Giacomo Oberto

 

LA SCUOLA DELLA MAGISTRATURA ITALIANA

ALLA LUCE DEI PRINCIPI INTERNAZIONALI

E DEI PROFILI DI DIRITTO COMPARATO

 

 

«Erudimini, qui iudicatis terram».

(Libro dei salmi. Salmo 2).

 

 

Indice sommario:

 

PREFAZIONE

 

CAPITOLO I

I PRINCIPI INTERNAZIONALI SULLA FORMAZIONE DEI MAGISTRATI

 

1. I principi internazionali sulla formazione. Un quadro generale.

2. La formazione dei magistrati e i principi internazionali in materia.

3. La formazione dei magistrati e il parere n. 4 del Consiglio consultivo dei giudici europei, costituito presso il Consiglio d’Europa.

 

 

CAPITOLO II

LE PRINCIPALI ESPERIENZE EUROPEE DI FORMAZIONE DEI MAGISTRATI

 

4. Reclutamento e formazione dei magistrati in Francia. Generalità.

5. Cenni sull’ENM francese e breve cronistoria.

6. Lo status giuridico degli auditeurs de justice francesi.

7. La formazione iniziale presso l’Ecole Nationale de la Magistrature.

8. L’ENM e la formazione continua dei magistrati francesi.

9. La formazione dei magistrati in Germania.

10. La formazione continua dei magistrati in Germania. L’Accademia tedesca della magistratura.

11. La formazione dei magistrati nei Paesi Bassi.

12. La formazione dei magistrati in Portogallo.

13. Il Judicial Studies Board del Regno Unito.

14. Altri istituti e attività di formazione permanente (Belgio e Spagna; ERA ed EIPA; le attività del Consiglio d’Europa nei Paesi dell’Europa Centrale e Orientale).

 

 

CAPITOLO III

L’ORGANIZZAZIONE ISTITUZIONALE DELLA FORMAZIONE DEI MAGISTRATI: TRA LIBERTA’ DI INSEGNAMENTO E TUTELA DELL’INDIPENDENZA

 

15. L’organizzazione istituzionale della formazione dei magistrati: tra libertà di insegnamento e tutela dell’indipendenza; il caso italiano, anche alla luce di alcuni remoti d.d.l.

16. La formazione iniziale dei magistrati in Italia prima della istituzione della Scuola superiore della magistratura.

17. La formazione continua dei magistrati in Italia prima della istituzione della Scuola superiore della magistratura. La formazione decentrata.

 

 

CAPITOLO IV

LA SCUOLA SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA ITALIANA: I PROBLEMI STRUTTURALI

 

18. La Scuola superiore della magistratura nel d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26 e nella l. 30 luglio 2007, n. 111. Generalità.

19. Natura dell’istituto e destinatari della formazione. La relativa struttura e le sue tre sedi.

20. L’impari rapporto tra dotazioni e funzioni della struttura.  

21. Interrogativi e questioni in tema di corpo docente. Statuto e regolamenti interni. Mancanza di un regime transitorio.

 

 

CAPITOLO V

GLI ORGANI DELLA SCUOLA E LE LORO COMPETENZE

 

22. Il comitato direttivo nel sistema del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, prima della riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

23. La composizione del comitato direttivo dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

24. Le competenze del comitato direttivo dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

25.  Gli altri organi della Scuola dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111: presidente del comitato direttivo,  responsabili di settore e segretario generale.

 

 

CAPITOLO VI

FORMAZIONE INIZIALE E FORMAZIONE PERMANENTE DEI MAGISTRATI ITALIANI NEL SISTEMA RIFORMATO. CONCLUSIONI

 

26. La formazione iniziale nel sistema del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, prima della riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

27.  La formazione iniziale dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

28. La formazione continua nel sistema del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, prima della riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

29. La formazione continua dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111. Spunti in tema di formazione decentrata.

30. Conclusioni. La Scuola italiana di fronte ai principi internazionali sulla formazione dei magistrati ed agli altri istituti di formazione giudiziaria europei. Il permanere di una competenza del C.S.M. nel campo della formazione dei magistrati.

 

 

APPENDICI

·        Appendice I

Testo del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26 coordinato con la l. 30 luglio 2007, n. 111.

·        Appendice II

Tabella comparativa del testo originale del d.lgs. n. 26 del 2006 e delle relative disposizioni della l. 30 luglio 2007, n. 111.

·        Appendice III

Tabella comparativa del testo originale del d.d.l. n. 1447/s/xv e del testo del medesimo d.d.l. approvato dalla Commissione Giustizia del Senato, successivamente approvato come l. 30 luglio 2007, n. 111.

 

 

PREFAZIONE

 

Rispetto al tema, assai più vasto, della formazione del giurista [1], quello della formazione del magistrato presenta una caratteristica assolutamente peculiare: intendo riferirmi alla necessità di salvaguardare nella maniera più assoluta quella condizione d’indipendenza che del giudice costituisce la stessa ragion d’essere. Ma il rapporto tra formazione e indipendenza si colloca anche su di un piano diverso. Una curata formazione, invero, rappresenta una delle migliori garanzie per il magistrato, in grado di assicurarne una forma d’autonomia non meno importante di quella rispetto agli altri poteri dello Stato: l’indipendenza, cioè, dall’ignoranza.

Il possesso di una buona cultura giuridica e, prima ancora, di una buona cultura generale, costituiscono, a ben vedere, una condizione indispensabile perché chi è istituzionalmente chiamato ad emettere sentenze possa svolgere degnamente ed in maniera credibile la sua missione. Non per nulla già Baldo degli Ubaldi rilevava come la mente del giudice dovesse possedere due «sali»: quello della coscienza, per non essere diabolica, e quello della conoscenza, per non essere insipida [2]. «Judices debent esse juris, et legum scientia ornati», ammoniva dal canto suo il giureconsulto piemontese Giovanni Antonio ab Ecclesia [3], mentre Jean Domat richiedeva per gli Officiers de Justice un «une connoissance claire, solide, et en ordre des définitions des principes et des règles des diverses matières du Droit, afin de posséder la liaison des règles à leurs principes, et d’en savoir faire l’application aux questions qui sont à juger» [4].

Il tema della formazione del magistrato, sebbene sia venuto alla ribalta negli ultimi anni, non può certo dirsi nuovo. Quasi tre secoli or sono il grande giurista e cancelliere di Francia Henri-François d’Aguesseau redigeva ben cinque Instructions sur les études propres à former un magistrat, indirizzandole al proprio figlio che s’apprestava ad intraprendere la carriera giudiziaria. In tali scritti, dopo avere sottolineato che gli studi «di base» – che definiremmo oggi umanistici – non sarebbero se non una semplice «préparation pour vous élever à des études d’un ordre supérieur» e dopo avere rimarcato che «Ce n’est pas ici l’ouvrage d’un jour, ni même d’une année» [5], il grande cancelliere poneva in evidenza la necessità «de vous former d’abord un plan général des études que vous êtes sur le point d’entreprendre ; de suivre ce plan avec ordre et avec fidélité, et sur-tout de ne point vous effrayer de son étendue». Colpisce, nell’articolato disegno tracciato dall’autore, il paragone tra la formazione del magistrato e la costruzione d’un edificio, secondo un piano prestabilito [6].

E’ chiaro che il ben diverso ruolo che il potere giudiziario è chiamato a svolgere in uno stato di diritto, rispetto ad uno stato autoritario quale quello dell’Ancien Régime, comporta – assai più d’una volta – la necessità d’un procedimento selettivo e formativo dei giudici che non sia più solo una questione privata di singoli giuristi, magari espressione di un milieu privilegiato [7]. L’esigenza è semmai quella di una struttura stabile ed organizzata, in grado di erogare ai magistrati una formazione che consenta loro di rimanere al passo con i tempi e di far fronte alle sfide di una società sempre più complessa e «globale», nella quale il ruolo del giudice appare essere sempre meno quello di semplice bouche de la loi.

Invero, anche senza indulgere a quelle estreme posizioni, talora espresse nei sistemi di common law, al punto da definire il diritto stesso (peraltro non senza suscitare accese polemiche anche oltre Manica ed oltre Oceano) come «the prophecies of what the courts will do in fact, and nothing more pretentious» [8], non vi è dubbio che – per esempio – la frequente presenza, nei sistemi giuridici dell’Europa continentale, di clausole generali [9] conferisca ad un giudice italiano, tedesco o francese poteri che, a ben vedere, non s’allontanano molto da quelli di cui dispone un collega britannico allorquando, tanto per fare un esempio, è chiamato a modificare un contratto tra coniugi separati o divorziati, fondandosi su ciò che «può apparire (...) giusto avuto riguardo a tutte le circostanze» [10]. Lo stesso vale per una sempre crescente quantità di concetti e principi giuridici vaghi e indeterminati, che pongono quotidiane sfide all’attività del giudice, portandolo a divenire uno degli attori di quello che la nostra Corte costituzionale ama definire «il diritto vivente». Del resto, un po’ in tutta Europa può ormai darsi per scontato – e da tempo – l’abbandono dell’idea, coltivata per secoli dai dottori del diritto comune – influenzati sul punto dalla dottrina aristotelica – secondo cui le leggi avrebbero dovuto essere concepite in maniera tale da limitare quanto più possibile la discrezionalità del giudice [11]. Idea, questa, rilanciata ancora con vigore dai philosophes del secolo dei Lumi, quale baluardo nei confronti d’un potere visto come espressione d’una volontà potenzialmente dispotica e capricciosa [12], ma definitivamente tramontata di fronte alla realistica considerazione per cui limitare l’attività giurisdizionale alla meccanica applicazione d’un sistema legislativo predefinito in ogni dettaglio vorrebbe dire autorizzare il giudice ad emettere un non liquet ogni qualvolta il tessuto normativo dovesse apparire lacunoso, contraddittorio o indecifrabile [13].

In definitiva, è chiara ormai in tutto il nostro Continente la consapevolezza – pubblicamente espressa alcuni anni fa dall’allora presidente della Corte costituzionale federale tedesca, Jutta Limbach – che «La decisione del giudice non è solo un processo cognitivo, ma è sempre anche un processo di creazione del diritto» [14]. Nello stesso tempo appare sempre più evidente che la giustizia sembra divenuta, di recente, una sorta di «muro del pianto» al cui cospetto un numero crescente di persone reclamano la garanzia di aspettative che avevano riposto nello stato sociale [15], mentre (e questo è un fenomeno quanto mai chiaro in Italia) i magistrati costituiscono la categoria nei soli confronti della quale vengono poste all’incasso onerose cambiali troppo allegramente firmate dal legislatore.

A tali consapevolezze si accompagna quindi un crescente interesse, nel nostro continente, per il tema della formazione del magistrato, così come della forma che debbono assumere le strutture incaricate di fornire tale servizio, con particolare riguardo, per quanto attiene all’Italia, alla recentissima creazione della Scuola superiore della magistratura. A questi argomenti è dedicata la presente indagine.

 

 

CAPITOLO I

I PRINCIPI INTERNAZIONALI SULLA FORMAZIONE DEI MAGISTRATI

 

 

«The law is a science that requires long study and experience before a man attains proficiency in it».

(Lord A. Denning, The Road to Justice, London, 1955, p. 24).

 

Sommario:

1. I principi internazionali sulla formazione. Un quadro generale.

2. La formazione dei magistrati e i principi internazionali in materia.

3. La formazione dei magistrati e il parere n. 4 del Consiglio consultivo dei giudici europei, costituito presso il Consiglio d’Europa.

 

1. I principi internazionali sulla formazione. Un quadro generale.

 

La storia delle moderne istituzioni europee e mondiali dimostra che, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, si è assistito a livello internazionale all’elaborazione di svariati principi generali in tema di indipendenza della magistratura, uno dei punti cardine della quale è certamente costituito dai sistemi di reclutamento e di formazione, tanto iniziale che continua (o – secondo una diversa dizione – permanente), dei magistrati [16]. A parte le regole fondamentali che, a livello delle grandi convenzioni e dichiarazioni sui diritti dell’uomo, contengono la consacrazione del diritto ad un giudice indipendente e imparziale, pur senza entrare nei dettagli dei presupposti indispensabili perché tale condizione sia effettivamente garantita [17], numerosi convegni, riunioni e congressi, organizzati da associazioni e da organismi internazionali [18], hanno dedicato le loro energie a studiare norme e sistemi tendenti ad assicurare ovunque l’indipendenza della magistratura, occupandosi, tra l’altro, anche del tema della formazione di giudici e pubblici ministeri.

Diverse dichiarazioni solenni sull’argomento sono reperibili negli atti di congressi internazionali, conferenze, seminari. I modelli e i criteri normativi hanno cominciato a circolare un po’ ovunque in Europa e nel mondo intero, tanto che oggi si può parlare non solo di un diritto internazionale sulla protezione dell’indipendenza del potere giudiziario, ma anche di un diritto transnazionale in materia. Oserei dire, addirittura, che poco importa che ben pochi dei testi pertinenti siano dotati di un valore cogente: l’esperienza pratica della vita associativa internazionale dimostra, ad esempio, che taluni documenti «privati», come lo statuto universale del giudice elaborato dall’Unione Internazionale dei Magistrati [19], sono serviti a convincere le autorità politiche di alcuni Paesi di recente democrazia a non porre in atto misure che avrebbero potuto limitare l’indipendenza della magistratura. A maggior ragione, le raccomandazioni ed i pareri emanati dal Consiglio d’Europa e dai suoi comitati, consigli e commissioni, pur se non dotati di carattere vincolante, hanno svolto e stanno svolgendo una formidabile opera di persuasione sui governi dei Paesi dell’Europa centrale e orientale ai fini di un avvicinamento delle rispettive legislazioni a canoni più rispettosi (nei fatti, e non solo nelle proclamazioni di principio) della teoria della separazione dei poteri [20]. A tale proposito, si potrebbe dire che i documenti internazionali relativi al problema dell’indipendenza del potere giudiziario vanno oggi letti e interpretati come un mosaico, un quadro complesso che costituisce un vero e proprio corpus juris internazionale e transnazionale sulla status giuridico dei magistrati.

I risultati più interessanti di questo processo di internazionalizzazione e di transanazionalizzazione delle norme sull’indipendenza della magistratura, derivanti dai principi relativi alla salvaguardia dei diritti dell’uomo, sono oggi consacrati nei seguenti testi:

·        Principi fondamentali sull’indipendenza della magistratura, elaborati nel 1985 dall’ONU, con le relative procedure per la loro efficace applicazione (1989);

·        Statuto del giudice in Europa, elaborato e approvato nel 1993 dall’Associazione europea dei magistrati - Gruppo regionale dell’Unione internazionale dei magistrati;

·        Raccomandazione n. R (94) 12 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri sull’indipendenza, l’efficacia e il ruolo dei giudici (1994);

·        Risoluzione relativa al ruolo del potere giudiziario in uno Stato di diritto, adottata a Varsavia il 4 aprile 1995 dai ministri che hanno partecipato alla tavola rotonda dei ministri della Giustizia dei Paesi dell’Europa centrale e orientale;

·        Carta europea sullo statuto dei giudici, approvata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo, 8-10 luglio 1998;

·        Statuto universale del giudice, approvato all’unanimità dal Consiglio centrale dell’Unione internazionale dei magistrati, nella riunione di Taipeh (Taiwan), il 17 novembre 1999;

·        Raccomandazione n. R (2000) 19 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri sul ruolo dell’ufficio del pubblico ministero nel sistema della giustizia penale (2000);

·        I pareri del Consiglio consultivo dei giudici europei (Consultative Council of European Judges – CCEJ / Conseil Consultatif de Juges Européens – CCJE), emessi annualmente a partire dal 2001 [21];

·        I c.d. «principi di Bangalore» in tema di etica giudiziaria (The Bangalore principles of judicial conduct)(2002).

 

 

2. La formazione dei magistrati e i principi internazionali in materia.

 

L’argomento della formazione dei magistrati è strettamente connesso a quelli dell’indipendenza e dell’effettività del potere giudiziario. La competenza è una condizione sine qua non se si vuole che il giudice possa assolvere al compito che la società civile gli conferisce. «Di un magistrato ignorante – diceva La Fontaine [22] – si ossequia la toga». Se si vuole allora che la toga rivesta un magistrato rispettato dai cittadini e completamente libero nel proprio giudizio, occorre che questi abbia una buona conoscenza delle materie che dovrà trattare. Un magistrato dotato di una buona formazione è certamente un magistrato più indipendente.

Vari sistemi giuridici hanno preso coscienza di quanto sopra e gli stessi organismi internazionali hanno riflettuto sul tema corso degli ultimi anni. Per questo, l’argomento della formazione costituisce in misura crescente oggetto di attenzione nei documenti internazionali relativi alla materia dello statuto dell’indipendenza dei magistrati. Ad esempio, l’art. 10 dei già citati Principi fondamentali relativi all’indipendenza della magistratura, elaborati dall’ONU nel 1985, stabilisce che «le persone selezionate per svolgere le funzioni di magistrato devono essere integre e competenti e dimostrare sufficienti formazione e qualificazione giuridiche». La Carta europea sullo statuto dei giudici, approvata dal Consiglio d’Europa nel 1998, prevede, a sua volta, che «lo statuto assicura, tramite adeguate attività formative di cui si incarica lo Stato, la preparazione dei candidati selezionati all’effettivo esercizio di tali funzioni»; un organo «indipendente dal potere esecutivo e da quello legislativo, in seno al quale siedano almeno per la metà giudici eletti da loro pari, secondo modalità che ne garantiscano la rappresentanza più ampia», vigila «all’adeguamento dei programmi di formazione e delle strutture che li mettono in pratica alle esigenze di apertura, competenza e imparzialità connesse all’esercizio delle funzioni giudiziarie» (artt. 2.3 e 2.1).

Prima ancora che si adottasse questo documento, la già ricordata Raccomandazione n. R (94) 12 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri sull’indipendenza, l’efficacia e il ruolo dei giudici aveva prescritto (cfr. Principio III, 1.a.) agli Stati membri di «reclutare un numero sufficiente di giudici e di far in modo che essi acquisiscano tutta la necessaria formazione, ad esempio una formazione pratica nei tribunali e, possibilmente, in altre amministrazioni e in altri uffici giudiziari, prima della loro nomina e durante la loro carriera. La formazione dovrebbe essere gratuita per il giudice e vertere, in particolare, sulla legislazione recente e la giurisprudenza. All’occorrenza, la formazione dovrebbe comprendere visite di studio presso autorità e tribunali europei e stranieri». Lo stesso documento (cfr. Principio V, 3.G.) stabilisce che «i giudici dovrebbero in particolare assumere le seguenti responsabilità: […] seguire ogni formazione necessaria per l’esercizio delle loro funzioni in modo efficace e adeguato» [23].

Il Consiglio d’Europa, del resto, ha avuto modo di manifestare la propria sensibilità sull’argomento promovendo, ormai diversi anni or sono, una riunione multilaterale dei responsabili della formazione dei vari Paesi membri, nonché dei Paesi dell’Europa centrale e orientale, nel corso di un convegno tenutosi a Lisbona il 27-28 aprile 1995. All’esito di questo incontro, i delegati hanno affermato «la necessità di accordare una particolare priorità alla formazione dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero» ed hanno espresso l’esigenza «di migliorare ed estendere le modalità della formazione, tenendo conto delle specifiche tradizioni dei diversi sistemi giuridici e impegnandosi a rispettare e a incoraggiare l’indipendenza intellettuale dei magistrati». I delegati partecipanti al colloquio hanno altresì sottolineato che «l’esigenza dei giudici e dei magistrati della procura di assicurare l’efficacia della giustizia non deve nuocere a quella di sviluppare la qualificazione e la coscienza professionale dei magistrati stessi» [24]. Ne è così nato quell’organismo denominato «Rete di Lisbona» (Lisbon network / Réseau de Lisbonne), il cui compito principale è di «apprendre aux différentes structures chargées de la formation judiciaire en Europe à mieux se connaître, à échanger sur des thèmes d’intérêt commun ainsi qu’à soutenir, à travers ce dialogue, la création ou le développement de structures de formation judiciaire dans les Etats membres du Conseil de l’Europe». Le riunioni annuali di tale organismo consentono ai rappresentanti degli istituti e delle scuole della magistratura dei Paesi aderenti (ormai quasi tutti i Paesi del continente europeo) di dibattere i temi legati alla formazione dei giudici e dei pubblici ministeri.

Gli auspici del Consiglio d’Europa sono ormai una realtà, ad esempio, in Francia, perlomeno per quanto riguarda l’esistenza di un vero e proprio diritto alla formazione, creato dalla legge n. 92-189 del 25 febbraio 1992. Il testo, che ha modificato l’ordinanza n. 958-1270 del 22 dicembre 1958 (recante Legge organica relativa allo statuto della magistratura), riconosce esplicitamente ai magistrati «il diritto alla formazione permanente». In Italia, invece, il Codice etico dei magistrati, approvato il 7 maggio 1994 dall’Associazione nazionale dei magistrati, stabilisce all’art. 3 che «Il magistrato svolge le sue funzioni con diligenza ed operosità. Conserva ed accresce il proprio patrimonio professionale impegnandosi nell’aggiornamento e approfondimento delle sue conoscenze nei settori in cui svolge la propria attività». La disposizione rientra in un corpo normativo che, come noto, non ha valore di legge; essa impegna tuttavia ogni magistrato sul piano dell’etica professionale a interrogarsi costantemente sul livello della propria professionalità [25]. La successiva entrata in vigore della l. 30 luglio 2007, n. 111 [26], è poi venuta a sancire per il nostro Paese, con carattere vincolante, l’esistenza di un vero e proprio obbligo giuridico di formazione permanente in capo ai magistrati italiani [27]. Analoga «svolta» si è avuta di recente in Francia, ove l’art. 1 della loi organique n° 2007-287 del 5 marzo 2007, relative au recrutement, à la formation et à la responsabilité des magistrats, modificando la prima frase del secondo comma dell’art. 14 dell’ordonnance n° 58-1270 del 22 dicembre 1958, è venuta a prevedere che «Les magistrats sont soumis à une obligation de formation continue», rimettendo peraltro ai decreti di attuazione la determinazione delle concrete modalità di realizzazione di siffatto dovere e senza precisare (come del resto accade nel nostro ordinamento) quali potrebbero essere le eventuali sanzioni in caso di inosservanza.

Dal canto loro, le istituzioni dell’Unione Europea hanno compreso anch’esse che il corretto funzionamento dell’Europa giudiziaria richiede una buona conoscenza, da parte dei giudici e dei pubblici ministeri, dei rispettivi sistemi giuridici, nonché degli strumenti di cooperazione giudiziaria, nazionali ed europei. A questo titolo, la formazione appare uno strumento particolarmente pertinente per favorire gli scambi tra esperti e creare progressivamente una cultura giuridica comune in seno all’Europa, indispensabile condizione preliminare per un’efficace cooperazione a livello giudiziario. Per questo l’Unione Europea ha messo in piedi nel corso degli ultimi due anni una Rete europea di formazione giudiziaria, il cui obiettivo è quello di migliorare fra i giudici e i pubblici ministeri la reciproca conoscenza dei sistemi giudiziari dei Paesi membri e di perfezionare il funzionamento pratico della cooperazione giudiziaria in seno all’Unione Europea.

In concreto, l’oggetto della rete è quello:

·        di organizzare un programma annuale di iniziative in ciascuno dei Paesi membri, per favorire la rispettiva conoscenza dei sistemi giudiziari e delle procedure di cooperazione con ogni Stato membro. In questo quadro, si dovrebbe prestare un’attenzione del tutto particolare alla formazione dei corrispondenti della «Rete giudiziaria europea», quotidianamente impegnati a facilitare la cooperazione;

·        di sviluppare le conoscenze linguistiche dei magistrati degli Stati membri, al fine di favorire un’efficace collaborazione;

·        di coordinare le iniziative dei suoi membri, per proporre ai magistrati d’Europa un programma in grado di coprire settori di competenze diversi;

·        di diffondere i risultati degli studi e dei programmi di formazione, per favorirne lo scambio;

·        di creare strumenti comuni di formazione, soprattutto ricorrendo alle nuove tecnologie;

·        di effettuare proposte di sostegno rivolte a Paesi candidati, per aiutarli a strutturare i loro dispositivi di formazione e a integrarli progressivamente nei programmi di formazione della rete.

L’iniziativa rientra nel quadro dei vari programmi previsti dall’Unione Europea, che hanno già permesso a un certo numero di magistrati di incontrarsi per scambiare le loro esperienze e avere un contatto con la realtà giuridica di altri Paesi membri. L’istituzione di una Rete europea di formazione giudiziaria punta a consentire alle scuole e alle istituzioni nazionali, che si occupano specificamente della formazione dei giudici e dei pubblici ministeri negli Stati membri, di riunirsi regolarmente, beneficiando di strumenti, al fine:

·        di sviluppare progressivamente programmi e strumenti di formazione comuni;

·        di approfondire la reciproca conoscenza dei sistemi giuridici;

·        di migliorare l’utilizzazione degli strumenti europei e internazionali;

·        di scambiare le esperienze e di individuare le esigenze delle attività di formazione;

·        di favorire la collaborazione fra i vari programmi di formazione previsti dai Paesi membri;

·        di sviluppare le attività di formazione per i membri del corpo giudiziario.

Annualmente, la rete presenta un programma di attività che punta a favorire:

·        la conoscenza dei sistemi giudiziari europei e le modalità di col cooperazione;

·        la conoscenza linguistica;

·        l’organizzazione di seminari e scambi;

·        lo sviluppo di programmi di formazione per i magistrati, nonché per gli stessi formatori [28].

Il 29 giugno 2006 la Commissione Europea ha adottato una comunicazione sulla formazione dei magistrati nell’Unione europea. Lo scopo di tale documento è quello di rafforzare i mezzi da destinare a questo tipo di formazione a livello europeo anche se la competenza in questo campo spetta innanzitutto agli Stati membri. Nella comunicazione si rileva che l’Unione europea sostiene già da diversi anni attività di formazione sul diritto europeo dei giudici, dei magistrati delle procure e degli avvocati, ma è importante potenziare tali attività. D’altro canto, il programma dell’Aia inteso a rafforzare la libertà, la sicurezza e la giustizia nell’Unione europea insiste sull’esigenza di fiducia reciproca tra gli Stati membri, e a tal fine chiede che venga rafforzata la formazione degli operatori della giustizia sulle questioni europee per creare una «cultura giudiziaria europea». La comunicazione osserva poi che negli Stati membri esistono programmi di formazione giudiziaria molto diversi tra loro e che rispecchiano le tradizioni giuridiche e giudiziarie di ciascuno Stato. L’Unione europea non deve interferire nell’organizzazione dei sistemi nazionali di formazione; tuttavia, il rafforzamento della fiducia reciproca comporta che la formazione venga sufficientemente sviluppata e che le vengano assegnati mezzi sufficienti. I giudici, gli avvocati e i magistrati delle procure devono beneficiare di un livello e di una qualità di formazione equivalente in tutti gli Stati membri.

Sempre secondo il citato documento, in materia di formazione giudiziaria, le azioni dovranno concentrarsi su tre assi:

·         una migliore conoscenza da parte degli operatori degli strumenti giuridici dell’Unione,

·         una migliore conoscenza reciproca dei sistemi giudiziari degli Stati membri,

·         il miglioramento della formazione linguistica.

Per raggiungere tali obiettivi, devono essere utilizzate metodologie pedagogiche diversificate, in particolare potenziando gli scambi tra operatori. Infine, la Commissione intende sviluppare più stretti rapporti di partenariato con gli attori della formazione, sia a livello europeo che nazionale, e promuovere la creazione di reti, in particolare tramite il sostegno all’attuale Rete europea di formazione giudiziaria. Per sviluppare tale politica, essa intende mobilitare, nel quadro dei nuovi programmi finanziari, in particolare del programma «Giustizia e diritti fondamentali», maggiori mezzi per la formazione degli operatori della giustizia.

 

 

3. La formazione dei magistrati e il parere n. 4 del Consiglio consultivo dei giudici europei, costituito presso il Consiglio d’Europa.

 

Il 27 novembre 2003 il Consiglio consultivo dei giudici europei (CCJE / CCEJ) ha approvato il parere n. 4 «sur la formation initiale et continue appropriée des juges, aux niveaux national et européen». Svariate sono le questioni affrontate nell’ambito di tale documento, che costituisce sicuramente, per concisione, incisività e pertinenza, uno dei meglio riusciti di un organo le cui energie si sono talora, in tempi più recenti, disperse in un rivolo di settori non strettamente legati al nucleo fondamentale dei temi legati alla salvaguardia dell’indipendenza del potere giudiziario (ciò che appare tanto più grave in un momento in cui, come questo, proprio l’indipendenza della magistratura appare essere posta sempre più di frequente sotto minaccia nel nostro continente, tanto all’Est, quanto all’Ovest, laddove un consesso del genere di quello in esame ben potrebbe e – a sommesso avviso dello scrivente – dovrebbe avere il coraggio di ergersi ad «assemblea costituente» del potere giudiziario europeo).

Il parere si presenta articolato in sei parti fondamentali:

·        Diritto alla formazione e livello al quale tale diritto dovrebbe essere garantito;

·        L’organo responsabile della formazione;

·        La formazione iniziale;

·        La formazione continua (o permanente) [29];

·        La valutazione della formazione;

·        La formazione europea dei giudici.

