.; Al Mureden, Le rinunce nell’interesse della famiglia e la tutela del coniuge debole tra legge e autonomia privata, in Familia, 2002, p. 990 ss.  A questi lavori si fa rinvio anche per i necessari riferimenti dottrinali e giurisprudenziali.

[3] Per gli approfondimenti cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 493 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 171 ss. Per la dottrina successiva v. Balestra, Gli accordi in vista del divorzio: la Cassazione conferma il proprio orientamento, Commento a Cass., 14 giugno 2000, n. 8109 - Cass., 18 febbraio 2000, n. 1810, in Corr. giur., 2000, p. 1023 ss.; Angeloni, La cassazione attenua il proprio orientamento negativo nei confronti degli accordi preventivi di divorzio: distinguishing o perspective overruling?, in Contratto e impresa, 2000, p. 1136 ss.; Bargelli, L’autonomia privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista del divorzio, in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 303 ss.; Di Gregorio, Divorzio e accordi patrimoniali tra coniugi, Nota a Cass., 14 giugno 2000, n. 8109, in Notariato, 2001, p. 17 ss.; Dellacasa, Accordi in previsione del divorzio, liceità e integrazione, Nota a Cass., 14 giugno 2000, n. 8109, in Contratti, 2001, p. 46; Ferrando, Crisi coniugale e accordi intesi a definire gli aspetti economici, Nota a Cass., 14 giugno 2000, n. 8109, in Familia, 2001, p. 245; Pazzaglia, Riflessioni sugli accordi economici preventivi di divorzio, in Vita notarile, 2001, p. 1017; Palmeri, Il contenuto atipico dei negozi familiari, Milano, 2001, p. 116 ss.; Al Mureden, Le rinunce nell’interesse della famiglia e la tutela del coniuge debole tra legge e autonomia privata, cit., p. 1014 ss.; Busacca,  Autonomia privata dei coniugi ed accordi in vista del divorzio, in Diritto & Formazione, 2002, p. 57 ss.; Catanossi, Accordi in vista del divorzio e «ottica di genere». Uno sguardo oltre Cass. n. 8109/2000, in Riv. crit. dir. priv., 2002, p. 169 ss.; Marella, La contrattualizzazione delle relazioni di coppia. Appunti per una rilettura, in Riv. crit. dir. priv., 2003, p. 95 ss.; Coppola, Gli accordi in vista della pronunzia di divorzio, in G. Bonilini e F. Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, Art. 149, in Comm. Schlesinger, Milano, 2004, 643 ss.; Coppola, Le rinunzie preventive all’assegno post-matrimoniale, in Famiglia, persone e successioni, 2005, p. 54 ss.; Al Mureden, I prenuptial agreements negli Stati Uniti e nella prospettiva del diritto italiano, in Fam. dir., 2005, p. 543 ss.; Quadri, Autonomia dei coniugi e intervento giudiziale nella disciplina della crisi familiare, in Familia, 2005, p. 6 ss.

[4] Per approfondmenti cfr. Oberto, Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, nota a Cass., 20 marzo 1998, n. 2955, in Foro it., 1999, I, c. 1306 ss.; Id., I precedenti storici del principio di libertà contrattuale nelle convenzioni matrimoniali, in Dir. fam. pers., 2003, p. 535 ss. Sul tema v. anche ampiamente Magagna, I patti dotali nel pensiero dei giuristi classici. Per l’autonomia privata nei rapporti patrimoniali tra i coniugi, Padova, 2002, passim.

[5] Cfr. Oberto, Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, cit., c. 1319.

[6] Su cui cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 494 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, cit., p. 180 ss. V. inoltre Giaimo, I contratti paramatrimoniali in Common Law, Palermo, 1997, p. 31 ss.; Al Mureden, I prenuptial agreements negli Stati Uniti e nella prospettiva del diritto italiano, cit., p. 543 ss.

[7] Basterà al riguardo effettuare una ricerca tramite Google sulla rete, oppure digitare l’espressione prenuptial agreement all’indirizzo www.wikipedia.org.

[8] Per un elenco di svariati casi di questo genere si fa rinvio a Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 494 ss. Per ulteriori matrimoni tra c.d. «v.i.p.», in cui il tenore del contratto prematrimoniale ha attirato un’attenzione di gran lunga superiore rispetto all’interesse che un tempo destavano foggia e fattura dell’abito da sposa, cfr., a mero titolo d’esempio, Orighi, Il «patto dei soldi» tra Felipe e Letizia, in La Stampa, 13 aprile 2004, p. 14; Pellagro, Kidman, il segreto delle nozze con Urban, ivi, 23 giugno 2006, p. 26. Si pensi che non molti anni or sono un luminare dell’economia stipulò un accordo prematrimoniale nel quale dispose, con sette anni d’anticipo, la  spartizione con la moglie di un eventuale ... premio Nobel, poi effettivamente attribuitogli pochi giorni prima della scadenza della relativa clausola (si tratta dell’economista americano Robert Lucas, premio Nobel per l’economia 1995: cfr. l’articolo di Soria, L’ex moglie scippa il Nobel, in La Stampa, 23 ottobre 1995, p. 13; per un curioso «bestiario» in proposito si veda anche Wallman e McDonnell, Cupid, Couples & Contracts. A Guide to Living Together, Prenuptial Agreements, and Divorce, New York, 1994, p. 18, 23, sui c.d. «lifestyle» prenups). Anche qui, peraltro, nihil sub sole novi, posto che, a quanto pare, lo stesso Albert Einstein si impegnò a corrispondere alla moglie Mileva quanto egli avrebbe potuto ricavare dall’eventuale attribuzione del Nobel per la fisica, in cambio dell’impegno della consorte ad accedere alla richiesta di divorzio (cfr. Isaacson, The Intimate Life of Einstein, in Time, July 24, 2006, p. 47). Da notare, poi, che ormai, a fare notizia, non è solo il contenuto il contenuto dell’accordo, ma addirittura il semplice fatto che la «coppia celebre» annunzi di non avere intenzione di stipulare un patto prenuziale: cfr. al riguardo l’articolo redazionale dal titolo Carlo: di Camilla ho piena fiducia, in La Stampa, 29 marzo 2005, p. 15, che riporta l’informazione (a dire il vero, assai poco credibile) secondo cui l’erede al trono d’Inghilterra e relativa (seconda) consorte si sarebbero rifiutati di stipulare un accordo prematrimoniale in occasione della celebrazione delle loro tanto attese nozze.

