Giacomo Oberto

 

PROPOSTA DI LEGGE IN TEMA DI

ACCORDI PREVENTIVI SULLA CRISI CONIUGALE

 

Diversi anni sono trascorsi da quando lo scrivente, nel contesto dello studio monografico sui contratti della crisi coniugale, lanciava l’idea di consentire e praticare anche in Italia la predeterminazione della sorte delle prestazioni postmatrimoniali, mercé il ricorso ad accordi prematrimoniali in vista della crisi coniugale, sostenendone la piena ammissibilità, già de iure condito, nel nostro sistema [1]. Il dibattito che ne è seguito ha visto la dottrina almeno in parte contrapporsi ad una giurisprudenza di legittimità arroccata su posizioni fortemente negazioniste, che sono però andate man mano stemperandosi nell’enumerazione di talune ipotesi eccezionali, divenute via via sempre più frequenti, in relazione alle quali si è di fatto riconosciuta la validità di singole intese preventive in vista dell’annullamento del matrimonio, del divorzio o della separazione [2].

Potrà sembrare curioso che chi ha speso tanti anni della propria attività per dimostrare la validità di un determinato tipo di negozi giuridici si faccia alfiere della disciplina de iure condendo degli stessi. In realtà, questo non equivale, in modo alcuno, ad ammettere che la persistente assenza di una normativa ad hoc impedisca il ricorso, già oggi, al generale principio di libertà contrattuale. Semmai, non vi è dubbio sul fatto che la presenza di tale positiva disciplina servirebbe, da un lato, a sgombrare definitivamente il campo dalle (ingiustificate) resistenze che molti ancora oggi oppongono e, dall’altro, a fornire di adeguata e ragionevolmente certa risposta tutta una serie di interrogativi che si pongono sulla tutela di posizioni quali, ad esempio, quella della parte eventualmente «debole», o sull’esatta delimitazione delle «sfere di competenza» del notaio, dell’avvocato e del giudice.

La presente non è certo la prima proposta di legge in materia. Contenuti e punti salienti di quelle presentate negli ultimissimi anni hanno già formato oggetto di un particolare studio dello scrivente, cui si fa qui, per brevità, mero rinvio [3]. Il «difetto» di tali esercizi, se mi si passa l’espressione, è quello di recare evidenti le stigmate delle rispettive categorie professionali di provenienza. Con il presente lavoro si tenta invece di fornire una visione super partes, tenendo chiaramente distinti, ancorché possibilmente convergenti, i ruoli del notaio, dell’avvocato e del giudice. Soprattutto, per ciò che attiene alle prime due categorie, si è cercato di trasfondere in proposte di norme concrete la fondamentale distinzione di contenuti che il contratto prematrimoniale può avere: dall’accordo sulle conseguenze della crisi coniugale in tema di assegni postmatrimoniali (in tutte le loro possibili forme), all’intesa circa le conseguenze che il fallimento dell’unione può produrre sull’assetto del regime matrimoniale prescelto, al pacte de famille sulla conservazione e sulla trasmissione post mortem del patrimonio familiare. In queste due ultime situazioni è evidente che solo un intervento riformatore potrebbe aiutare, da un lato, a restituire al regime legale la souplesse necessaria ad evitarne il rifiuto da parte della stragrande maggioranza delle nuove coppie [4], e, dall’altro, ad arginare, per lo meno in questo limitato settore – conformemente del resto ad una tradizione secolare, inopportunamente eliminata dal radicalismo giacobino della legislazione rivoluzionaria – la straripante invadenza del divieto dei patti sulle successioni future.

 

Alcune brevissime notazioni introduttive varranno a dar conto delle scelte operate.

Iniziando dal profilo terminologico, si è preferito abbandonare la dizione (proposta da quasi tutti i progetti di legge ad oggi in vario modo pubblicati) di «accordi prematrimoniali». L’attributo «prematrimoniale» – a parte l’impropria evocazione, in un ambiente ancora fortemente marcato dalla tradizione cattolica, degli esecrati rapporti sessuali ugualmente aggettivati – finisce con l’essere fortemente limitativo. L’esperienza dimostra, infatti, che molte delle intese qui in discorso sono stipulate non già prima del matrimonio, bensì in costanza di esso, laddove ciò che caratterizza questi accordi non è tanto il momento in cui gli stessi sono conclusi rispetto al giorno del fatidico «sì», bensì la loro natura in contemplation of divorce. Per giunta, alcune delle proposte di questi ultimi anni discriminano tra accordi prematrimoniali ed accordi successivi alla celebrazione delle nozze, vuoi rendendo (chissà mai perché) possibili solo i primi, vuoi imponendo (anche qui non si comprende bene per quale ragione) il rispetto di forme diverse [5]. Quanto sopra spiega dunque l’opzione per la formula «accordi preventivi sulla crisi coniugale», laddove l’aggettivo «preventivi» chiaramente si riferisce al momento della crisi dell’unione e non necessariamente a quello della costituzione del rapporto di coniugio.

Quanto poi al richiamo alla «crisi coniugale», anziché al divorzio, si è voluto qui rendere omaggio a quell’espressione («contratti della crisi coniugale») che – da chi scrive inventata in una piovosa giornata nizzarda dell’inverno 1998, quale titolo del lavoro che sarebbe stato pubblicato all’inizio dell’anno successivo – ha ormai preso piede in questi ultimi anni (anche nelle diligenti copiature di taluni Autori: ma pure questo fenomeno è, in fondo, indice di successo!). E del resto è evidente che, almeno fino a quando la separazione legale conserverà, nella stragrande maggioranza dei casi, la sua caratteristica di condicio sine qua non per il divorzio, la maggior parte dei nodi che formano potenziale oggetto di un’intesa del genere di quelle in discorso continueranno a venire al pettine già in sede di separazione [6]. D’altro canto ho voluto caratterizzare questa mia proposta rispetto alle altre, proprio perché, piaccia o meno, dogmaticamente corretto o scorretto che sia, anche l’annullamento del matrimonio è uno dei modi con i quali si celebra e si risolve la crisi coniugale; inoltre, proprio in relazione all’annullamento, la Cassazione ha, come noto, già affermato la piena validità di possibili intese preventive [7].