La prima parte ha il pregio di cogliere il nesso fondamentale che esiste tra formazione e indipendenza della magistratura. Il Consiglio consultivo conclude sul punto nel senso che «L’Etat a l’obligation de mettre à la disposition du pouvoir judiciaire ou d’un autre organe indépendant chargé de l’organisation et du contrôle de la formation tous les moyens nécessaires et de faire face à des frais encourus par les juges et par d’autres instances concernées». Si raccomanda pertanto che «les textes de chaque pays relatifs au statut des juges prévoient la formation du juge».

Per quanto attiene, poi all’organo responsabile della formazione, la parte seconda del parere, riallacciandosi ai principi di cui allo Statuto europeo del giudice e al già ricordato legame tra indipendenza e formazione, sottolinea «le caractère très important de l’indépendance et de la composition de l’autorité chargée de la formation et de son contenu. Il s’agit d’un corollaire au principe général de l’indépendance de la magistrature». Si insiste quindi sul fatto che «Le pouvoir judiciaire devrait jouer un rôle majeur ou être lui-même chargé d’organiser et de contrôler la formation». All’uopo il Consiglio consultivo raccomanda che «dans chaque Etat membre ces attributions soient confiées, non au ministère de la justice ou à une autre autorité relevant des pouvoirs législatif ou exécutif, mais au pouvoir judiciaire lui-même ou à un autre organe indépendant (y compris un Conseil supérieur de la magistrature). Les associations de juges peuvent également jouer un rôle important en encourageant et facilitant la formation, en travaillant de concert avec un organe judiciaire ou un autre organe indépendant qui en est directement responsable».

Il Consiglio consultivo aggiunge peraltro che «pour clarifier les attributions de chacun», appare opportuno «de ne pas confier directement à la même autorité la charge de la formation et de la discipline des magistrats. Dans cette perspective, le CCJE recommande que, sous la responsabilité générale du pouvoir judiciaire ou d’un autre organe indépendant, la formation soit assurée par un établissement particulier bénéficiant d’un statut d’autonomie et doté de son propre budget, lui permettant de définir lui-même, en concertation avec les juges, les programmes de formation et d’en assurer la mise en œuvre» [30]. Chiara, poi, la scelta in ordine all’individuazione del soggetto incaricato di effettuare la scelta del personale direttivo e dei formatori: scelta che va lasciata al «pouvoir judiciaire ou un autre organe indépendant chargé d’organiser et de contrôler la formation». I formatori, inoltre, dovrebbero essere giudici o esperti nelle varie discipline; essi dovrebbero essere scelti «parmi les meilleurs de leurs professions et sélectionnés avec soin par l’autorité en charge de la formation tant pour leur connaissance des matières enseignées que pour leur aptitude à la pédagogie». In ogni caso è altresì importante che i giudici scelti per la formazione «conservent un contact avec la pratique juridictionnelle».

Per quanto attiene alla formazione iniziale, il Consiglio consultivo si occupa in primo luogo del tema del suo carattere obbligatorio, così confrontandosi da subito con l’alternativa tra i sistemi di matrice anglosassone, dove i giudici vengono scelti tra i migliori avvocati, all’apice della carriera, e gli ordinamenti continentali, che reclutano i magistrati essenzialmente tra i giovani neo-laureati. Con riguardo a questa seconda tipologia di sistemi, la formazione iniziale costituisce parte essenziale del processo di selezione e reclutamento e, come tale, non può non avere carattere obbligatorio. Peraltro, anche con riguardo agli ordinamenti di common law un’esigenza di formazione iniziale si pone, atteso che «l’exercice des fonctions judiciaires constitue, en effet, pour tous une nouvelle profession, comportant une approche particulière dans de nombreux domaines, notamment ceux de la déontologie du juge, de la procédure, des relations avec toutes les personnes impliquées dans les procédures judiciaires». Il Consiglio raccomanda quindi «une formation initiale obligatoire avec des programmes adaptés à l’expérience professionnelle des candidats retenus».

Passando quindi al tema del programma di formazione iniziale, il Consiglio consultivo rimarca che «La formation ne devrait pas comporter uniquement une initiation aux techniques de traitement des litiges par les juges mais devrait aussi prendre en considération le besoin d’une sensibilité sociale et d’une compréhension étendue de différentes disciplines rendant compte de la complexité de la vie en société. En outre, l’ouverture des frontières signifie que les futurs juges devront être conscients qu’ils sont des juges européens et donc être plus informés des questions européennes». Ciò premesso, vengono elaborate una serie di raccomandazioni generali piuttosto dettagliate, che si ritiene opportuno riportare in nota [31].

Per ciò che riguarda invece la formazione continua, il Consiglio rimarca, in primo luogo, che i relativi programmi dovrebbero «offrir la possibilité de formation dans le cas des changements de carrière, comme le passage d’un tribunal pénal à un tribunal civil ; la prise en charge d’une juridiction spécialisée (tribunal de famille, pour enfants, social) et la prise en charge d’un poste comme la présidence d’une chambre ou d’un tribunal. Un tel changement de fonction pourrait être subordonné au suivi d’un programme de formation approprié». L’organo consultivo nota poi, correttamente, la necessità di diffondere nel corpo giudiziario una «culture de formation». Viene quindi affrontato il punto più discusso oggi in Europa, tanto all’Est, quanto all’Ovest, vale a dire se tale formazione debba essere obbligatoria. Il Consiglio non tralascia di assumere sul punto una posizione tanto realista quanto, purtroppo, non seguita nel corpus delle legislazioni sugli ordinamenti giudiziari delle nuove democrazie dell’Est europeo (e, come si vedrà, neppure a casa nostra…). Al riguardo il CCJE parte dalla constatazione che «Il est irréaliste de rendre en toutes hypothèses obligatoire la formation continue». Il Consiglio è infatti, correttamente, consapevole del rischio che una formazione continua imposta ai magistrati «prenne dans ce cas un caractère bureaucratique et purement formel». Tutto al contrario, la «formation proposée devrait être attractive pour convaincre les juges d’y participer, le volontariat étant la meilleure garantie de l’efficacité de cette formation. Cela devrait également être facilité par la nécessaire conscience, en tout juge, de l’existence d’une obligation déontologique à l’entretien et au renouvellement des connaissances».

Quanto mai opportuna, poi, la considerazione per cui la formazione continua dovrebbe essere organizzata «de telle sorte que celle-ci englobe tous les niveaux du pouvoir judiciaire. Chaque fois que c’est possible, ces derniers devraient être représentés aux mêmes sessions, ce qui leur fournira l’occasion d’échanger des vues entre eux». L’organo consultivo si rende ben conto del formidabile contributo che siffatto confronto tra i vari livelli della giurisdizione potrebbe fornire al fine di contribuire «à briser les tendances hiérarchiques» (e chi conosce il mondo giudiziario sa bene quanto queste tendenze, perniciosamente, vi si annidino, laddove la gerarchia è la negazione stessa dell’essenza della giurisdizione!), «à tenir tous les niveaux du pouvoir judiciaire au courant des difficultés et préoccupations de chacun d’eux ainsi qu’à promouvoir une cohésion et une cohérence accrue dans l’ensemble de ce pouvoir». E non vi è chi non veda come queste sacrosante osservazioni ben potrebbero essere utilizzate non solo in una lettura, per così dire, «verticale», ma anche in senso «orizzontale», al fine di censurare la scelta [32] di «regionalizzare» la formazione, abolendo del tutto momenti ed istanze di confronto nelle quali convergano le esperienze di ogni parte di un certo Paese.

Premesso quanto sopra, vengono anche qui dettate svariate raccomandazioni dettagliate, che si ritiene opportuno riportare in nota, tra le quali spicca quella sul carattere tendenzialmente non obbligatorio della formazione continua [33].

Il Consiglio consultivo non esita poi ad assumersi le sue responsabilità anche con riguardo allo spinoso temo delle valutazioni della formazione, intendendosi tale specificazione sia in senso oggettivo che soggettivo: vale a dire, tanto la valutazione che i destinatari della formazione esprimono su siffatta attività, quanto l’utilizzo della formazione a fini di valutazione della professionalità dei suoi destinatari. Orbene, mentre sul primo punto non vi è dubbio che «les prestations des formateurs devraient être contrôlées» e che, a tal fine, «l’avis des participants aux formations est d’une grande importance et devrait être sollicité par des moyens appropriés (par exemple des questionnaires, des entretiens, etc)», molte perplessità vengono espresse sull’impiego degli strumenti della formazione per valutare il livello di professionalità dei magistrati. «La formation continue des juges ne peut porter ses fruits que lorsque leur participation aux programmes de formation est libre et n’est pas influencée par des considérations de carrière». Ne consegue che solo nei sistemi «qui recrutent leurs juges au début de leur carrière professionnelle, une évaluation des résultats de la formation initiale est nécessaire, afin d’assurer les nominations des candidats les plus appropriés au fonctions judiciaires». Il richiamo è qui, si badi ancora una volta, alla sola formazione iniziale, con la conseguenza che la formazione continua non può mai costituire uno strumento di valutazione a fini di carriera dei giudici [34].

Il parere n. 4 si chiude con alcuni richiami ai principi in tema di formazione europea dei giudici. Dopo lo scontato riferimento alla regola per cui «quelle que soit la nature de ses fonctions, aucun juge ne peut ignorer le droit européen, qu’il s’agisse de la Convention européenne des Droits de l’Homme ou d’autres conventions du Conseil de l’Europe, ou, le cas échéant, de celui du Traité de l’Union Européenne et des textes qui en sont dérivés, puisqu’il est tenu de l’appliquer directement aux litiges dont il a la charge», il Consiglio si fa carico di sottolineare la necessità che il diritto europeo sia inserito nei programmi universitari, nonchè in quelli di formazione tanto iniziale che continua dei magistrati. Viene inoltre preconizzato il rafforzamento della «Rete di Lisbona», con la quale vengono chiamati a coordinare tutti gli organismi europei incaricati della formazione. Si auspica infine una più intensa cooperazione con la Rete europea di formazione giudiziaria.

Sin qui le linee direttive. Per quanto attiene agli ordinamenti e alle prassi effettivamente seguite sarà interessante notare che i risultati di un’indagine comparata – svolta sulla base di un questionario predisposto in vista della Terza Conferenza Europea dei Giudici, organizzata sul tema «Quale Consiglio per la giustizia?» dal Consiglio d’Europa a Roma il 26 e 27 marzo 2007 [35] – mostrano che «increasingly,  the training of judges is not under the control of HCJs [High Councils of Justice] but of independent bodies. These bodies are in charge of recruitment and examinations. This trend is explained by the growth of colleges for training judges. However, there is frequently cooperation between the training institutions and the HCJs,  particularly in relation to training concerning ethics and professional standards» [36]. Il dato riceverà conferma, come si vedrà tra breve, dall’analisi dei principali sistemi di formazione europei, che sarà svolta nei paragrafi seguenti. Deve altresì ritenersi – concludendosi la parte di questo studio attinente al piano internazionale – che, con ogni probabilità, il tema della formazione iniziale e continua costituirà oggetto di appositi principi contenuti nella nuova versione della Raccomandazione del 1994 che il Consiglio d’Europa sta rivedendo per il tramite d’una commissione d’esperti [37]. Sulla base delle discussioni ad oggi svolte nell’ambito di tale consesso, è emersa la necessità di armonizzare la nuova raccomandazione con il parere del Consiglio consultivo in materia di formazione, così come con la Carta europea sullo statuto dei giudici. Diversi membri della commissione hanno espresso l’avviso di attribuire alla formazione un ruolo più pregnante, se non addirittura di dar luogo ad una raccomandazione del Consiglio d’Europa appositamente consacrata a tale tema, in ogni caso distinguendo chiaramente tra formazione iniziale e continua ed evidenziando il nesso imprescindibile tra questa materia e l’indipendenza giudiziaria, non senza trascurare, ovviamente, la questione delle risorse finanziarie da porre a disposizione delle strutture di formazione [38].

 

 

CAPITOLO II

LE PRINCIPALI ESPERIENZE EUROPEE DI FORMAZIONE DEI MAGISTRATI

 

 

«Ne croyez pourtant pas avoir tout fait, parce que vous avez fini heureusement le cours de vos premières études; un plus grand travail doit y succéder, et une plus longue carrière s’ouvre devant vous. Tout ce que vous avez fait jusqu’à présent n’est encore qu’un degré ou une préparation pour vous élever à des études d’un ordre supérieur».

(H.‑F. D’Aguesseau, Instructions sur les études propres à former un magistrat, in Œuvres de M. le chancelier d’Aguesseau, I, Paris, 1759, p. 257).

 

Sommario:

4. Reclutamento e formazione dei magistrati in Francia. Generalità.

5. Cenni sull’ENM francese e breve cronistoria.

6. Lo status giuridico degli auditeurs de justice francesi.

7. La formazione iniziale presso l’Ecole Nationale de la Magistrature.

8. L’ENM e la formazione continua dei magistrati francesi.

9. La formazione dei magistrati in Germania.

10. La formazione continua dei magistrati in Germania. L’Accademia tedesca della magistratura.

11. La formazione dei magistrati nei Paesi Bassi.

12. La formazione dei magistrati in Portogallo.

13. Il Judicial Studies Board del Regno Unito.

14. Altri istituti e attività di formazione permanente (Belgio e Spagna; ERA ed EIPA; le attività del Consiglio d’Europa nei Paesi dell’Europa Centrale e Orientale).

 

4. Reclutamento e formazione dei magistrati in Francia. Generalità.

 

E’ giunto così il momento di offrire una breve panoramica di alcuni tra i principali sistemi di formazione iniziale e continua dei magistrati in Europa, iniziando da quello che ha costituito per anni e continua a rappresentare il modello fondamentale, cui tanti altri si sono ispirati e continuano ad ispirarsi: vale a dire il sistema francese [39]. Oltralpe, lo statuto della magistratura discende, da un lato, dalla Costituzione (artt. 64-66), dall’altro, da una legge organica datata 22 dicembre 1958, più volte modificata; la definizione di legge organica implica specifiche modalità d’esame e d’approvazione, nonché una maggioranza particolarmente qualificata per la sua eventuale modifica. Il reclutamento della magistratura è organizzato in maniera piuttosto complessa, implicando un percorso principale (il concorso riservato agli studenti) e delle modalità complementari; esso concerne inoltre soltanto i magistrati di carriera [40] e tiene conto, in alcuni casi, dell’esperienza professionale acquisita [41]. Le condizioni richieste per l’accesso alla magistratura variano a seconda delle distinte modalità di accesso stabilite dalla citata legge organica, nonché da altre specifiche leggi organiche che istituiscono concorsi straordinari per completare le esigenze di reclutamento. I candidati auditeurs de justice – come si chiamano gli allievi dell’ENM-Ecole nationale de la magistrature – devono (cfr. art. 16 della citata legge organica del 1958) avere conseguito una laurea nazionale, o diploma equivalente che attesti una formazione (non necessariamente in una facoltà di giurisprudenza) perlomeno pari a quattro anni di studi dopo l’esame di maturità a conclusione del ciclo di studi superiori, oppure un diploma rilasciato da un istituto di studi politici. I candidati devono inoltre essere di nazionalità francese, godere dei diritti civili e della certificazione di buona condotta, avere assolto agli obblighi militari; essi devono infine possedere i requisiti di idoneità psichica indispensabili per l’esercizio della loro funzione ed essere riconosciuti esenti (o perlomeno guariti) da qualsiasi malattia che dia diritto a un congedo prolungato.

Un primo tipo di concorso (si tratta del «percorso principale») è riservato ai laureati, secondo quanto appena detto (non deve dunque trattarsi necessariamente di laureati in giurisprudenza). Un secondo concorso dello stesso livello è riservato ai funzionari dello Stato e comunità territoriali e dei rispettivi enti pubblici, che abbiano svolto almeno quattro anni di servizio in tali funzioni. Un terzo concorso dello stesso livello è riservato a persone che abbiano svolto otto anni di una o più attività professionali, abbiano espletato uno o più mandati di membro di un’assemblea territoriale o funzioni giurisdizionali a titolo non professionale. Un ciclo preparatorio è aperto a chi voglia presentarsi al secondo e terzo concorso (cfr. art. 17 della citata legge organica del 1958).

Negli anni passati sono inoltre stati indetti vari concorsi straordinari. Nel quadro del piano d’urgenza per la giustizia, una legge votata il 24 febbraio 1998 prevedeva, ad esempio, tre concorsi che presupponevano quattro anni di studi dopo l’esame di maturità: il primo, per la selezione di cinquanta magistrati (persone tra i trentacinque e i quarantacinque anni), aperto al personale con dieci anni di comprovata attività professionale, o soli otto anni per i titolari di una laurea in giurisprudenza; il secondo, per il reclutamento di quaranta consiglieri di Corte d’appello di secondo livello (persone tra i quaranta e i cinquantacinque anni e dodici anni di comprovata attività professionale); il terzo, per il reclutamento di dieci consiglieri di Corte d’appello di primo livello (persone con almeno cinquanta anni d’età e quindici anni di comprovata attività professionale) [42]. Sempre secondo la legge organica del 1958, nella sua versione attualmente in vigore, possono essere direttamente nominati uditori giudiziari – con riserva del giudizio di idoneità della commissione di promozione della magistratura – i laureati in giurisprudenza che hanno svolto per almeno quattro anni attività in campo giuridico, economico, o sociale. Possono essere altresì nominati nelle stesse condizioni i titolari di dottorato in giurisprudenza in possesso di altri diplomi di studi superiori, o i titolari di insegnamento e ricerca in diritto che abbiano esercitato per almeno tre anni dopo la laurea e siano in possesso di un diploma di studi superiori in una disciplina giuridica (art. 18-1 della citata legge organica).

Esistono, infine, modalità di selezione per inserimento diretto, senza necessità del previo espletamento di un periodo di uditorato presso la Scuola nazionale della magistratura. In particolare, possono essere reclutati direttamente per l’inserimento nel secondo livello (art. 22 della citata legge organica), senza passare per l’ENM (Ecole Nationale de la Magistrature), ma con riserva del giudizio di idoneità della commissione d’avanzamento, purché abbiano almeno trentacinque anni di età:

a. le persone in possesso di una laurea equivalente a quella richiesta per il concorso di ingresso e sette anni almeno di comprovato esercizio professionale, che le qualifichi in particolare a esercitare funzioni giudiziarie:

b. i capi-cancellieri di corti e tribunali e dei consigli dei probiviri (conseils de prud’hommes), con sette anni di comprovati servizi effettivi nelle rispettive funzioni;

c. i funzionari di categoria A del ministero della Giustizia non laureati, ma con sette anni di servizio effettivi.

Possono inoltre essere direttamente inseriti nel primo livello (cfr. l’art. 23 della legge organica) le persone che posseggono i requisiti generali di cui all’art. 16 della legge organica citata, oltre a diciassette anni almeno di esercizio di attività professionali che li qualifichino in maniera particolare per l’esercizio delle funzioni giudiziarie, oltre ai cancellieri dirigenti delle corti d’appello e dei tribunali, oltre che dei conseils de prud’hommes che posseggano i requisiti definiti da decreto del Consiglio di Stato e che siano per competenza ed esperienza particolarmente qualificati per esercitare le funzioni giudiziarie.

Possono anche essere reclutati per inserirsi «fuori gerarchia» (art. 40 della legge organica):

a. i consiglieri di Stato in servizio ordinario;

b. i magistrati distaccati in impieghi di direttore o di caposervizio al ministero, o come direttore alla Scuola nazionale della magistratura;

c. i titolari dei ricorsi al Consiglio di Stato con almeno dieci anni di funzione in questo ruolo;

d. i docenti delle facoltà di Giurisprudenza statali che abbiano insegnato almeno dieci anni come professore ordinario o associato;

e. gli avvocati presso il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione, membri o ex membri del consiglio dell’ordine, con almeno venti anni di esercizio professionale;

f. gli avvocati iscritti all’albo da almeno venticinque anni [43].

Nella maggior parte dei casi (c., d., e., f., sopra citati), la nomina può intervenire solo con il parere conforme della commissione per l’avanzamento di carriera. Questa commissione svolge il ruolo principale nella maggior parte delle forme di reclutamento. Essa comprende, oltre al presidente della Corte di cassazione (presidente della commissione) e al procuratore generale presso la suddetta corte, l’ispettore generale dei servizi giudiziari, due magistrati della Corte di cassazione, di cui uno della giudicante, e l’altro della procura generale, due primi presidenti e due procuratori generali di Corte d’appello, eletti dai loro pari, e dieci magistrati eletti dall’insieme dei magistrati (elezione a due gradi). Il mandato è di tre anni e non è rinnovabile. Le elezioni permettono di misurare la rappresentatività delle organizzazioni professionali dei magistrati.

 

 

5. Cenni sull’ENM francese e breve cronistoria.

 

La Scuola nazionale della magistratura (Ecole Nationale de la MagistratureENM) garantisce la formazione iniziale dei futuri magistrati dell’ordine giudiziario, nonché quella permanente dei magistrati già in funzione. Creato con le ordinanze del 22 dicembre 1958 e del 7 gennaio 1959 recanti Ordinamento della magistratura, sotto la denominazione di Centre national d’études judiciaires (Centro nazionale di studi giudiziari, dizione mutata poi in quella attuale per effetto della legge organica del 17 luglio 1970), questo istituto ha visto i testi che lo reggono, in particolare il decreto n. 72-355 del 4 maggio 1972, modificarsi considerevolmente nel corso degli anni, per consentire un adeguamento della scuola alle sue finalità. Ente pubblico indipendente di natura amministrativa posto sotto la tutela del Guardasigilli, Ministro della giustizia, la Scuola nazionale della magistratura è amministrata da un consiglio di amministrazione composto di ventiquattro membri e un direttore, che è un magistrato dell’ordine giudiziario [44]. Il consiglio d’amministrazione è presieduto dal Presidente della Corte di cassazione, mentre la vice-presidenza è assicurata dal Procuratore generale presso la detta Corte. Gli altri membri sono magistrati di diversi livelli, direttori dell’amministrazione centrale del Ministero della giustizia, personalità particolarmente qualificate del mondo accademico, rappresentanti dei docenti della Scuola, dei magistrati addetti alla formazione decentrata e degli stessi uditori giudiziari. Il direttore, nominato dal Consiglio dei ministri, è assistito, direttamente o indirettamente, da una squadra di otto magistrati, le cui competenze ricoprono i principali settori di attività dell’istituto: formazione iniziale, formazione permanente, amministrazione, inclusa l’organizzazione dei concorsi [45].

Al fine di promuovere e concretizzare, in occasione della formazione iniziale, un programma pedagogico semplice e insieme coerente con gli obiettivi, ad un tempo pragmatici (trasmissione di «saper fare») e ambiziosi (riflessioni sul ruolo del giudice), l’ENM ha sentito prestissimo l’esigenza di dotarsi di un corpo permanente di insegnanti. La cosa si è realizzata a partire dal 1971 e sono attualmente oltre trenta i magistrati distaccati per un periodo di tre anni, rinnovabile, in qualità di «maestri conferenzieri» (maîtres de conférences) presso la Scuola. Alcuni di essi sono, più specificamente, responsabili: sei della formazione permanente, un altro del dipartimento internazionale, un altro dei rapporti con la ricerca e l’università. Altri magistrati sono poi stati messi a disposizione dell’ENM per rafforzare, da un lato, il dipartimento internazionale e, dall’altro, per venire in appoggio alla creazione di un centro risorse, destinato in particolare a migliorare la comunicazione interna ed esterna dell’istituzione e a promuovere quantità e qualità delle attività di formazione professionale dispensate dalla scuola, sia per quanto riguarda la formazione iniziale, sia per quanto riguarda quella permanente. La scuola attualmente impiega quasi centoquaranta persone, fra cui si contano trentadue magistrati, incaricati della direzione e dell’insegnamento.

Il bilancio della scuola ha raggiunto nel 2002 circa 37 milioni di euro, l’80% dei quali sono stati destinati alle spese del personale, allievi inclusi. Il bilancio 2007 ha raggiunto la quota di € 47.348.086. Il finanziamento è inserito nel bilancio del ministero della Giustizia. Dal 6 aprile 1960, la Scuola nazionale della magistratura è stata oggetto della decisione di un suo decentramento a Bordeaux. In questa città l’Ecole ha impiantato la sede della formazione iniziale. La Scuola nazionale della magistratura dispone però anche di una sede a Parigi, dove si trovano la direzione della formazione continua e il dipartimento internazionale.

Il dipartimento internazionale concorre alla formazione professionale dei futuri magistrati di Paesi stranieri e, in particolare, di quelli cui la Francia è legata da accordi di collaborazione tecnica in materia giudiziaria, nonché alla formazione e al perfezionamento dei magistrati di questi Stati. Tale formazione, sovvenzionata in parte dal ministero della cooperazione, ha notevolmente contribuito all’irradiarsi della Francia e delle sue istituzioni giudiziarie non solo nei Paesi francofoni un tempo ad essa legati, ma anche in sistemi che, per la loro specifica cultura e la loro storia, avrebbero potuto essere indotti a scegliere altri punti di riferimento; tra questi si potranno ricordare, per esempio l’Egitto, il Giappone, la Corea, o anche Paesi del Sud America e, di recente, alcuni Paesi dell’Est. Se la formazione permanente dei magistrati stranieri è perlopiù organizzata a Parigi, la formazione iniziale degli uditori stranieri si svolge a Bordeaux, nelle stesse condizioni di quella degli uditori francesi. Questi vengono, infatti, inseriti nel novero degli uditori francesi in tirocinio in quel momento.

La specificità dell’ENM consiste nel disporre, come si diceva, di docenti, maîtres de conférences («maestri conferenzieri»), a tempo pieno, che sono magistrati incaricati di formare gli uditori giudiziari, di organizzare le sessioni di formazione permanente e le iniziative di cooperazione internazionale. La scuola ricorre anche a numerosi interventi esterni: magistrati, avvocati, esperti, ecc. Ogni anno, essa forma oltre 200 nuovi uditori nelle attività di formazione iniziale e oltre 3.500 magistrati, in quelle di formazione continua.

 

 

6. Lo status giuridico degli auditeurs de justice francesi.

 

Ecco ora alcune informazioni sullo status giuridico degli uditori giudiziari. Lo statuto di questi soggetti deriva:

a. dall’ordinanza n. 58-1270 del 22 dicembre 1958 e successive modificazioni, recante Legge organica relativa all’ordinamento della magistratura, in particolare dagli artt. 8 (commi primo e terzo), 9 (capoversi 1, 3 e 4), 10, 11 e 26, di questa;

b. dal decreto n. 72-355 del 4 maggio 1972 e successive modificazioni, relativo alla Scuola nazionale della magistratura, in particolare dal suo titolo III;

c. dal decreto n. 94-874 del 7 ottobre 1994, che stabilisce le disposizioni comuni applicabili ai tirocinanti dello Stato e dei suoi enti pubblici;

d. dalle leggi n. 83-634 del 13 luglio 1983, recante Diritti e doveri dei funzionari, e n. 84-16 dell’11 gennaio 1984, recante Disposizioni statutarie relative alla funzione pubblica dello Stato, e dai relativi decreti attuativi.

Gli uditori giudiziari dipendono dunque, a un tempo, dallo statuto della magistratura, da quello dei funzionari tirocinanti, nonché dallo statuto generale della funzione pubblica.

Gli uditori giudiziari, innanzi tutto, fanno parte dell’ordine giudiziario, pur non possedendo ancora la qualifica di «magistrato». Devono prestare giuramento e sono tenuti al segreto professionale. Non possono in alcun caso essere dispensati dal giuramento prestato, e cioè quello «di comportarsi in tutto e per tutto come un degno e leale uditore giudiziario» [46]. Ogni mancanza di un uditore giudiziario ai doveri del suo stato può dare luogo a una delle sanzioni disciplinari previste dagli artt. 59-65 del decreto del 4 maggio 1972 (censura, avvertimento, espulsione temporanea, espulsione definitiva) e ogni violazione del segreto professionale può essere oggetto di misure penali. In virtù dell’art. 11 dell’ordinanza del 22 dicembre 1958, gli uditori giudiziari sono, in compenso, protetti dalle minacce, dagli attacchi, di qualsiasi natura, di cui possano essere oggetto nell’esercizio delle loro funzioni, o in occasioni legate a queste.

L’art. 19 dell’ordinanza del 22 dicembre 1958 precisa l’ambito di competenza degli uditori giudiziari nel corso del loro tirocinio, durante il quale gli uditori giudiziari partecipano, sotto la responsabilità di magistrati, all’attività giurisdizionale, senza tuttavia poter emettere provvedimenti. Essi possono, in particolare:

a. assistere il giudice istruttore in tutti gli atti istruttori;

b. assistere i magistrati del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione pubblica;

c. sedere in soprannumero e partecipare con voto consultivo alle camere di consiglio civili e penali;

d. presentare oralmente requisitorie o conclusioni davanti a queste;

e. assistere alle camere di consiglio della Corte d’assise.

Del resto, la legge n. 90-1259 del 31 dicembre 1990, recante Riforma di talune professioni giudiziarie e giuridiche, prevede all’art. 63 che, durante il tirocinio in uno studio legale, l’uditore possa sostituire in udienza il suo dominus, sotto il controllo di quest’ultimo, cioè patrocinare nei tribunali. I tirocini giurisdizionali dipendono dalla sotto-direzione dei tirocini, e sono seguiti da magistrati delegati alla formazione e direttori di centro di apprendistato.