[9] Clancy, A Treatise of the Rights, Duties, and Liabilities of Husband and Wife, at Law and in Equity, First American, from the Third London Edition, New York, 1828, p. 421 ss.

[10] Cfr. ad esempio Davidson, Pre-nuptial agreements, in Recent Developments in English Family Law, Updated August 2004, già disponibile al sito web seguente: http://www.cr-law.co.uk. 

[11] Cfr. i cases di cui riferisce Davidson, op. loc. ultt. citt.; v. inoltre Leech, “With All My Worldly Goods I Thee Endow”? The Status of Pre-Nuptial Agreements in England and Wales, in Fam. L.Q., 34, 2000, p. 193 ss. Sul tema v. anche Panforti, Gli accordi patrimoniali fra autonomia dispositiva e disuguaglianza sostanziale. Riflessioni sul Family Law Amendment Act 2000 Australiano, in Familia, 2002, p. 156. Una riprova di quanto detto nel testo sta nel fatto che anche oltre Manica abbondano (come negli Stati Uniti) formulari offerti online per la stipula di prenuptial o premarital agreements (cfr., a mero titolo d’esempio, i siti seguenti: http://www.divorce-lawfirm.co.uk/Family-Law-Advice/prenuptial-agreement.aspx; http://www.clickdocs.co.uk/prenuptial-agreement.htm; http://www.divorce-online.co.uk/services/financial_agreement/prenuptial_agreement.asp).

[12] Su cui v. per tutti Panforti, Gli accordi patrimoniali fra autonomia dispositiva e disuguaglianza sostanziale. Riflessioni sul Family Law Amendment Act 2000 Australiano, cit., p. 149 ss., 153 ss.

[13] Cfr. la relazione sul Bills Digest No. 88 1999-2000, Family Law Amendment Bill 1999, preparato nel 1999 dal Department of the Parliamentary Library del Parliament of Australia, consultabile all’indirizzo web seguente:

http://www.aph.gov.au/library/pubs/bd/1999-2000/2000bd088.htm#Passage.

[14] Significativi al riguardo i dati emergenti dall’analisi storica condotta da Roßdeutscher, Privatautonomie im Scheidungsrecht, Frankfurt am Main, 1995, in partic. p. 20 ss., 63 ss. Con ogni probabilità il tradizionale favore da sempre mostrato in Germania per tale tipo di accordi trova le sue origini, da un lato, nella concezione protestante del matrimonio e nell’introduzione del divorzio da epoca assai più remota che non da noi e, dall’altro, nell’influsso del diritto romano, nel quale, come si è dimostrato (cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 66 ss.; Id., I precedenti storici del principio di libertà contrattuale nelle convenzioni matrimoniali, cit., p. 535 ss.), i patti dotali in vista del divorzio erano ampiamente conosciuti e praticati (per i richiami alla giurisprudenza tedesca che nel XIX secolo proprio sulle fonti romane fondava le decisioni in materia v. Roßdeutscher, Privatautonomie im Scheidungsrecht, cit., p. 3 ss.). In un simile contesto non desta stupore che lo stesso Hegel (cfr. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, Leipzig, 1930, p. 147), defnisse lo scopo degli Ehepakten come proprio quello «gegen den Fall der Trennung der Ehe durch natürlichen Tod, Scheidung u. dergl. gerichtet und Sicherungsversuche zu sein, wodurch den unterschiedenen Gliedern auf solchen Fall ihr Anteil an dem Gemeinsamen erhalten wird».

[15] Peraltro con le precisazioni che si rendono necessarie dopo due sentenze pronunziate alcuni anni or sono e di cui verrà dato conto oltre: cfr. infra, § 4.

[16] Sul punto non si può che rinviare all’analisi offerta in Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 529 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, cit., p. 189 ss.

[17] Cfr. inoltre l’art. 3 della legge aragonese n. 2/2003, del 12 febbraio 2003 (de Régimen Económico Matrimonial y Viudedad), la quale stabilisce che «Los cónyuges pueden regular sus relaciones familiares en capitulaciones matrimoniales, tanto antes como después de contraer el matrimonio, así como celebrar entre sí todo tipo de contratos, sin más límites que los del principio “standum est chartae”», con una previsione comunemente interpretata come ammissiva degli accordi in vista del divorzio Cfr. Martín Casals e Ribot, Neue Entwicklungen im Bereich des Familienrechts in Spanien, in FamRZ, 2004, p. 1436. Sul tema v. anche Ferrer i Riba, Familienrechtliche Verträge in den spanischen Rechtsordnungen, in Aa. Vv., From Status to Contract? – Die Bedeutung des Vertrages im europäischen Familienrecht, a cura di Hofer, Schwab e Henrich, Bielefeld, 2005, p. 271 ss. Significativo è il fatto che la legislazione catalana è l’unica in Europa che, analogamente a quanto accade, secondo quanto già segnalato, in Australia, espressamente ammette la validità di intese preventive anche nel contesto degli accordi tra conviventi (sul tema cfr. Oberto, I contratti di convivenza tra autonomia privata e modelli legislativi, in Contratto e impresa/Europa, 2004, p. 70).

[18] Cfr. BG 4 dicembre 2003, in BGE 5C.114/2003 (E. 3.2.2.), citata da Hausheer, Vertragsfreiheit im Familienrecht in der Schweiz, in Aa. Vv., From Status to Contract? – Die Bedeutung des Vertrages im europäischen Familienrecht, a cura di Hofer, Schwab e Henrich, cit., p. 83. La pronunzia è disponibile al sito web seguente:

http://www.bger.ch/fr/index/juridiction/jurisdiction-inherit-template/jurisdiction-recht/jurisdiction-recht-urteile2000.htm.

[19] «Die Ehegatten können über die Unterhaltspflicht für die Zeit nach der Scheidung der Ehe Vereinbarungen treffen. Ist eine Vereinbarung dieser Art vor Rechtskraft des Scheidungsurteils getroffen worden, so ist sie nicht schon deshalb nichtig, weil sie die Scheidung erleichtert oder ermöglicht hat; sie ist jedoch nichtig, wenn die Ehegatten im Zusammenhang mit der Vereinbarung einen nicht oder nicht mehr bestehenden Scheidungsgrund geltend gemacht hatten oder wenn sich anderweitig aus dem Inhalt der Vereinbarung oder aus sonstigen Umständen des Falles ergibt, dass sie den guten Sitten wiederspricht».

[20] Cfr. Susanne Ferrari, Die Bedeutung der Privatautonomie im österreichischen Familienrecht, in in Aa. Vv., From Status to Contract? – Die Bedeutung des Vertrages im europäischen Familienrecht, a cura di Hofer, Schwab e Henrich, cit., p. 97 ss., 109.