Si è dunque tentato di fornire (cfr. art. 162-bis c.c.) una definizione degli accordi in discorso caratterizzandoli, appunto, per la contemplation della crisi coniugale, nelle sue varie forme, ma anche ancorandone l’oggetto alla predeterminazione, da un lato, delle «condizioni» della separazione, del divorzio e dell’annullamento del matrimonio e, dall’altro, dei «rapporti patrimoniali» da tali pronunzie dipendenti. In tal modo si è voluto attribuire rilievo, in primis, alle pattuizioni su profili di carattere eventualmente anche non patrimoniale (dalla decisione sulla conservazione del cognome del marito, alle intese sull’esercizio della responsabilità genitoriale, tanto per citare due esempi) [8], secondo il significato usualmente attribuito al termine «condizioni della separazione» o «condizioni del divorzio» [9]. Ciò spiega perché si è evitato nella specie l’utilizzo del termine «contratto», sebbene il richiamo alle norme codicistiche della parte generale di siffatto istituto giuridico si imponga, sia per le pattuizioni su prestazioni di carattere patrimoniale (che al genus contrattuale sicuramente appartengono), sia per quelle non aventi natura patrimoniale, in base alla nota teoria sul negozio giuridico familiare [10].

 

Ineludibile appariva poi la necessità di trattare, in un’ottica postconiugale, il tema delle intese attinenti al regime patrimoniale.

Per questa ragione il riferimento ai «rapporti patrimoniali dipendenti dall’eventuale separazione personale, così come dall’eventuale annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio» (già presente, per ciò che attiene alla separazione ed al divorzio, nella proposta avanzata nel 2011 dal notariato) è parso il più idoneo a consentire alla voluntas contrahentium di eventualmente modellare il regime patrimoniale in modo da conformarlo alla necessità di soddisfare istanze solidaristiche per la sola ipotesi di cessazione dello stesso in situazioni diverse dalla crisi (morte, fallimento, convenzione matrimoniale, ecc.). Non vi è dubbio che una formulazione del genere (unita alla regola in tema di forma, di cui verrà detto tra poco) dovrebbe consentire, ad esempio, alle parti (all’uopo opportunamente informate dal notaio) di optare per una comunione, vuoi legale, vuoi convenzionale («allargata» o «ristretta», a seconda dei casi e dei desideri dei coniugi) munita di una clause alsacienne, in forza della quale il regime comunitario è destinato a venir meno, con efficacia retroattiva, in caso di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio [11], persistendo, invece, per le altre ipotesi previste dall’art. 191 c.c.

Alle parti sarà altresì consentito – conformemente a quanto avviene in praticamente tutti i sistemi nei quali la comunione, nelle sue varie epifanie, costituisce il regime legale [12] – optare per una comunione a quote diverse da quelle necessariamente fifty-fifty, oggi imposte dagli artt. 194 e 210 c.c., in modo tale da poter dar rilievo ad un’eventuale differenza tra gli apporti dell’una e dell’altra parte per gli acquisti operati dal ménage coniugale.

Proprio tali aspetti evidenziano la possibile «concorrenzialità», nella predisposizione dei relativi patti, tra la funzione dell’avvocato e quella del notaio.

Se è vero, infatti, che il profilo degli accordi sulle «condizioni» della separazione, del divorzio o dell’annullamento del matrimonio apparirebbe, almeno di primo acchito, ricadere naturaliter nella sfera di competenza dell’avvocato, è altrettanto innegabile che a ciò si potrebbe subito obiettare che la prospettiva antiprocessuale [13] propria degli accordi preventivi potrebbe non sempre adattarsi ad essere pienamente recepita da una categoria professionale eminentemente impegnata sul profilo contenzioso (ovvero su quello consensuale, in un momento che si pone, però, sempre «a valle» rispetto al matrimonio ed alla crisi coniugale). D’altro canto, la stesura di accordi che implichino la modifica del regime patrimoniale (ancorché nell’ottica della crisi coniugale) viene a dar vita a vere e proprie convenzioni matrimoniali, per la redazione delle quali è competente, come noto, il solo notaio.

Per queste ragioni, e per evitare il blocco di un processo evolutivo positivo, derivante da possibili veti incrociati delle due categorie professionali, sembra opportuno definire con precisione i limiti delle rispettive sfere di competenza, indicando nel notaio l’unico professionista legittimato a rogare accordi in vista della crisi coniugale contenenti modifiche alle norme in tema di regimi patrimoniali della famiglia, così come eventuali patti successori endofamiliari (cfr. art. 162-bis, undicesimo comma, c.c.). Gli altri accordi preventivi potranno invece essere, indifferentemente, vuoi rogati da notaio, vuoi stipulati con mera scrittura privata, autenticata però da un avvocato cassazionista, previa sottoposizione a quella ulteriore forma di garanzia che nel mondo anglosassone viene designata come independent legal counsel [14].

Si è ritenuto invece di escludere l’applicabilità delle citate regole in materia di forma nel caso di accordi conclusi in sede di separazione personale in vista del divorzio. La ragione di ciò risiede nel fatto che siffatte intese sono oggetto di omologazione, nel caso di separazione consensuale, o comunque vengono recepite dalla sentenza pronunziata su conclusioni conformi in caso di separazione «consensualizzata»: la peculiare situazione in cui questi accordi maturano appare dunque tale da sconsigliare il ricorso a forme più rigorose e ciò anche nel caso in cui le parti si fossero avvalse della (ad avviso di chi scrive, peraltro, criticabile) possibilità concessa da molti tribunali di presentare e discutere il ricorso per separazione consensuale senza l’assistenza di un difensore.