Gli uditori dipendono inoltre dallo statuto della pubblica amministrazione. In questa qualità, il principio generale della pubblica amministrazione, secondo cui si riceve una retribuzione come corrispettivo del «servizio prestato», vale anche per l’uditore giudiziario. Il «servizio prestato» dall’uditore va valutato rispetto al suo dovere di seguire le varie attività civili previste sia dal programma didattico, sia dalle note della direzione dell’ENM, specie quelle relative al tirocinio giurisdizionale organizzato dai magistrati delegati alla formazione e dai direttori del centro di formazione iniziale. In proposito, vale la pena di sottolineare che gli uditori giudiziari non possono esercitare alcuna altra attività dipendente o professionale, né privata né pubblica, e che non possono a nessun titolo assumere un’attività di insegnamento. In compenso, possono dedicarsi, senza alcuna autorizzazione preliminare, a lavori scientifici, letterari o artistici [47].

Gli uditori giudiziari, infine, dipendono dallo statuto dei funzionari tirocinanti. In linea di principio non possono, in quanto semplici uditori, essere messi in posizione di distacco, o a disposizione. Possono ottenere, per convenienza personale, un congedo senza retribuzione della durata massima di tre anni. Peraltro, essendo il loro tirocinio remunerato, gli uditori sono tenuti, al termine del loro periodo scolastico e prima di essere nominati magistrati, a impegnarsi a servire lo Stato per dieci anni. Analogamente, ogni uditore che si dimetta dalla scuola è soggetto al rimborso dei salari e delle indennità percepiti durante il periodo scolastico. Può tuttavia chiedere al Guardasigilli, Ministro della giustizia, di essere esonerato da questo obbligo. La decisione è presa su proposta del direttore della Scuola, su parere del consiglio di amministrazione.

 

 

7. La formazione iniziale presso l’Ecole Nationale de la Magistrature.

 

La formazione iniziale dei futuri magistrati dell’ordine giudiziario costituisce la principale missione della Scuola nazionale della magistratura francese. Essa dura trentuno mesi e comporta una parte di insegnamenti teorici a Bordeaux e una parte di tirocinio, vuoi presso uffici giudiziari, vuoi al di fuori di questi. Ogni nuovo gruppo di uditori usufruisce di un programma di formazione adottato dal consiglio di amministrazione della scuola, a partire dal progetto elaborato dalla direzione e dai docenti [48]. L’insegnamento è dispensato nella Scuola nazionale della magistratura da un corpo di docenti («maestri conferenzieri»), tutti magistrati in distacco, nonché da conferenzieri designati volta per volta o da docenti esterni che intervengono su invito della scuola. La didattica, del resto, può avvalersi di svariati tipi di strumenti [49].

Per ciò che attiene alla valutazione del periodo di studi e del tirocinio giurisdizionale e al successivo esame per la formazione della graduatoria, l’art. 21 dell’ordinanza n. 58-1270 del 22 dicembre 1958 e successive modificazioni dispone che una commissione proceda a stilare la graduatoria dei candidati che ritiene idonei, al termine della scuola, a esercitare le funzioni giudiziarie. La commissione accompagna alla dichiarazione di idoneità di ogni uditore una raccomandazione sulle funzioni che, a suo avviso, l’uditore potrà più proficuamente esercitare all’atto della sua prima nomina. Il decreto n. 72-355 del 4 maggio 1972, relativo alla Scuola nazionale della magistratura, precisa che la graduatoria degli uditori giudiziari è redatta dalla commissione, tenuto conto della media dei voti ottenuti durante gli studi (coefficiente 10) e nei tirocini (coefficiente 12), oltre al risultato di un esame (coefficiente 6).

Il regolamento interno della scuola prevede le modalità di assegnazione dei voti per i corsi e i tirocini, fissa il principio della comunicazione regolare agli uditori delle valutazioni effettuate su di essi durante il periodo scolastico e indica che tali valutazioni avvengono in base a un sistema di valutazione stabilito dalla direzione, su parere della commissione didattica ed approvato dal consiglio d’amministrazione.

Per quanto riguarda il periodo di studio presso la Scuola, la valutazione, che assume forme diverse (colloqui nel corso della frequenza scolastica) e si basa su supporti diversificati (lavori scritti e orali, simulazioni, ecc.), si traduce in un dettagliato giudizio scritto, espresso in base ad apposite «griglie» per ognuno degli esaminatori, su attività distinte (tirocini esterni, contesto giudiziario, indirizzi di studi). La relazione sul tirocinio esterno e la sua presentazione in occasione di un colloquio danno luogo a un giudizio scritto redatto da due esaminatori [50]. La produzione scritta e il resoconto finale di ogni gruppo sull’attività «contesto giudiziario» costituiscono oggetto di una valutazione comune del gruppo. La relazione è redatta da due esaminatori, tra cui il docente che si è visto affidare l’animazione del gruppo. Anche le lezioni danno luogo alla redazione di valutazioni dettagliate da parte dei docenti su ognuno degli uditori del gruppo.

Tutte le valutazioni sono raccolte dal sottodirettore degli studi, che elabora, a partire dalle indicazioni fornite, la proposta del voto prevista dal decreto del 1972. Una riunione, in presenza dei docenti e degli uditori delegati al consiglio di amministrazione, consente di ottenere poi coerenza e trasparenza nel modo di procedere. Contemporaneamente alla proposta di voto in cifre, il sottodirettore degli studi redige una sintesi dell’insieme delle valutazioni effettuate sull’uditore giudiziario (relazione sul tirocinio, attività «contesto», lezioni). Il sistema consente un equilibrio migliore dei voti, grazie all’unicità dell’organo proponente. Esso mantiene una stretta connessione tra il voto, necessariamente rigido, e le acquisizioni della formazione o i progressi dell’uditore durante il corso di studi, necessariamente in evoluzione. Il dispositivo è coerente con il sistema di valutazione dei tirocini, che utilizza gli stessi criteri. La valutazione, come il sistema di note, assicura l’informazione più ampia dell’uditore e garantisce la possibilità di dialogo con chi esprime la valutazione. Degli scambi di opinione durante il corso tra docenti e uditori, circa le metodologie didattiche e i progressi registrati, si verificano ogniqualvolta si reputino necessari. Analogamente, le griglie di valutazione compilate dai maestri conferenzieri, la proposta di voto e la sintesi del sottodirettore degli studi sono comunicati all’uditore, che può fare le sue osservazioni.

Veniamo ora al sistema di valutazione del tirocinio giurisdizionale. I criteri che reggono la procedura di valutazione del praticantato sono i seguenti:

a. fornire all’uditore il massimo di indicazioni che gli consentano di conoscere i giudizi di cui è oggetto e permettergli con ciò di determinare le scelte utili per potere progredire;

b. assicurare la trasparenza del voto e consentire all’uditore di fare valere le proprie osservazioni sulle valutazione dei responsabili del tirocinio e sulle sintesi ulteriori;

c. formalizzare il colloquio didattico tra l’uditore e il responsabile del tirocinio.

Il percorso formativo dell’uditore si svolge dunque in questo modo:

a. le valutazioni effettuate dai responsabili del tirocinio consentono a ciascun magistrato di esprimere giudizi sul tirocinio effettuato con lui da parte dell’uditore giudiziario. Ciascuno dei formatori deve informare direttamente l’uditore del contenuto della valutazione e consegnargliene una copia al termine del tirocinio. L’originale è inviato al direttore del centro di tirocinio e, per sua richiesta, al magistrato delegato alla formazione. Questi documenti non attestano il voto in cifra, non sono comunicati alla Scuola e non figurano nel fascicolo dell’uditore. Tuttavia, l’uditore può, a sostegno di una contestazione delle sintesi e del bilancio ulteriori, inserirvi l’insieme delle valutazioni dei maestri di tirocinio. Allo stesso modo, queste schede andranno aggiunte al fascicolo quando la scuola effettuerà proposte di raccomandazioni selettive, di esclusione o di ripetizione;

b. le sintesi intermedie del direttore del centro di tirocinio sono redatte a tre riprese, in maggio, in ottobre e in dicembre. Esse si basano sulle valutazioni effettuate dai responsabili del tirocinio, arricchite di tutte le osservazioni eventualmente suggerite dallo svolgimento del tirocinio stesso e non comportano voto in cifra. Dopo averne dato conoscenza e consegnato copia all’uditore, il direttore del centro di tirocinio trasmette questi documenti al magistrato delegato alla formazione, che ne prende conoscenza a propria volta, li vista e li invia alla scuola, insieme a tutte le osservazioni che lo svolgimento del tirocinio dell’uditore eventualmente richieda;

c. la valutazione del magistrato delegato alla formazione viene effettuata alla fine del tirocinio da questo magistrato di Corte d’appello al termine di una riunione da lui presieduta in ogni ufficio giudiziario interessato, con la partecipazione dell’insieme dei magistrati che hanno concorso alla formazione dell’uditore. La valutazione contiene la sintesi dei giudizi raccolti durante il tirocinio, arricchita di tutte le osservazioni che lo svolgimento del tirocinio dell’uditore eventualmente richieda. Essa non comporta un voto in cifre e, dopo essere stata comunicata all’uditore, viene consegnata alla scuola.

In base alle valutazioni dei magistrati delegati alla formazione, dopo la riunione dell’insieme dei responsabili dei centri di tirocinio, in presenza degli uditori delegati al consiglio di amministrazione, i sottodirettori di tirocinio decidono una proposta di voto in cifra, accompagnata da una valutazione di sintesi. A ogni tappa del processo, gli uditori hanno facoltà di fare conoscere le osservazioni ai responsabili dei centri di tirocinio, nonché alla direzione della scuola per le sintesi successive, riportandole nella rubrica riservata all’uopo sui vari moduli impiegati. Le valutazione dei responsabili del tirocinio e quelle dei direttori dei centri di tirocinio hanno come principale scopo quello di accompagnare il progresso dell’uditore. La valutazione del magistrato delegato alla formazione vede aggiungersi a questo obiettivo quello di preparare la motivazione e stabilire il voto in cifra.

Terminato il periodo di studi e di tirocinio, il voto definitivo è stabilito dal direttore della Scuola e dal direttore della formazione iniziale, in base alle rispettive proposte del sottodirettore degli studi e del sottodirettore del tirocinio. Alla luce delle valutazioni espresse sull’uditore durante la sua formazione, se è in discussione l’idoneità dell’uditore, o se sussistono, nell’esercizio di una o più funzioni, delle difficoltà che non mettano in discussione l’idoneità generale, il voto è accompagnato da una relazione speciale rivolta alla commissione. La relazione è preliminarmente comunicata all’uditore, che potrà aggiungervi le proprie osservazioni. Il libretto didattico, trasmesso alla commissione, contiene, oltre alle sintesi intermedie e al bilancio dei responsabili dei centri di tirocinio, i voti dei corsi e dei tirocini, accompagnati dai giudizi sintetici che li giustificano e, all’occorrenza, dalla relazione che accompagna il voto definitivo.

Il conferimento della qualifica di magistrato è subordinato a una dichiarazione di idoneità, espressa al termine degli studi da una commissione, al momento dell’esame per la graduatoria. L’esame, previsto all’art. 21 della legge organica, comporta tre prove:

a. una prova scritta, consistente nel redigere entro sei ore una decisione in materia di diritto civile (coefficiente 2);

b. una prova orale di venti minuti, consistente in una requisitoria penale (coefficiente 2); la durata della preparazione di questa prova è di quattro ore;

c. una prova orale, consistente in un colloquio di quindici minuti con i membri della commissione (coefficiente 2).

Al voto finale di questo esame (coefficiente 6) si aggiungono i voti dei corsi (coefficiente 10) e dei tirocini effettuati (coefficiente 12).

Al termine dell’esame, gli uditori possono:

a. essere dichiarati idonei alle funzioni giudiziarie;

b. vedersi imporre il rinnovo di un anno di studi;

c. vedersi esclusi dall’accesso alle funzioni giudiziarie.

Nel primo caso, la commissione aggiunge alla dichiarazione di idoneità di ogni uditore una raccomandazione circa le funzioni che ritiene che l’uditore possa esercitare meglio al momento della sua prima nomina. Gli uditori scelgono poi il loro incarico su un elenco stabilito dalla direzione dei servizi giudiziari, in funzione del loro posto in graduatoria. Le scelte sono sottoposte al parere del Consiglio superiore della magistratura.

 

 

8. L’ENM e la formazione continua dei magistrati francesi.

 

Anche la formazione continua, o permanente, dei magistrati dell’ordine giudiziario francese è garantita dalla Scuola nazionale della magistratura, e più esattamente dalla sua Antenne parigina. Qualsiasi magistrato che lo desideri gode annualmente di cinque giorni per la formazione continua. Peraltro, i magistrati reclutati in via complementare ai sensi dell’art. 21-1 della più volte citata legge organica del 1958 ricevono «un régime de formation continue renforcé comportant 2 semaines obligatoires de formation par an pendant les quatre premières années de fonction».

La formazione permanente può assumere la forma di stages in organismi i più disparati, o quella di sessioni su un tema giuridico o generale. È organizzata o a livello nazionale direttamente dalla Scuola, o a livello locale dalle Corti d’appello, tramite magistrati delegati alla formazione, sotto il controllo e con il finanziamento dell’ENM. In questo modo, tutti gli uditori giudiziari nominati magistrati conservano costantemente, nel corso della loro carriera, dei legami con la Scuola nazionale della magistratura tramite la formazione permanente. In particolare, al termine del loro primo anno di incarico, i magistrati di nuova nomina partecipano obbligatoriamente a una sessione di formazione professionale della durata di due settimane, consacrata all’approfondimento della loro pratica professionale. La formazione permanente deve infatti permettere a ciascun magistrato di confrontare la propria pratica professionale con gli sviluppi legislativi, economici, sociali e culturali, per contribuire a migliorare il funzionamento dell’istituzione giudiziaria. Essa ha la missione di accompagnare il magistrato per tutta la sua vita attiva, fornendogli il modo di informarsi, formarsi e approfondire gli ambiti in cui si esercitano le sue attività.

L’ENM rappresenta sicuramente – a livello europeo e, probabilmente, mondiale – la principale istituzione dedicata alla formazione permanente dei magistrati. Possiamo qui ricordare che tale istituzione, creata nel 1958 come ente destinato soltanto alla formazione iniziale, a partire dal 1966 ha ricevuto l’incarico di occuparsi anche della formazione permanente. La struttura responsabile al riguardo è la Direzione della formazione permanente, composta di quattro magistrati impiegati a tempo pieno, due cancellieri e dodici funzionari. Il corpo docente è formato da appositi docenti detti anche qui «maestri conferenzieri» (maîtres de conférences), cioè da magistrati incaricati di svolgere a tempo pieno l’attività di insegnamento; essi sono in distacco presso l’ENM per un periodo di almeno tre anni. Ogni anno, la scuola presenta un programma di formazione permanente per l’anno successivo. La proposta è formulata dalla commissione didattica ed è, poi, approvata dal Consiglio d’amministrazione dell’ENM. A partire dal 1989, è stata introdotto un sistema di formazione decentrata; questa attività si svolge in ogni Corte d’appello, con il sostegno dei magistrati delegati alla formazione presso i vari uffici giudiziari locali [51].

 

 

9. La formazione dei magistrati in Germania.

 

La caratteristica di fondo del sistema tedesco [52] – che lo rende abbastanza diverso dai sistemi di reclutamento e di formazione professionale dei magistrati del resto d’Europa – è quella di non prevedere una formazione iniziale concepita appositamente per i magistrati. In compenso, secondo il modello prussiano applicato all’intera Germania nel corso del XIX secolo, tutti coloro che vogliano esercitare una professione giuridica (magistrato, avvocato, notaio) devono sottoporsi a un ciclo di formazione iniziale comune [53], contrassegnata da quattro tratti principali. Si tratta, infatti, di una formazione in due fasi (zweiphasige Ausbildung), di cui una universitaria ed una pratica. Entrambe le fasi culminano in un esame, con il risultato che non si può ottenere la qualifica di giudice, di avvocato o di notaio se non una volta superate entrambe le prove [54].

Ecco dunque le tappe fondamentali del percorso. Il candidato deve dapprima avere compiuto un determinato periodo di studi universitari presso una delle facoltà di giurisprudenza della Repubblica federale tedesca; poi deve essere ammesso al primo esame di Stato per le professioni giuridiche (Erste Juristische Staatsprüfung); deve quindi affrontare un servizio preparatorio di due anni (Vorbereitungsdienst); infine, deve essere ammesso al secondo esame di Stato per le professioni giuridiche (Zweite Juristische Staatsprüfung). Le grandi linee di tale processo formativo sono tracciate nella legge federale sul sistema giudiziario (Deutsches Richtergesetz – DRiG) dell’8 settembre 1961, successivamente modificata, mentre i dettagli dei programmi di formazione sono stabiliti dalle diverse legislazioni dei Länder di cui si compone lo Stato Federale.

Ai sensi del paragrafo 5.a del Richtergesetz, i candidati devono avere compiuto almeno quattro anni di studi universitari in una delle facoltà di giurisprudenza, durante i quali devono avere superato un certo numero di esami, in diritto civile, procedura civile, diritto penale, diritto pubblico, diritto comunitario, ecc. In pratica, tenuto conto della difficoltà degli studi giuridici in Germania (dove gli esami universitari non si basano solo sulla teoria, ma anche sulla pratica, e dove i professori dedicano – contrariamente a quello che avviene in Italia – gran parte del loro tempo all’insegnamento e non all’esercizio di altre professioni), i candidati arrivano al primo esame di Stato solo dopo cinque anni (almeno) di studi universitari. Il primo esame di Stato varia secondo ogni Land, in cui un Landesjustizprüfungsamt (Ufficio regionale per l’esame di ammissione alle professioni giuridiche) organizza queste prove, che si compongono di esami scritti e orali. Per fare un esempio, nel 2006, in Baden-Württemberg, sui 2826 candidati che hanno affrontato l’esame, il 34,25% non lo ha superato; il 31,14% ha ottenuto il giudizio di «sufficiente», il 21,66% di «soddisfacente», il 10,19% di «abbastanza buono», mentre meno del 3% ha avuto «buono» od «ottimo» [55].

Il laureato che ha superato il primo esame ottiene lo statuto di Referendar (Referendarin per le donne) e riceve un salario dal Land. Il periodo di Referendariat (detto anche Juristischer Vorbereitungsdienst) dura due anni, durante i quali i Referendare effettuano tirocini, un certo numero dei quali sono obbligatori (Pflichtstationen) e altri facoltativi (Wahlstationen). I tirocini obbligatori sono quattro, e si compongono di:

a. alcuni mesi presso un ufficio giudiziario civile;

b. alcuni mesi presso un ufficio giudiziario penale o presso un ufficio della procura della Repubblica;

c. alcuni mesi presso una pubblica amministrazione;

d. alcuni mesi di pratica civile e penale presso lo studio di un avvocato [56].

La durata complessiva del periodo obbligatorio è di circa due anni. In questo lasso di tempo i Referendare partecipano anche a corsi teorici in varie materie. I periodi di tirocinio facoltativo durano, invece, dai quattro ai sei mesi; mirano a fornire ai futuri giuristi approfondimenti in materie specifiche. I Referendare possono scegliere periodi di formazione presso un ufficio giudiziario ordinario o speciale, presso uno studio di avvocato o di notaio, un’associazione sindacale o l’ufficio legale di un’impresa. Sono anche previsti tirocini presso organismi internazionali (ONU, UE, Parlamento Europeo), nonché presso ambasciate tedesche, uffici giudiziari e scuole straniere (l’ENM francese, ad esempio).

Al termine di questo periodo il Referendar deve affrontare il secondo esame di Stato. Le prove scritte hanno luogo dopo i primi diciannove mesi, gli orali si devono svolgere cinque mesi dopo, cioè dopo l’ultima tappa. Va sottolineato che le possibilità di specializzazione sono nel secondo esame ancora più ridotte che nel primo. Ad esempio, in Bassa Sassonia, non vi sono più vere e proprie materie facoltative e gli sforzi si possono concentrare su una materia strettamente connessa a una materia obbligatoria; gli studenti possono scegliere solo fra diritto civile e penale, diritto costituzionale e diritto amministrativo, diritto dell’economia e della finanzia, diritto del lavoro e diritto sociale (paragrafo 7 capoverso 1, n. 6, Niedersächsisches Gesetz zur Ausbildung der Juristinnen und Juristen – NJAG). Gli ultimi cinque mesi di scelta del Referendariat devono comprendere una di queste quattro materie e il Referendar è relativamente libero nella scelta dell’istituzione dove riceverà la sua formazione in questo periodo. Può anche farla all’estero (purché preliminarmente autorizzato, il che vale anche per il tirocinio obbligatorio). Nel corso dell’esame orale si valutano solo le materie nelle quali il candidato ha presentato un apposito dossier (Aktenvortrag). In sintesi, nonostante le più volte ventilate riforme, l’Einheitsjurist tedesco – un giurista generalista che è anche qualificato in tutte le materie del diritto e che deve avere la stessa formazione indipendentemente dalla professione che intende esercitare – sembra rimanere un dogma [57].

Andrà poi tenuto conto del fatto che, in Germania, è determinante non solo superare la prova, ma anche uscirne con una buona posizione nella graduatoria, se si intende diventare magistrato. La promozione al secondo esame conferisce ai candidati la Befähigung zum Richteramt, vale a dire l’abilitazione all’esercizio della professione di giudice. La nomina effettiva come giudice dipende tuttavia dalla scelta effettuata dal Ministero della giustizia di ogni Land, in base alla graduatoria dei candidati, cosicché solo i candidati promossi con i voti migliori potranno essere veramente nominati giudici o pubblici ministeri. La prima nomina è effettuata per un determinato periodo (tre o cinque anni). I giovani magistrati lo sono, dunque, «in prova» (Richter auf Probe). Dopo una valutazione da parte del presidente della Corte d’appello (Oberlandesgericht), una volta terminato il periodo di prova, il magistrato può essere nominato a vita (auf Lebenszeit), oppure essere esonerato dalle sue funzioni in caso di non idoneità all’esercizio della professione.

 

 

10. La formazione continua dei magistrati in Germania. L’Accademia tedesca della magistratura.

 

Un altro istituto importante nel panorama europeo della formazione permanente dei magistrati è rappresentato dalla Deutsche Richterakademie (Accademia tedesca della magistratura), fondata nel 1973, grazie a una convenzione tra lo Stato federale e i Länder [58]. L’Accademia garantisce a livello nazionale la formazione continua dei magistrati giudicanti di tutte le branche delle varie giurisdizioni, nonché quella dei magistrati del pubblico ministero. Gestione e finanziamento della Deutsche Richterakademie sono a carico dello Stato federale e dei Länder, congiuntamente. Oltre alla casa madre di Treviri, che ha anche la funzione di sede amministrativa, l’Accademia dispone, dall’inizio del 1993, di una seconda sede per organizzare i convegni. Si tratta del castello di Zieten, situato a settanta chilometri circa da Berlino, a Wustrau, nel Brandeburgo (un Land già facente parte della DDR).

L’Accademia ha dunque la funzione di garantire la (sola) formazione permanente dei magistrati nelle loro rispettive specializzazioni, atteso che il sistema di formazione iniziale, sopra descritto, si articola nelle fasi illustrate, al di fuori di un istituto di formazione ad hoc. L’Accademia ha però anche l’ambizione di trasmettere conoscenze ed esperienze sugli sviluppi politici, sociali, economici e di comunicare ai giudici informazioni sull’evoluzione di altre materie scientifiche. Il programma dei vari convegni proposti nelle due sedi dell’Accademia è deciso da una conferenza (Programmkonferenz) incaricata di stabilirne i criteri basilari. Tale conferenza riunisce rappresentanti dello Stato federale e dell’insieme dei Länder, che dispongono di un voto per ciascuno. Vi assumono un ruolo consultivo le associazioni professionali dei magistrati della giudicante e della requirente. I costi vengono ripartiti in parti uguali tra Stato federale e Länder. Sono le amministrazioni della giustizia dello Stato federale e dei Länder a provvedere all’organizzazione del programma, tenendo conto degli elementi stabiliti dalla suddetta conferenza.

In qualità di responsabile dell’amministrazione, il direttore dell’Accademia fornisce la propria assistenza e presenta alla conferenza incaricata del programma alcune relazioni sullo svolgimento e l’eco suscitata dai vari convegni. Ogni anno il numero dei convegni organizzati a Treviri e a Wustrau per la formazione permanente dei magistrati ammonta a oltre centocinquanta. Il numero dei magistrati che partecipano a tali iniziative si aggira intorno a 5.000 l’anno. Due convegni hanno sempre luogo parallelamente. Si può ancora aggiungere che negli ultimi anni la Programmekonferenz ha stabilito la quota delle materie di insegnamento nei corsi in questo modo: conferenze sulle materie giuridiche, 45% (di cui i quattro decimi in diritto penale e i due decimi in altre materie giuridiche); conferenze di carattere interdisciplinare, 30%; conferenze sulle scienze sociali, 25%.

Il programma è completato dall’organizzazione di convegni comuni, che vedono riuniti magistrati di tribunale e di procura insieme ad altri colleghi tedeschi. Altri corsi di formazione permanente, rivolti al loro stesso personale, sono organizzati dai Länder i quali, talvolta, dispongono di proprie istituzioni. La IRZ-Stiftung (Deutsche Stiftung für internationale rechtliche Zusammenarbeit e. V. – Fondazione tedesca per la cooperazione internazionale in campo giuridico) è incaricata dal governo federale di fornire ausilio nel campo della riforma del sistema giudiziario agli Stati dell’Europa centrale e orientale, nonché ai nuovi Stati indipendenti dell’ex Unione sovietica. Programmi analoghi esistono per i Paesi del Patto di stabilità per l’Europa sud-orientale.

 

 

11. La formazione dei magistrati nei Paesi Bassi.

 

Il sistema olandese [59] è contraddistinto dalla presenza di due forme di reclutamento – rispettivamente, interna ed esterna – poste su un piano di perfetta parità; ciò significa che, per ogni concorso, la metà dei candidati sono «interni» e l’altra metà «esterni». Per quanto riguarda il metodo di reclutamento cosiddetto «interno», va innanzitutto spiegato che in Olanda, da parecchi anni, è in funzione un centro, chiamato Stichting Studiecentrum Rechtspleging (SSR), situato nella città di Zutphen, che ha lo scopo di garantire la formazione iniziale e permanente dei magistrati e dei cancellieri.

Benché il suo bilancio dipenda dal ministero della Giustizia, lo SSR è un istituto privato indipendente, che gode dello statuto legale di fondazione. Il consiglio di amministrazione dello SSR è composto di esperti, collocati negli alti gradi della magistratura, di un membro emerito della procura, di un tirocinante e di un rappresentante del ministero della Giustizia. Il presidente del consiglio è un membro della Corte suprema. Il consiglio supervisiona e decide la politica dello SSR. Il direttore, chiamato Rector, ha la supervisione, con l’assistenza di un Conrector, dell’organizzazione dello SSR, ed è responsabile degli affari quotidiani dell’istituto. Il direttore è un membro della magistratura che lavora a tempo pieno, per un periodo di cinque anni, ed è attorniato da una squadra facente parte del corpo giudiziario e in carica per un periodo di tre anni. Lo SSR propone un ampio programma di formazione professionale, per duecentocinquanta corsi l’anno (alcuni dei corsi durano parecchi giorni). I corsi, gratuiti, sono obbligatori per i candidati interni e opzionali per i giudici e i procuratori. Lo SSR non possiede un corpo docente «fisso»; per ogni iniziativa, si selezionano formatori tra i magistrati più esperti del tribunale o della procura, tra i docenti universitari, gli avvocati, i consiglieri giuridici o altri esperti di diritto. Lo SSR impiega stabilmente circa sessanta persone.

L’ammissione alla scuola si effettua, due volte l’anno, da parte di un comitato per la selezione composto di rappresentanti del potere giudiziario e di un funzionario del Ministero della giustizia, in base a un concorso, al quale possono essere ammessi laureati in legge che abbiano meno di trent’anni. Più precisamente, il Ministero organizza, coordina ed esegue la procedura di selezione, mentre la magistratura ammette i candidati alla formazione. Per potere richiedere di essere ammesso allo SSR, il candidato deve avere una laurea in Giurisprudenza (olandese), tenere una condotta irreprensibile e avere, come si è appena detto, meno di trent’anni; l’età minima non è fissata. E’ richiesta la nazionalità olandese, oltre che l’uso corrente di questa lingua.

La preselezione dei tirocinanti comincia con una «lettera di motivazione». I candidati sono quindi sottoposti a un test psicologico, che riguarda la personalità, le doti caratteriali, le attitudini analitiche e intellettuali, l’atteggiamento verso il lavoro, il non essere affetto da stress per l’esercizio di funzioni sociali. Dopo il test, i migliori cento candidati possono presentarsi alla procedura di selezione. I candidati vengono sottoposti a un test psicologico più specifico e a un colloquio con la commissione selezionatrice. La commissione è composta di giudici e pubblici ministeri, di rappresentanti del Ministero della giustizia e di persone esterne che godono di una vasta esperienza professionale. La commissione per la selezione presenta le sue raccomandazioni al Ministero della giustizia per quanto riguarda l’idoneità dei candidati a svolgere con successo il loro programma di formazione e le competenze da esercitare in qualità di magistrato.