[21] Sull’argomento cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 545 ss.

[22] Espressamente in questo senso v.  App. Colmar, 16 maggio 1990, in Rép. Defrénois, 1990, p. 1361, con nota di Champenois; in JCP, 1991, éd. N., II, 17, con nota di Simler: «Ne porte pas atteinte au principe de l’immutabilité des conventions matrimoniales la clause par laquelle, dans le cadre d’un régime de communauté universelle, chaque époux reprendrait, en cas de dissolution de la communauté par divorce, les biens tombés dans la communauté de son chef». Per una valutazione positiva al riguardo cfr. Cornu, Les régimes matrimoniaux, Paris, 1995, p. 206, 694 s. Anche la stampa di informazione sembra avvertire la chiara correlazione tra la possibilità di stipulare le clausole di cui si dirà tra breve nel proprio contrat de mariage e prevenirsi contro le conseguenze negative di un possibile divorzio: cfr. Guinot, Prévoir son divorce pour réussir son mariage, in Le Figaro, 30 avril 2007, disponibile al sito web seguente: http://www.lefigaro.fr/pratique-patrimoine/20070430.WWW000000414_prevoir_son_divorce_pour_reussir_son_mariage.html.

[23] Per un approfondimento del tema delle clausole accessorie al regime di comunione in vista dello scioglimento del matrimonio nel diritto consuetudinario francese (préciput, forfait de communauté, reprise de l’apport de la femme) si fa rinvio a Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 87 ss.; Id., Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, cit., c. 1314 ss.

[24] La clausola, impropriamente definita clause commerciale, costituisce eccezione al divieto dei patti successori: cfr. artt. 1390 s. Code Civil (cfr. Terré e Simler, Droit civil, Les régimes matrimoniaux, Paris, 1994, p. 534 ss.).

[25] Si tratta della clausola conosciuta in Francia come di prélèvement moyennant indemnité (art. 1497 Code Civil), su cui v. Terré e Simler, op. cit., p. 542 ss.

[26] Si tratta della clausola detta di préciput (art. 1497 Code Civil) su cui cfr. Terré e Simler, op. cit., p. 546 ss., i quali osservano che essa «rompt l’égalité dans le partage». Il termine préciput può essere tradotto come «prelievo», anche se la dottrina sotto il c.c. 1865 si esprimeva in termini di «precapienza» (cfr. Finocchiaro-Sartorio, La comunione dei beni tra coniugi nella storia del diritto italiano, Milano-Palermo-Napoli, 1902, p. 238).

[27] Si tratta delle clausole dette di stipulation de parts inégales e di attribution de la totalité de la communauté au survivant (cfr. art. 1497 Code Civil) su cui v. Terré e Simler, op. cit., p. 549 ss.

[28] La clausola, detta di forfait de communauté, ammessa espressamente dal Code prima della riforma del 1965 (sulla scorta, come si è detto, della tradizione del droit coutumier), è ritenuta valida ancora oggi: cfr. Terré e Simler, op. cit., p. 541; Cornu, op. cit., p. 715.

[29] Come già posto in evidenza nel dettaglio in relazione al caso tedesco: cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 529 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, cit., p. 189 ss.

[30] Potrà citarsi in proposito l’opinione di uno dei primi commentatori del Code Napoléon, il quale affermava l’immoralità della clausola con cui il coniuge, nel contratto di matrimonio, avesse rinunziato al diritto di revocare, in caso di divorzio, le donazioni effettuate all’altro, invocando al riguardo (peraltro a torto: cfr. Oberto, Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, loc. cit.) l’autorità delle fonti romane: «Serait-il permis aux époux qui font au  profit l’un de l’autre des donations par contrat de mariage, de renoncer à la révocation de ces libéralités, dans le cas du divorce? Le mariage est destiné à être perpétuel dans sa durée ; la prévoyance du divorce, consignée dans le traité nuptial même, serait une chose indécente. Promettre d’avance l’impunité à l’époux qui se rendrait coupable par la suite ; lui assurer une partie de la fortune de l’autre, pour prix de ses infidélités ; abolir la peine prononcée par la loi, pour encourager aux délits qu’elle réprouve, ce serait essentiellement blesser la morale : une pareille clause serait donc absolument nulle (1133, 1172). Chez les Romains, cette clause était reprouvée comme immorale, quoiqu’ils permissent de faire des donations pour cause de divorce même, dans l’acte de séparation des époux : quae tamen sub ipso divortii tempore, non quae ex cogitatione quandoque futuri divortii fiant (L. 12, ff. de donation. inter vir. et uxor., lib. 24, tit. I)» (cfr. Proudhon, Cours du droit français, I, Paris, 1810, p. 324).

[31] Permane, è vero, ancora la separazione con addebito, il cui rilievo sta però scemando, anche nella pratica.

[32] Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 558 ss.; per analoghe considerazioni v. anche Sesta, Titolarità e prova della proprietà nel regime di separazione dei beni, in Familia, 2001, p. 871 ss.; cfr. inoltre Oberto, Il regime di separazione dei beni tra coniugi, Artt. 215-219, in Comm. Schlesinger, Milano, 2005, p. 9 ss.

[33] «Il secondo fattore è l’aumento del numero delle separazioni legali e dei divorzi, che ha fatto nascere, in un numero crescente di coppie, il timore che anche il loro matrimonio possa finire nell’au­la di un tribunale. Così, è la paura di dover cedere metà del patri­monio familiare ad un coniuge con cui ci si è accorti in ritardo di non riuscire a vivere che spinge molti sposi a preferire il regime della separazione dei beni e molti dei loro genitori a consigliarli in questo senso (...). E’ significativo, da questo punto di vista, che gli strati della popolazione che sono alla testa del mutamento del regime patri­moniale sono anche quelli che corrono più rischi di rompere il matrimonio con un divorzio: i più secolarizzati, i più ricchi e i più istruiti delle regioni settentrionali» (cfr. Barbagli, Sotto lo stesso tetto: mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Bologna, 1988, p. 105 s.). Le considerazioni di cui sopra sono pienamente confermate dai dati ISTAT relativi all’anno 2003, su cui v. la nota seguente.