 

Qual è, invece, il ruolo del giudice?

A differenza di taluni progetti di legge, che investono l’autorità giurisdizionale di una funzione arcaicamente paternalistica, facendole carico di operare, praticamente, un’imprescindibile revisione dei pacta, per adattarli a criteri di supposta equità, oppure invocando una (impropria) «ratifica» delle intese, si è qui inteso scongiurare il risultato di fomentare la litigiosità delle parti, pervenendo a risultati diametralmente opposti rispetto a quelli che la negozialità endofamiliare dovrebbe perseguire. Tutto al contrario, si è qui scelta la via di attribuire al giudice la veste che gli è più pertinente, vale a dire quella del garante del principio secondo cui pacta sunt servanda. Il tribunale interverrà pertanto solo in assenza di accordi, laddove, in presenza di questi, la sua funzione sarà quella di dare atto della volontà delle parti, attribuendo all’intesa efficacia di titolo esecutivo. Sarà il caso di precisare che, sebbene in qualche situazione tale effetto potrebbe già appartenere all’atto (cfr. art. 474, nn. 2) e 3), c.p.c.), ciò potrebbe non valere per ogni tipo di accordo (si pensi ad un’intesa redatta per scrittura privata autenticata da avvocato, che preveda un’obbligazione diversa da quella descritta dall’art. 474, n. 2), c.p.c.), mentre potrebbero sorgere controversie sul verificarsi della condizione da cui la prestazione dipende.

La funzione di garanzia del giudice si esplica appieno nelle intese relative alla prole minorenne, in relazione alle quali si è prevista una procedura analoga a quella della omologazione di cui all’art. 158 cpv. c.c. o 4, sedicesimo comma, l.div. [15]. La prescritta autorizzazione va richiesta peraltro solo dopo la celebrazione delle nozze, nel caso vi siano già figli, oppure a partire dalla nascita del primo figlio e va comunque nuovamente richiesta ad ogni eventuale successiva nascita di altri figli, atteso che l’evidente mutamento delle circostanze può diversamente modulare il giudizio di conformità delle intese all’interesse della prole.  

 

Quanto ai modi con i quali si può concretamente modellare l’assetto degli eventuali rapporti postmatrimoniali, viene lasciato il più ampio spazio all’autonomia negoziale.

La norma di cui al comma sesto dell’art. 162-bis c.c. potrebbe anche ritenersi superflua, se autorevole dottrina non avesse addirittura prospettato l’inapplicabilità dell’art. 2645-ter c.c. alla famiglia fondata sul matrimonio, in seno alla quale potrebbe darsi vita solo ad un fondo patrimoniale [16]. In ogni caso non va trascurata la funzione «didattica», «premiale» e «incentivante» che l’adozione di una normativa ad hoc può assumere, nello stimolo agli operatori ad utilizzare strumenti che l’ordinamento già pone a disposizione dei soggetti in linea generale. Lo stesso rilievo vale per quello che si avvia a diventare un «classico» della crisi coniugale, vale a dire il rilievo che l’eventuale instaurazione di una convivenza more uxorio – da parte dell’uno o dell’altro dei contraenti – può dispiegare sull’efficacia dell’assetto postmatrimoniale. Anche in questo caso è opportuno che le parti s’accordino, espressamente, attribuendo o negando rilievo a tale eventualità [17].

       L’ottavo comma dell’art. 162-bis c.c. configura un vero e proprio trust all’italiana a tutela di uno dei (rari) casi in cui l’importazione dell’istituto anglosassone ha veramente un senso ed una sua causa meritevole di protezione da parte dell’ordinamento giuridico, vale a dire la cura o il sostegno di figli portatori di handicap.

       La materia dei trasferimenti e della costituzione di diritti è trattata sia dal citato comma ottavo (trasferimento in favore di un fiduciario ed eventuale ritrasferimento in capo al conferente o in capo a terzi beneficiari finali, quali gli stessi figli), sia dal comma quinto dello stesso art. 162-bis c.c., che contempla la possibilità per le parti di regolare i rapporti postmatrimoniali reciproci (nonché quelli relativi alla prole: ma pure in questo caso è evidente la necessità di una autorizzazione diretta a riscontrare nella specie la rispondenza agli interessi dei figli minori) anche a mezzo dei citati atti traslativi. Come è oggi già consentito in sede di contratti della crisi coniugale, il trasferimento o la costituzione potranno avere nel contratto preventivo la struttura del mero impegno a trasferire (o a costituire), così come la struttura della traslazione o costituzione con efficacia reale, sottoposta alla condizione sospensiva della crisi coniugale. Si è ritenuto di dover precisare che, nel primo caso, gli impegni ad operare il trasferimento della proprietà o la costituzione di diritti reali sono assistiti, in caso di inadempimento, dal rimedio di cui all’art. 2932 c.c.

       L’eventuale funzione traslativa delle intese in discorso doveva poi trovare un riscontro nelle disposizioni in tema di pubblicità. Così, mentre si chiarisce, a scanso di equivoci, che anche la scrittura privata autenticata da avvocato, ex art. 162-bis c.c., è titolo idoneo alla trascrizione ai sensi dell’art. 2657 c.c., il nuovo art. 2647-bis c.c. si occupa di fornire di adeguata pubblicità dichiarativa tali accordi, mentre all’art. 2653 c.c. viene aggiunto un n. 6), che consente la trascrizione delle domande giudiziali dirette all’adempimento delle obbligazioni assunte ai sensi dei commi quinto, sesto, settimo e ottavo dell’articolo 162-bis, qualora abbiano ad oggetto l’impegno ad effettuare il trasferimento della proprietà o la costituzione di un diritto reale per effetto delle citate convenzioni. La pubblicità delle domande di mero accertamento di effetti reali legati al verificarsi di eventi della crisi coniugale pare invece già «coperta» dal n. 1) del citato articolo.