Una volta ammesso alla scuola, il candidato ottiene lo statuto di Rechterlijk Ambtenaar in Opleiding, abbreviato in RAIO (corrispondente, grosso modo, allo statuto degli uditori francesi). La formazione interna alla scuola dura sei anni. I primi quattro anni si svolgono nel tribunale distrettuale o nell’ufficio del procuratore collegato al tribunale. Nel corso di questo periodo, il candidato – sotto la supervisione di un giudice o di un pubblico ministero esperto – partecipa a tutte le incombenze che saranno le sue quando sarà nominato magistrato. Tra le altre cose, escuterà i testimoni, parteciperà alle camere di consiglio nelle sezioni, relazionerà sulle cause di fronte al tribunale e redigerà sentenze. Dovrà inoltre seguire un solido programma di formazione, promosso dallo SSR. Durante il terzo anno di formazione, il candidato dovrà optare per la carriera di giudice o per quella di pubblico ministero. Il quarto anno del programma di formazione si definisce in base a questa decisione e si svolgerà o presso il tribunale distrettuale, o presso l’ufficio del procuratore, per approfondire ed estendere le conoscenze acquisite. Nei primi quattro anni il lavoro del candidato viene valutato annualmente. Se la valutazione risulta negativa, il candidato riceve un’ammonizione. Una seconda valutazione negativa porta sistematicamente alla bocciatura del candidato. Gli ultimi due anni si svolgono al di fuori del quadro della magistratura e consistono in un addestramento «esterno». Nella maggior parte dei casi, questo tirocinio ha luogo presso un ufficio che si occupa di questioni giuridiche, ma lo si può effettuare anche in un altro tipo di organizzazione (Consiglio d’Europa, polizia, ecc.).

Il direttore dello SSR – magistrato egli stesso – assume un ruolo rilevante nel controllo dell’organizzazione e della realizzazione del programma di formazione. A questo fine, egli entra regolarmente in contatto con tutti coloro che hanno affiancato i tirocinanti (tutori, giudici e magistrati del pubblico ministero), nonché con i tirocinanti stessi. Una volta terminata la formazione, il candidato è nominato, in funzione della sua scelta, come giudice aggiunto o come sostituto procuratore, posto in cui assume tutte le funzioni di un giudice o di un magistrato del pubblico ministero. Dopo un determinato periodo, il presidente dell’ufficio giudiziario o il capo della procura possono raccomandare al Ministero della giustizia di nominare definitivamente il candidato giudice o procuratore. Il più delle volte il Ministero della giustizia accoglie tale raccomandazione.

Per quanto riguarda i candidati «esterni», si tratta di persone che possono comprovare una precedente esperienza di pratica legale e che si sono distinte, secondo il parere delle corti distrettuali o degli uffici della procura. I candidati, una volta bandito il concorso, presentano la loro domanda alla commissione d’ammissione. I requisiti necessari sono quelli di possedere una laurea olandese in Giurisprudenza, avere un condotta irreprensibile, possedere una comprovata esperienza in una professione giuridica. La selezione è effettuata da una commissione composta di giudici e pubblici ministeri, di esponenti del Ministero della giustizia, di avvocati e docenti universitari. I candidati promossi sono nominati giudici aggiunti presso una corte distrettuale o un sostituto procuratore. Durante questo periodo, il candidato sarà valutato dal magistrato che lo ha in affidamento. Al termine di questo periodo, la corte o il procuratore capo esprimeranno un parere sull’attività del candidato. Spetta al Ministro della giustizia il compito di nominare giudice o procuratore il candidato, secondo le indicazioni fornite dalla Corte o dal procuratore capo. La formazione di questi candidati avviene a livello delle varie corti distrettuali; di tanto in tanto, essi sono tenuti a seguire determinati corsi, in funzione delle relative esperienze di lavoro, presso lo SSR [60].

 

 

12. La formazione dei magistrati in Portogallo.

 

Il sistema di reclutamento e di formazione iniziale dei magistrati portoghesi [61], piuttosto simile, per molti aspetti, a quello della Francia, si basa sull’esistenza di un ente attivo e qualificato, il Centro de Estudos Judiciários, Centro di Studi Giudiziari, creato nel 1979 presso il Ministero della giustizia, rispetto a cui, tuttavia, il Centro è riuscito a conservare un considerevole grado di autonomia. In Portogallo, il reclutamento, la selezione, la formazione, la designazione, la valutazione e la promozione dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero sono disciplinati dalla Costituzione. È infatti la Costituzione a enunciare i principi di fondo e le norme di base, che rispettano entrambi il criterio essenziale dell’indipendenza delle corti e dei tribunali. Per quanto concerne i giudici, la Costituzione ne consacra l’indipendenza, l’inamovibilità, la responsabilità per le loro decisioni, l’incompatibilità con l’esercizio di ogni altra funzione pubblica o privata, tranne quella di docente o di ricercatore in campo giuridico (purché non sia oggetto di retribuzione). La Costituzione sancisce inoltre la direzione ad opera di un Consiglio superiore della magistratura [62].

Per quanto riguarda il pubblico ministero, la Costituzione lo rende autonomo dal potere esecutivo, da quello giudiziario, nonché dalla magistratura del tribunale. Tale autonomia è coerente con le principali funzioni del pubblico ministero, specie quella consistente nell’esercizio dell’azione penale secondo il principio della legalità, nonché quella di difendere la legalità democratica. Una apposita legge organica attua poi il principio costituzionale dell’autonomia del pubblico ministero, prevedendo al tempo stesso che tale autonomia si contraddistingua per il dovere di rispettare i criteri di legalità e di obiettività e per l’esclusiva subordinazione dei magistrati del pubblico ministero agli ordini e alle istruzioni previste dalla legge, escludendo qualsiasi ordine o istruzione emananti dal potere esecutivo [63].

I requisiti richiesti per accedere all’esercizio sia della magistratura giudiziaria, sia di quella del pubblico ministero, sono i seguenti:

a. essere cittadino portoghese;

b. godere dei diritti politici e civili;

c. essere titolare di una laurea in Giurisprudenza, ottenuta in un’università portoghese o straniera ma, in questo caso, riconosciuta in Portogallo;

d. essere stato ritenuto ammissibile ed ammesso alle prove del Centro di studi giudiziari;

e. rispondere agli altri requisiti richiesti per la nomina dei funzionari statali.

La prima nomina dei giudici appartenenti alla giurisdizione ordinaria e dei magistrati del pubblico ministero avviene in base alla classifica ottenuta in graduatoria dall’uditore giudiziario, secondo i risultati ottenuti nei corsi e nei tirocini di formazione.

Durante l’esercizio nei vari uffici giudiziari di prima istanza i giudici sono valutati e classificati in base ai risultati delle regolari ispezioni che – nel rispetto del principio del contraddittorio e della facoltà di ricorso e d’appello – sono effettuate dagli ispettori. Questi ultimi sono magistrati fuori ruolo, nominati dal Consiglio superiore della magistratura. Sono scelti fra i giudici della Corte d’appello e fra i giudici di prima istanza. Devono avere un minimo di quindici anni di servizio e la loro valutazione deve essere «ottimo». Un sistema analogo vige anche per i magistrati del pubblico ministero [64].

La selezione e la formazione iniziale, complementare e permanente dei magistrati della giudicante e del pubblico ministero cadono sotto la competenza del Centro di studi giudiziari. Il Centro è posto sotto la tutela del Ministro della giustizia, ma è dotato di personalità giuridica e di autonomia amministrativa e finanziaria e la sua organizzazione rispecchia l’obiettivo di uno stretto legame con gli organi rappresentativi della magistratura, in accordo con la sua finalità essenziale di formazione professionale dei membri delle due magistrature, che godono, in ragione delle loro funzioni e dei loro statuti, di un’effettiva autonomia, in concordanza con la visione costituzionale dei tribunali come organismi di sovranità indipendenti.

Il direttore del Centro di studi giuridici è nominato dal Primo Ministro e dal Ministro della giustizia; è assistito da quattro vicedirettori. Come ulteriori organi del Centro sono previsti: il consiglio di gestione, il consiglio didattico, il consiglio disciplinare e il consiglio amministrativo. Il consiglio di gestione, che deve approvare il piano annuale delle attività e il progetto di bilancio, è presieduto dal presidente della Corte Suprema. Comprende anche il procuratore generale della Repubblica, il presidente dell’ordine degli avvocati, il direttore del Centro, due personalità emerite designate dal parlamento, due docenti di diritto, due magistrati – uno designato dal Consiglio superiore della magistratura e l’altro dal Consiglio superiore del pubblico ministero – oltre a due uditori di giustizia. Un rappresentante per ciascuno di questi Consigli superiori fa anche parte del consiglio didattico e di quello disciplinare.

Il Centro di studi giudiziari è responsabile della formazione iniziale (trentadue mesi, i primi ventidue dei quali costituiscono una fase di apprendistato teorico-pratico, divisa in tre periodi, che si svolgono in alternanza all’interno del tirocinio), della formazione complementare (obbligatoria, per i due anni successivi alla nomina effettiva) e della formazione permanente dei magistrati. Il Centro ha sede a Lisbona; impiega circa sessantacinque persone, trenta delle quali sono magistrati di tribunale e procura, nominati docenti a tempo pieno o, in casi eccezionali, part-time. La formazione ricorre anche all’intervento di figure esterne (magistrati, avvocati, docenti, esperti, ecc.). Per le attività di formazione che si svolgono presso i tribunali il Centro conta inoltre otto direttori regionali e centosettanta magistrati-formatori. Ogni anno, circa centoventi nuovi magistrati compiono il loro addestramento presso il Centro [65].

Il numero di uditori giudiziari in formazione iniziale è fissato annualmente dal Ministro della Giustizia, conformemente alle indicazioni dei consigli sulle esigenze di entrambe le magistrature. Il numero è comunicato contemporaneamente all’annuncio dell’apertura del concorso di ammissione sulla Gazzetta ufficiale. Nel prossimo futuro, anche i consiglieri dei tribunali d’appello o di prima istanza saranno ammessi al Centro nella proporzione di un terzo dei posti e, dopo un corso specifico nel Centro, eserciteranno le loro rispettive funzioni, in commissione di servizio, per tre anni. Saranno dispensati dalle prove scritte.

Le commissioni sono costituite per un terzo da personalità nominate dal Ministro della giustizia e per due terzi di magistrati designati, in pari proporzione, dai due Consigli superiori. Le prove sono scritte e orali. Le prove scritte consistono in tre esercizi: uno di carattere culturale e due di carattere tecnico. Si svolgono rispettando l’anonimato dei candidati. L’esito negativo dello scritto ha effetto eliminatorio. Al momento del colloquio (cui sono sottoposti solo i candidati ammessi agli orali) la commissione comprende anche uno psicologo. La fase degli orali comprende quattro prove:

a. una conversazione su temi di deontologia, metodologia e sociologia;

b. una discussione di diritto civile, diritto commerciale e diritto processuale civile;

c. un’altra discussione su temi di diritto penale e di procedura penale;

d. un colloquio su temi di diritto costituzionale, comunitario, amministrativo, del lavoro, della famiglia e dei minori.

Tutte le materie delle prove scritte e orali sono pubblicate sulla Gazzetta ufficiale, al momento dell’apertura del concorso. La graduatoria finale viene redatta tenendo soprattutto conto delle prove orali. I candidati che hanno ottenuto un punteggio medio inferiore a dieci su venti sono dichiarati non idonei. Dopo l’ammissione, i candidati acquisiscono lo statuto di uditori giudiziari e hanno diritto a una borsa di studio corrispondente al 50% del salario iniziale di un magistrato portoghese. La formazione iniziale comprende una fase teorico-pratica e una fase di tirocinio. La fase teorico-pratica, della durata complessiva di ventidue mesi, è comune a tutti i candidati delle due magistrature e si svolge in tre cicli:

a. il primo, di sei mesi e mezzo, nella sede del Centro;

b. il secondo, della durata di un anno, nei tribunali;

c. il terzo, che si svolgerà di nuovo nella sede del Centro, ha la durata di tre mesi e mezzo.

I candidati che si sono classificati al termine di questa fase compiono poi la loro scelta per il tribunale o la procura. Lungo l’intera formazione, si procede a una valutazione continua e a una graduatoria finale, che possono condurre o all’esclusione o alla classificazione. La valutazione e la classificazione sono in conformità con le attitudini dimostrate rispetto alle esigenze etiche, tecniche e culturali della funzione. Dopo la formazione della graduatoria, ogni uditore deve scegliere l’ufficio guidiziario in cui vuole esercitare la professione.

La formazione iniziale si svolge in certi ambiti giuridici – in particolare, diritto comunitario, diritto costituzionale, diritto civile e commerciale e diritto processuale civile, diritto penale, diritto processuale penale, diritto di famiglia e dei minori, diritto del lavoro e processuale del lavoro, diritto dell’economia, diritto dell’ambiente e del consumo – nonché in altri ambiti della sfera giudiziaria: psicologia giudiziaria, sociologia giudiziaria, lingue, deontologia, medicina legale, comunicazione sociale, ecc. L’obiettivo è la formazione di magistrati personalmente integri, responsabili, solidali, tecnicamente competenti, aperti alla cultura e alla vita. I contenuti della formazione sono tra i più paradigmatici e hanno come scopo l’acquisizione di una metodologia per affrontare i problemi giudiziari e concreti. Il Centro studi giudiziari organizza, per la formazione iniziale, corsi facoltativi di francese, inglese, tedesco. I candidati dichiarati idonei al termine della fase teorico-pratica sono nominati giudici o sostituti procuratori della Repubblica, in regime di tirocinio, rispettivamente dal Consiglio superiore della magistratura e dal Consiglio superiore del pubblico ministero. Esercitano – con l’assistenza di un magistrato formatore, ma già sotto la propria responsabilità – le funzioni inerenti alla rispettiva magistratura.

L’apprendistato si svolge per un anno. Al termine, il tirocinante diventa titolare. Prima di tale nomina non può essere escluso se non in seguito a decisione emanata dal Consiglio superiore dal quale dipende, con una procedura disciplinare istituita in base a informazioni negative, che determinano un’ispezione straordinaria. La formazione nei tribunali, sia nella fase teorico-pratica, sia in quella di tirocinio, è accompagnata e indirizzata da magistrati formatori, che sono magistrati in carica. Questi formatori sono in stretto rapporto con un direttore regionale per ogni magistratura, incaricato del coordinamento. Per ogni magistratura vi è inoltre un direttore nazionale che effettua il coordinamento complessivo in collaborazione con il direttore del Centro. Durante i due anni successivi alla loro nomina come titolari, i neo-magistrati dovranno seguire i programmi di formazione complementare, secondo piani elaborati dai Consigli superiori, in collaborazione con il Centro. Questa particolare formazione complementare è dunque obbligatoria. Tale formazione, condotta con la partecipazione dei Consigli superiori, è destinata soprattutto a riflessioni critiche sui problemi giuridici e istituzionali dell’esercizio della funzione di magistrato e a studi di approfondimento su temi specialistici di diritto.

 

 

13. Il Judicial Studies Board del Regno Unito.

 

Anche in Gran Bretagna, dove il metodo di reclutamento dei magistrati di carriera – rivolto esclusivamente a soggetti già dotati di particolari qualificazioni nel campo forense – potrebbe a tutta prima far pensare ad una situazione in cui non vi sia necessità di favorire un’attività di formazione permanente, stanno da tempo moltiplicandosi le iniziative in questo settore [66]. In particolare, la formazione permanente dei Lay magistrates e dei giudici professionisti è garantita oltre Manica dal Judicial Studies Board (JSB). Questo Ufficio studi giudiziari è nato nel 1979, quale effetto del c.d. rapporto Bridge, che ha stabilito gli obiettivi di fondo della formazione giudiziaria: si trattava, secondo quel Rapporto, di «trasmettere in forma condensata gli insegnamenti che giudici sperimentati hanno acquisito dalle loro esperienze». Questa è, dunque la vera essenza del JSB. Tale organismo è costituito, infatti, soprattutto da giudici e gode di un notevole grado di autonomia rispetto al Ministero d’origine (il Lord Chancellor’s Department, oggi Department for Constitutional Affairs), dal momento che decide esigenze e natura della formazione giudiziaria.

Gli obiettivi del JSB sono i seguenti:

·        fornire una formazione di elevata qualità a giudici che lavorano a tempo pieno, o a tempo parziale, in materia di diritto civile, diritto penale e diritto di famiglia;

·        consigliare il presidente dell’Alta corte di giustizia sulla politica e i contenuti della formazione dei magistrati e sull’efficacia con cui i comitati dei tribunali impartiscono tale formazione;

·        consigliare il presidente dell’Alta corte di giustizia e i ministeri governativi sulla politica e i contenuti della formazione dei membri del personale giudiziario;

·        consigliare il governo sulle richieste di formazione dei magistrati e del personale giudiziario, sulla necessità di effettuare alcuni cambiamenti a livello del diritto, della procedura, o dell’organizzazione giudiziaria, e sul contenuto di tale formazione;

·        promuovere la collaborazione internazionale nel campo della formazione giudiziaria.

Il JSB lavora, attualmente con un ufficio principale e sei comitati: il comitato penale, il comitato civile, il comitato della famiglia, il comitato dei magistrates, il comitato dei tribunali e il comitato di consulenza sulla parità dei diritti. I membri dell’ufficio e dei comitati comprendono membri della magistratura di tutti i livelli: capi di corti, giudici, funzionari del ministero degli Interni e del ministero della Giustizia. Direttore degli studi è un giudice in distacco presso il JSB. Il lavoro del comitato è completato dalle pubblicazioni del JSB, che rappresentano un importante aspetto dell’attività dell’istituto. Attualmente, le pubblicazioni sono le seguenti: i Bench Books, gli Equal Treatments Bench Books, un Handbook on Ethnic Minority Issues, le JSB Guidelines for the Assessment of General Damages in Personal Injury Cases e il JSB Journal. Si tratta in genere di opere scritte da membri della magistratura, su richiesta del JSB.

L’Ufficio studi giudiziari è un’organizzazione indipendente, controllata da un comitato i cui membri sono nominati dal Lord Chief Justice. Il comitato (nonché i suoi comitati subalterni) è principalmente composto di rappresentanti del potere giudiziario nell’accezione più ampia (giudici della Court of Appeal, dell’High Court, della Crown Court, delle County Courts, dei magistrati di corti e tribunali), ma comprende anche rappresentanti dell’ambiente universitario e dei ministeri della Giustizia e degli Interni. Per quanto riguarda la contabilità, è considerato un organismo pubblico non governativo consultivo; i suoi diritti e i suoi insegnamenti sono stabiliti da un protocollo d’intesa con il Department for Constitutional Affairs.

 

 

14. Altri istituti e attività di formazione permanente (Belgio e Spagna; ERA ed EIPA; le attività del Consiglio d’Europa nei Paesi dell’Europa Centrale e Orientale).

 

Anche in Belgio gli obiettivi della formazione permanente vanno oltre l’aggiornamento delle conoscenze giuridiche, per tendere allo sviluppo di una vera e propria cultura giudiziaria, approfondendo il mestiere di magistrato sia nello spirito, sia nella pratica [67]. Quattro grandi temi costituiscono l’oggetto di questa formazione permanente:

·        le attività di formazione connesse alla funzione, che comprendono soprattutto scambi di esperienze professionali;

·        l’accompagnamento delle riforme legislative;

·        le iniziative di formazione tematiche;

·        i corsi di formazione metodologici.

Si organizzano dunque ogni semestre duecento sessioni o cicli di formazione. Questo sistema è destinato ad essere ben presto radicalmente modificato dalla approvazione della legge 31 gennaio 2007, che ha creato l’Institut de formation judiciaire, che dovrà assicurare la formazione tanto iniziale che continua dei magistrati e dei cancellieri. Sino alla creazione di tale istituzione i programmi di formazione venivano elaborati dal Collegio di reclutamento, sulla base di consultazioni con i magistrati. Ogni ciclo era affidato a un coordinatore, per lo più un magistrato, incaricato di elaborare in concreto il programma e di scegliere i partecipanti, privilegiando l’approccio interdisciplinare. Dal 2 agosto 2000, le competenze del Collegio di reclutamento erano quindi state inglobate in quelle, amplissime, del Consiglio superiore della giustizia.

Un’intensa attività di formazione si svolge anche in Spagna ad opera del Consejo General del Poder Judicial (CPJ – Consiglio generale del potere giudiziario), tramite la sua Scuola giudiziaria, che ogni anno organizza numerose attività di formazione [68]. Al riguardo, va detto che la Scuola giudiziaria del Consiglio generale del potere giudiziario ha l’incarico di organizzare i concorsi di reclutamento, la formazione iniziale, complementare e permanente dei giudici e anche, ma non esclusivamente, la collaborazione internazionale in materia di formazione dei magistrati. La Scuola giudiziaria è un organo tecnico superiore del Consiglio generale del potere giudiziario. In quanto organo costituzionale, il Consiglio generale del potere giudiziario ha ricevuto, con la legge organica n. 16 dell’8 novembre 1994, la responsabilità in materia di selezione e formazione dei giudici e dei magistrati. La sede della direzione della Scuola e della formazione iniziale è a Barcellona. La scuola ha anche una sede a Madrid per la formazione permanente.

Nel quadro dell’attività di formazione, la scuola forma oltre tremilacinquecento magistrati per quanto riguarda la formazione permanente. Presso questa scuola vengono formati anche molti magistrati latinoamericani, per un periodo di tre settimane, di tre mesi, o di un intero anno. L’obiettivo della formazione permanente è soprattutto quello di seguire gli sviluppi legislativi e giurisprudenziali, ad esempio l’ammodernamento dell’istituzione giudiziaria. Ogni magistrato può partecipare annualmente a tre attività di formazione permanente a livello nazionale e ad altre a livello decentrato. Il programma di formazione permanente comporta circa duecento attività differenti: si tratti di tirocini presso istituzioni o imprese, o di seminari di riflessione e approfondimento delle pratiche professionali

Venendo ora a dire, invece, degli istituti internazionali che, a livello europeo, svolgono un ruolo determinante nella formazione dei magistrati, andranno menzionati l’Accademia europea di diritto (Europäische Rechtsakademie – ERA) di Treviri [69], nonché l’Istituto europeo della pubblica amministrazione (EIPA) [70]. Quest’ultimo, fondato nel 1981, rappresenta un’istituzione di carattere europeo che sostiene le amministrazioni nazionali e le istituzioni comunitarie nei loro compiti e nelle loro responsabilità in materia di integrazione europea, con sede a Bruxelles e a Lussemburgo (dove è insediato il Centro europeo della magistratura e delle professioni).

Infine, sarà opportuno fare un cenno all’impressionante attività che il Consiglio d’Europa (in particolare la Direzione per la Cooperazione giuridica), svolge, dalla caduta del muro di Berlino, nei Paesi dell’Europa Centrale e Orientale, nel quadro di svariati programmi di cooperazione ed assistenza, volti a organizzare conferenze e seminari per sensibilizzare gli operatori locali sui temi della giustizia, a fornire consulenza ed assistenza nella redazione di leggi sullo statuto della magistratura e ad assistere governi e parlamenti nella creazione di Scuole ed Accademie della magistratura [71].

 

 

CAPITOLO III

L’ORGANIZZAZIONE ISTITUZIONALE DELLA FORMAZIONE DEI MAGISTRATI: TRA LIBERTA’ DI INSEGNAMENTO E TUTELA DELL’INDIPENDENZA

 

 

«Ignorantia iudicis plerumque est calamitas innocentis».

(Sant’Agostino, De civitate Dei, l. XIX, [VI]).

 

Sommario:

15. L’organizzazione istituzionale della formazione dei magistrati: tra libertà di insegnamento e tutela dell’indipendenza; il caso italiano, anche alla luce di alcuni remoti d.d.l.

16. La formazione iniziale dei magistrati in Italia prima della istituzione della Scuola superiore della magistratura.

17. La formazione continua dei magistrati in Italia prima della istituzione della Scuola superiore della magistratura. La formazione decentrata.

 

15. L’organizzazione istituzionale della formazione dei magistrati: tra libertà di insegnamento e tutela dell’indipendenza; il caso italiano, anche alla luce di alcuni remoti d.d.l.

 

La riflessione che si sta conducendo [72] sui testi che regolano a livello internazionale il tema della formazione consente di approdare, rispetto al punto cruciale dell’organizzazione istituzionale della formazione, ai seguenti risultati:

a. la formazione è concepita oggi sempre più come oggetto di un diritto nei confronti dello Stato;

b. tuttavia, essa costituisce altresì l’oggetto di un dovere (per lo meno sotto il profilo deontologico) di ogni singolo magistrato;

c. essa è strettamente connessa all’indipendenza del potere giudiziario.

Questi tre principi ci possono aiutare a rispondere alla domanda su chi debba essere il soggetto responsabile della formazione. Per affrontare questo argomento, tuttavia, bisogna ancora tenere presente un altro punto.

Che cos’è la formazione e, soprattutto, che cos’è la formazione dei magistrati? Nel suo Rapporto al parlamento italiano sullo stato della giustizia per l’anno 1994, il Consiglio superiore della magistratura italiano ha definito la formazione una «comunicazione organizzata delle conoscenze tecniche, pratiche e deontologiche che si aggiungono alle conoscenze fornite dall’esperienza della propria professione; questa trasmissione di conoscenze si realizza in modo programmato e sistematico tramite la struttura in cui agisce l’operatore». Ciò vuol dire che la formazione è, in primo luogo, insegnamento. Essa, tuttavia, è anche molto di più di questo, poiché non si limita alla comunicazione di conoscenze teoriche (il «sapere»), ma tende anche a condividere un insieme di informazioni operative (il «saper fare») e a presentare modelli di comportamento (il «saper essere»). Se tutto questo è vero, allora non si vede perché mai la formazione dei magistrati dovrebbe essere esente dal rispetto della libertà di insegnamento, un principio del resto ben noto alla Costituzione italiana [73], come pure alle leggi fondamentali di altri Paesi europei [74]. Indipendenza della magistratura e libertà di insegnamento: ecco i due pilastri della formazione dei magistrati.

Se si accettano questi due postulati, la risposta all’interrogativo relativo all’individuazione del soggetto responsabile della formazione non può che essere questa: l’organismo che ha il compito di formare i magistrati deve essere non solo indipendente dai poteri dello Stato (ed in particolar modo dal Ministero della giustizia), ma deve essere pure dotato di un considerevole grado di autonomia nei confronti dell’istituzione responsabile della amministrazione del potere giudiziario (naturalmente in quei sistemi dove questo organo esiste, e soprattutto in Italia) [75].

Perché occorre rivendicare per i centri di formazione dei magistrati una libertà d’azione non solo rispetto al Ministero della giustizia, ma anche al Consiglio superiore della magistratura? Tutti sanno che quando si parla di indipendenza dei magistrati si intende sottolineare, da un lato, l’assenza di un rapporto di subordinazione agli altri poteri dello Stato (indipendenza «esterna»), ma anche, dall’altro lato, l’assenza di legami di dipendenza gerarchica all’interno stesso del corpo giudiziario (indipendenza «interna») [76], dunque anche rispetto al Consiglio superiore della magistratura.

Potrebbe, del resto, essere interessante notare come un richiamo al principio di libertà d’insegnamento sia contenuto anche nella relazione al progetto di legge n. 2018/XII che recava il titolo «Istituzione di un Centro superiore di studi giuridici per la formazione dei magistrati, o “Scuola della magistratura”», presentato al parlamento italiano nel 1995, nel corso della XII legislatura, e che venne successivamente abbandonato [77]. In questo testo, il riferimento all’art. 33 della Costituzione italiana è collegato ad altri principi della nostra legge fondamentale per quanto riguarda l’indipendenza del potere giudiziario (art. 104), le prerogative del C.S.M. (art. 105) e le competenze del ministero della Giustizia (art. 110). Ci si potrebbe dunque ispirare a quel progetto di legge – purtroppo lasciato cadere dal governo e dal parlamento – per cercare di capire quali possano essere, da un punto di vista astratto [78], nel quadro istituzionale italiano, i rapporti di un Centro autonomo di formazione dei magistrati italiani con il Guardasigilli, da un lato, e con il C.S.M., dall’altro.

La risposta è piuttosto semplice per quanto riguarda il primo dei due soggetti. L’art. 110 della Costituzione italiana limita le competenze del Ministro alla «organizzazione» e al «funzionamento dei servizi relativi alla giustizia». Nel citato progetto di legge la soluzione era stata trovata attribuendo ai due rappresentanti del Ministro un seggio in seno, rispettivamente, al Consiglio scientifico e a quello di amministrazione della Scuola (artt. 8 e 10). Il ministero, da parte sua, avrebbe dovuto fornire una dotazione economica annua (art. 1) e selezionare il personale amministrativo componente la segreteria della Scuola (art. 17).

La questione dei rapporti con il C.S.M. sembra, invece, più delicata. L’organismo è stato, come noto, per diversi decenni l’unico centro di formazione iniziale e permanente per la magistratura italiana. Si è cercato di contestare tale competenza, facendo osservare che l’art. 105 della Costituzione italiana non prevede la formazione fra i compiti che gli sono attribuiti. Invece, per quanto attiene quanto meno alla normativa anteriore al 2005, numerose disposizioni ci permettono di concludere che è sempre stato il C.S.M. e non certo il Ministro a possedere tale tipo di competenza. Così, per esempio, la legge ha attribuito esplicitamente al Consiglio superiore la competenza in materia di formazione degli uditori giudiziari [79], nonché dei magistrati minorili [80] e dei giudici di pace [81]. Infine, l’art. 11 della legge 13 febbraio 2001, n. 48 affidava esplicitamente al C.S.M. l’organizzazione dei corsi di formazione degli uditori giudiziari, per i quali avesse deciso di ridurre il periodo di tirocinio ordinario da diciotto a dodici mesi. Nel sistema anteriore all’istituzione della Scuola superiore della magistratura era dunque inevitabile che il legislatore commettesse tali compiti al C.S.M., peraltro riconoscendo espressamente (cfr. l’art. 11 appena citato) che tale compito era affidato all’organo di governo autonomo della magistratura «fino alla istituzione della scuola della magistratura», dischiudendo con ciò una prospettiva fino ad allora del tutto inattesa nello scenario della politica istituzionale e giudiziaria italiana.