[34] Si noti in proposito che le rilevazioni ISTAT concernenti l’anno 2003 dimostrano in modo irrefutabile l’avvenuto «sorpasso», a livello nazionale, dell’opzione per il regime di separazione rispetto alla comunione, posto che per i matrimoni celebrati in quell’anno, il regime di comunione è stato scelto solo dal 44,7% delle unioni (con punte minime del 24,9% in Valle d’Aosta e del 29,4% in Piemonte): cfr. Istat, Matrimoni, separazioni e divorzi 2003, Roma, 2006, p. 9, 50, 86 (tavole 1.1, 2.10, 2.11, 2.20); il documento è altresì disponibile alla pagina web seguente: http://www.istat.it/dati/catalogo/20070119_00/ann0616matrimoni_separazioni_divorzi03.pdf.

[35] Cfr. la proposta di regolamento COM 2005 649 del 15 dicembre 2005; il relativo testo è disponibile online al sito web seguente: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/com/2005/com2005_0649it01.pdf. La Corte di giustizia delle Comunità Europee ha dato del concetto di «obbligazioni alimentari» (già presente nella convenzione di Bruxelles del 1968) un’interpretazione assai ampia, riferendo tale espressione senz’altro anche all’assegno di divorzio, ed addirittura alla decisione che, nel contesto di una procedura divorzile, condanni al pagamento di una somma forfettaria o disponga il trasferimento di un diritto reale su di un immobile (cfr. la decisione 27 febbraio 1997, n. 220/95, in Giust. civ., 1998, I, p. 308; in Fam. dir., 1997, p. 205; il testo è anche disponibile ai seguenti indirizzi web: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:61995J0220:IT:HTML; http://xoomer.alice.it/goberto/testiregolamentiue/cortecee220-95.htm). Dello stesso avviso sembra essere anche la nostra Cassazione, la quale non ha avuto difficoltà ad applicare le norme della convenzione di Bruxelles del 1968 (nella specie: l’art. 6, n. 1, secondo il quale, in caso di pluralità di convenuti, il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato davanti al giudice nella cui circoscrizione è situato il domicilio di uno di essi) al caso di una domanda di revisione delle disposizioni contenute nella sentenza di divorzio (ex art. 9, l. n. 898 del 1970, come sostituito dall’art. 13, l. n. 74 del 1987) con riferimento all’obbligo di mantenimento per il figlio maggiorenne, proposta nei confronti sia dell’ex coniuge che del figlio, soltanto uno dei quali domiciliato in Italia (riconoscendo la giurisdizione del giudice italiano: cfr. Cass., 24 luglio 2003, n. 11526). E’ poi ancora da ricordare che la Corte di giustizia  delle Comunità europee, nelle sue sentenze del 27 marzo 1979 (in causa 143/78, de Cavel c. de Cavel, in Raccolta, 1979, p. 1055) e del 31 marzo 1982 (in causa 25/81 C.H.W. c. G.J.H., in Raccolta, 1982, p. 1189) ha chiarito che la nozione di «regime patrimoniale tra i coniugi» di cui all’art. 1 della Convenzione di Bruxelles (e, ora, del Regolamento n. 44/2001, nel senso che, per l’appunto le relative disposizioni non trovano applicazione con riguardo, tra l’altro, agli argomenti seguenti: «lo stato e la capacità delle persone fisiche, il regime patrimoniale fra coniugi, i testamenti e le successioni») comprende non solo il regime dei beni specificamente ed esclusivamente contemplato da determinate legislazioni nazionali, ma anche tutti i rapporti patrimoniali che derivano direttamente dal vincolo coniugale o dallo scioglimento di esso. Tali rapporti – ad eccezione di quelli alimentari e comunque attinenti al profilo degli assegni relativi alla crisi coniugale – rimangono pertanto al di fuori dell’ambito di operatività del regolamento n. 44/2001. Essi, non essendo del resto coperti (almeno per il momento) da alcun regolamento comunitario, saranno pertanto disciplinati, in tutte le questioni che presentino un elemento di estraneità, dal diritto internazionale privato dei vari Paesi. Sarà peraltro il caso di menzionare sul punto l’esistenza di una una Convenzione internazionale dell’Aja sulla legge applicabile ai rapporti patrimoniali tra coniugi (14 marzo 1978), ratificata peraltro solo da Francia, Lussemburgo e Paesi Bassi.

[37] Cfr. Gli artt. 3 bis e 20 bis, che andrebbero inseriti nel regolamento 2201 del 2003. 

[38] In questo senso cfr. anche C. Rimini, Arrivano i patti prematrimoniali, in La Stampa, 23 novembre 2006, p. 25.

[39] Cass., 3 maggio 1984, n. 2682, in Riv. dir. int. priv., 1985, p. 579; in Dir. fam. pers., 1984, p. 521: «L’accordo, rivolto a regolamentare, in previsione di futuro divorzio, i rapporti patrimoniali fra coniugi, che sia stato stipulato fra cittadini stranieri (nella specie, statunitensi) sposati all’estero e residenti in Italia, e che risulti valido secondo la legge nazionale dei medesimi (applicabile ai sensi degli artt. 19 e 20 delle disposizioni sulla legge in generale), è operante in Italia, senza necessità di omologazione o recepimento delle sue clausole in un provvedimento giurisdizionale, tenuto conto che l’ordine pubblico, posto dall’art. 31 delle citate disposizioni come limite all’efficacia delle convenzioni fra stranieri, riguarda l’ordine pubblico cosiddetto internazionale, e che in tale nozione non può essere incluso il principio dell’ordinamento italiano, circa l’invalidità di un accordo di tipo preventivo fra i coniugi sui rapporti patrimoniali successivi al divorzio, il quale attiene all’ordine pubblico interno e trova conseguente applicazione solo per il matrimonio celebrato secondo l’ordinamento italiano e fra cittadini italiani».

[40] Per una analisi cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 562 ss.

[41] Cass., 11 giugno 1981, n. 3777, in Foro it., 1981, I, c. 184; in Giur it., 1981, I, 1, c. 1553 con nota di Trabucchi; in Dir. fam. pers., 1981, p. 1025; in Giust. civ., 1982, I, p. 724.

[42] Allo stesso anno del leading case testé riportato risale Cass., 5 dicembre 1981, n. 6461, secondo cui «l’accordo stipulato fra i coniugi anteriormente alla instaurazione del giudizio di divorzio (nella specie in sede di separazione consensuale) per l’assegnazione del godimento della casa di abitazione ad uno di essi, non è vincolante per il giudice che pronuncia lo scioglimento del matrimonio».

[43] Cass., 20 maggio 1985, n. 3080, in Giur. it., 1985, I, 1, c. 1456, con nota di Di Loreto; in Dir. fam.pers., 1985, p. 876; in Foro it., 1986, I, p. 747, con nota di Quadri; in Giust. civ., 1986, I, p. 188.