       La pubblicità per annotazione sull’atto di matrimonio sarà poi richiesta per le convenzioni che operano la modifica del regime patrimoniale, come disposto dal secondo comma dell’art. 162-bis c.c.

 

       Il problema dell’adeguamento dei patti al mutamento delle circostanze è stato risolto in senso favorevole al mantenimento di un notevole grado di «certezza» dei rapporti, mercé l’espressa esclusione dell’operatività della clausola rebus sic stantibus (che la volontà delle parti potrà invece sicuramente introdurre, dandosi peraltro carico di specificare con sufficiente precisione quali circostanze determineranno il mutamento, e in quale misura, degli impegni assunti). Viene invece espressamente richiamato dal dodicesimo comma dell’art. 162-bis c.c. il generale rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. D’altro canto si è anche chiarito che le parti, al fine di attribuire all’intesa il massimo livello di certezza ipotizzabile, potranno escludere anche la possibilità di fare ricorso al citato rimedio, avvalendosi della facoltà in linea generale concessa dall’art. 1469 c.c.

       Completa la proposta di legge l’idea di estendere ai patti in discorso il contenuto dell’art. 19 della legge n. 74/1987, disposizione che si però si trova, nel momento in cui si vergano le presenti note, in articulo mortis [18]. E’ peraltro universalmente riconosciuto il contributo che la disposizione in esame ha dato alla consensualizzazione delle crisi coniugali e, in definitiva, alla positiva soluzione di almeno una parte del folto ed intricato contenzioso familiare, ciò che depone in senso favorevole al suo mantenimento.

 

* * *

 

Modifiche al codice civile, alla legge 1º dicembre 1970, n. 898 ed alla legge 6 marzo 1987, n. 74,

in materia accordi preventivi sulla crisi coniugale [19]

 

 

Art. 129 c.c.Diritti dei coniugi in buona fede.

 

1. Quando le condizioni del matrimonio putativo si verificano rispetto ad ambedue i coniugi, il giudice può disporre a carico di uno di essi e per un periodo non superiore a tre anni l’obbligo di corrispondere somme periodiche di denaro, in proporzione alle sue sostanze, a favore dell’altro, ove questi non abbia adeguati redditi propri e non sia passato a nuove nozze.

2. Per i provvedimenti che il giudice adotta riguardo ai figli, si applica l’articolo 155.

3. L’applicazione delle disposizioni del presente articolo è esclusa nel caso le parti abbiano stipulato una convenzione ai sensi dell’articolo 162-bis per il caso di annullamento del matrimonio. In tale caso il giudice attribuisce alla convenzione efficacia di titolo esecutivo.

 

 

Art. 129-bis c.c.Responsabilità del coniuge in mala fede e del terzo.

 

1. Il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio , è tenuto a corrispondere all’altro coniuge in buona fede, qualora il matrimonio sia annullato, una congrua indennità, anche in mancanza di prova del danno sofferto. L’indennità deve comunque comprendere una somma corrispondente al mantenimento per tre anni. E’ tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati.

2. Il terzo al quale sia imputabile la nullità del matrimonio è tenuto a corrispondere al coniuge in buona fede, se il matrimonio è annullato, l’indennità prevista nel comma precedente.

3. In ogni caso il terzo che abbia concorso con uno dei coniugi nel determinare la nullità del matrimonio è solidalmente responsabile con lo stesso per il pagamento dell’indennità.

4. L’applicazione delle disposizioni del presente articolo è esclusa nel caso le parti abbiano stipulato una convenzione ai sensi dell’articolo 162-bis per il caso di annullamento del matrimonio. In tale caso il giudice attribuisce alla convenzione efficacia di titolo esecutivo.

 

 

Art. 156 c.c.Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi.

 

1. In difetto di apposito accordo preventivo sulla crisi coniugale, stipulato ai sensi dell’articolo 162-bis, il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri.

2. L’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato.

3. Resta fermo l’obbligo di prestare gli alimenti di cui agli articoli 433 e seguenti.

4. Il giudice dà atto dell’esistenza di un accordo preventivo sulla crisi coniugale, stipulato ai sensi dell’articolo 162-bis, dichiarandolo titolo esecutivo. Tale dichiarazione può essere emessa in qualunque stato e grado del processo, compresa la fase presidenziale.

5. Il giudice che pronunzia la separazione può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all’adempimento degli obblighi previsti dai precedenti commi e dall’articolo 155.

6. La sentenza costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’articolo 2818.

7. In caso di inadempienza, su richiesta dell’avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato, che una parte di essa venga versata direttamente agli aventi diritto.

8. Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti.

 

 

Art. 162-bis c.c.Accordi preventivi sulla crisi coniugale.