In definitiva, di fronte al quadro costituzionale e normativo delineato, la soluzione teoricamente ottimale, rispettosa dei principi costituzionali di autonomia e indipendenza della magistratura e di libertà di insegnamento, consiste in una forte presenza, nel comitato posto alla testa dell’istituto di formazione (così come nell’eventuale comitato scientifico, o di gestione), di magistrati designati dall’organo di autogoverno, consentendo in tal modo a quest’ultimo di assicurare indirettamente l’orientamento ed il controllo generale sulle attività didattiche (senza peraltro intervenire direttamente sulla gestione quotidiana), facendo altresì salva la possibilità di trasmettere in seno agli organi preposti alla preparazione dell’offerta formativa la «voce della base», cioè la presentazione, da parte dei rappresentanti dei diretti interessati, di quali siano le più impellenti necessità formative.

Ancora una volta mi sembra che il citato disegno di legge n. 2018/XII ponesse le basi per una soluzione ragionevole ed equilibrata del problema. Il testo attribuiva infatti al C.S.M. i poteri seguenti:

a)                          enunciare annualmente gli indirizzi e le direttive didattico-scientifiche relativi all’attività di formazione (artt. 3 e 14);

b)                          essere rappresentato da tre dei suoi componenti (di cui due togati) in seno al consiglio scientifico della Scuola (art. 8);

c)                          nominare i tre magistrati membri del medesimo consiglio scientifico (art. 8);

d)                          nominare il direttore della Scuola (art. 12);

e)                          nominare il vice-direttore, direttore della sezione di tirocinio per la formazione iniziale (art. 13);

f)                            nominare gli otto magistrati per ciascuna delle due sezioni (formazione iniziale e formazione permanente) membri di ciascuno dei rispettivi comitati di gestione (artt. 13 e 14).

La Scuola era pertanto, nel ricordato progetto, un établissement public, dotato di mezzi finanziari provenienti dal Ministero della giustizia, secondo quanto previsto dalla legge. Essa aveva al proprio vertice un consiglio scientifico presieduto dal direttore e composto dal vice-direttore, tre membri del C.S.M., due magistrati della decidente e uno della requirente scelti dal C.S.M., due professori universitari, due avvocati ed un rappresentante del Ministero. La Scuola comprendeva due sezioni: una per la formazione iniziale e l’altra per quella permanente. Ciascuna di queste due sezioni avrebbe dovuto essere dotata di un Comitato di gestione, composto dal direttore di sezione e da cinque magistrati scelti dal C.S.M. e temporaneamente distaccati presso la Scuola. Infine, un consiglio d’amministrazione si occupava esclusivamente della gestione economica della struttura. Nel progetto precitato la Scuola non avrebbe disposto d’un corpo docente permanente, ma avrebbe fatto ricorso per ogni attività di formazione a specialisti tratti di volta in volta dalle discipline più varie: dalle varie branche del diritto alla medicina, dalla ragioneria all’economia, dalla psicologia alla sociologia, ecc.

 

 

16. La formazione iniziale dei magistrati in Italia prima della istituzione della Scuola superiore della magistratura.

 

Quando ci si occupa delle specificità della formazione dei magistrati, si nota innanzitutto che occorre oggi fare – un po’ ovunque, nel mondo – una distinzione molto netta tra formazione iniziale e formazione permanente. Per quanto riguarda la prima, ci si accorge che, nella maggior parte dei Paesi che accolgono il modello «burocratico», il reclutamento tramite il concorso ha conosciuto importanti trasformazioni, pur essendo diversi i «correttivi» introdotti. In primo luogo, l’accesso laterale alla magistratura, come possibilità di approccio ad un corpo relativamente «chiuso», rappresenta uno di questi correttivi in Paesi quali la Francia, il Belgio o i Paesi Bassi, come pure nei sistemi di common law (dove il reclutamento dei giudici è effettuato esclusivamente fra gli avvocati che possano comprovare un determinato numero di anni di pratica).

Il sistema italiano, invece, si è finora rifiutato di utilizzare le esperienze professionali che si formano esternamente all’organizzazione giudiziaria [82].

In secondo luogo, le istituzioni incaricate della formazione dei futuri giudici e magistrati della procura si sono ormai diffuse nel mondo. Si tratti di una scuola ad hoc, come in Francia, in Spagna, in Portogallo o nei Paesi Bassi, o in svariati Paesi dell’Europa centrale e orientale, o di un servizio preparatorio, come in Germania, la tendenza molto chiara è quella a fornire ai magistrati una preparazione professionale adeguata ad affrontare la crescita e la trasformazione dei compiti che essi devono assolvere. In Italia, il concorso d’accesso non è stato – almeno fino ad ora – preceduto né seguito da alcuna formazione gestita da una istituzione specializzata, costituita ad hoc, e autonoma (anche se sono particolarmente notevoli gli sforzi fatti dal C.S.M. in questa direzione). Si tratta di una mancanza deplorevole, di cui ho già parlato in altra sede [83]. La preparazione professionale dei giovani magistrati italiani è dunque stata affidata nel corso di svariati decenni al Consiglio superiore della magistratura; essa si è sempre svolta prevalentemente on the job, vale a dire sotto la sorveglianza e la guida dei magistrati più anziani.

Sino all’approvazione del d.lgs. n. 26 del 2006 ed alla successiva entrata in vigore della l. 30 luglio 2007, n. 111, la formazione professionale iniziale dei magistrati italiani, curata direttamente dal C.S.M., si articolava, come noto, principalmente in due fasi:

·        il tirocinio «ordinario» (detto anche «generico»), consistente nella rotazione tra vari uffici giudiziari e

·        il tirocinio «mirato», destinato a dare una preparazione specifica all’esercizio delle funzioni che saranno oggetto della prima assegnazione dell’uditore, una volta immesso nell’esercizio delle funzioni giudiziarie.

La formazione aveva dunque luogo on the job, mediante inserimento dei vincitori del concorso nella struttura giudiziaria, senza responsabilità dirette, ma sotto il controllo di magistrati a vario titolo coinvolti nell’attività formativa. Purtroppo va subito detto che sovente, particolarmente in talune grandi sedi, la presenza di un numero eccessivo di uditori giudiziari comprometteva la possibilità di un’accurata attività formativa durante lo stage. Un altro problema era rappresentato dalla difficoltà, a fronte del tempo eccessivamente limitato di durata della formazione, di integrare le scarse nozioni – sia pratiche che teoriche – fornite dagli studi universitari. A tal fine il C.S.M. organizzava, tanto durante il tirocinio ordinario che durante quello mirato, dei corsi a Roma specialmente destinati a fornire agli uditori quel bagaglio non solo di informazioni, ma anche di esperienze, nei campi usualmente poco conosciuti dai giovani magistrati; tra queste iniziative si segnalava, in particolare, l’organizzazione, negli ultimi anni [84], di veri e propri processi simulati, cui gli uditori partecipavano assumendo di volta in volta «ruoli» diversi.

Tutta la materia era quindi stata riorganizzata dal d.p.r. 17 luglio 1998 [85] e dalla successiva circolare del C.S.M. in data 30 luglio 1999, che avevano fissato in 18 mesi la durata minima del periodo di tirocinio (di cui 13 mesi di tirocinio «ordinario» e 5 di tirocinio «mirato»), precisando le regole e le competenze del C.S.M., così come dei Consigli giudiziari e delle commissioni uditori costituite a livello dei distretti di corte d’appello. Occorrerà però aggiungere che l’art. 11, l. 13 febbraio 2001, n. 48 aveva previsto la possibilità per il C.S.M. di ridurre fino a 12 mesi la durata del periodo complessivo di tirocinio, purché il periodo di tirocinio «mirato» non scendesse sotto i cinque mesi. In questo caso però gli uditori sarebbero stati obbligati a partecipare, nel corso dei cinque anni seguenti, a dei corsi di formazione (definibile come «complementare») organizzati dal C.S.M. per la durata di due mesi l’anno.

Il sistema in vigore sino alle riforme degli anni 2006 e 2007 prevedeva, per la formazione di ogni uditore, l’intervento di un numero consistente (e, a sommesso avviso dello scrivente, veramente eccessivo) di soggetti, definibili come gli «organi della formazione iniziale». Si trattava, più esattamente (andando, per così dire, dal «basso» verso l’«alto»):

·        dei magistrati affidatari: il loro compito era quello di seguire l’uditore per un periodo assai limitato (di solito inferiore al mese, per il tirocinio ordinario, mentre l’affidatario era tendenzialmente unico per tutto il periodo del tirocinio mirato), facendo partecipare l’ «allievo» a tutte le sue attività giudiziarie, spiegandogli in che cosa consista il lavoro presso l’ufficio giudiziario relativo, affidandogli la stesura della bozza di provvedimenti giudiziari e, infine, redigendo un parere motivato sul periodo di affidamento (art. 11, d.p.r. 17 luglio 1998);

·        dei magistrati collaboratori (dei Consigli giudiziari): nominati dal C.S.M. su proposta dei Consigli giudiziari in numero di due (uno per il civile e l’altro per il penale) per ogni Corte d’appello e per ogni gruppo d’uditori (composto di regola di non più di cinque elementi); il loro compito era quello di controllare l’esecuzione del programma previsto per ogni scaglione di uditori e di stendere un parere finale sulla base dei pareri formulati dai vari magistrati affidatari; tali magistrati costituivano le principali figure di riferimento per gli uditori, in quanto rappresentavano l’unico referente continuativo nell’attività di formazione per tutto il periodo del tirocinio (cfr. art. 10, d.p.r. 17 luglio 1998);

·        dei magistrati collaboratori degli uditori con funzioni: si trattava qui di magistrati tenuti a svolgere una sorta di attività di «tutoraggio» per i giovani colleghi che avevano appena ricevuto le funzioni giudiziarie (si noti peraltro che tali «collaboratori» dovevano anche trasmettere al Consiglio giudiziario un parere sull’attività prestata dagli uditori in questione); ogni uditore con funzioni era seguito da due magistrati collaboratori, ciascuno dei quali aveva il compito di seguire l’attività di non più di tre uditori giudiziari con funzioni (cfr. art. 15, d.p.r. 17 luglio 1998);

·        delle Commissioni distrettuali per gli uditori giudiziari: si trattava di organi composti da tre magistrati scelti dal Consiglio giudiziario tra i propri membri, nonché dai magistrati «collaboratori»; la commissione sottoponeva al Consiglio giudiziario delle proposte per l’organizzazione e il coordinamento dello stage e controllava l’attuazione di questo, organizzando incontri con i magistrati «affidatari» e con gli uditori; essa organizzava pure la formazione iniziale a livello locale (art. 9, d.p.r. 17 luglio 1998);

·        dei Consigli giudiziari: il loro compito in questo campo era quello di coordinare la formazione iniziale a livello locale, realizzando le direttive emanate dal C.S.M., nominando i magistrati «collaboratori» ed approvando il piano di stage previsto per ogni uditore, così come il programma generale per le attività di formazione sul piano locale; essi inviavano poi tali proposte al C.S.M. per l’approvazione definitiva; i Consigli giudiziari formavano per ogni uditore un fascicolo personale e redigevano i pareri per la valutazione di idoneità ad esercitare le funzioni giudiziarie; essi proponevano altresì l’eventuale prolungamento dello stage per gli uditori non idonei e redigevano i pareri a conclusione del primo anno di esercizio delle funzioni (cfr. artt. 7, 10, 12, 14, 15 d.p.r. 17 luglio 1998);

·        del Comitato scientifico presso la Nona Commissione del C.S.M.: in questa sede tale comitato [86] agiva quale organizzatore delle attività di formazione a livello centrale, organizzando i corsi che si svolgevano a Roma per tutti gli uditori;

·        della Nona Commissione (Tirocinio e Formazione Professionale) presso il C.S.M.: tale articolazione dell’organo di autogoverno era responsabile del controllo di tutte le iniziative formative dei magistrati; come tutte le commissioni del C.S.M., essa si limitava però a formulare ed approvare delle proposte da sottoporre per l’approvazione al plenum del Consiglio;

·        del plenum del C.S.M. All’organo di autogoverno spettava la competenza generale in materia di formazione, secondo la disciplina prevista dal regolamento del tirocinio. Stabiliva al riguardo l’art. 1 del d.p.r. 17 luglio 1998 che il C.S.M. «dirige, organizza, coordina e controlla il tirocinio degli uditori giudiziari avvalendosi dei Consigli giudiziari, delle Commissioni distrettuali per gli uditori giudiziari previste dall’articolo 9, dei magistrati collaboratori previsti dall’articolo 10, dei magistrati affidatari previsti dall’articolo 11 e del Comitato scientifico previsto dall’articolo 29, comma 3, del regolamento interno del Consiglio superiore della magistratura»; oltre alle generali competenze di coordinamento (artt. 3, comma 2, e 12, commi 4 e 5, d.p.r. 17 luglio 1998), al C.S.M. erano attribuite quelle relative a:

-        fissazione della durata del tirocinio (art. 3, d.p.r. 17 luglio 1998);

-        fissazione e modificazione (nel secondo caso su proposta e/o parere del Consiglio giudiziario) della sede del tirocinio (art. 2, commi 1 e 2, in relazione all’art. 8, d.p.r. 17 luglio 1998);

-        approvazione della nomina dei magistrati collaboratori designati dai Consigli giudiziari (art. 8, d.p.r. 17 luglio 1998);

-        organizzazione in sede nazionale, avvalendosi del comitato scientifico e secondo le procedure previste, di incontri di studio e altre iniziative formative rivolte agli uditori nel corso del tirocinio ordinario e di quello mirato (art. 12, d.p.r. 17 luglio 1998);

-        organizzazione di incontri di studio sulla formazione professionale degli uditori (art. 13, d.p.r. 17 luglio 1998);

-        valutazioni di idoneità all’esercizio delle funzioni giudiziarie e individuazione degli uffici di destinazione (art. 14, d.p.r. 17 luglio 1998).

Il decreto del 1998 obbligava inoltre ogni uditore a tenere un «quaderno del tirocinio» (art. 6, d.p.r. 17 luglio 1998), sul quale andavano registrate le tappe del percorso formativo: invero, si stabiliva che in esso l’uditore dovesse «con cadenza almeno settimanale, annota(re) le attività svolte e quelle alle quali ha partecipato o assistito, formulando le proprie eventuali osservazioni ed indicando ogni altro elemento utile a dar conto dell’esperienza formativa in corso». Il magistrato affidatario doveva quindi vistare le annotazioni dell’uditore, per conferma, ed aggiungervi le proprie eventuali osservazioni. Al termine del periodo di tirocinio il quaderno andava consegnato ai magistrati collaboratori. L’uditore doveva anche aggiungervi una relazione complessiva sul tirocinio svolto, oltre (art. 7, d.p.r. 17 luglio 1998) ad una copia di tutti i provvedimenti redatti dall’uditore, con le modifiche ad essi eventualmente apportate dai magistrati affidatari, le autorelazioni (art. 6, comma 3, d.p.r. 17 luglio 1998) e gli elaborati scritti dell’uditore.

Nell’imminenza della conclusione del tirocinio ordinario il Consiglio giudiziario riceveva la relazione redatta dai magistrati collaboratori su ogni uditore e, su proposta della Commissione distrettuale, emetteva il suo parere sull’idoneità dell’uditore all’esercizio delle funzioni giudiziarie. La relazione ed il parere erano comunicati all’uditore, che poteva formulare le proprie osservazioni, da inserire nel dossier. I fascicoli venivano quindi trasmessi al C.S.M. La Nona Commissione del C.S.M. verificava allora – sulla base dei rapporti, dei pareri e dei documenti inseriti nei fascicoli degli uditori – quale giudizio andava emesso sulle attitudini dei vari uditori in questione. La Commissione poteva anche proporre al Consiglio di obbligare l’uditore a ripetere il periodo di tirocinio ordinario o di prolungarlo per un periodo non superiore ai diciotto mesi. Se al termine di tale periodo di stage il C.S.M. avesse espresso un giudizio di inidoneità all’esercizio delle funzioni giurisdizionali, il Consiglio, su proposta della commissione competente, avrebbe dovuto disporre la cessazione dell’uditore dal servizio (cfr. art. 14, d.p.r. 17 luglio 1998).

Una volta che l’uditore aveva completato positivamente il tirocinio ordinario, il C.S.M., su proposta della Nona Commissione, deliberava a quale ufficio ogni singolo uditore era assegnato. A tal fine gli uditori erano chiamati a Roma per la scelta dell’ufficio di prima destinazione, da operarsi sulla base di una lista redatta dal C.S.M., avuto riguardo alla collocazione dell’uditore in seno alla graduatoria finale del concorso. Una volta effettuata la scelta, ogni uditore iniziava il periodo «mirato» in un ufficio giudiziario (determinato in base all’art. 2, d.p.r. 17 luglio 1998) nel quale si esercitavano funzioni corrispondenti a quelle proprie dell’ufficio di destinazione. La valutazione attitudinale dell’uditore era ripetuta nell’imminenza della conclusione del tirocinio «mirato». Nel caso di valutazione positiva il Consiglio conferiva all’uditore l’esercizio delle funzioni giudiziarie. In caso contrario il C.S.M. poteva decidere che il tirocinio fosse proseguito per uno o più periodi, sino a raggiungere una durata che complessivamente non poteva superare i 36 mesi. Nel caso di giudizio negativo il Consiglio, sempre su proposta della Nona Commissione, disponeva la cessazione dell’uditore dal servizio (cfr. art. 14, d.p.r. 17 luglio 1998).

Volendo esprimere una valutazione del sistema che si è appena sommariamente descritto, va innanzi tutto rimarcato che il tempo dedicato alla formazione, al di là dell’impegno individuale nello studio, non sembrava sufficiente, neppure supponendo che il C.S.M. non s’avvalesse della facoltà di ridurre la durata del tirocinio. In effetti, gli uditori erano obbligati a frequentare i corsi organizzati dai Consigli giudiziari presso le varie corti d’appello, così come quelli organizzati a Roma dal C.S.M. Peraltro, a parte gli «incontri romani», la situazione a livello locale era tutt’altro che omogenea. A ciò s’aggiungeva che, accanto al tirocinio presso gli uffici giudiziari, non era prevista alcuna forma di stage né presso studi professionali, né presso imprese, né presso pubbliche amministrazioni (tanto meno all’estero!). Nessuna reale selezione veniva compiuta nel corso di questo troppo breve periodo, a dispetto d’un sistema inutilmente barocco e frammentario, nelle mani di un numero veramente eccessivo d’attori, al punto da richiamare alla mente il noto proverbio inglese secondo cui too many cooks spoil the broth. In effetti, salvo casi assolutamente eccezionali, le valutazioni attitudinali redatte dai magistrati responsabili della formazione e dai Consigli giudiziari erano sempre positive e gli uditori erano senz’altro ammessi a esercitare le funzioni giurisdizionali [87].

 

 

17. La formazione continua dei magistrati in Italia prima della istituzione della Scuola superiore della magistratura. La formazione decentrata.

 

Per quanto riguarda la formazione continua (o permanente), va detto innanzitutto che si tratta di un argomento cui l’autore di questo studio tiene in modo del tutto particolare, essendosi impegnato in questa attività per tre anni, nel momento in cui il C.S.M. iniziò – partendo praticamente da zero – a organizzare in modo sistematico la formazione dei magistrati italiani [88]. Si tratta di un tema di cui non si può parlare se non con amarezza, visto che l’Italia ha perso l’occasione di dotarsi (perlomeno per il settore della formazione permanente), sin dal 1993, di una scuola della magistratura del genere di quella costituita dall’ENM francese.

In primo luogo, va detto che, nel 1973, era stato avviato un sistema molto rudimentale di formazione permanente per i magistrati, organizzato dal Consiglio superiore della magistratura. A partire da quell’anno, e negli anni successivi, il C.S.M. aveva istituito dei corsi nella forma di «seminari di formazione» (in media, una decina ogni anno), dedicati a materie specifiche: tecniche di indagine in materia penale, diritto minorile, diritto del lavoro, procedura civile, diritto di famiglia, ecc. Il 23 settembre 1993, il Ministro della Giustizia e il vicepresidente del C.S.M. siglavano una convenzione, sulla cui base si istituiva a titolo sperimentale una «Struttura di Formazione professionale dei magistrati». Alla testa dell’organismo vi era un comitato scientifico, composto da tre membri del C.S.M., tre magistrati del ministero, tre magistrati impiegati a tempo pieno presso il C.S.M. (tra cui chi scrive) e cinque magistrati che lavoravano a tempo parziale per questa struttura. La formazione erogata dalla struttura non era obbligatoria per i magistrati; ma va anche aggiunto che, in alcuni casi particolari, il C.S.M. aveva deciso che il fatto di avere seguito dei corsi di formazione avrebbe costituito un titolo preferenziale per l’ottenimento di determinate funzioni. La summenzionata convenzione prevedeva l’organizzazione, per ogni anno, di cinquanta corsi di una settimana., ciascuno dei quali riservato a un centinaio circa di magistrati: ciò significa che, ogni anno, 5.000 magistrati (su un totale di 8.400, all’epoca) potevano essere coinvolti in un’attività di formazione. Benché la preparazione iniziale dei futuri magistrati non fosse indicata fra i suoi compiti, la «Scuola» avrebbe potuto diventare, in futuro, uno strumento istituzionale in grado di colmare il vuoto allora esistente tra la conclusione degli studi universitari e l’accesso alla magistratura.

Purtroppo, dopo circa nove mesi di attività, e dopo che l’autore di questo studio aveva avuto l’onore e il privilegio di essere nominato direttore di questa prima Scuola della magistratura italiana, la convenzione venne annullata dalla Corte dei conti, sulla base del pretesto (un vero e proprio assioma indimostrato) che una struttura del genere si sarebbe potuta istituire soltanto per legge e non in base a una convenzione amministrativa (soprattutto tra il C.S.M. e il Ministero). All’epoca, la struttura aveva già organizzato una quarantina di settimane di corsi di formazione specializzati nei campi più disparati, con la partecipazione non solo di magistrati, ma anche di docenti universitari, di avvocati, di notai, di esperti, di psicologi, di sociologi, di giornalisti, ecc. In seguito a questa malaugurata decisione, il C.S.M. decise comunque di proseguire l’attività di formazione avviata dalla struttura e di organizzare per ogni anno successivo una quarantina di corsi di formazione, secondo lo stesso schema di quello dell’anno 1994. Per organizzare tale attività di formazione il C.S.M. si rivolse, per i primi anni, allo stesso gruppo di magistrati che avevano composto il Comitato scientifico della struttura demolita dalla Corte dei conti.

Per proseguire il lavoro avviato dalla struttura per la formazione dei magistrati, il Consiglio superiore decise, in data 9 luglio 1996, la creazione di una Commissione ad hoc: per l’esattezza, la nona commissione (Commissione per il tirocinio e la formazione professionale), cui spetta il compito di elaborare proposte relative agli ambiti della formazione iniziale e permanente dei magistrati e ai concorsi per il reclutamento (cfr. art. 29 del Regolamento interno del C.S.M.). Il Comitato scientifico presso la commissione ricevette così l’incarico di collaborare con la commissione stessa per quanto riguarda la creazione dei programmi annuali di formazione, l’organizzazione delle attività, la loro animazione, la scelta dei relatori, i metodi di insegnamento, la direzione dei dibattiti, l’elaborazione di documenti di valutazione dei risultati degli incontri e la presentazione di proposte per le future iniziative in materia. Il Comitato è ora composto di sedici membri, dodici dei quali magistrati (che lavorano a tempo parziale per la formazione) e quattro docenti universitari (anch’essi impegnati part-time nella formazione), cui si aggiungono un magistrato dell’Ufficio studi del Consiglio superiore e due magistrati segretari del C.S.M.

L’attività svolta in questi ultimi anni dal Comitato è notevole [89]. Per fare conoscere tali iniziative ai magistrati, il Consiglio pubblica ogni anno un opuscolo, in cui si presentano brevemente le attività, raggruppate per argomento. Ogni magistrato può scegliere fino a quattro corsi, in un intervallo di tempo stabilito dal C.S.M. Gli argomenti affrontati sono dei più vari; rientrano soprattutto nei campi del diritto comunitario, internazionale e comparato, dell’ordinamento giudiziario, del diritto civile, del diritto commerciale, del diritto del lavoro, del diritto di famiglia e dei minori, del diritto dell’informatica, di quello penale, della procedura civile, della procedura penale, ecc. Per citare soltanto alcuni dei titoli dei seminari di formazione organizzati negli ultimi anni, si possono menzionare le iniziative sui seguenti temi: «I sistemi giudiziari dei Paesi membri dell’Unione Europea», «L’accelerazione del contenzioso civile, la soluzione delle liti di minor valore (small claims) e il ruolo dei giudici onorari», «Acquisizione e valutazione della prova nei sistemi dei Paesi dell’Unione Europea» (organizzato nel quadro del programma Grotius dell’Unione Europea), e ancora «La formazione dei formatori», «La discrezionalità del giudice», «Interposizione e simulazione nei contratti», «Il contenzioso con le banche», «Le misure cautelari in procedura civile», «Il giudice e la gestione delle imprese», «I bilanci delle società», «Libertà di manifestazione del pensiero e protezione degli individui», «Le biotecnologie e il diritto», «La sicurezza dei lavoratori», «La cooperazione giudiziaria in materia civile e penale: i problemi del linguaggio giuridico (francese e inglese)», «Il diritto e l’informatica: gli aspetti giuridici del commercio elettronico», nonché vari corsi sulle tecniche di indagine penale, ecc. Negli ultimi tempi, il Consiglio ha dato molto spazio alle attività interdisciplinari, spesso presentate sotto il titolo «Società e problemi di attualità» [90].

Una «nuova frontiera» della formazione dei magistrati è appunto quella della formazione decentrata. Al riguardo, l’assemblea plenaria del Consiglio superiore della magistratura ha adottato, il 26 novembre 1998, una risoluzione sulla proposta della nona commissione (competente, come abbiamo detto, in materia di formazione). Scopo dell’iniziativa – che si è poi concretizzata attraverso la deliberazione del C.S.M. in data 28 luglio 1999 – è quello di favorire il contatto con le realtà locali, nonché di sviluppare i rapporti con le università e gli ordini professionali. Al tempo stesso, si cerca di attirare la partecipazione dei colleghi che, per motivi di distanza o familiari, si trovano nell’impossibilità di lasciare la propria città per recarsi a Roma per partecipare a un corso di formazione del C.S.M. Questa attività non è concepita come una soluzione alternativa rispetto alla formazione che si svolge a Roma, ma come una forma di integrazione di quest’ultima.

L’organizzazione di tale formazione è affidata ai Consigli giudiziari, nonché a una rete di magistrati delegati alla formazione locale. Questi magistrati sono due, tre, o quattro per distretto di Corte d’appello, a seconda della consistenza dell’effettivo della magistratura di ogni giurisdizione; il loro compito è quello di costituire dei veri e propri traits d’union tra il C.S.M. e i Consigli giudiziari, per l’organizzazione delle iniziative di formazione a livello locale, negli ambiti della formazione iniziale, di quella permanente, nell’aiuto alla formazione individuale, in occasione del cambiamento di funzione (si parla, in questo caso, di «riconversione»), nonché nell’ambito della formazione dei giudici di pace e degli altri giudici onorari; essi devono anche occuparsi dell’organizzazione di iniziative comuni con le università e le avvocature. I settori interessati al riguardo sono soprattutto quelli che riguardano le materie «nuove» o meno conosciute dai magistrati, ad esempio il diritto comunitario, l’informatica giuridica, la contabilità, la tecnica dei bilanci, la scienza dell’amministrazione, il linguaggio giuridico, le lingue straniere, ecc.

Tutti i magistrati delegati alla formazione decentrata si riuniscono regolarmente (di norma una volta l’anno) in occasione di un corso organizzato dal C.S.M. sul tema «formazione dei formatori». Il C.S.M. ha organizzato al riguardo una vera e propria rete di formatori, stabilendo contatti diretti – anche tramite strumenti informatici – in base a quello che il C.S.M. stesso ha definito un «modello flessibile di collegialità». Presso ogni Corte d’appello si prevede anche la creazione di un ufficio per i magistrati incaricati della formazione a livello locale. Fra le iniziative adottate dai magistrati delegati alla formazione decentrata si potrà segnalare non solo l’organizzazione di conferenze a livello dei vari uffici giudiziari locali, ma anche la creazione di una rete di «pronto soccorso», costituita da magistrati disponibili ad aiutare – tramite telefono o posta elettronica – tutti i colleghi che desiderino chiedere informazioni per risolvere problemi particolarmente urgenti che si trovino a dovere affrontare [91]. Questi magistrati assicurano inoltre un servizio di informazione sull’esito in Corte d’appello dei giudizi pronunciati in prima istanza dal tribunale. L’attività organizzata dai responsabili della formazione a livello locale è resa pubblica tramite un servizio di informazione periodico sulle iniziative che si svilupperanno nel corso dei seminari nei mesi a seguire. Dal punto di vista finanziario, tutte queste attività sono normalmente a carico dei bilanci delle Corti d’appello.