[44] Così infatti App. Genova, 10 novembre  1987, in C.E.D. – Corte di cassazione, Arch. MERITO, pd. 880049; Uda, Sull’indisponibilità del diritto all’assegno di divorzio, in Fam. dir., 1995, p. 19 s.

[45] Cass., 25 maggio 1983, n. 3597; sul fatto che il giudice del divor­zio non è vincolato, in tema di assegno, da quanto stabilito nel giudizio di separazione, poiché l’assegno di divorzio ha contenuti, presupposti e moda­lità diverse, v. inoltre Cass., 21 maggio 1983, n. 3520, in Foro it., 1984, I, c. 229; Cass., 12 gennaio 1984, n. 246, in Dir. fam. pers., 1984, p. 477; Cass., 28 ottobre 1986, n. 6312, in Dir. fam.pers., 1987, p. 135; in Foro it., 1987, I, c. 467, con nota di Quadri; in Giur. it., 1987, I, 1, c. 1406.

[46] Trib. Messina, 15 giugno 1985, in C.E.D. – Corte di cassazione, Arch. MERITO, pd. 850440.

[47] Cass., 11 dicembre 1990, n. 11788, in Arch. civ., 1991, p. 417; in Giur. it., 1991, I, 1, c. 156; in Giur. it., 1992, I, 1, c. 156, con nota di Cecconi.

[48] Cass., 2 luglio 1990, n. 6773.

[49] Cass., 1 marzo 1991, n. 2180.

[50] Ovvero della corresponsione di emolumenti ulteriori rispetto a quelli giustificati da bisogni alimentari: Cass., 20 settembre 1991, n. 9840, in Giur. it., 1992, I, 1, c. 1078, con nota di E. Carosone; in Dir. fam.pers, 1992, p. 562.

[51] Cass., 6 dicembre 1991, n. 13128, cit.

[52] Cass., 4 giugno 1992, n. 6857, in Corr. giur., 1992, p. 863, con nota di V. Carbone; in Giur. it., 1993, I, 1, c. 340, con nota di Dalmotto.

[53] Cfr. Cass., 11 agosto 1992, n. 9494, in Giur. it., 1993, I, 1, c. 1495, con nota di De Mare; Cass., 28 ottobre 1994, n. 8912, in Fam. dir., 1995, p. 14 con nota di Uda; Cass., 7 settembre 1995, n. 9416, in Dir. fam.pers., 1996, p. 931; Cass., 20 dicembre 1995, n. 13017, in Giust. civ., 1996, I, p. 1694; Cass., 20 febbraio 1996, n. 1315; Cass., 11 giugno 1997, n. 5244, in Giur. it., 1998, 218, con nota di Ermini; in Vita not., 1997, p. 848; Cass., 20 marzo 1998, n. 2955, in Corr. giur., 1998, p. 513 (segnalazione di V. Carbone). Cfr. inoltre, per le pronunzie più recenti, Cass., 18 febbraio 2000, n. 1810; Cass., 9 maggio 2000, n. 5866; Cass., 12 febbraio 2003, n. 2076, in Fam. dir., 2003, p. 344. V. anche Cass., 9 ottobre 2003, n. 15064, secondo cui «Ogni patto stipulato in epoca antecedente al divorzio volto a predeterminare il contenuto dei rapporti patrimoniali del divorzio stesso deve ritenersi nullo; è consentito, invece, che le parti, in sede di divorzio, dichiarino espressamente che, in virtù di una pregressa operazione (ad es. trasferimento immobiliare) tra di esse, l’assegno di divorzio sia già stato corrisposto una tantum, con conseguente richiesta al giudice di stabilire conformemente l’assegno medesimo, ma in assenza di tale inequivoca richiesta è inibito al giudice di determinare l’assegno riconoscendone l’avvenuta corresponsione in unica soluzione. Del tutto diversa è l’ipotesi in cui le parti abbiano già regolato i propri rapporti patrimoniali e nessuna delle due richieda un assegno (tale regolamento, infatti, non necessariamente comporta la corresponsione di un assegno una tantum, potendo le parti avere regolato diversamente i propri rapporti patrimoniali e riconosciuto, sulla base di ciò, la sussistenza di una situazione di equilibrio tra le rispettive condizioni economiche con conseguente non necessità della corresponsione di alcun assegno), nel qual caso l’accordo è valido per l’attualità, ma non esclude che successivi mutamenti della situazione patrimoniale di una delle due parti possa giustificare la richiesta di corresponsione di un assegno a carico dell’altra. (Nella fattispecie la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale, escluso che i coniugi avessero dichiarato l’avvenuta corresponsione una tantum dell’assegno di divorzio in virtù di una precedente operazione di trasferimento immobiliare, aveva proceduto alla determinazione dell’assegno medesimo su richiesta di modifica delle condizioni di cui alla sentenza di divorzio presentata da uno degli ex coniugi)». In quest’ultima decisione si ammette, dunque, che è sufficiente un richiamo da parte dei coniugi (purchè effettuato chiaramente ed in sede di procedura di divorzio) ad una pregressa attribuzione una tantum, intesa come esaustiva delle pretese ex divortio, perché si produca l’effetto preclusivo di successive domande ai sensi dell’art. 9 l.div. Il che significa, in buona sostanza, ancora una volta ammettere – di fatto e a dispetto delle declamazioni di principio più volte illustrate – la disponibilità dell’assegno divorzile.

[54] Cass., 14 giugno 2000, n. 8109, in Fam. dir. 2000, p. 429;  in Corr. giur., 2000, p. 1021, con nota di Balestra; in Riv. notar., 2000, II, p. 1221, con nota di Zanni; in Giust. civ., 2000, I, p. 2217, con nota di Giacalone; in Giur. it., 2000, p. 2229, con nota di Barbiera; in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, p. 704, con nota di Bargelli; in Foro it., 2001, I, c. 1318, con note di E. Russo e di G. Ceccherini; in Giust. civ., 2001, I, p. 457, con nota di Guarini; in Familia, 2001, p. 243, con nota di Ferrando.

[55] Cass., 1 dicembre 2000, n. 15349, in Giust. civ., 2001, I, p. 1592.

[56] Così Vincenzi Amato, I rapporti patrimoniali, in Commentario sul divorzio a cura di Rescigno, Milano, 1980, p. 340 ss., in partic. 344, nota 45; si noti che, peraltro, l’Autrice riconosce, per altro verso, la sostanziale disponibilità dell’assegno.