 

1. I futuri coniugi, prima della celebrazione delle nozze, ed i coniugi, sino alla presentazione del ricorso di separazione personale, possono stipulare, con la stessa forma prevista nell’articolo 162, convenzioni volte a disciplinare le condizioni ed i rapporti patrimoniali dipendenti dall’eventuale separazione personale, così come dall’eventuale annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

2. I predetti accordi possono anche essere conclusi mediante scrittura privata autenticata da avvocato iscritto all’albo speciale di cui all’art. 33, r.d. 27 novembre 1933, n. 1578. In tal caso l’atto deve altresì contenere, a pena di nullità dell’accordo, le distinte dichiarazioni di due avvocati iscritti all’albo speciale di cui all’art. 33, r.d. 27 novembre 1933, n. 1578, con le quali si attesta che ciascuna delle due parti è stata informata sulle conseguenze degli accordi in oggetto. L’autentica così rilasciata attribuisce alle convenzioni la natura di atti idonei alla trascrizione, ai sensi dell’art. 2657. I patti comportanti modifica delle regole in tema di scioglimento di uno dei regimi patrimoniali disciplinati dagli articoli da 159 a 230-bis debbono essere stipulati comunque con il rispetto della forma prescritta dall’articolo 162 c.c. e sono soggetti alla pubblicità prevista da tale disposizione. Le regole in materia di forma di cui al presente articolo non si applicano agli accordi conclusi in sede di separazione personale in vista del divorzio.

3. Le convenzioni riguardanti i figli minori nati o nascituri devono essere autorizzate dal tribunale ordinario in camera di consiglio. Il relativo ricorso va presentato dalle parti dinanzi al tribunale del luogo di residenza della famiglia. Il procedimento è disciplinato dagli artt. 737 ss. c.p.c.

4. Nel caso la convenzione sia stata stipulata prima della celebrazione del matrimonio o prima della nascita di figli, il ricorso può essere presentato solo una volta celebrato il matrimonio, se la coppia ha già almeno un figlio, oppure, in caso contrario, alla nascita del primo figlio; esso va successivamente ripresentato, eventualmente operate le opportune modifiche alla convenzione, dopo la nascita di ciascun altro figlio della coppia. Quando l’accordo dei coniugi relativamente all’affidamento e al mantenimento dei figli è in contrasto con l’interesse di questi il giudice rifiuta allo stato l’autorizzazione.

5. Con gli accordi in oggetto un coniuge può prevedere l’attribuzione all’altro, così come alla prole, al verificarsi di uno degli eventi sopra descritti, di una somma di denaro periodica, o una somma di denaro una tantum, ovvero un diritto reale su uno o più beni mobili o immobili.

6. Le parti possono anche costituire su uno o più immobili o mobili iscritti in pubblici registri un vincolo di destinazione ai sensi dell’articolo 2645-ter, in favore dei coniugi stessi, o di uno solo di essi, così come dei figli, sia per la durata del rapporto matrimoniale, che dopo l’eventuale verificarsi della separazione personale, dell’annullamento o dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio.

7. Le parti possono predeterminare, oltre all’ammontare e all’oggetto delle eventuali prestazioni da corrispondere a seguito della separazione personale o dell’annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche le condizioni delle predette prestazioni, ivi compresa l’eventuale cessazione di quelle periodiche o, al contrario, la persistente debenza delle stesse a seguito dell’instaurazione di una convivenza more uxorio da parte dell’uno o dell’altro dei contraenti. Esse possono anche contenere la rinunzia, totale o parziale, di una delle parti al mantenimento da parte dell’altra, così come alle prestazioni patrimoniali previste dagli articoli 129 e 129-bis o all’assegno previsto dalle disposizioni in tema di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, salvo il diritto dei coniugi agli alimenti ai sensi degli articoli 433 e seguenti.

8. Un coniuge può anche trasferire, o impegnarsi a trasferire, all’altro coniuge o ad un terzo beni o diritti destinati al mantenimento, alla cura o al sostegno di figli portatori di handicap per la durata della loro vita o fino a quando permane lo stato di bisogno, la menomazione o la disabilità a causa dell’handicap.

9. Gli impegni ad operare il trasferimento della proprietà o la costituzione di diritti reali ai sensi dei commi quinto e ottavo del presente articolo sono assistiti, in caso di inadempimento, dal rimedio di cui all’articolo 2932.

10. Le parti possono stabilire un criterio di adeguamento automatico del valore delle attribuzioni patrimoniali predisposte con la convenzione.

11. In tali convenzioni, in deroga al divieto dei patti successori e alle norme in tema di riserva del coniuge legittimario, possono essere previste anche norme per la successione di uno o di entrambi i coniugi, salvi i diritti degli altri legittimari. Questi patti debbono essere stipulati comunque con il rispetto della forma prescritta dall’articolo 162 c.c.

12. Salvo patto contrario, le convenzioni di cui al presente articolo non sono passibili di modificazione o revisione ai sensi degli articoli 710 c.p.c. e 9, legge 1° dicembre 1970, n. 898 e successive modifiche. Alle convenzioni di cui al presente articolo trova applicazione l’articolo 1467 c.c. Resta ferma la possibilità di attribuire alla convenzione la natura di contratto aleatorio ai sensi dell’articolo 1469 c.c.

13. Alla modificazione delle convenzioni di cui ai commi precedenti si procede con la stessa forma prevista al primo ed al secondo comma.

 

 

Art. 191 c.c.Scioglimento della comunione.

 

1. La comunione si scioglie per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi, per l’annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, per la separazione personale, per la separazione giudiziale dei beni, per mutamento convenzionale del regime patrimoniale, per il fallimento di uno dei coniugi.

2. Nel caso di separazione personale consensuale la comunione si scioglie per effetto del decreto di omologazione dell’accordo di separazione. Nel caso di separazione personale giudiziale, la comunione si scioglie al momento dell’emanazione del provvedimento con cui il presidente autorizza i coniugi a vivere separati.

3. L’eventuale riconciliazione ai sensi dell’articolo 154 determina l’automatica ricostituzione del regime legale con efficacia retroattiva.

4. Nel caso di azienda di cui alla lettera d) dell’articolo 177, lo scioglimento della comunione può essere deciso, per accordo dei coniugi, osservata la forma prevista dall’articolo 162.