 

 

CAPITOLO IV

LA SCUOLA SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA ITALIANA:

I PROBLEMI STRUTTURALI

 

 

«Vagheggerei ancora un’accademia – pur essa in una città di provincia – dove i magistrati trascorressero il primo anno di nomina: sotto la guida di consiglieri o giudici a riposo: addestramento di giuristi, ma anche (…) raffinamento di abito esteriore, acquisto di consuetudini sociali»

(A.C. Jemolo, La magistratura: constatazioni e proposte, in Aa. Vv., Per l’ordine giudiziario, Milano, 1946, p. 34).

 

Sommario:

18. La Scuola superiore della magistratura nel d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26 e nella l. 30 luglio 2007, n. 111. Generalità.

19. Natura dell’istituto e destinatari della formazione. La relativa struttura e le sue tre sedi.

20. L’impari rapporto tra dotazioni e funzioni della struttura.  

21. Interrogativi e questioni in tema di corpo docente. Statuto e regolamenti interni. Mancanza di un regime transitorio.

 

18. La Scuola superiore della magistratura nel d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26 e nella l. 30 luglio 2007, n. 111. Generalità.

       

Una volta sommariamente descritta, nei termini di cui sopra, la realtà della formazione iniziale e continua dei magistrati in Italia sino al varo delle riforme in discorso, non è difficile comprendere quale impatto devastante abbia sortito la pubblicazione del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, intitolato «Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n. 150» [92]. Il provvedimento normativo, entrato in vigore il 4 maggio 2006, si inseriva nel più ampio progetto di «normalizzazione» della magistratura intrapreso dal governo e dal parlamento nel corso della quattordicesima legislatura e sfociato con la legge delega 25 luglio 2005 n. 150, seguita da una «sventagliata» di otto decreti delegati [93] (c.d. «riforma Castelli»), emanati in tutta fretta sul filo del rasoio, allorquando la predetta legislatura volgeva a conclusione e si temeva (a ben vedere, e per molti aspetti, errando…) che il nuovo clima politico non avrebbe consentito di portare a termine un disegno, nel suo complesso, «punitivo» [94] nei riguardi di una magistratura «colpevole», in buona sostanza, di avere scoperto che le basi del sistema politico italiano erano (e continuano purtroppo ad essere) fondamentalmente minate da tarli tanto antichi quanto radicati.

Così, nonostante si fosse (fortunatamente), strada facendo, abbandonata l’idea di porre la formazione dei magistrati sotto il diretto controllo della Corte di cassazione [95] e di imporre il concerto del Ministro della giustizia per la nomina, da parte del C.S.M., della maggior parte dei membri del consiglio direttivo [96], il d.lgs. in oggetto risentiva fortemente di quel clima di ostilità e sospetto verso il potere giudiziario, a cominciare dal rilievo che nel comitato direttivo erano chiamati a svolgere tanto le «gerarchie» della magistratura, che lo stesso Ministro della giustizia, per non dire poi del fatto che il medesimo testo attribuiva alla Scuola non solo il compito di «formare» ma anche quello di «valutare», cioè di esprimere valutazioni sulle competenze professionali del magistrato rilevanti a fini di progressione di carriera, e che la frequentazione della scuola era obbligatoria per i magistrati che desiderassero passare dalla funzione giudicante a quella requirente o viceversa, o solo tra una funzione e l’altra delle quindici previste dalla legge.

Come già osservato da chi scrive in altra sede [97], la riforma concepita e «perpetrata» nel corso della XIV legislatura sembrava avere assai poco a che spartire con la formazione, l’aggiornamento o la qualificazione professionali, posto che la vera funzione della Scuola era quella d’un «esamificio» o d’un «parerificio», destinato ad effettuare valutazioni dei magistrati ai fini della progressione nella ripristinanda carriera. Come non possono tornare qui alla mente le provocatorie proposte di Rudolph von Jhering, il quale suggeriva di sottoporre periodicamente tutti i giuristi (teorici e pratici, senza distinzioni!) ad esami reciproci e «perenni», nel senso che, per un anno, una metà di tutti i giuristi del paese avrebbe dovuto esaminare l’altra e, l’anno successivo, viceversa, chiosando l’idea con l’osservazione seguente: «Che spettacolo meraviglioso sarà vedere tutta la classe dei giuristi impegnata davanti agli occhi del paese (…) in grandi duelli spirituali! Che afflusso di gente ci sarebbe! E che occasioni si avrebbero per distinguersi e per eccellere! Forse seguendo l’esempio delle manifestazioni ginnastiche o (…) riproducendo quello che per i greci erano i giochi olimpici o che le giostre erano nel Medio Evo, potremmo anche farne una grande festa nazionale» [98].

Inutili si erano dimostrate le rimostranze del C.S.M., che, in occasione del parere reso nella seduta del 22 maggio 2003, concernente gli emendamenti approvati dal Consiglio dei ministri al disegno di legge n. 1296/S (XV legislatura) recante: «Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e disposizioni in tema di organico della Corte di cassazione e di conferimento delle funzioni di legittimità» [99], aveva, con più che legittimo orgoglio, rivendicato la sua posizione di «soggetto con la maggiore e più qualificata esperienza nel campo della formazione del giurista pratico», rilevando di aver provveduto «da metà degli anni ’50 alla formazione teorica e pratica degli uditori giudiziari e, fin dai primi anni ’70 e in modo gradualmente sempre più intenso, dei magistrati con funzioni». Proprio la complessità dell’azione formativa e l’impegno di uomini e mezzi che la stessa richiede – così continuava il Consiglio – avevano da tempo indotto il C.S.M. a ritenere necessaria l’istituzione di una Scuola: già nel 1985 [100] si era affermata l’opportunità di creare, almeno per il tirocinio, «una struttura stabile e centralizzata che provveda, sotto le direttive della Commissione Uditori del Consiglio, alla organizzazione e gestione delle fasi del tirocinio che si svolgono a livello nazionale e al coordinamento delle fasi distaccate nelle sedi giudiziarie». Nella Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia per l’anno 1991, dedicata al tema della riforma dell’ordinamento giudiziario, il C.S.M. menzionava poi l’istituenda Scuola, qualificandola come organo ausiliario del C.S.M., anche se dotato di caratteri di originalità, dovendo questo godere di un consistente margine di indipendenza negli confronti degli organi di governo della magistratura, e fra questi innanzitutto nei confronti del C.S.M., per la specificità delle funzioni esercitate, tali da essere inquadrate, oltre che in base all’art. 104 anche in base all’art. 33 Cost. relativo alla libertà di insegnamento [101].

Nella successiva, già ricordata, Relazione al Parlamento per l’anno 1994, avente ad oggetto proprio i temi del reclutamento e della formazione professionale, il C.S.M. esplicitava invece l’opzione per una Scuola con una sua autonomia amministrativa e contabile, con libertà di programmazione e di gestione e con indipendenza culturale, «ma al tempo stesso come istituzione che si muove nel quadro di indirizzi enunciati dal C.S.M.», al quale la Scuola avrebbe dovuto fare capo per l’attuazione e l’approvazione della propria attività. Con l’ultima Relazione al Parlamento per l’anno 2003, varata ancora una volta sui temi della formazione professionale, mentre erano in corso i lavori parlamentari per la legge delega di riforma dell’ordinamento giudiziario, il C.S.M. era tornato a prospettare in particolare il rischio di una collocazione della Scuola in posizione di estraneità rispetto al contesto ordinamentale della magistratura, ed aveva evidenziato la necessità che gli fosse riconosciuto «un potere generale di indirizzo programmatico, anche al fine di coordinare l’attività formativa con le proprie ulteriori funzioni di governo della magistratura, ed un potere di verifica degli indirizzi».

Come rilevato da più voci [102], il d.lgs. n. 26 del 2006 non riservava al C.S.M. alcun tipo di legame qualificato con la Scuola, che aveva nel suo comitato direttivo il centro propulsore della programmazione didattica e di verifica dei risultati conseguiti. Ma, al di là di ciò, il vero momento di criticità consisteva nel rischio che la preziosa esperienza maturata in almeno tre decenni di formazione «consiliare» andasse irrimediabilmente perduta. Per usare le espressioni della relazione al Parlamento del C.S.M. per l’anno 2003, la formazione consiliare si è spinta ben oltre il mero aggiornamento sugli orientamenti normativi e giurisprudenziali e si è articolata «sempre più come processo di maturazione e completamento della professionalità, del saper essere magistrato». Ed è anche vero che tanto è stato possibile perché il C.S.M. [103] ha, nel complesso, saputo mettere la formazione al riparo da ogni possibile tentazione di «indottrinamento» e di impropria influenza gerarchica sugli orientamenti interpretativi dei magistrati ed ha quindi favorito il consolidarsi di esperienze diffuse di autoformazione.

Non vi è dubbio poi che in questa direzione si è rivelata di fondamentale importanza la netta separazione tra formazione e valutazione, che il C.S.M. ha sempre mantenuto, non ignorando i pericoli di una contaminazione del percorso formativo con ansie ed ambizioni di carriera, e ben sapendo che l’immissione della formazione nel circuito delle valutazioni di professionalità le avrebbe fatto perdere i caratteri dell’autoformazione, essenziali invece per una reale crescita culturale della magistratura. Ed è proprio su quest’aspetto che la legge di riforma del 2005 ed il successivo d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione originale, segnavano in negativo una grande distanza dalle esperienze consiliari, ponendosi peraltro in dissonanza con le posizioni maturate anche in ambito europeo circa i rapporti tra formazione e valutazione [104].

        Il panorama appena descritto è radicalmente mutato per effetto della promulgazione della l. 30 luglio 2007, n. 111 («Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario») [105], sulla base del d.d.l. n. 2900/C, presentato dal Governo alla Camera dei deputati il 21 marzo 2007 (atto Camera n. 2428),  successivamente trasferito al Senato della Repubblica il 30 marzo 2007 (atto Senato n. 1447) e da questo ramo del Parlamento approvato il 13 luglio 2007, con modifiche rispetto alla versione originale [106] (c.d. «riforma Mastella»). La legge in esame, prima ancora che il d.lgs. n. 26 del 2006 ricevesse concreta attuazione, ha recepito molte delle osservazioni critiche mosse al riguardo, pur non presentandosi completamente esente da dubbi e perplessità, che verranno in prosieguo esaminati.  La caratteristica più evidente di questo intervento normativo è data dalla radicale eliminazione di ogni funzione valutativa da parte della Scuola in merito ai magistrati in servizio, oltre ad una completa modifica del sistema di formazione iniziale degli uditori giudiziari, ribattezzati «magistrati ordinari in tirocinio».

        Come chiarito nella relazione d’accompagnamento al d.d.l. n. 1447/S/XV [107], l’attività della Scuola è stata «ricollocata nell’ambito della formazione iniziale, complementare e permanente e di quella di riconversione, a seguito del passaggio dalla funzione requirente a quella giudicante, e viceversa, prevedendo altresì una struttura più agile per il perseguimento degli obiettivi formativi». Continua peraltro a permanere la (criticabilissima) ubicazione decentrata, in tre sedi: nord, centro e sud, sulla quale si avrà modo di alcune considerazioni dettagliate nel prosieguo di questo lavoro [108]. Si è conservata l’opzione verso l’obbligatorietà della formazione (non solo iniziale e complementare, ma anche) continua, anche se tale obbligatorietà assume caratteristiche radicalmente diverse rispetto a quelle proprie del d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione originaria. La legge prevede ora, in particolare, che tutti i magistrati frequentino almeno un corso di formazione ogni quattro anni.

Premesso quanto sopra, sarà necessario procedere adesso all’esame nel dettaglio dei vari profili ordinamentali evidenziati dall’istituzione della Scuola superiore della magistratura e del nuovo sistema di formazione, iniziale e permanente, dei magistrati italiani, alla luce di uno studio comparativo delle disposizioni del d.lgs. n. 26 del 2006 e della l. n. 111 del 2007.

 

 

19. Natura dell’istituto e destinatari della formazione. La relativa struttura e le sue tre sedi.

 

La riforma di cui al d.lgs. n. 26 del 2006 ha istituito la Scuola superiore della magistratura come ente autonomo, con personalità giuridica di diritto pubblico e capacità di diritto privato, dotato di autonomia di ogni tipo, organizzativa, funzionale e gestionale, negoziale e contabile. Discende da questa ampiezza di autonomia il potere di regolare il proprio funzionamento interno attraverso l’approvazione di uno statuto e la predisposizione di regolamenti interni. Queste considerazioni continuano a valere anche dopo l’approvazione della l. 30 luglio 2007, n. 111, che non ha modificato se non in modo del tutto marginale l’art. 1 (nel quinto comma, che, come si vedrà, attiene alle tre sedi della Scuola). La Scuola continua però a non possedere autonomia finanziaria, nel senso che non potrà operare, ad esempio, sul mercato, offrendo servizi formativi a settori diversi dalla magistratura, secondo quanto è dato arguire dall’art. 1, comma secondo, del d.lgs. cit., secondo cui la Scuola «ha competenza in via esclusiva in materia di aggiornamento e formazione dei magistrati», ad eccezione, ovviamente, delle attività descritte dall’art. 2 del d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione attualmente in vigore, su cui si dirà immediatamente.

Si viene così ad affrontare il tema dei destinatari della formazione. Sul punto si è esattamente rilevato [109] che il riferimento ai «magistrati», per quanto generico, perché non specificato dalla qualificazione di «ordinari e professionali», non sembra in grado di legittimare di per sé un’eventuale azione formativa in favore dei magistrati amministrativi, contabili o militari. Peraltro andrà tenuto conto del fatto che le disposizioni di cui all’art. 2, primo comma, lett. c) e n), introdotte dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, vengono ad attribuire alla Scuola competenze in merito, rispettivamente, «alla formazione iniziale e permanente della magistratura onoraria» e «allo svolgimento, anche sulla base di specifici accordi o convenzioni che disciplinano i relativi oneri, di seminari per operatori della giustizia o iscritti alle scuole di specializzazione forense». Viene così introdotta una distinzione tra due gruppi: i magistrati onorari (giudici di pace, giudici onorari di tribunale, vice procuratori onorari), da un lato, e gli «operatori della giustizia» o gli «iscritti alle scuole di specializzazione forense», dall’altro: i primi sono beneficiari di attività di formazione iniziale e permanente, laddove i secondi sono destinatari di semplici attività seminariali. La distinzione tra i due tipi di attività induce a ritenere che la seconda categoria di iniziative sia caratterizzata da un certo grado di episodicità e saltuarietà; episodicità e saltuarietà legate del resto, almeno in parte, alla necessità di stipulare «specifici accordi o convenzioni che disciplinano i relativi oneri».

Per ciò che attiene, in particolare, agli «iscritti alle scuole di specializzazione forense», si deve ritenere che con tale dizione si comprendano gli iscritti alle Scuole di specializzazione per le professioni legali, previste dall’art. 16 d.lgs. 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni, nonché gli iscritti alle varie «Scuole forensi» costituite presso gli Ordini degli avvocati. Per le prime, la cui descrizione esula dai limiti di questo studio [110], potrà solo dirsi che la preconizzata collaborazione appare sicuramente positiva, anche se il ruolo di tali istituti appare, purtroppo, oggi fortemente penalizzato, da un lato, dalla sostanziale irrilevanza del percorso formativo «preliminare» ivi seguito, in relazione agli sbocchi professionali legati dell’avvocatura del notariato (nonché dalle relative perduranti incertezze), e, dall’altro, dal sistema di ammissione al concorso per l’accesso alla magistratura tracciato dalla l. 30 luglio 2007, n. 111 [111]. Quest’ultimo, invero, discontandosi in maniera rilevante dal disegno (saggiamente) concepito dal d.lgs. n. 398 del 1997, «declassa» il diploma rilasciato dalle Scuole di specializzazione, da condicio sine qua non per l’ammissione alle prove scritte, a una delle tante (troppe!), alternativamente concepite, condizioni di ammissibilità, con una disposizione tanto improvvida da rendere sin troppo facilmente prevedibile che, in un futuro molto ravvicinato, l’«esplosione» del numero dei candidati renderà sicuramente inevitabile un rinnovato sforzo d’immaginazione per concepire nuove forme di «preselezione» dei candidati [112].

L’esplicito riferimento ai magistrati onorari viene a risolvere un problema a suo tempo già posto in luce criticamente dalla Commissione giustizia del Senato in sede di parere sullo schema di decreto legislativo. Tale organo aveva invero rilevato che il C.S.M., ormai privato dell’iniziativa e della direzione della formazione dei magistrati professionali, avrebbe invece  continuato, nella versione originaria del d.lgs. n. 26 del 2006, ad essere preposto alle attività formative in favore dei giudici di pace in forza delle previsioni della legge n. 374 del 1991 (e successive modifiche) [113]. Resta peraltro d’attualità il rilievo, sollevato con riguardo alla versione originale del d.lgs. n. 26 del 2006 [114], secondo cui una struttura importante come quella delineata dalla riforma per la Scuola sarebbe probabilmente capace di esprimere una proficua azione formativa anche a beneficio delle altre magistrature, che, non meno della magistratura ordinaria, hanno bisogno di formazione costante. A tale interrogativo sembra ora rispondere – ma solo parzialmente – la previsione (introdotta, appunto, dalla l. 30 luglio 2007, n. 111) relativa agli «operatori della giustizia», tra i quali ben possono farsi rientrare gli appartenenti alle magistrature diverse da quella ordinaria, così come gli avvocati (e praticanti avvocati), i notai (e relativi praticanti), il personale degli uffici di cancelleria. Andrà però ricordato che al riguardo la disposizione in esame confina l’attività della Scuola allo svolgimento di (soli) «seminari», «anche sulla base di specifici accordi o convenzioni che disciplinano i relativi oneri», esplicitamente contrapponendo tale azione (come si è appena visto) a quella di erogazione della «formazione iniziale e permanente della magistratura onoraria» (cfr. art. 2, lett. c), d.lgs. cit., nella sua versione attualmente vigente), oltre, ovviamente, a quella di «formazione e (…) aggiornamento professionale dei magistrati ordinari» (cfr. art. 2, lett. a), d.lgs. cit., nella sua versione attualmente vigente).

A quanto sopra andrà ulteriormente aggiunto che la lett. b) del citato art. 2, nella versione attualmente vigente, stabilisce, in maniera assai poco chiara, che la Scuola è preposta (oltre che, come si è visto, alla «formazione e all’aggiornamento professionale dei magistrati ordinari», anche) «all’organizzazione di seminari di aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati e, nei casi previsti dalla lettera n), di altri operatori della giustizia». La previsione sembra contenere una  semplice endiadi rispetto al contenuto della citata lett. a), posto che essere preposti alla formazione altro non può significare se non (anche) essere preposti all’organizzazione di seminari di aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati. Che poi tali magistrati siano solo quelli «ordinari», ancorchè siffatto aggettivo (a differenza di quanto disposto dalla precedente lett. a)) non compaia in questa sede, appare desumibile dal contesto in cui si situa la riforma e dal fatto che l’attributo predetto sia omesso in svariate disposizioni del d.lgs. e della l. 30 luglio 2007, n. 111, pur chiaramente riferibili ai soli magistrati ordinari. Quanto appena esposto conferma dunque che i magistrati amministrativi, contabili e militari potranno venire in rilievo, come già detto, quali appartenenti alla categoria degli «altri operatori della giustizia».

Altra disposizione sicuramente sovrabbondante è quella di cui alla lett. d), a mente della quale la Scuola è preposta «alla formazione dei magistrati titolari di funzioni direttive e semidirettive negli uffici giudiziari», posto che la formazione dei dirigenti è sicuramente parte integrante della formazione continua o permanente, e lo stesso è a dirsi della formazione dei formatori (lett. e)). L’inserimento, invece, ad opera della l. 30 luglio 2007, n. 111, tra le competenze della Scuola, dell’attività di formazione decentrata (cfr. l’art. 2, primo comma, lett. f), nonché l’art. 24, comma 2-bis, del d.lgs. cit.), viene almeno in parte a rispondere alle critiche espresse dal C.S.M. in merito allo schema del d.lgs. n. 26 del 2006 [115]. In proposito l’organo di autogoverno aveva rimarcato che, non essendo (in allora) prevista alcuna disposizione «circa il destino dell’attuale rete di formazione decentrata che il Consiglio ha radicato presso ciascun distretto e che ha rappresentato e rappresenta un momento di grande partecipazione dei magistrati e di attualizzazione dei programmi formativi», appariva apodittica l’affermazione della relazione d’accompagnamento allo schema del d.lgs., secondo cui i magistrati sarebbero risultati «agevolati dalla presenza di una sede interdistrettuale» (ci si riferisce qui al tema delle tre sedi della Scuola, che verrà affrontato tra breve nell’ambito di questo paragrafo). Ciò, infatti, sarebbe risultato vero «solo per un numero contenuto di essi, considerando che le distanze esistenti fra le sedi giudiziarie di distretti diversi nei fatti impediscono ogni ipotesi di spostamento giornaliero durante il periodo del corso e che occorrerà garantire soluzioni residenziali per quasi tutti i partecipanti ai corsi». Sul tema specifico della formazione decentrata e sulla perdurante competenza consiliare circa l’organizzazione della relativa rete si avrà peraltro modo di ritornare più dettagliatamente in seguito [116], così come pure in seguito verranno ripresi altri temi legati alle restanti ipotesi dell’elenco delle attribuzioni di cui all’art. 2 cit. [117].

Passando ai temi di carattere strutturale, andrà detto, innanzi tutto, che lo strumento di finanziamento della Scuola non potrà essere individuato se non nel bilancio del Ministero della giustizia, ancorché siffatta previsione – contenuta nella legge delega (cfr. art. 2, comma secondo, lett. b), l. 25 luglio 2005, n. 150, il quale stabilisce testualmente: «b) prevedere che la Scuola superiore della magistratura sia fornita di autonomia contabile, giuridica, organizzativa e funzionale ed utilizzi personale dell’organico del Ministero della giustizia, ovvero comandato da altre amministrazioni, in numero non superiore a cinquanta unità, con risorse finanziarie a carico del bilancio dello stesso Ministero») – non sia stata riprodotta nello strumento normativo delegato. Quest’ultimo, invero, si limita a stabilire (cfr. art. 1, comma quarto) che la Scuola non avrà proprio personale, ma si avvarrà di personale del predetto Ministero o di altro comandato da altre amministrazioni, in numero non superiore alle cinquanta unità. La disposizione non è stata modificata dalla l. 30 luglio 2007, n. 111.

Non vi è dubbio che, già sotto questo profilo, la scelta operata sia del tutto criticabile, posto che la provenienza del personale non sembra certo favorire l’autonomia del novello ente. Quanto poi al comando, non resta che auspicare che di tale istituto sia effettuato parco uso, atteso che la relativa durata non può superare, di regola, i dodici mesi, con una sola possibilità di rinnovo, e che comunque la sua cessazione può intervenire in qualsiasi momento per effetto del ritiro del consenso da parte dell’interessato, con quali risultati per la salvaguardia di quell’irrinunziabile valore costituito dalla tendenziale stabilità del personale impiegato presso la Scuola non è difficile immaginare [118].

Quanto alla struttura in sé e alle sue dotazioni, il d.lgs. in discorso prevedeva, innanzi tutto, che con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione del d.lgs. nella Gazzetta Ufficiale, fossero individuate tre sedi della Scuola: una per i distretti ricompresi nelle regioni Lombardia, Trentino-Alto Adige/Südtirol, Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Piemonte, Liguria ed Emilia Romagna; una per i distretti ricompresi nelle regioni Marche, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise e Sardegna; una per i distretti ricompresi nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. La l. 30 luglio 2007, n. 111 è intervenuta su questa previsione, stabilendo (cfr. il nuovo quinto comma dell’art. 1 del citato d.lgs.) che «Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono individuate tre sedi della Scuola, nonché quella delle tre in cui si riunisce il comitato direttivo preposto alle attività di direzione e di coordinamento delle sedi». Se ne deduce, quindi, che le tre sedi non sono più legate a gruppi predefiniti di regioni, la cui individuazione sarà a questo punto rimessa al decreto attuativo. Compare invece, rispetto alla originaria versione del d.lgs., un riferimento al compito, che spetta al comitato direttivo, di attuare un «coordinamento delle sedi».

Sul punto, a parte le riserve che verranno successivamente espresse sul contrasto di questa soluzione-«spezzatino» rispetto ai principi internazionali ed alle esperienze straniere [119], va considerato che la scelta è stata giustificata, dalla relazione di accompagnamento al d.lgs., alla luce della necessità di «rendere più agevole e meno onerosa la partecipazione ai corsi da parte dei magistrati». Nessuna considerazione viene però espressa in ordine all’aumento di complessità finanziaria, gestionale e didattica che deriva dalla presenza di tre diverse sedi, oppure in ordine ai rischi di disomogeneità, le cui ricadute avrebbero una portata assai consistente allorché si guardi ai riflessi sulla valutazione. Né può essere sottaciuto il riflesso negativo di una formazione che si diriga esclusivamente per aree territoriali omogenee e che faccia venire meno quel confronto fra esperienze, prassi e culture diverse che da sempre ha costituito uno dei fattori principali di successo della formazione gestita dal Consiglio superiore [120].

Lo stesso organo di autogoverno ha reiterato – anche nel parere espresso in data 31 maggio 2007 sul disegno di legge governativo che ha dato luogo alla l. 30 luglio 2007, n. 111 [121] – la propria contrarietà  alla destinazione delle tre sedi ad iniziative formative concernenti i medesimi temi, destinate ai magistrati operanti nei medesimi settori, ma provenienti da differenti distretti. In proposito il C.S.M. ha sottolineato che la previsione delle tre sedi destinate alla medesima offerta formativa e distinte in base soltanto alla localizzazione geografica degli uffici dei magistrati partecipanti ai corsi potrebbe determinare «la non uniformità della formazione e dell’aggiornamento dei magistrati con inevitabile danno all’approccio risolutivo delle questioni giurisprudenziali e conseguente difforme applicazione del diritto sul territorio nazionale». Ulteriore conseguenza negativa potrebbe essere costituita dalla «mancata uniforme divulgazione sul territorio nazionale di prassi operative che sul piano applicativo hanno svolto proficuo effetto al miglioramento del servizio giustizia». A questo proposito non può omettersi di considerare che la formazione dei magistrati è stata tradizionalmente intesa anche quale strumento di selezione, raccolta e diffusione di prassi virtuose; tale funzione, rivelatasi estremamente utile nel corso dell’esperienza formativa del Consiglio, verrebbe certamente compromessa, qualora, per il futuro, le occasione di incontro formativo venissero limitate a magistrati selezionati in ragione di una omogenea provenienza geografica.  

Come suggerito dallo stesso C.S.M. nel sopracitato parere, al rischio di una formazione diversificata per aree geografiche potrebbe rimediarsi grazie alla previsione di obiettivi formativi differenziati relativamente a ciascuna delle sedi: ad esempio una potrebbe essere destinata ad ospitare la formazione iniziale, l’altra la formazione permanente e la formazione dei dirigenti, mentre ad una terza potrebbe essere riservata la formazione della magistratura onoraria. La formazione linguistica e le attività di carattere internazionale potrebbero trovare adeguato accentramento in una sola delle tre sedi. Una simile previsione non eliminerebbe l’aggravio organizzativo connesso alla dislocazione tripartita che tuttavia, in presenza di una adeguata destinazione di risorse economiche, potrebbe essere giustificato da un elevato grado di idoneità didattica delle strutture e da una loro specializzazione in ragione dei differenti moduli formativi utilizzati nei tre settori di intervento.

In effetti, a ben vedere, il dato normativo – specie avuto riguardo al fatto che, come si è già posto in evidenza, la nuova versione del comma quinto dell’art. 1 non lega più ciascuna sede ad un elenco predeterminato di distretti di Corte d’appello, a differenza di quanto avveniva nella precedente versione della disposizione medesima – non sembra escludere la possibilità di attuare tale suggerimento in sede di redazione dello statuto della Scuola e dei regolamenti interni, così passando – se ci si passa il richiamo processuale – da una «competenza per territorio», ad una «per materia» di ciascuna delle tre istituende sedi.

 

 

20. L’impari rapporto tra dotazioni e funzioni della struttura.  

 

Venendo a trattare del rapporto tra le dotazioni della struttura e le funzioni ad essa attribuite, andrà rimarcato, innanzi tutto, come piena validità continuino a conservare, pur dopo la promulgazione della l. 30 luglio 2007, n. 111, le osservazioni dell’organo di autogoverno della magistratura relativamente al fatto che le dimensioni del comitato direttivo e, soprattutto, di «una struttura di supporto da ritagliare all’interno dell’organico della scuola, che non può superare le cinquanta unità (art. 1, comma quarto), appaiono assolutamente incompatibili con le esigenze di contemporaneo funzionamento di tre sedi distanti tra loro» [122].