[57] Cfr. Cavallo, Sull’indisponibilità dell’assegno di divorzio, Nota a Cass., 6 dicembre 1991, n. 13128, in Giust. civ., I, 1992, p. 1243.

[58] Cfr. Quadri, La nuova legge sul divorzio, I, Profili patrimoniali, Napoli, 1987, p. 73; nello stesso senso, più di recente, v. anche Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, p. 427 ss.

[59] Così E. Russo, Le convenzioni matrimoniali, Artt. 159-166-bis, in Comm. Schlesinger, Milano, 2004, p. 425.

[60] Non per nulla sottolinea il carattere di maggiore «laicità» proprio della via contrattuale nella soluzione delle questioni patrimoniali familiari Marella, La contrattualizzazione delle relazioni di coppia. Appunti per una rilettura, cit., p. 116.

[61] Coppola, Gli accordi in vista della pronunzia di divorzio, cit., p. 644.

[62] La quale ha in altre occasioni riconosciuto la validità – per esempio – di un impegno con cui uno dei coniugi, in vista di una futura separazione consensuale (e dunque non nel contesto di quest’ultima), prometteva di trasferire all’altro la proprietà di un bene immobile «anche se tale sistemazione patrimo­niale avviene al di fuori di qualsiasi controllo da parte del giudice... purché tale attribuzione non sia lesiva delle norme relative al mantenimento e agli alimenti» (Cass., 5 luglio 1984, n. 3940, in Dir. fam.pers., 1984, p. 922). Ancora, potrà citarsi il caso in cui si è ammessa la validità di una transazione preventiva, con la quale il marito si obbligava espressamente, in vista di una futura separazione consensuale, a far conseguire alla moglie la proprietà di un appartamento in costruzione, allo scopo di eliminare una situazione conflittuale tra le parti (Cass., 12 maggio 1994, n. 4647, in Fam. dir., 1994, p. 660, con nota di Cei; in Vita not., 1994, p. 1358; in Giust. civ., 1995, I, p. 202; in Dir. fam.pers, 1995, p. 105; in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, p. 882, con nota di Buzzelli; in Riv. notar., 1995, II, p. 953). Irrilevanti appaiono le obiezioni sollevate in proposito (cfr. Quadri, Autonomia dei coniugi e intervento giudiziale nella disciplina della crisi familiare, cit., p. 12) evidenziando l’ovvia differenza tra separazione e divorzio, rappresentata dalla perdurante esistenza del vincolo matrimoniale nella prima ipotesi, che si caratterizzerebbe così per il suo carattere di situazione «aperta», rispetto alla seconda. E’ infatti pacifico che anche la separazione dà vita ad uno status familiare: pertanto, se le intese preventive sono da considerarsi nulle in quanto dirette a «fare mercimonio» di uno status indisponibile al di fuori del momento solennizzato dalla instaurazione della relativa procedura di fronte al giudice, non si riesce a comprendere per quale ragione le obiezioni sollevate contro tali accordi in contemplation of divorce non dovrebbero poi valere se riferite alla separazione. Per non dire poi della giurisprudenza di legittimità favorevole agli accordi preventivi in tema di conseguenze economiche della pronunzia di annullamento del matrimonio (Cass., 13 gennaio 1993, n. 348, in Corr. giur., 1993, p. 822 con nota di Lombardi; in Giur. it., 1993, 1, 1, c. 1670 con nota di Casola; in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, p. 950, con note di Cubeddu e di Rimini; in Vita notar., 1994, p. 91, con nota di Curti; in Contratti, 1993, p. 140, con nota di Moretti).

[63] Per un caso di questo genere cfr. Cass., 21 luglio 1971, n. 2374; sull’irrinunziabilità del diritto a chiedere la separazione v. anche Cass., 6 marzo 1969, n. 714; per osservazioni analoghe a quelle qui svolte cfr. Comporti, Autonomia privata e convenzioni preventive di separazione, di divorzio e di annullamento del matrimonio, cit., p. 110; Frezza, Diritto del divorziato alla pensione di riversibilità e convenzioni preventive di divorzio, Nota a Corte cost., 17 marzo 1995, n. 87, in Dir. fam.pers., 1996, p. 31; per la necessità di distinguere tra accordi aventi ad oggetto il condizionamento del comportamento delle parti in un giudizio sullo status, nulli per illieceità della causa, ed accordi diretti solo a concordare in prevenzione l’assetto economico dei rapporti conseguenti al divorzio, in cui il condizionamento del comportamento processuale rileva, semmai, alla stregua di un semplice motivo, v. Gabrielli, Indisponibilità preventiva degli effetti patrimoniali del divorzio: in difesa dell’orientamento adottato dalla giurisprudenza, cit., p. 700 s. (che pure si dichiara contrario alla validità degli accordi preventivi, per violazione dell’art. 160 c.c.).

[64] V., già sotto il vigore del codice abrogato, Bianchi, Del contratto di matrimonio, Napoli, 1907, p. 102; cfr. inoltre Cass., 21 luglio 1971, n. 2374; Comporti, Autonomia privata e convenzioni preventive di separazione, di divorzio e di annullamento del matrimonio, cit., p. 110.

[65] Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, Milano, 1996, p. 178, nota 230; le conclusioni tratte al riguardo dall’Autore sono limitate alla materia degli atti traslativi; esse peraltro ben possono essere estese, più in generale, ad ogni tipo di contratto concluso in occasione – o anche solo in vista – della crisi coniugale.

[66] Per analoghe considerazioni relative ai contratti di convivenza si fa rinvio a Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991, p. 193 ss.

[67] Sui rapporti tra vinculum iuris ed azionabilità in via processuale della relativa pretesa cfr. per tutti Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e presente, Padova, 1996, p. 37 s. e nota 5.

[68] Sacco, Il contratto, Torino, 1975, p. 497 s., il quale porta l’esempio della promessa di una somma di denaro da un soggetto all’altro a condizione che quest’ultimo scriva un’opera letteraria.

[69] Jemolo, Il matrimonio, in Tratt. Vassalli, Torino, 1950, p. 54, secondo cui la volontà di assumere uno status è «suscettibile di essere eretta a condizione di altro negozio giuridico», anche se inidonea a «formare a sé oggetto di negozio».

