2. Simulazione della e simulazione nella crisi coniugale. Fatto e diritto nella sentenza in esame.

 

           Venendo dunque alla disamina del caso sottoposto all’attenzione dei Supremi Giudici notiamo, innanzi tutto, che qui non ci si trova di fronte ad una simulazione della separazione in quanto tale, bensì ad una simulazione di un accordo inserito nel più ampio contesto delle condizioni concordate ex art. 158 c.c. ed omologate dal tribunale. Da un punto di vista teorico, però, i due profili – quello, cioè, della simulazione della separazione e quello della simulazione nella separazione, se mi si passa il gioco di parole – investono comunque la medesima serie di questioni, analizzate nel corso dei paragrafi seguenti, tutte imperniate sulla astratta configurabilità di un procedimento simulatorio ([34]) in relazione ad atti per il perfezionamento dei quali è previsto un intervento giurisdizionale.

           Per ciò che attiene ai fatti di causa, va subito detto che le parti, in sede di separazione consensuale, avevano convenuto, tra l’altro, quanto segue:

-         affidamento alla moglie del figlio minore,

-         assegnazione della casa coniugale al marito,

-         erogazione di un assegno di mantenimento per la moglie ed il figlio a carico del marito.

           Successivamente, la moglie aveva convenuto in giudizio il marito con procedura ex art. 710 c.p.c., facendo valere ([35]), in maniera, a dire il vero, assai contraddittoria ([36]), l’invalidità dell’intesa, sia per via di un’asserita situazione di violenza morale ([37]), che per effetto di una pretesa simulazione dell’accordo omologato, per ciò che atteneva il diritto del marito di permanere nella casa coniugale; tale diritto era stato di fatto concesso alla moglie, in contrasto con quanto previsto negli accordi omologati, sino «all’ottobre 1993, quando [il marito] aveva ingiunto [alla moglie] di lasciare la casa coniugale e comunicato di essersi messo in pensione, cosicché non le avrebbe più corrisposto l’assegno pattuito». Sulla base di queste premesse la moglie aveva chiesto la modifica delle condizioni della separazione, ma il tribunale aveva rigettato la domanda, in quanto in essa non erano stati dedotti mutamenti della situazione dei coniugi, ma circostanze non deducibili con la procedura attivata, consistenti nell’allegata esistenza di accordi diversi da quelli sottoscritti in sede di separazione consensuale.

           La moglie aveva allora proposto reclamo, deducendo che il mutamento della situazione doveva essere ravvisato nella scoperta del «programma espoliativo» posto in essere dal marito, che l’aveva a tal fine indotta ad accettare le suddette condizioni di separazione, assicurandole la permanenza nella casa coniugale con il figlio, la vendita di essa con la divisione del prezzo e il pagamento dell’assegno pattuito, mentre poi aveva preteso la consegna della casa e aveva smesso di pagare l’assegno. La corte d’appello aveva però confermato la decisione di primo grado, osservando che il thema decidendum introdotto riguardava la simulazione dell’atto di separazione e non la sua modifica, cosicché la domanda non poteva essere proposta con la procedura adottata, nella quale non poteva essere accertato neppure un eventuale vizio del consenso.

           La Cassazione, nella sentenza in esame, conferma tale impostazione, riconoscendo, senza esitazioni, quanto meno in linea di principio, l’ammissibilità nei confronti dell’accordo di separazione consensuale dei classici rimedi negoziali, da esperirsi attraverso un’azione ordinaria ([38]) e non già con il procedimento ex art. 710 c.p.c. Tramite quest’ultima procedura, secondo i supremi giudici, può farsi valere unicamente – giusta il disposto dell’art. 156, settimo comma, c.c., applicabile analogicamente alla separazione consensuale – la «sopravvenienza di fatti nuovi, che abbiano alterato la situazione preesistente, mutando i presupposti in base ai quali il giudice o le parti avevano stabilito le condizioni della separazione». La decisione in commento conferma inoltre il giudizio espresso dalla corte d’appello, secondo cui «la contestualità di diversi accordi verbali, coevi a quelli scritti ed omologati, non integra modifica di questi ultimi, ma simulazione dell’atto omologato».

           Riassumendo il decisum della pronunzia in commento, si potrà affermare che, secondo la Cassazione,

a)      simulazione e vizi del consenso sono astrattamente configurabili nei confronti di un accordo di separazione consensuale omologato;

b)     essi possono essere fatti valere soltanto tramite un giudizio ordinario;

c)      essi non possono essere fatti valere con il giudizio camerale ex artt. 710-711 c.p.c.;

d)     non è necessario agire sul decreto di omologazione, chiedendone la modifica o la revoca (posto che nessun riferimento viene fatto, nella pronunzia in esame, al rimedio ex art. 742 c.p.c.);

e)      per ciò che attiene più specificamente all’ipotesi della simulazione, il rapporto tra intese a latere (eventualmente anche solo verbali) coeve all’accordo scritto ed omologato e quest’ultimo si pone esattamente come si potrebbe porre in relazione a qualsiasi contratto di cui si alleghi la nullità per simulazione.

 

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([34]) Nelle sue forme, beninteso, tanto assoluta che relativa, con l’unica precisazione che la prima è l’unica immaginabile per il caso della simulazione della separazione (o del divorzio), mentre l’alternativa tra le due tradizionali forme di manifestazione del fenomeno simulatorio si ripresenta per ciò che attiene alle condizioni della separazione (o del divorzio).

([35]) Stando, almeno, al resoconto che dello «svolgimento del processo» fa la sentenza di legittimità.

([36]) La violenza (morale) presuppone infatti comunque la presenza di un consenso, ancorché viziato (etsi coactus, tamen volui, secondo il noto brocardo); rileva l’intrinseca contraddittorietà di una domanda fondata, in relazione agli stessi fatti, sul dolo e sulla simulazione di un accordo di separazione App. Milano, 22 febbraio 1983, in Dir. fam. pers., 1983, 578.

([37]) Così, infatti, parrebbe doversi leggere il richiamo in motivazione al fatto che il marito «aveva minacciato [la moglie] di impadronirsi della casa coniugale».

([38]) Così afferma testualmente la motivazione: «restando quindi l’allegazione degli eventuali vizi dell’accordo di separazione, ovvero della sua simulazione, rimessi al giudizio ordinario, secondo le regole generali».

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