 

 

Art. 194 c.c.Divisione dei beni della comunione.

 

1. La divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo in parti eguali l’attivo e il passivo, salva diversa disposizione contenuta nella convenzione stipulata ai sensi degli articoli 162 o 162-bis. In tale ultimo caso la convenzione necessita del rispetto della forma prescritta dall’articolo 162.

2. Il giudice, in relazione alle necessità della prole e all’affidamento di essa, può costituire a favore di uno dei coniugi l’usufrutto su una parte dei beni spettanti all’altro coniuge.

 

 

Art. 210 c.c.Modifiche convenzionali alla comunione legale dei beni.

 

1. I coniugi possono, mediante convenzione stipulata a norma dell’articolo 162, o a norma dell’articolo 162-bis, in quest’ultimo caso stipulata con il rispetto della forma prescritta dall’articolo 162, modificare il regime della comunione legale dei beni purché i patti non siano in contrasto con le disposizioni dell’articolo 161.

3. I beni indicati alle lettere c), d) ed e) dell’articolo 179 non possono essere compresi nella comunione convenzionale.

3. [Terzo comma abrogato]

 

 

Art. 2647-bisTrascrizione degli accordi preventivi sulla crisi coniugale.

 

Gli accordi preventivi sulla crisi coniugale stipulati ai sensi dei commi quinto, sesto, settimo e ottavo dell’articolo 162-bis devono essere trascritti, se hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà o la costituzione di diritti reali su beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri.

Gli atti enunciati nel comma precedente non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi.

 

 

Art. 2653 – Altre domande e atti soggetti a trascrizione a diversi effetti.

 

Devono parimenti essere trascritti:

1) le domande dirette a rivendicare la proprietà o altri diritti reali di godimento su beni immobili e le domande dirette all’accertamento dei diritti stessi.

La sentenza pronunciata contro il convenuto indicato nella trascrizione della domanda ha effetto anche contro coloro che hanno acquistato diritti dal medesimo in base a un atto trascritto dopo la trascrizione della domanda;

2) la domanda di devoluzione del fondo enfiteutico.

La pronunzia di devoluzione ha effetto anche nei confronti di coloro che hanno acquistato diritti dall’enfiteuta in base a un atto trascritto posteriormente alla trascrizione della domanda;

3) le domande e le dichiarazioni di riscatto nella vendita di beni immobili.

Se la trascrizione di tali domande o dichiarazioni è eseguita dopo sessanta giorni dalla scadenza del termine per l’esercizio del riscatto, restano salvi i diritti acquistati dai terzi dopo la scadenza del termine medesimo in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda o della dichiarazione;

4) le domande di separazione degli immobili dotali e quelle di scioglimento della comunione tra coniugi avente per oggetto beni immobili.

La sentenza che pronunzia la separazione o lo scioglimento non ha effetto a danno dei terzi che, anteriormente alla trascrizione della domanda, hanno validamente acquistato dal marito diritti relativi a beni dotali o a beni della comunione;

5) gli atti e le domande che interrompono il corso dell’usucapione di beni immobili.

L’interruzione non ha effetto riguardo ai terzi che hanno acquistato diritti dal possessore in base a un atto trascritto o iscritto, se non dalla data della trascrizione dell’atto o della domanda.

Alla domanda giudiziale è equiparato l’atto notificato con il quale la parte, in presenza di compromesso o di clausola compromissoria, dichiara all’altra la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri.

6) le domande giudiziali dirette all’adempimento delle obbligazioni assunte ai sensi dei commi quinto, sesto, settimo e ottavo dell’articolo 162-bis, qualora abbiano ad oggetto l’impegno ad effettuare il trasferimento della proprietà o la costituzione di un diritto reale per effetto delle citate convenzioni. La sentenza pronunciata contro il convenuto indicato nella trascrizione della domanda ha effetto anche contro coloro che hanno acquistato diritti dal medesimo in base a un atto trascritto dopo la trascrizione della domanda.

 

 

Legge n. 898/1970

Art. 5, comma 6

 

6. Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, in difetto di apposito accordo preventivo sulla crisi coniugale, stipulato ai sensi dell’articolo 162-bis, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Il giudice dà atto dell’esistenza di un accordo preventivo sulla crisi coniugale, stipulato ai sensi dell’articolo 162-bis, dichiarandolo titolo esecutivo. Tale dichiarazione può essere emessa in qualunque stato e grado del processo, compresa la fase presidenziale.

 

 

Legge n. 74/1987

Art. 19

 

1. Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti, ivi comprese le convenzioni di cui all’articolo 162-bis c.c., relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi, ovvero di annullamento, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli articoli 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonché a quelli di cui agli articoli 155 e 156 c.c. sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa.

 

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[1] Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 485 ss.