[70] Qui il pensiero corre subito alla clausola penale, e alla disposizione, riflettente un principio di carattere certamente più generale, racchiusa nell’art. 79 c.c. Ma la clausola penale, proprio perché strumento di garanzia per l’adempimento di un’obbligazione, presuppone appunto l’esistenza di un impegno giuridicamente vincolante a tenere quel certo comportamento (positivo o negativo). La sussistenza di tale impegno – ancorché non formalmente enunciato dai contraenti – potrebbe proprio essere dedotta dal carattere «eccessivo» (secondo una valutazione da farsi, ovviamente, caso per caso) della prestazione patrimoniale promessa sotto la condizione che quel determinato evento si verifichi (o meno).

[71] Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 197 s.; Id., Partnerverträge in rechtsvergleichender Sicht unter besonderer Berücksichtigung des italienischen Rechts, in FamRZ, 1993, p. 7.

[72] Per es.: «ti prometto che ti darò cento se mi sarai fedele, se tra dieci anni coabiterai ancora con me, se tra cinque anni mi avrai dato un figlio».

[73] Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e presente, cit, p. 99; per un caso del genere cfr. in giurisprudenza App. Catanzaro, 31 gennaio 1936, in Calabria giud., 1936, p. 75.

[74] Siffatte clausole non sembrano in grado di suscitare obiezioni, posto che con esse l’esecuzione della prestazione di carattere personale (la prosecuzione della convivenza more uxorio oltre un certo limite temporale, la celebrazione delle nozze, la prosecuzione della convivenza matrimoniale, la prestazione del consenso per il divorzio su domanda congiunta, ecc.) non viene «garantita» dalla presenza di una forma di coazione giuridica o dalla assicurazione del pagamento di una penale da parte del soggetto eventualmente inadempiente, ma viene piuttosto incoraggiata mediante la promessa di un premio da parte di colui che ha interesse a che il beneficiario tenga quel certo comportamento, secondo una regola che non sembra sconosciuta neppure al diritto romano: «Titio centum relicta sunt ita, ut Maeviam uxorem, quae viduam est, ducat: conditio non remittetur; et ideo nec cautio remittenda est. Huic sententiae non refgragatur, quod si quis pecuniam promittat, si Maeviam uxorem non ducat, Praetor actionem denegat: aliud est enim eligendi matrimonii poenae metu libertatem auferri, aliud ad matrimonium certa lege invitari» (D. 35, 1, 71, 1). La tesi qui esposta, proposta anche all’attenzione della dottrina tedesca (cfr. Oberto, Partnerverträge in rechtsvergleichender Sicht unter besonderer Berücksichtigung des italienischen Rechts, cit., p. 7), sembra avere riscosso consenso presso quest’ultima (cfr. Grziwotz, Partnerschaftsvertrag, für die nichteheliche Lebensgemeinschaft, München, 1994, p. 31; per una valutazione di tale impostazione «in termini problematici» in Italia, v. Franzoni, I contratti tra conviventi more uxorio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, p. 749 s.).

[75] Cass., 19 gennaio 1985, n. 150, in Foro it., 1985, I, c. 701; in  Riv. notar., 1985, II, p. 483.

[76] Cass., 11 gennaio 1986, n. 102, in Foro it., 1986, I, c. 936; in Giust. civ., 1986, I, p. 1009, con nota di G. Azzariti; in Riv. notar., 1986, II, p. 945; in Giust. civ., 1987, I, p. 188, con nota di Schermi; in Giust. civ., 1987, I, 1, p. 1484, con nota di De Cupis; nello stesso senso in dottrina Rescigno, voce Condizione (diritto  vigente), in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, p. 793; G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, Padova, 1982, p. 527.

[77] Cass., 19 gennaio 1985, n. 150, cit.

[78] Cass., 21 febbraio 1992, n. 2122, in Foro it., 1992, I, c. 2120; in Giust. civ., 1992, I, c. 1753, con nota di Di Mauro; in Dir. fam. pers., 1992, p. 989; in Riv. notar., 1992, II, p. 198, con nota di Serino; riconducibile allo stesso rationale appare la precedente Cass., 4 marzo 1966, n. 641, in Giur. it., 1967, I, 1, c. 836; in Foro it., 1966, I, c. 414; in Giust. civ., 1966, I, p. 1354, con nota di Cassisa.

[79] Così Quadri, Autonomia dei coniugi e intervento giudiziale nella disciplina della crisi familiare, cit., p. 9.

[80] Sul punto v. Marston, Planning for Love: The Politics of Prenuptial Agreements, in Stanford Law Review, vol. 49, 1997, p. 887 ss. Sul requisito dell’independent legal or financial advice v. inoltre Panforti, Gli accordi patrimoniali fra autonomia dispositiva e disuguaglianza sostanziale. Riflessioni sul Family Law Amendment Act 2000 Australiano, loc. ultt. citt.

[81] Così Quadri, Autonomia dei coniugi e intervento giudiziale nella disciplina della crisi familiare, cit., p. 14, sulla scorta di Cass., 11 agosto 1992, n. 9494, in Giur. it., 1993, I, 1, c. 1495 e Cass., 11 giugno 1997, n. 5244.

[82] Ciò sembra voler adombrare Quadri, Autonomia dei coniugi e intervento giudiziale nella disciplina della crisi familiare, cit., p. 14, che parla di assoggettamento degli accordi ad un controllo giudiziale effettuato «alla luce degli assetti economici familiari concretamente esistenti in tale momento (scil.: al momento del divorzio)». Esplicitamente per un controllo giudiziale del merito delle intese di divorzio su domanda congiunta si pronunzia Coppola, Gli accordi in vista della pronunzia di divorzio, cit., p. 659 s.; Ead., Le rinunzie preventive all’assegno post-matrimoniale, cit., p. 55 ss.

[83] Cfr. Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 233 ss. 

[84] Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 372 ss.

[85] Almeno fin tanto che non verrà adottato anche da noi un regime analogo a quello descritto dall’art. 232 del Code Civil francese, che consente al giudice di negare l’omologazione dell’accordo di divorzio anche nel caso in cui esso non salvaguardi in maniera sufficiente gli interessi «di uno dei coniugi». E ciò a differenza di quanto disposto dalla norma italiana in tema di divorzio su domanda congiunta, che tale intervento non solo non prevede, ma esclude, come appare ricavabile dal raffronto con quanto stabilito con riguardo alle condizioni relative alla prole minorenne. Quanto mai significativo appare, in questo contesto, che la riforma dell’art. 4 l.div. di cui alla l. 80/2005 abbia riproposto telle quelle la disposizione in esame, contenuta nel c. 13, ora 16, dell’art. cit.

[86] Sul tema cfr. per tutti Ronchese, Regno Unito: una nuova regola sulla divisione dei beni dopo il divorzio, in Familia, 2002, p. 843 ss.