Più in generale, poi, per ciò che attiene alle dotazioni della Scuola, non potrà farsi a meno di ribadire le gravi perplessità già espresse dal C.S.M. nel parere reso nella seduta del 22 maggio 2003, concernente gli emendamenti approvati dal Consiglio Superiore dei ministri al disegno di legge n. 1296/S (XV legislatura) recante: «Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e disposizioni in tema di organico della Corte di cassazione e di conferimento delle funzioni di legittimità» [123]. In tale documento l’organo di autogoverno sottolineava, innanzi tutto, che, come illustrato nella Relazione al Parlamento del 1991, «per quanto riguarda gli aspetti organizzativi appare fondamentale che l’istituzione della Scuola avvenga sulla base di adeguati stanziamenti i quali consentano dì fornire ad essa tutto ciò che è necessario quanto a locali, personale e strutture, evitandosi le soluzioni pasticciate cui si è fatto spesso ricorso in altre circostanze e che costituiscono un fattore di sicuro insuccesso di qualunque tipo di iniziativa. Sembra cioè evidente che, una volta che siano state decise le dimensioni, l’ubicazione e le altre caratteristiche della Scuola, si provveda alla costruzione di adeguati edifici ed alla predisposizione di quant’altro occorra, impiegando opportunamente tutto il tempo, tutto il denaro e tutte le energie umane che risultino necessarie, anche se ciò comporterà presumibilmente una pianificazione di non breve periodo».

Una Scuola, che abbia come compiti l’organizzazione del tirocinio e della formazione degli uditori giudiziari (e quindi di circa 500-600 giovani magistrati ogni anno, ipotizzando concorsi annuali per 250-300 posti e un tirocinio della durata di 18-24 mesi) e della formazione continua e permanente dei magistrati con funzioni (circa 9.500), necessita di una sede che offra uno standard abitativo accettabile per soggiorni brevi e prolungati (si pensi in particolare alla formazione dei magistrati in tirocinio, per cui l’art. 18 del citato d.lgs. prevede una sessione effettuata presso la Scuola, della durata di sei mesi, ancorché non necessariamente consecutivi; cfr. inoltre quanto disposto in ordine ai corsi di durata di due mesi previsti ad es. dall’art. 22, quarto comma, d.lgs. cit.) per un numero assai elevato di persone, che sia dotata di un auditorium e di un numero sufficiente di aule attrezzate per lavori di gruppo, proiezioni, simulazione di attività giudiziarie e studio di casi, di attrezzature informatiche e per collegamenti telematici (videoconferenze), di una biblioteca, di personale amministrativo quantitativamente e qualitativamente adeguato (in Spagna, la sola scuola per gli uditori giudiziari dispone di 120 unità di personale). La Scuola deve godere, inoltre, di autonomia amministrativa, finanziaria e contabile, avere una dotazione adeguata di fondi e la possibilità di acquisire entrate ulteriori a quelle a carico dello Stato (che possono essere costituite dai proventi di iniziative di formazione realizzate con e a favore di altri soggetti, quali dirigenti amministrativi, altre magistrature, magistrati stranieri, categorie professionali, dai proventi della cessione a terzi di pacchetti formativi e dalla vendita delle pubblicazioni della Scuola, di contributi di enti pubblici o privati qualificati).

Inadeguata appare dunque la soluzione normativa prescelta: pur prevedendosi, come si è visto, l’istituzione della Scuola come «struttura didattica autonoma, con personalità giuridica di diritto pubblico, piena capacità di diritto privato e autonomia organizzativa, funzionale e gestionale, negoziale e contabile, secondo le disposizioni del proprio statuto e dei regolamenti interni, nel rispetto delle norme di legge» (art. 1, comma terzo, d.lgs. cit.), sembra essere mancata dunque quella rinnovata riflessione, auspicata dal C.S.M., sulla copertura finanziaria, fondata su una relazione tecnica dettagliata, basata su dati previsionali che tenessero conto del progetto di Scuola che si aveva in mente e che ben si sarebbe potuta e dovuta avvalere dell’esperienza di strutture analoghe, ad esempio analizzando il bilancio della Scuola del personale civile del Ministero degli interni o di Scuole della magistratura straniere, come quella francese o quelle spagnola, portoghese o olandese. Un esame di questo genere, così come l’osservazione del bilancio allocato annualmente dal C.S.M. per la formazione iniziale e continua, avrebbe reso immediatamente evidente l’assoluta insufficienza – e il carattere, addirittura, dérisoire – della dotazione stanziata dall’art. 37 del d.lgs. cit., rimasto invariato, che continua a coltivare l’illusione di poter finanziare la creazione di ben tre distinte sedi della Scuola, esclusivamente «mediante l’utilizzo dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 2, comma 37, della legge 25 luglio 2005, n. 150» [124].

Al di là di queste osservazioni, occorre porre mente al fatto che, sebbene la l. 30 luglio 2007, n. 111 abbia, rispetto alla versione originale del d.lgs. n. 26 del 2006, ridotto il periodo di tirocinio, nonché eliminato le attività di formazione continua legate alla valutazione  (si pensi all’abrogazione degli artt. da 26 a 36 del citato d.lgs.), veramente cospicua rimane la serie di incombenze commesse alla Scuola, per cui assoluta attualità conservano i rilievi mossi (sull’originaria versione del d.lgs. n. 26 del 2006) dall’Associazione Nazionale Magistrati [125] e, prima ancora, dallo stesso C.S.M. [126], circa l’inidoneità delle dotazioni finanziarie e dell’esiguo numero di componenti del comitato direttivo a far fronte alla complessità e alla quantità dei compiti affidati alla Scuola, la quale dovrà garantire:

1)                             la partecipazione (obbligatoria) di ogni magistrato ad un corso di aggiornamento almeno una volta ogni quattro anni; tenuto conto del fatto che i magistrati in servizio sono attualmente 9.219, ciò significa che ogni anno dovranno partecipare ai corsi almeno 2.305 magistrati;

2)                             la partecipazione ai corsi di formazione complementare per «giovani magistrati» di cui all’art. 25, quarto comma, d.lgs. cit. (secondo cui «Nei primi quattro anni successivi all’assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati devono partecipare almeno una volta l’anno a sessioni di formazione professionale»);

3)                             la partecipazione ai corsi per il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa (art. 23, d.lgs. cit.);

4)                             la partecipazione ai corsi per lo svolgimento delle funzioni direttive (art. 23, d.lgs. cit.);

5)                             la formazione iniziale e permanente della magistratura onoraria (art. 2, primo comma, lett. c));

6)                             la formazione dei magistrati titolari di funzioni direttive e semidirettive negli uffici giudiziari (art. 2, primo comma, lett. d));

7)                             la formazione dei magistrati incaricati di compiti di formazione (c.d. «formazione dei formatori»: art. 2, primo comma, lett. e));

8)                             la formazione decentrata (art. 2, primo comma, lett. f));

9)                             la formazione, su richiesta della competente autorità di Governo, di magistrati stranieri in Italia o partecipanti all’attività di formazione che si svolge nell’ambito della Rete di formazione giudiziaria europea ovvero nel quadro di progetti dell’Unione europea e di altri Stati o di istituzioni internazionali, ovvero all’attuazione di programmi del Ministero degli affari esteri e al coordinamento delle attività formative dirette ai magistrati italiani da parte di altri Stati o di istituzioni internazionali aventi ad oggetto l’organizzazione e il funzionamento del servizio giustizia (art. 2, primo comma, lett. g));

10)                       la collaborazione, su richiesta della competente autorità di Governo, nelle attività dirette all’organizzazione e al funzionamento del servizio giustizia in altri Paesi (art. 2, primo comma, lett. h));

11)                       la realizzazione di programmi di formazione in collaborazione con analoghe strutture di altri organi istituzionali o di ordini professionali (art. 2, primo comma, lett. i));

12)                       la pubblicazione di ricerche e di studi nelle materie oggetto di attività di formazione (art. 2, primo comma, lett. l));

13)                       l’organizzazione di iniziative e scambi culturali, incontri di studio e ricerca, in relazione all’attività di formazione (art. 2, primo comma, lett. m));

14)                       lo svolgimento, anche sulla base di specifici accordi o convenzioni che disciplinano i relativi oneri, di seminari per operatori della giustizia o iscritti alle scuole di specializzazione forense (art. 2, primo comma, lett. n));

15)                       la collaborazione alle attività connesse con lo svolgimento del tirocinio dei magistrati ordinari nell’ambito delle direttive formulate dal Consiglio superiore della magistratura e tenendo conto delle proposte dei consigli giudiziari (artt. 2, primo comma, lett. o), 18 ss.);

A fronte di tali e tante necessità, non può che destare preoccupazione (oltre che fornire la misura dell’improvvisazione con cui si affrontano certi temi nel nostro Paese), il fatto che nessuno studio preliminare sul fabbisogno formativo abbia preceduto l’emanazione del d.lgs., né la l. 30 luglio 2007, n. 111 [127].

A questo punto potrà aggiungersi che, per ciò che attiene in modo più precipuo alle funzioni elencate dall’art. 2 del d.lgs. cit. e alle nuove competenze attribuite dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, esse verranno analizzate di volta in volta, con riguardo, in particolare, alla summa divisio tra formazione iniziale e formazione continua, o permanente [128]. In questa sede si potrà fare un cenno alla prevista competenza della Scuola in ordine alla formazione internazionale (art. 2, lett. g), d.lgs. cit.) e alla collaborazione nelle attività dirette all’organizzazione ed al funzionamento del servizio giustizia in altri Paesi (art. 2, lett. h), d.lgs. cit.): materie, queste, sottratte dalla riforma all’attività del Consiglio Superiore, il quale ha rilevato [129] come «dovrebbe essere l’organo di autogoverno a tenere i contatti in ambito internazionale con soggetti istituzionalmente preposti a tali attività, anche in ordine alla scelta dei magistrati da far partecipare alle attività di organizzazione e di formazione (scelta che implica valutazioni che possono incidere direttamente o indirettamente sulla giurisdizione e che quindi non possono essere demandate a soggetti diversi)».

Il C.S.M. proponeva al riguardo al Parlamento di chiarire «che il compito della Scuola in questo ambito (almeno per quanto riguarda la lettera h) e gran parte delle attività indicate nella lettera g)) è limitato ad un supporto tecnico alle attività del Consiglio». La conclusione, non accolta dal legislatore, non sembra però condivisibile alla luce delle esperienze delle altre scuole e della struttura stessa delle relazioni internazionali nel settore della formazione a livello europeo. Basterà porre mente al fatto che tanto la rete europea di formazione giudiziaria, quanto la rete di Lisbona, vedono come propri membri gli istituti preposti alla formazione nei vari Paesi e, dunque, le Scuole, e che la presenza del C.S.M. in quei consessi, ad oggi, deve intendersi giustificata sulla base della sola considerazione per cui, fino alla costituzione della Scuola superiore, è stato il C.S.M. a costituire l’organo preposto alla formazione dei magistrati in Italia. E’ dunque vero, semmai, il contrario, nel senso che dovrà essere l’organo di autogoverno della magistratura a fornire la massima cooperazione alla Scuola in questi sempre più strategici settori [130].

Per quanto attiene, infine, all’attività di ricerca, andrà ricordato che, ai sensi dell’art. 2 cpv. d.lgs. cit., a quest’ultima «non si applica l’articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382». Si potrà notare al riguardo che, ai sensi di quest’ultima disposizione, facente parte della disciplina sul «Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica», l’università viene definita come la «sede primaria della ricerca scientifica». La disposizione aggiunge quindi che «Il Ministro della pubblica istruzione d’intesa con il Ministro incaricato del coordinamento della ricerca scientifica e tecnologica promuoverà le necessarie forme di raccordo tra Università ed enti pubblici di ricerca, compreso il Consiglio nazionale delle ricerche». L’ultimo comma del citato articolo prevede poi che «Al fine di evitare ogni superflua duplicazione e sovrapposizione di strutture e di finanziamenti è istituita l’Anagrafe nazionale delle ricerche». Nessuna di tali disposizioni troverà dunque applicazione con riguardo alla Scuola Superiore della magistratura.

 

 

21. Interrogativi e questioni in tema di corpo docente. Statuto e regolamenti interni. Mancanza di un regime transitorio.

       

Curiosamente, tanto il d.lgs. n. 26 del 2006, quanto la l. 30 luglio 2007, n. 111 non si occupano della struttura del corpo docente, se non in maniera del tutto marginale ed occasionale. Così, ad esempio, l’art. 20 cpv. stabilisce, nella versione attualmente in vigore, che i corsi destinati ai magistrati in tirocinio «sono tenuti da docenti di elevata competenza e professionalità, nominati dal comitato direttivo al fine di garantire un ampio pluralismo culturale e scientifico» [131], laddove il successivo art. 24, in materia di corsi di formazione permanente, continua a limitarsi a prevedere il solo presupposto di un’ «elevata competenza e professionalità» [132]. Nulla è detto, poi, sulla provenienza dei docenti. E’ da notare al riguardo che il già citato parere espresso dalla Commissione giustizia del Senato in data 1 dicembre 2005 sullo schema di d.lgs. [133] aveva testualmente richiamato l’attenzione del legislatore delegato sull’esigenza «di prevedere che, sia nella nomina dei componenti dei comitati di gestione, sia nella individuazione dei docenti da parte di questi ultimi, venga adottato il criterio di assicurare in ogni caso la prevalenza numerica dei soggetti provenienti dalla magistratura», rilevando al riguardo che «Una simile soluzione appare (…) coerente dal punto di vista sistematico – si pensi ad esempio alla composizione della commissione di concorso – e opportuna sotto il profilo funzionale».

In proposito la relazione governativa al d.lgs. precisa che, in ordine, all’osservazione al riguardo formulata dalla Commissione giustizia del Senato, «non si è ritenuto, in primo luogo, di dover accogliere l’invito della stessa a prevedere che, sia nella nomina dei componenti dei comitati di gestione, che nella individuazione dei docenti da parte di questi ultimi, venga adottato il criterio di assicurare in ogni caso la prevalenza numerica dei soggetti provenienti dalla magistratura. Si è infatti ritenuto che, ferma restando l’individuazione, da parte del legislatore delegato, delle categorie o, più genericamente, delle caratteristiche dei soggetti, nell’ambito dei quali, rispettivamente, il comitato direttivo procede alla nomina dei componenti dei comitati di gestione e questi ultimi procedono alla scelta di docenti, l’autonomia decisionale del comitato direttivo e dei comitati di gestione non debba soffrire limitazioni nella scelta delle personalità ritenute più idonee, senza vincoli volti ad assicurare una proporzione tra le varie categorie di provenienza o la prevalenza di una componente sull’altra».

A fronte di questa situazione, la previsione di un albo dei docenti, introdotta ex novo dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, vuole porsi quale rimedio, almeno parziale, alla persistente carenza di criteri obiettivi di selezione. Anche su questo punto il C.S.M. non aveva mancato di porre in luce [134] come non solo per i docenti, ma neppure per i tutors e per gli affidatari, vi fosse, nell’originaria versione del d.lgs. n. 26 del 2006, «alcuna indicazione positiva circa i criteri selettivi e circa i titoli di qualificazione professionale che il Comitato di gestione deve valutare al fine di selezionare coloro che di fatto svolgeranno l’attività di formazione e dovranno rivestire un ruolo fondamentale nella valutazione dei magistrati (cfr. arrt. 20, comma 2; 24, comma 1; 27, comma 1, ove sono presenti solo indicazioni circa la posizione professionale dei docenti)». Dal momento che le citate disposizioni neppure chiarivano le modalità concrete di selezione ed i limiti temporali dell’incarico, si veniva a creare una situazione «di grande delicatezza, considerando la serietà e la rilevanza degli incarichi e la vastità della platea dei possibili aspiranti».

Orbene, la l. 30 luglio 2007, n. 111 ha previsto, come si diceva, la creazione di un albo dei docenti. Dispongono al riguardo l’art. 5, secondo comma, del d.lgs., nella versione attualmente in vigore, a mente del quale il comitato direttivo, tra l’altro, «cura la tenuta dell’albo dei docenti», nonché l’art. 12, comma primo, lett. d), del medesimo d.lgs. (ovviamente pure esso nella versione in vigore dopo la riforma del 2007), che affida ai responsabili di settore, tra l’altro, «l’individuazione dei docenti chiamati a svolgere l’incarico di insegnamento in ciascuna sessione, utilizzando lo specifico albo tenuto presso la Scuola, e la proposta dei relativi nominativi, in numero doppio rispetto agli incarichi, al comitato direttivo». Infine, la nuova parte finale del primo comma dell’art. 24 d.lgs. cit. stabilisce che i docenti della formazione continua sono «individuati nell’albo esistente presso la Scuola. Lo statuto determina il numero massimo degli incarichi conferibili ai docenti anche tenuto conto della loro complessità e onerosità. L’albo è aggiornato annualmente dal comitato direttivo in base alle nuove disponibilità fatte pervenire alla Scuola e alla valutazione assegnata a ciascun docente tenuto conto anche del giudizio contenuto nelle schede compilate dai partecipanti al corso».

Restano peraltro le perplessità sulla carenza di requisiti e criteri obiettivi per la scelta dei docenti, atteso che l’albo verrà formato sulla base delle semplici offerte di disponibilità dei «candidati» alla docenza. Peraltro, il riferimento all’aggiornamento annuale dell’albo in base non solo «alle nuove disponibilità fatte pervenire alla Scuola», ma anche «alla valutazione assegnata a ciascun docente tenuto conto anche del giudizio contenuto nelle schede compilate dai partecipanti al corso» induce a ritenere che lo statuto della Scuola dovrà fissare i criteri in base ai quali la valutazione dei docenti andrà effettuata: valutazione che dovrà tenere conto dello specifico settore di competenza e dei titoli che l’aspirante docente può vantare, nonché – per chi ha già effettuato attività di docenza (è da presumersi, anche avuto riguardo alle docenze pregresse ai corsi di formazione organizzati dal C.S.M.) – dei risultati delle delle schede di valutazione redatte dai partecipanti.

Un’ulteriore valutazione andrà poi compiuta (ma non si comprende se andrà motivata o meno) all’atto della approvazione dei singoli programmi da parte del comitato direttivo, posto che, come stabilito dalle disposizioni sopra ricordate, ogni singolo responsabile di settore dovrà proporre, per ogni singolo incarico di docenza, due nominativi, competendo poi al comitato la scelta definitiva. Inutile dire che l’opzione per la creazione di un albo verrà a porre, specie nei primi anni di attività, il serio problema dell’individuazione di nominativi idonei, con particolare riguardo a specifici settori caratterizzati da un elevatissimo grado di specializzazione, allorquando il relatore, il cui nominativo si intenda proporre, non abbia curato, magari per pura distrazione (capita, di solito, ai più bravi…), di trasmettere alla Scuola in tempo utile e en bonne forme la propria domanda. Sul punto sarebbe auspicabile l’introduzione, magari a livello di statuto, di una clausola che consenta, in particolari casi, di nominare docenti anche non iscritti all’apposito albo.

L’esperienza maturata nei principali istituti preposti all’estero alla formazione iniziale e continua (si pensi in particolar modo all’esempio francese, ma anche a quello spagnolo o portoghese) insegna poi che, soprattutto per ciò che attiene alla formazione iniziale, il segreto per garantire buoni risultati e una certa continuità di metodologie formative, è rappresentato dalla presenza di un «nucleo stabile» nel corpo docente, costituito da un certo numero di formatori (tratti per lo più, anche se non esclusivamente, dalle file della magistratura) impiegati a tempo pieno, per un determinato numero di anni, presso la Scuola. Un nucleo che, evidentemente, dovrebbe essere di volta in volta integrato con l’apporto di un numero più ampio di magistrati e docenti impiegati a tempo parziale, o anche soltanto occasionalmente. Solo la presenza di un corpo stabile, anche non necessariamente vastissimo (tanto per fornire un esempio, l’Ecole francese dispone al momento di 32 magistrati impiegati a tempo pieno nella formazione, di cui 6 destinati alla formazione continua), di formatori full time potrebbe assicurare la nascita di una Scuola intesa non già quale luogo burocraticamente preordinato al rilascio di diplomi e attestati di frequenza, ma quale «casa comune della formazione» per la famiglia dei magistrati italiani: un vero e proprio «serbatoio» di conoscenze teoriche e pratiche, da dispensare a qualsiasi magistrato intenda affinare la propria cultura giuridica (e non), magari anche solo incrementando la semplice attività di autoformazione.

Ebbene: nulla di tutto ciò era previsto dal d.lgs. prima della riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111 [135], né appariva possibile immaginare che una struttura di docenti impiegati a tempo pieno potesse essere costituita sulla base di un semplice regolamento interno, a meno che non si fosse voluto valorizzare un elemento, per il vero molto debole, ricavabile dall’art. 12, comma terzo, lett. g). Stabiliva infatti questa disposizione, ora abrogata, che «Ciascun comitato di gestione (…) cura il tirocinio o l’aggiornamento professionale nelle fasi effettuate presso la Scuola, selezionando i tutori, nonché i docenti incaricati anno per anno e quelli occasionali». Questo richiamo ai «docenti incaricati anno per anno», contrapposti a «quelli occasionali» avrebbe forse potuto fondare una disposizione regolamentare diretta a creare figure di formatori a tempo pieno, il cui status e la cui collocazione fuori ruolo, non espressamente previsti da disposizioni ad hoc, avrebbero però posto non pochi problemi dal punto di vista ordinamentale.

All’inconveniente pone oggi solo parziale e modestissimo rimedio il nuovo cpv. dell’art. 6 del citato d.lgs., a mente del quale «I magistrati ancora in servizio nominati nel comitato direttivo sono collocati fuori del ruolo organico della magistratura per tutta la durata dell’incarico». Vi è però da dubitare che sette persone (tanti sono, infatti, i membri del direttivo di estrazione giudiziaria), ancorchè impiegate a tempo pieno, siano in grado di coordinare un’attività dell’ampiezza di quella sopra descritta [136], oltre alle tante altre iniziative che il comitato direttivo di una Scuola del genere di quella chiamata a formare i magistrati italiani potrebbe e dovrebbe sviluppare.

Il pensiero corre, tra i tanti esempi che si potrebbero presentare, alla necessità, in primo luogo, di divulgare i lavori sviluppati in seno alle attività di formazione: e questo, ovviamente, attraverso la creazione di un idoneo portale web, munito di un potente e raffinato motore di ricerca che, ad instar del programma Italgiure Web della Cassazione, consenta il reperimento immediato di informazioni e materiale di supporto [137]; portale alla cui creazione e costante implementazione andrebbe comandato personale in pianta stabile, costituito tanto da giuristi che da esperti informatici.

Per questo occorrerebbe pensare anche alla creazione di banche dati di esperienze e prassi, da porre per via telematica a disposizione di tutti gli uffici giudiziari, così come alla realizzazione di servizi di vera e propria consulenza e formazione «personalizzata», alla divulgazione di newsletters (come del resto già avviene ad opera di alcuni magistrati responsabili della formazione decentrata particolarmente impegnati e diligenti), ecc. [138]. Sempre a titolo di esempio, proprio alla Scuola potrebbe essere affidato l’incarico di provvedere, d’intesa con il Centro Elettronico di Documentazione istituito presso la Corte di cassazione, a «rivitalizzare» un archivio di somma utilità, quale quello della giurisprudenza di merito, che ha avuto il grande merito per molti anni di divulgare la giurisprudenza su questioni che, per svariati motivi (si pensi alla c.d. volontaria giurisdizione, o alle questioni di mero fatto), non sono destinate ad essere trattate dalla Corte Suprema (e pertanto ad essere inserite negli archivi «civile» o «penale» del C.E.D.) [139].

Venendo ora a svolgere alcune considerazioni sulla «vita» interna della Scuola, occorrerà prendere in esame il tema dello statuto e dei regolamenti interni. In proposito vengono in rilievo gli articoli seguenti del d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione attualmente in vigore:

·        1, comma terzo, da cui si può dedurre che lo statuto (unitamente ai regolamenti interni) dovrebbe regolare, nel rispetto delle norme di legge, l’«autonomia organizzativa, funzionale e gestionale, negoziale e contabile» della Scuola;

·        1, comma terzo, secondo cui esso, unitamente ai regolamenti adottati ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lo statuto disciplina l’«organizzazione della Scuola»;

·        3, comma primo, secondo cui «La Scuola è retta da un proprio statuto, adottato dal comitato direttivo con il voto favorevole di almeno otto componenti»;

·        3, comma secondo, secondo cui «La Scuola adotta regolamenti di organizzazione interna, in conformità alle disposizioni dello statuto»;

·        5, comma secondo, secondo cui «Il comitato direttivo adotta e modifica lo statuto e i regolamenti interni»;

·        11, comma secondo, per il quale lo statuto (il solo statuto, si badi) deve determinare «Le modalità di sostituzione del presidente in caso di assenza o impedimento»;

·        17-bis, lett. e), secondo cui il segretario generale «esercita ogni altra funzione conferitagli dallo statuto e dai regolamenti interni»;

·        24, secondo cui «Lo statuto determina il numero massimo degli incarichi conferibili ai docenti anche tenuto conto della loro complessità e onerosità».

·        Tutte le disposizioni di cui sopra riguardano tanto lo statuto che i regolamenti (ad eccezione dei citati artt. 11, comma secondo, e 24, che si riferiscono al solo statuto), mentre l’art. 25 cpv., per converso, si limita a menzionare un «regolamento» («La partecipazione ai corsi è disciplinata dal regolamento adottato dalla Scuola»), usando peraltro l’espressione «regolamento» – per tale unica volta – al singolare.

Sulla base delle disposizioni predette appare chiaro come lo statuto appaia costituire una fonte normativa sottoordinata rispetto alla legge, ma sovraordinata rispetto ai regolamenti, per lo meno stando a quanto disposto dal citato art. 3 cpv., secondo il quale «La Scuola adotta regolamenti di organizzazione interna, in conformità alle disposizioni dello statuto», sempre che non si voglia limitare la richiesta «conformità» alle sole modalità di adozione dei regolamenti (e non già estenderla al relativo contenuto): soluzione, quest’ultima, che potrebbe essere suggerita dal fatto che, mentre il primo comma dell’art. 3 cit. precisa quale sia la maggioranza richiesta per l’adozione dello statuto, nulla è detto in punto regolamenti, così inducendo a ritenere che siffatta modalità di adozione vada specificata, per l’appunto, dallo statuto e che proprio questo sia il (limitato) significato dell’inciso «in conformità alle disposizioni dello statuto».

Il già ricordato (singolare…) uso del singolare all’art. 25 cit., con riguardo al «regolamento» che dovrebbe disciplinare la partecipazione ai corsi di formazione continua (ancorchè non denominata in tal modo) potrebbe anche indurre a ritenere che a tale specifico argomento (la formazione continua, o permanente) vada dedicato un apposito regolamento. Quanto sopra darebbe un senso all’uso del plurale nelle altre disposizioni sopra ricordate, così spingendo ad ipotizzare l’emanazione (da prevedersi nello statuto) di un regolamento per ciascuna delle principali funzioni della scuola (formazione iniziale, formazione continua, formazione complementare, formazione internazionale, formazione dei formatori, partecipazione alle attività della rete dei formatori della formazione decentrata), così come per il funzionamento degli organi della Scuola (comitato direttivo, relativo presidente, responsabili di settore e segretario generale), fermo restando che solo lo statuto potrà determinare le «modalità di sostituzione del presidente in caso di assenza o impedimento», nonché (e, francamente, non è dato comprendere per quale speciale ragione si riservi tale materia allo statuto anziché ai regolamenti) «il numero massimo degli incarichi conferibili ai docenti anche tenuto conto della loro complessità e onerosità». Per quanto attiene, infine, alla disposizione statutaria concernente le «modalità di sostituzione del presidente in caso di assenza o impedimento» (cfr. art. 11 cpv. d.lgs cit.), nulla sembra escludere la creazione della figura di un vicepresidente, il quale dovrebbe sostituire il presidente in caso di suo impedimento ed al quale potrebbero essere delegate attribuzioni particolari del presidente stesso.

Ciò detto, va aggiunto che statuto e regolamenti dovranno contenere una serie di disposizioni attinenti, come si è appena detto, alla «vita» della Scuola che, in buona parte, ben potranno essere tratte dall’esperienza pluridecennale del C.S.M. in materia di gestione dell’attività formativa. Va pertanto auspicato che, in fase di stesura di questi importanti documenti, il comitato direttivo mantenga stabili contatti con la nona commissione, così come con il comitato scientifico e la segreteria generale dell’organo di autogoverno.

Desta preoccupazione, poi, l’assoluta, persistente, assenza di un regime transitorio. Come rilevato dal C.S.M. con riguardo allo schema di d.lgs. [140], ma con notazioni riferibili anche alla l. 30 luglio 2007, n. 111, ciò vale sia per la definizione delle modalità di «passaggio» dall’attuale struttura formativa del Consiglio superiore a quella della futura Scuola (imponendo le regole di buona amministrazione la non dispersione del patrimonio acquisito), sia per la definizione del regime cui sottoporre i magistrati in servizio con riferimento alla formazione obbligatoria, sia, infine, con riferimento alla disciplina da applicarsi ai magistrati in tirocinio al momento di inizio di operatività della nuova struttura. Nulla si dice quanto alla disciplina da applicarsi nella fase compresa tra la data di efficacia del decreto delegato (e, oggi, da quella della già intervenuta entrata in vigore della l. 30 luglio 2007, n. 111) alla data in cui la Scuola sarà nei fatti costituita ed operativa. Quanto sopra appare tanto più grave, se si considera che non potranno certo essere brevi i tempi necessari al reperimento e alla predisposizione dei locali e delle strutture indispensabili, nonché alla individuazione dei componenti le articolazioni essenziali della Scuola.