[2] Per i richiami si rinvia a Oberto, Contratti prematrimoniali e accordi preventivi sulla crisi coniugale, in Fam. dir., 2012, p. 69 ss., 80 ss.; per un successivo caso cfr. Id., Gli accordi prematrimoniali in Cassazione, ovvero quando il distinguishing finisce nella Haarspaltemaschine, nota a Cass., 21 dicembre 2012, n. 23713, in Fam. dir., 2013, p. 321 ss. Per una decisione ulteriormente successiva v. Cass., 21 agosto 2013, n. 19304, con il quale si è deciso che è valida la clausola inserita in un contratto di mutuo stipulato tra i coniugi durante il matrimonio con la quale si prevede, in caso di separazione, la restituzione della somma prestata. Di contro alla tesi del coniuge debitore, che allegava la nullità dell’impegno per contrarietà «all’ordine pubblico e al buon costume, perché equivale a porre delle limitazioni alle altrui fondamentali libertà», soggiungendo che «il diritto a separarsi del coniuge è diritto “personalissimo” che non tollera alcuna forma di limitazione» e sottolineando l’ «impossibilità di “negoziare” i diritti e i doveri che scaturiscono dal matrimonio», la Cassazione ha chiarito che nessuna norma imperativa impedisce ai coniugi, in costanza di matrimonio, di riconoscere l’esistenza di un debito verso l’altro e di subordinare la restituzione al verificarsi di un evento futuro ed incerto qual è la separazione coniugale. La Corte ha così stabilito che il richiamo agli artt. 143 e 160 c.c. nella specie era improprio, «perché l’inderogabilità dei diritti e dei doveri che scaturiscono dal matrimonio non viene meno per il fatto che uno dei coniugi, avendo ricevuto un prestito dall’altro, si impegni a restituirlo per il caso della separazione. Che poi l’esistenza di un simile accordo si possa tradurre in una pressione psicologica sul coniuge debitore al fine di scoraggiarne la libertà di scelta per la separazione è questione che nel caso specifico non ha trovato alcun riscontro probatorio; e che comunque, ove pure sussistesse, non si tradurrebbe di per sé nella nullità di un contratto come quello in esame».

[3] Oberto, Contratti prematrimoniali e accordi preventivi sulla crisi coniugale, cit., p. 92 ss.

[4] L’argomento è sviluppato in Oberto, La comunione legale tra coniugi, nel Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni, continuato da Schlesinger, I, Milano, 2010, p. 372 ss.

[5] Cfr., rispettivamente, il d.d.l. S/2629 (XVI) d’iniziativa dei senatori Filippi, Garavaglia e Mazzatorta, comunicato alla Presidenza del Senato il 18 marzo 2011 recante il titolo «Modifiche al codice civile e alla l. 1º dicembre 1970, n. 898, in materia di patti prematrimoniali» e la proposta dell’A.M.I., su cui cfr. Oberto, Contratti prematrimoniali e accordi preventivi sulla crisi coniugale, cit., p. 93 ss., 96 ss.

[6] Proprio per questa ragione lo scrivente è riuscito a far inserire il riferimento all’espressione e al concetto di crise du mariage/marriage crisis, anziché a quello di divorce, in seno ai lavori del gruppo SATURN della CEPEJ del Consiglio d’Europa, al fine di rendere comparabili tra di loro i dati sull’efficienza della giustizia in tale settore nei Paesi membri del Consiglio d’Europa: cfr. ad es. il meeting report di cui alla pagina web seguente: https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?id=1944035&Site=COE, nonché il questionario disponibile alla pagina web seguente: http://www.coe.int/t/dghl/cooperation/cepej/meetings/2012/13_2012_Saturn_questinnaire_fr.asp.

[7] Cass., 13 gennaio 1993, n. 348, in Corr. giur., 1993, p. 822 con nota di Lombardi; in Giur. it., 1993, 1, 1, c. 1670 con nota di Casola; in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, p. 950, con note di Cubeddu e di Rimini; in Vita not., 1994, p. 91, con nota di Curti; in Contratti, 1993, p. 140, con nota di Moretti.

[8] Su questi temi si fa rinvio a Oberto, Del «Galateo postmatrimoniale»: ovvero gli accordi sui comportamenti e sul cognome maritale tra separati e divorziati, in Riv. notar., 1999, p. 337 ss.

[9] Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 700 ss.

[10] I fondamenti della nota teoria di Francesco Santoro-Passarelli sono rinvenibili in Santoro-Passarelli, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, in Dir. giur., 1945, p. 3 ss. e in Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961, p. 381 ss., su cui cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 103 ss., 116 ss. Sul tema v. inoltre Zoppini, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in Riv. dir. civ., 2001, p. 213 ss.; Bocchini, Autonomia negoziale e regimi patrimoniali familiari, in Riv. dir. civ., 2001, p. 446 ss. (lo scritto è anche pubblicato in Aa.Vv., Autonomia negoziale tra libertà e controlli, a cura di Fuccillo, Napoli, 2002, p. 93 ss.); Autorino Stanzione, Autonomia negoziale e rapporti coniugali, in Rass. dir. civ., 2004, p. 3 ss.; Costanza, Rapporti patrimoniali e autonomia privata, in Aa.Vv., Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da Ferrando, II, Rapporti personali e patrimoniali, Bologna, 2008, p. 256 ss.; S. Patti, I rapporti patrimoniali tra coniugi. Modelli europei a confronto, ibidem, p. 235 ss.; Criaco, Liberalità e rapporti patrimoniali tra coniugi, Milano, 2008, p. 12 ss.