[87] Sul tema v. per tutti Oberto, Il regime di separazione dei beni tra coniugi, cit., p. 183 ss.

[88] Cfr. ad esempio Bargelli, L’autonomia privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista del divorzio, cit., p. 326 ss.

[89] Cfr. BverfG, 6 febbraio 2001, in FamRZ, 2001, p. 343, con nota di Schwab; in MDR, 2001, p. 392, con nota di Grziwotz; la decisione è edita in italiano in Familia, 2002, p. 201, con nota di Geurts; per un commento cfr. anche Bargelli, Limiti dell’autonomia privata nella crisi coniugale (a proposito di una recente pronuncia della Corte Costituzionale tedesca), in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 57 ss.; BGH, 11 febbraio 2004, in FamRZ, 2004, p. 601, con nota di Borth; in NJW, 2004, p. 930; per un commento a questa seconda decisione v. Nardone, Autonomia privata e controllo del giudice sulla disciplina convenzionale delle conseguenze del divorzio (a proposito della sentenza della Corte Suprema Federale tedesca dell’11 febbraio 2004), in Familia, 2005, p. 134 ss.

[90] Sul tema v. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 531 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, cit., p. 191 ss. e successivamente anche Bargelli, L’autonomia privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista del divorzio, cit., p. 329 s.

[91] Cfr. ad esempio Schwenzer, Vertragsfreiheit im Ehevermögens- und Scheidungsfolgenrecht, in  AcP, 1996, p. 11 ss.; Hess, Nachehelicher Unterhalt zwischen Vertragsfreiheit und sozialrechtlichem Allegemeinvorbehalt, in FamRZ, 1996, p. 981 ss, spec. 986 ss. Posizioni, queste, cui fa eco nel diritto nordamericano la valutazione del contratto alla luce dei principi di unconscionability, fairness, reasonableness, frustration, ecc. su cui v. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 501 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, cit., p. 184 ss. e, successivamente, anche Bargelli, L’autonomia privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista del divorzio, cit., p. 329; Al Mureden, I prenuptial agreements negli Stati Uniti e nella prospettiva del diritto italiano, cit., p. 549 ss. Per un accostamento tra il rationale della decisione della Corte costituzionale tedesca ed i principi dell’unconscionability v. Marella, La contrattualizzazione delle relazioni di coppia. Appunti per una rilettura, cit., p. 103 ss.

[92] Cfr. Cfr. BverfG, 6 febbraio 2001, cit.

[93] Cfr. BGH, 11 febbraio 2004, cit.

[94] Cfr. Brod, Premarital Agreements and Gender Justice, in Yale Law Review, 1994, vol. 6, p. 229, 276 ss.; Marston, Planning for Love: The Politics of Prenuptial Agreements, cit.,  p. 887 ss., 899 ss. Sul concetto di unconscionability e sull’Uniform Premarital Agreement Act v. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 501 ss., 509 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, cit., p. 184 ss. e ora anche Al Mureden, I prenuptial agreements negli Stati Uniti e nella prospettiva del diritto italiano, cit., p. 547 ss.

[95] Così Hofer, Privatautonomie als Prinzip für Vereinbarungen zwischen Ehegatten, in Aa. Vv., From Status to Contract? – Die Bedeutung des Vertrages im europäischen Familienrecht, a cura di Hofer, Schwab e Henrich, cit., p. 16. Analoghe critiche in Coester-Waltjen, Liebe-Freiheit-gute Sitten. Grenzen autonomer Gestaltung der Ehe und ihrer Folgen in der Rechtsprechung des Bundesgerichtshofes, in Aa. Vv., Festgabe aus der Wissenschaft, 50 Jahre Bundesgerichtshof, München, 2000, p. 1001; cfr. inoltre Koch, in NotBZ, 2004, p. 147 ss.; Langenfeld, Zur gerichtlichen Kontrolle von Eheverträgen, in DNotZ, 2001, p. 279, che, di fronte alle avvisaglie di un mutamento di giurisprudenza in senso restrittivo verso la libertà dei coniugi, paventava una situazione di «Entmündigung und Fremdbestimmung durch den Richter» (situazione che – come si è detto in altra sede: cfr. Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 120 s. – si porrebbe anche in chiaro contrasto con l’intenzione dei redattori del BGB). A questi rilievi fanno poi eco le osservazioni di un altro celebre studioso della materia (e notaio), che sembrano smentire in maniera netta l’atteggiamento paternalistico delle Corti (e, verrebbe da aggiungere, di una certa parte della dottrina italiana!): «Ich beobachte im Beratungsgespräch eher eine „strukturelle Überlegenheit“ junger Frauen, die ihre berechtigten Interessen durchzusetzen wissen. Die Margarete unserer Zeit ist ohne weiteres in der Lage, die tradierten Vorstellungen eines Unternehmersohns, dessen Eltern auf Abschluss eines Ehevertrages mit Gütertrennung und Unterhaltsverzicht bestehen (wie sie ihn selbst geschlossen haben), eine entschiedene und deutliche Absage zu erteilen, um zu sachgerechten vertraglichen Vereinbarungen zu gelangen (z.B. Herausnahme der Unternehmensbeteiligung aus dem Zugewinnausgleich)» (cfr. Brambring, Die Ehevertragsfreiheit und ihre Grenzen, in Aa. Vv., From Status to Contract? – Die Bedeutung des Vertrages im europäischen Familienrecht, a cura di Hofer, Schwab e Henrich, cit., p. 34, che conclude affermando: «Ehevertragsfreiheit ist unverzichtbar, der „faire“ Ehevertrag beansprucht Rechtssicherheit»).

[96] Sul tema si rinvia a Oberto, Civil law e common law a confronto nell’ottica del giudice civile, in Contr. impr./Eur., 2005, p. 620 ss.

[97] Cfr. ad esempio Cass., 2 novembre 1998, n. 10926, in Foro it., 1998, I, c. 3081; Cass., 24 settembre 1999, n. 1055, in Giust. civ, 1999, p. 2929; per i necessari rinvii sul tema, che non è sviluppabile in questa sede, v. Riccio, La clausola generale di buona fede è, dunque, un limite generale all’autonomia contrattuale, in Contr. impr., 1999, p. 21 ss.; Meruzzi, Funzione nomofilattica della Suprema Corte e criterio di buona fede, in Contr. impr., 2000, p. 25 ss.

[98] Sulla scorta di quanto, ad esempio, stabilito dagli artt. 1469-bis ss. c.c.

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