[11] Tramite tale clause alsacienne, invero, le coppie che optano in Francia per il regime di comunione universale possono stabilire che, in caso di scioglimento per divorzio, ognuno dei coniugi riprenderà gli apporti alla comunione (cfr. Malaurie e Aynès, Les régimes matrimoniaux, Paris, 2007, p. 89, p. 325 s.). Il risultato perseguito è sicuramente commendevole. Come rilevato dalla dottrina transalpina (Brun-Wauthier, Régimes matrimoniaux et régimes patrimoniaux des couples non mariés, Orléans, 2009, p. 267), «En période de divortialité galopante, on peut comprendre la préoccupation des époux de faire en sorte que le bénéfice susceptible d’être tiré du régime matrimonial soit minimal en cas de divorce et maximal en cas de décès. La clause de liquidation alternative répond à cette attente (également dénommée clause alsacienne en raison de son développement par les praticiens alsaciens en réponse à la fréquence de la communauté universelle dans cette région, pour des raisons historiques). Elle consiste, dans le cas d’une communauté universelle, à liquider celle-ci différemment selon la cause de dissolution. En cas de dissolution par décès, les règles de la communauté universelle s’appliquent. Au contraire, en cas de dissolution par divorce, la liquidation est réalisée comme s’il s’agissait d’une communauté réduite aux acquêts, par la possibilité offerte à chacun des époux de reprendre ses “apports”, c’est-à dire les biens qui auraient été propres en régime légal ou les biens non constitutifs d’acquêts» (in generale sulla clause alsacienne v. anche i riferimenti in Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 386, nota 171; II, Milano, 2010, p. 1671, nota 198). La clausola viene da tempo ritenuta, dalla giurisprudenza, conforme al sistema del Code civil: nel senso che «Ne porte pas atteinte au principe de l’immutabilité des conventions matrimoniales la clause par laquelle, dans le cadre d’un régime de communauté universelle, chaque époux reprendrait, en cas de dissolution de la communauté par divorce, les biens tombés dans la communauté de son chef» v. App. Colmar, 16 maggio 1990, in Rép. Defrénois, 1990,  p. 1361, con nota di Champenois; in JCP, 1991, éd. N., II, p. 17, con nota di Simler. Ancora vent’anni dopo la validità della clausola è stata ribadita da Cass.1ère civ., 17 novembre 2010, n° 09-68292, la quale ha affermato che la stessa «ne confère aucun avantage matrimonial», confermando l’avviso della dottrina, secondo cui «loin de conférer un avantage, son effet est de faire obstacle à ce qu’un avantage matrimonial se réalise» (Simler, La validité de la clause de liquidation alternative de la communauté universelle menacée par le nouvel article 265 du Code civil, in JCP, N 2005, 1265). Anche per Cass.1ère civ., 17 janvier 2006, la clausola è valida, costituendo «un aménagement des règles du partage (le bien repris est commun), qui ne porte  pas atteinte à l’immutabilité ou à l’unicité du régime matrimonial». Essa ha infine ricevuto un ulteriore avallo dalla riforma francese del 23 giugno 2006 (sulle successioni e liberalità), in vigore dal 1° gennaio 2007, che ha introdotto un terzo comma all’art. 265 del Code, a mente del quale «si le contrat de mariage le prévoit, les époux pourront toujours reprendre les biens qu’ ils auront apportés à la communauté». Il successo che siffatto tipo di intesa ha ottenuto, unitamente all’introduzione della disposizione normativa testé citata, aprono il varco a nuove audacie applicative, sempre nel segno di un’ampliata libertà negoziale: «Dans l’hypothèse dans laquelle les époux auraient prévu une communauté universelle avec attribution intégrale au survivant, ils pourraient prévoir une double clause : une clause de reprise des apports en cas de divorce et une clause d’exclusion de reprise des apports en cas de décès. On pourrait, également, songer à la clause qui exclurait, dans le contrat de mariage portant adoption du régime de participation aux acquêts, le calcul de la créance de participation en cas de dissolution du mariage par divorce. Les époux préféreront organiser par anticipation une telle modulation, plutôt que d’opérer un changement de régime, plus onéreux, durant leur mariage» (Brun-Wauthier, op. loc. ultt. citt).

[12] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 172 ss., 380 ss.; II, cit., p. 1652 ss., 2020, nota 40.

[13] Che, come noto, il Carnelutti ricollegava al proprium della funzione notarile: cfr. Carnelutti, La figura giuridica del notaio, in Riv. notar., 1951, p. 8.

[14] Su cui v., anche per i richiami alla dottrina dei sistemi di common law, Oberto, Contratti prematrimoniali e accordi preventivi sulla crisi coniugale, cit., p. 73, 88, 94. Tanto per portare un ulteriore esempio, questa volta tratto dall’esperienza di civil law, anche l’art. 231-20 del Codi Civil de Catalunya stabilisce, al comma secondo, che il notaio, prima di rogare il patto prematrimoniale, «ha d’informar per separat cadascun dels atorgants sobre l’abast dels canvis que es pretenen introduir amb els pactes respecte al règim legal supletori i els ha d’advertir de llur deure recíproc de proporcionar-se la informació a què fa referència l’apartat 4» (vale a dire l’informazione reciproca sui redditi e patrimoni dei contraenti).

[15] Sulla natura sostanzialmente omologatoria della «sentenza» di cui alla citata disposizione cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, Milano, 1999, p. 1338 ss.

[16] Il dubbio è sollevato da G. Gabrielli, Vincoli di destinazione importanti separazione patrimoniale e pubblicità nei registri immobiliari, in Riv. dir. civ., 2007, p. 321 ss. Contra Oberto, Le destinazioni patrimoniali nell’intreccio dei rapporti familiari, in Aa. Vv., Le destinazioni patrimoniali, a cura di R. Calvo e A. Ciatti, nel Trattato dei contratti, a cura di E. Gabrielli e P. Rescigno, in corso di stampa.

[17] Ovviamente le clausole dovranno tenere conto del necessario rispetto dei principi d’ordine pubblico: così, ad esempio, non sarebbe valido l’impegno a non iniziare una convivenza more uxorio: il tema è sviluppato in Oberto, Del «Galateo postmatrimoniale»: ovvero gli accordi sui comportamenti e sul cognome maritale tra separati e divorziati, cit., p. 337 ss.

[18] Cfr. art. 10, comma quarto, d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, così come modificato dal d.lgs. 12 settembre 2013, n. 104, in vigore (salvo sorprese dell’ultima ora) dal 1° gennaio 2014, il quale prevede che, con l’entrata in vigore delle nuove modalità di tassazione dei trasferimenti immobiliari, siano «soppresse tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie, anche se previste in leggi speciali».

[19] Per una più agevole comprensione si è preferito presentare un testo già coordinato. Le modifiche proposte sono evidenziate in grassetto.