Di fronte a tale silenzio legislativo non rimane che ipotizzare un’ultrattività delle disposizioni previgenti. Si pensi, in particolare, al regime di formazione e valutazione degli uditori giudiziari [141] (ora definiti «magistrati ordinari in tirocinio»), la cui posizione non può certo ritenersi «congelata», magari per anni, in attesa della concreta entrata in funzione della Scuola. Tale soluzione appare del resto suggerita dal fatto che le disposizioni in esame, attenendo non solo e non tanto alla determinazione di itinerari procedurali, ma anche e soprattutto, alla definizione di vere e proprie situazioni di status giuridico (si pensi, per l’appunto, alla peculiare posizione dei soggetti già nominati  uditori giudiziari sulla base delle disposizioni del previgente ordinamento), non possono intaccare i diritti acquisiti in forza della normativa oggi abrogata, soprattutto quando quella nuova non può ricevere ancora materiale attuazione, per difetto in rerum natura delle relative strutture. Del resto, se è vero che la giurisprudenza [142] interpreta l’art. 11 prel. nel senso che la legge nuova può essere applicata anche agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, ciò essa ammette solo quando gli status, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, «debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore». Orbene, nel caso in esame, pare legittimo ritenere che la situazione dei soggetti nominati uditori sulla base della normativa previgente sia intimamente legata al suo «fatto generatore», costituito da un sistema di reclutamento e di formazione iniziale (che del reclutamento costituisce parte integrante), il quale oggi appare radicalmente mutato. Non si può dunque pretendere di applicare agli uditori il nuovo sistema, senza inevitabilmente violare la regola generale (art. 11 cit., non specificamente derogato da disposizioni transitorie della novella) che sancisce l’irretroattività dello ius superveniens.

 

 

CAPITOLO V

GLI ORGANI DELLA SCUOLA E LE LORO COMPETENZE

 

 

«Was können wir tun, um unsere (…) Institutionen so zu gestalten, daß schlechte oder untüchtige Herrscher (die wir natürlich zu vermeiden suchen, aber trotzdem nur allzu leicht bekommen können) möglichst geringen Schaden anrichten?».

(Karl R. Popper, Erkenntnis ohne Autorität (1960) [Abschnitte XIII bis XVII], in Karl Popper Lesebuch, Tübingen 1995).

 

Sommario:

22. Il comitato direttivo nel sistema del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, prima della riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

23. La composizione del comitato direttivo dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

24. Le competenze del comitato direttivo dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

25.  Gli altri organi della Scuola dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111: presidente del comitato direttivo,  responsabili di settore e segretario generale.

 

22. Il comitato direttivo nel sistema del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, prima della riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

       

Nel sistema tracciato dal d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, gli organi della Scuola erano costituiti dal comitato direttivo, dal presidente del comitato e da due comitati di gestione. La l. 30 luglio 2007, n. 111 ha ridisegnato struttura e competenze del comitato direttivo, abrogato i comitati di gestione, e introdotto i responsabili di settore.

Iniziando dal comitato direttivo, va detto, innanzi tutto, che lo stesso, secondo l’originaria versione del d.lgs. n. 26 del 2006, risultava composto da sette membri, di cui due di diritto. I membri di diritto erano il primo presidente della Corte di cassazione ed il procuratore generale presso la Corte medesima. Al riguardo si era esattamente rilevato [143] che la previsione derivava dalla primigenia configurazione del disegno legislativo di collocare la Scuola nell’ambito della Corte di legittimità. Trattavasi di soluzione sicuramente criticabile, e che aveva già formato oggetto di riserve da parte del C.S.M. con il parere reso il 12 giugno 2002, in cui si evidenziava che «la funzione nomofilattica può essere commista e confusa con realtà da essa profondamente diverse (quali l’attribuzione alla Cassazione del carattere di meta professionale privilegiata ed il conferimento alla Corte di una posizione di potere nel processo di formazione-selezione dei magistrati) solo se ci si muove verso l’obiettivo di conformare autoritativamente la giurisprudenza ed indurre la magistratura di merito ad allinearsi pedissequamente agli indirizzi della Cassazione».

I membri di diritto potevano delegare, a loro insindacabile discrezione, la partecipazione al comitato direttivo, in favore però soltanto di magistrati con funzioni non inferiori a quelle direttive giudicanti e direttive requirenti di legittimità. Come rilevato dai primi commentatori [144], il d.lgs. innovava rispetto alla legge delega, perché questa non aveva posto condizioni per l’individuazione dei magistrati cui delegare l’esercizio dei compiti all’interno del Comitato direttivo, limitandosi appunto ad attribuire la facoltà di delega ad un magistrato non qualificato da particolari funzioni. La disposizione, nel mostrare il chiaro intendimento di rafforzare un legame «para-gerarchico» tra Scuola e Corte di cassazione, doveva ritenersi in parte qua incostituzionale per eccesso di delega [145], oltre che incoerente con il sistema stesso in cui avrebbe voluto inserirsi, per lo meno in relazione al fatto che sembrava escludere l’attribuzione della delega al presidente aggiunto della Corte di cassazione ed al procuratore generale aggiunto presso la medesima Corte, che, invece [146], ne sarebbero stati i naturali destinatari per l’esercizio dei poteri spettanti rispettivamente al primo presidente ed al procuratore generale.

I dubbi di costituzionalità si riproponevano anche per i due magistrati nominati dal C.S.M., atteso che il d.lgs. poneva condizioni aggiuntive, non richieste dalla legge delega, di esercizio di determinate funzioni, ancora una volta ispirandosi alla costruzione piramidale e gerarchica delle funzioni giudiziarie. Il C.S.M., infatti, avrebbe dovuto nominare due componenti tra i magistrati aventi «funzioni di secondo grado da almeno tre anni», senza alcuna ripartizione funzionale tra giudicante e requirente [147]. Il comitato direttivo contava, poi, sulla falsariga di scelte di composizione già sperimentate per i rinnovati Consigli giudiziari, la presenza di un avvocato con almeno quindici anni di esercizio della professione, nominato dal Consiglio nazionale forense, e di un professore universitario ordinario in materie giuridiche nominato dal Consiglio universitario nazionale. Infine vi era la presenza di un (solo) componente nominato dal Ministro della Giustizia, sul presupposto di una corretta considerazione della sua posizione costituzionale di responsabile dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi della giustizia.

Il d.lgs. stabiliva che tutti questi componenti fossero scelti «tra insigni giuristi», facendo così prevalere le ragioni di una spiccata competenza tecnica su quelle della rappresentanza di tipo politico. Si è esattamente rimarcato al riguardo [148] che la previsione giovava a rafforzare la previsione di piena indipendenza dei componenti del comitato direttivo, che, come espressamene previsto dall’art. 8 del decreto legislativo, rimasto oggi inalterato, avrebbero comunque dovuto esercitare «le proprie funzioni in condizioni di indipendenza rispetto all’organo che li ha nominati». L’incarico era previsto come di durata quadriennale e, fatta eccezione per i due membri di diritto e degli eventuali loro delegati, gli altri componenti non avrebbero potuto essere immediatamente rinnovati, né avrebbero potuto fare parte delle commissioni di concorso per uditore giudiziario. In proposito va aggiunto che il riferimento soltanto alle commissioni di concorso per l’accesso appariva poco comprensibile, posto che il comitato direttivo aveva poteri di programmazione didattica per tutto l’ambito della formazione, ivi compresa la formazione continua dei magistrati in servizio. Più logica e coerente sarebbe stata quindi una disposizione di incompatibilità per la partecipazione a tutte le commissioni di concorso, da quella per l’accesso a quelle per le progressioni in carriera e per il passaggio da una funzione all’altra [149]. Era infine prevista una generale incompatibilità tra l’ufficio di componente del comitato direttivo e qualsiasi carica pubblica elettiva e con l’attività di componente di organi di controllo di enti pubblici e privati. Nessuna incompatibilità era invece posta con l’attività di studio e di ricerca.

Approfondendo le valutazioni critiche sul modo di costituzione del comitato in discorso potrà sottolinearsi – come affermato dallo stesso C.S.M. nel contesto di un suo parere reso sul d.d.l. che si poneva all’origine del processo che aveva portato all’emanazione del d.lgs. in esame [150] – che la struttura in oggetto non sembrava possedere una collocazione istituzionale che tenesse conto della posizione dalla Costituzione assegnata alla magistratura stessa. La formazione professionale, osservava l’organo di autogoverno, è per sua natura un’attività finalisticamente orientata al raggiungimento di determinati obbiettivi culturali, organizzativi, gestionali e si presta, in specie con un’attività dalle caratteristiche dell’esercizio della giurisdizione, a divenire sia un potente fattore di crescita e miglioramento della qualità del servizio giustizia, sia uno strumento di orientamento e omogeneizzazione delle soluzioni giurisprudenziali e di incanalamento delle attività (in specie nel campo delle indagini penali) verso il perseguimento di uno o di un altro tipo di reati (il che è evidentemente favorito in un sistema caratterizzato da un lato dall’uso a fini di carriera della produzione giurisprudenziale e dall’utilizzo a fini valutativi della formazione e dall’altro dalla gerarchizzazione delle funzioni). Per questo appariva assolutamente necessario che la direzione della formazione non venisse rimessa ad un organo che, per sua natura, non avrebbe potuto esprimere alcuna linea culturale e tanto meno individuare gli obbiettivi primari della formazione del magistrato, in necessaria connessione con un’analisi attenta dello stato della giustizia e delle sue criticità e con la formulazione di ipotesi migliorative e l’individuazione dei mezzi per attuarle.

Continuava il C.S.M. nel parere da ultimo citato, affermando che la formazione iniziale e permanente – in quanto incidente sul modello di giudice, sull’organizzazione del lavoro giudiziale, sugli strumenti per l’interpretazione della legge, sull’autonomia e l’indipendenza del magistrato – si sarebbe dovuta ritenere «materia riservata dalla Costituzione al Consiglio superiore della magistratura, spettando al Ministero l’organizzazione e il funzionamento del relativo servizio». Tale conclusione, proseguiva l’organo di autogoverno, «non deve indurre a ritenere che la formazione debba (continuare ad) essere gestita in proprio dal C.S.M. ma che (qualora si ritenga di realizzare una struttura autonoma per l’irrogazione della formazione) al C.S.M. debbano competere il potere di indirizzo e di fissazione delle linee programmatiche generali ed il potere di verifica e di controllo dell’attuazione degli indirizzi e degli obiettivi fissati».

Sempre secondo il C.S.M., «Assicurata la collocazione istituzionale della Scuola sottoponendola a tali poteri consiliari, la sua articolazione organica, per essere funzionale e garantire qualità e quantità di risultati – in relazione all’ampiezza e diversificazione dei compiti (basti pensare ai compiti di formazione iniziale, permanente, per il mutamento delle funzioni) – dovrebbe essere più ricca di quella tracciata dal d.lgs. Tenendo conto delle complessive esigenze gestionali di una struttura autonoma e facendo riferimento ad altri modelli esistenti (ad esempio, l’Università ove si hanno un Consiglio di amministrazione ed una Conferenza dei Presidi, presieduti entrambi dal Rettore), sembrerebbe indispensabile la presenza di due organi, uno con funzioni di gestione amministrativa e contabile, composto in modo paritetico da membri designati dal C.S.M. e dal Ministro della giustizia, ed uno con funzioni di gestione tecnico-scientifica, a composizione pluralista con prevalente rappresentanza di magistrati, col compito di tradurre gli obbiettivi formativi in programma di formazione, di redigere i programmi di dettaglio (individuazione dei singoli temi da trattare, delle formule didattiche, dei relatori e dei coordinatori dei lavori di gruppo), organizzare (prendere contatti coi docenti per acquisirne la disponibilità e dare indicazioni sugli obiettivi formativi dell’azione nella quale si collocano e il loro ruolo nell’ambito della stessa, selezione e preparazione dei materiali di studio, selezione dei partecipanti e rapporti con gli stessi anche con finalità di interazione per l’individuazione dei temi controversi) e gestire (coordinamento del corso, tutoraggio, verifica dei risultati dell’azione formativa) le singole azioni formative così come previste dal programma. Il raccordo tra i due organi dovrebbe essere assicurato da un direttore, nominato dal C.S.M. di concerto col Ministro della giustizia, con compiti di rappresentanza verso l’esterno, di direzione dell’attività della scuola, di controllo dell’esecuzione delle delibere di indirizzo del C.S.M., di relazionare a quest’ultimo sull’attuazione delle linee programmatiche» [151].

 

 

23. La composizione del comitato direttivo dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

 

La riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111 ha profondamente innovato la composizione del comitato direttivo, portando da sette a dodici il numero dei sui membri. Di essi, sette debbono essere scelti fra magistrati, anche in quiescenza, che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità, tre fra professori universitari, anche in quiescenza, e due fra avvocati che abbiano esercitato la professione per almeno dieci anni. Le nomine sono effettuate dal Consiglio Superiore della Magistratura, in ragione di sei magistrati e di un professore universitario, e dal Ministro della giustizia, in ragione di un magistrato, di due professori universitari e di due avvocati.

Non vi è dubbio che una siffatta composizione appaia, assai più della precedente, rispondente ai criteri di funzionalità, indipendenza dell’organo e di collegamento con il C.S.M., che si sono sopra evidenziati. Positiva è anche, per i componenti magistrati, l’eliminazione del requisito collegato alle funzioni di secondo grado, mentre il richiamo alla terza valutazione di professionalità viene a porre un requisito minimo d’anzianità di servizio (dodici anni) del tutto condivisibile. Restano le perplessità derivanti dal peso eccessivo attribuito al Ministro, che dovrà nominare cinque componenti su dodici: un rilievo veramente sproporzionato, se si pensa al ruolo che la Costituzione assegna al Guardasigilli (cfr. art. 110). Sul punto ha già avuto modo di esprimersi il C.S.M. nel parere emesso il 31 maggio 2007 [152], nel quale ha rilevato che siffatta dilatazione del ruolo del Ministro della giustizia «non trova orientamenti culturali di riscontro in un orizzonte europeo tendente a rafforzare il ruolo dei Consigli di Giustizia come funzionali alla difesa dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati nell’interesse dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge».

Quanto all’estrazione professionale dei componenti del comitato direttivo, sempre nel citato parere [153], si valuta positivamente l’opportunità che confluiscano in esso «molteplici sensibilità ed esperienze (e, quindi, appare necessaria e proficua la presenza di magistrati, avvocati e professori universitari)». Tuttavia, per non allontanarsi dal modello previsto dalla Costituzione per il C.S.M., si rimarca che sarebbe stato opportuno prevedere – per la ripartizione tra componenti magistrati, da una parte, e avvocati e professori universitari, dall’altra – il mantenimento della proporzione prevista dalla Costituzione per la composizione del Consiglio (due terzi e un terzo).

Il C.S.M. ha poi stigmatizzato l’estrema genericità dei requisiti per la nomina, sottolineando l’opportunità di introdurre, oltre al requisito dell’anzianità in servizio, quelli della capacità di insegnamento, dedotta dai titoli didattici acquisiti nell’ambito della formazione generale ed in quella giuridico-professionale e della capacità di ricerca desunta dal numero e dalla qualità delle pubblicazioni. Era stata altresì evidenziata, sempre nel predetto parere (rimasto senza riscontro da parte del legislatore) l’opportunità di prevedere che il comitato direttivo fosse composto da esperti nelle principali materie che interessano la formazione professionale dei magistrati. Tali osservazioni assumono rinnovato rilievo alla luce del testo così come modificato, che non prevede più i comitati di gestione, ma attribuisce ai responsabili di settore, individuati tra i componenti del comitato direttivo, la programmazione in concreto dell’attività della Scuola assegnando ad essi, in buona sostanza, alcune delle funzioni che sino ad ora erano state svolte dal comitato scientifico costituito presso la nona commissione del C.S.M.

L’aumento del numero dei membri del Comitato direttivo è, per così dire, compensato (negativamente, ad avviso di chi scrive) dall’eliminazione dei comitati di gestione, per cui, come già ampiamente illustrato, appare problematico che tale consesso sia in grado di far fronte ai compiti che l’attendono, tanto più che i componenti stessi del direttivo, nella loro veste di responsabili di settore, si vedono accollate una serie di ulteriori, assai onerose, incombenze, come verrà chiarito a tempo debito [154].

L’art. 6 del citato d.lgs. continua a prevedere, pur dopo la riforma del 2007, che l’incarico dei componenti del comitato direttivo sia di durata quadriennale. L’unica novità introdotta in parte qua dall’ultima novella è costituita dal fatto che tutti i membri, senza eccezione alcuna, non possano «essere immediatamente rinnovati», così come non possano «fare parte delle commissioni di concorso per uditore giudiziario» (il d.lgs. predeva, nella sua versione originale, la non applicabilità di tali limitazioni ai soggetti indicati al comma primo, vale a dire «il primo presidente della Corte di cassazione, o il magistrato dallo stesso delegato alla Scuola, con funzioni non inferiori a quelle direttive giudicanti di legittimità, nonchè il procuratore generale presso la Corte di cassazione, o il magistrato dallo stesso delegato alla Scuola, con funzioni non inferiori a quelle direttive requirenti di legittimità»).

Permane poi la regola (cfr. l’art. 9 del d.lgs. cit., rimasto invariato) che sancisce una generale incompatibilità tra l’ufficio di componente del comitato direttivo e qualsiasi carica pubblica elettiva e con l’attività di componente di organi di controllo di enti pubblici e privati. Nessuna incompatibilità continua ad essere posta con l’attività di studio e di ricerca. L’art. 8 del d.lgs. continua a prevedere che «I componenti del comitato direttivo esercitano le proprie funzioni in condizioni di indipendenza rispetto all’organo che li ha nominati», mentre l’art. 10, invariato, stabilisce che «L’indennità di funzione del presidente ed il gettone di presenza dei componenti del comitato direttivo sono stabiliti, rispettivamente fino ad un massimo di Euro 20.000 annui e di Euro 600 per seduta, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di efficacia delle disposizioni del presente decreto, tenuto conto del trattamento attribuito per analoghe funzioni pressa la Scuola superiore della pubblica amministrazione».

 

 

24. Le competenze del comitato direttivo dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

 

Venendo ora a trattare dei compiti del comitato direttivo, potrà iniziarsi ponendo l’accento sul fatto che, ai sensi dell’art. 5 cpv. del d.lgs. n. 26 del 2006, nella versione oggi vigente, il comitato direttivo:

·        adotta e modifica lo statuto e i regolamenti interni;

·        cura la tenuta dell’albo dei docenti;

·        adotta e modifica, tenuto conto delle linee programmatiche proposte annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, il programma annuale dell’attività didattica; approva la relazione annuale che trasmette al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura;

·        nomina i docenti delle singole sessioni formative;

·        determina i criteri di ammissione ai corsi dei partecipanti;

·        procede alle relative ammissioni;

·        conferisce ai responsabili di settore l’incarico di curare ambiti specifici di attività;

·        nomina il segretario generale;

·        vigila sul corretto andamento della Scuola;

·        approva il bilancio di previsione e il bilancio consuntivo.

Come rilevato dal C.S.M. nel suo parere emesso il 31 maggio 2007, le funzioni del comitato direttivo si possono così riassumere:

·        funzioni normative (adozione dello statuto e dei regolamenti);

·        funzioni programmatiche (adozione del programma annuale dell’attività didattica), in relazione alle quali deve tener conto delle linee programmatiche posposte annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e del Ministro della giustizia;

·        funzioni di rendicontazione (approvazione della relazione annuale);

·        funzioni di organizzazione della formazione (tenuta dell’albo dei docenti e nomina dei docenti, conferimento dei compiti ai responsabili per settori; ammissione ai corsi);

·        funzioni di nomina (nomina del segretario generale);

·        funzioni di vigilanza (controllo sull’andamento della Scuola);

·        funzioni di contabilità (approvazione del bilancio di previsione e il bilancio consuntivo).

Anche nel sistema così come risultante dalla riforma del 2007 il comitato direttivo costituisce l’organo di vertice della Scuola, sebbene fondamentali differenze siano state introdotte dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, rispetto alla originaria disciplina disegnata per questo corpo dal d.lgs. n. 26 del 2006. Infatti, nella versione originale di questo testo (cfr. art. 5 cpv. d.lgs. cit.), il comitato era chiamato a deliberare «in ordine alle finalità ed alle attività della Scuola». Ora, dal momento che le finalità della Scuola erano individuate dalla legge in maniera tassativa, la disposizione andava intesa nel senso che al comitato direttivo facessero capo le determinazioni d’ordine generale e le scelte di fondo sull’offerta formativa. Oggi, invece, non solo la predetta disposizione non figura più, ma la l. 30 luglio 2007, n. 111 ha riservato al C.S.M. una serie di competenze di indirizzo, di controllo e di merito, che vengono innegabilmente a limitare i poteri del comitato rispetto alla situazione delineata dal d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua primigenia versione.

In particolare:

·        ai sensi dell’art. 2, comma primo, lett. o), il comitato è chiamato a svolgere attività di «collaborazione» con il C.S.M. in relazione al tirocinio dei magistrati ordinari «nell’ambito delle direttive formulate dal Consiglio superiore della magistratura e tenendo conto delle proposte dei consigli giudiziari»: dal che è dato desumere che le direttive del C.S.M. hanno qui valore vincolante;

·        ai sensi dell’art. 5, comma secondo, il comitato deve, nell’adozione e modificazione del programma annuale dell’attività didattica, «tenere conto» «delle linee programmatiche proposte annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia»;

·        sempre ai sensi della norma da ultimo citata, il comitato deve altresì approvare «la relazione annuale che trasmette al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura»;

·        ai sensi dell’art. 18 d.lgs. cit., nella versione attuale, viene sottratto al comitato il potere di determinare «le modalità di svolgimento delle sessioni del tirocinio»; tali modalità sono ora definite con delibera del Consiglio superiore della magistratura»;

·        l’art. 20, comma primo, d.lgs. cit., nella sua versione attuale, affida al (solo) C.S.M. il compito di individuare, con le delibere di cui al comma 1 dell’articolo 18, le materie dei corsi di approfondimento teorico-pratico per i magistrati ordinari in tirocinio; al comitato direttivo è rimesso il compito di determinare, nel programma annuale, ulteriori materie;

·        ai sensi dell’art. 20, comma quarto, d.lgs. cit., nella sua versione attuale, il comitato deve trasmettere al C.S.M., al termine delle sessioni presso la Scuola, «una relazione concernente ciascun magistrato» in tirocinio;

·        l’art. 21, comma terzo, d.lgs. cit., nella versione attuale, sottrae alla Scuola, affidandolo al C.S.M. su proposta del competente consiglio giudiziario, il potere di designare «i magistrati affidatari presso i quali i magistrati ordinari svolgono i prescritti periodi di tirocinio»; magistrati affidatari che, secondo il comma quarto del medesimo articolo, «al  termine  della  sessione, (…) compilano,  per ciascun magistrato ordinario in tirocinio loro assegnato, una scheda valutativa che trasmettono al comitato direttivo ed al Consiglio superiore»;

·        ai sensi dell’art. 22, nella sua versione attuale, il comitato direttivo deve trasmettere «al Consiglio superiore della magistratura le relazioni redatte all’esito delle sessioni unitamente ad una relazione di sintesi predisposta dal comitato direttivo della Scuola»; segue, nei commi successivi, una procedura che affida al C.S.M. l’emanazione del giudizio di idoneità, così sottraendo alla Scuola (attraverso i competenti comitati di gestione, ora soppressi) l’emanazione di quell’atto (il giudizio di idoneità, per l’appunto, degli uditori, ora denominati «magistrati ordinari in tirocinio»), che ad essa era affidata dal d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione originale.

Per quanto attiene in particolare alla programmazione dell’attività didattica, va osservato che la legge delega del 2005 si limitava alla previsione dei comitato come organo direttivo e non ne definiva altrimenti i compiti, se non attribuendogli la programmazione didattica e precisando che il comitato si sarebbe avvalso a tal fine delle proposte del C.S.M., del Ministro della giustizia, del Consiglio nazionale forense, dei Consigli giudiziari, del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, e delle proposte dei componenti del Consiglio universitario nazionale esperti in materie giuridiche. Si è esattamente osservato in proposito [155] che, mentre la legge delega si limitava a prevedere la possibilità che il comitato direttivo si servisse del contributo di tutti questi organi [156], il d.lgs. n. 26 del 2006 aveva trasformato la disposizione in termini tali da far ritenere che il comitato direttivo fosse tenuto ad una necessaria consultazione preventiva per la raccolta delle eventuali indicazioni da utilizzare nella redazione della programmazione didattica (cfr. art. 5, terzo comma, d.lgs. cit., nella sua versione originaria: «Il comitato direttivo (…) programma l’attività didattica della Scuola, avvalendosi delle proposte…»). La versione attuale dell’art. 5 cit. rafforza quest’ottica di cooperazione con il C.S.M., imponendo, come già detto, al comitato, di «tenere conto» delle «linee programmatiche proposte annualmente dal Consiglio superiore della magistratura», peraltro qui posto (impropriamente, ad avviso dello scrivente, avuto riguardo a quanto disposto dall’artt. 105 e 110 Cost.) su di un piano di perfetta parità con il Ministro della giustizia.

Sul punto il già ricordato parere del C.S.M. emesso il 31 maggio 2007 ha posto in luce come la disposizione in esame evidenzi due aspetti problematici. Essa, invero, pone in primo luogo le linee programmatiche del Consiglio alla stessa stregua di quelle predisposte dal Ministro della giustizia, completando la previsione con le proposte del Consiglio nazionale forense e del Consiglio nazionale universitario (art. 5 per il comitato direttivo e 12 per i responsabili del settore). Al riguardo l’organo di autogoverno auspicava «che la norma specificasse almeno che le linee programmatiche vengono proposte dal Consiglio superiore e dal Ministro della giustizia ciascuno nell’ambito delle rispettive competenze e prerogative, riconducendo l’intervento nei limiti fissati rispettivamente dagli artt. 105 e 110 Cost.». In secondo luogo la previsione non specifica in quali termini la Scuola dovrebbe «tenere conto» delle linee programmatiche elaborate dal Consiglio e quali siano le conseguenze di una eventuale inosservanza. Sul punto non può che concordarsi con l’osservazione del C.S.M., secondo cui siffatte direttive non posseggono certo carattere vincolante, anche se questa conclusione pare allo scrivente (in dissonanza rispetto al sopra più volte citato parere dell’organo di autogoverno) in perfetta linea con il necessario margine d’autonomia che alla Scuola – in quanto ente, per l’appunto, autonomo – va lasciato.

Lo stesso rilievo vale anche a rispondere alle preoccupazioni espresse dal C.S.M. nel cennato parere [157], circa il fatto che all’organo di autogoverno non sia riservata alcuna valutazione circa la formazione dell’albo dei docenti: ciò che del resto non potrà avere se non benefici effetti, anche in vista del necessario superamento di quelle deleterie pratiche di «lottizzazione» che hanno talora caratterizzato la scelta dei relatori ai corsi di formazione organizzati dal C.S.M. Proprio per questa ragione non appaiono condivisibili le proposte avanzate dal C.S.M., sempre nel suddetto parere, di introdurre: «a) la previsione di oneri di comunicazione da parte degli organi della scuola al CSM, nel rispetto dell’autonomia della prima e delle prerogative costituzionali del secondo; b) una disciplina delle modalità di verifica e controllo sull’attività della scuola e dei suoi organi, fino alla   possibilità di una loro sostituzione; d) la previsione della nomina, in via ordinaria o straordinaria, di un comitato di verifica e valutazione». 

Maggior fondamento sembrano avere invece le preoccupazioni dell’organo di autogoverno [158] circa la necessità di coordinare le linee di «politica formativa» espresse dal Consiglio con i criteri per la scelta dei partecipanti agli incontri di studio, avuto anche riguardo al carattere (oggi) obbligatorio della formazione permanente e alla inscindibile correlazione tra criteri di ammissione ed effettività della formazione per ogni singolo magistrato, ciò che renderebbe necessario predisporre – se non proprio, come auspicato dal Consiglio «una qualche forma di controllo e di verifica da parte del Consiglio sui criteri adottati dalla scuola» – quanto meno un’intensa attività di (stabile) coordinamento tra C.S.M. e Scuola.

All’art. 12, comma primo, lett. a), del d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione attualmente in vigore, fanno la loro comparsa, per la prima (e unica) volta nel contesto della novella del 2007, due nuovi attori: vale a dire il Consiglio nazionale forense e il Consiglio universitario nazionale, invididuati quali soggetti da cui dovrebbero pervenire non meglio precisate «proposte» sul «programma annuale delle attività didattiche», in vista della predisposizione, da parte dei responsabili di settore, di una bozza di programma, da sottoporre al comitato direttivo. Da notare, peraltro, che già il comma terzo (ora abrogato) dell’art. 5 del d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione originale, stabiliva che il comitato direttivo, tra l’altro, programmasse l’attività della Scuola avvalendosi anche delle proposte del Consiglio nazionale forense, «nonchè delle proposte dei componenti del Consiglio universitario nazionale esperti in materie giuridiche».

Nella versione originale del d.lgs. n. 26 del 2006 al comitato spettava anche il potere di direzione e di controllo sul personale assegnato; conseguentemente, è da ritenere che gli competessero tutti i poteri di gestione del personale, sia pure nel ristretto ambito delineato dalla posizione di personale soltanto comandato ed in organico presso il Ministero della giustizia o altre amministrazioni. In proposito si dovrà però notare che la l. 30 luglio 2007, n. 111, riformulando l’art. 5 del d.lgs. cit., non ha ripetuto l’inciso di cui al capoverso, secondo cui il comitato «esercita funzioni di indirizzo, nonchè di controllo sul personale assegnato». Rimane peraltro la disposizione (cfr. l’art. 5, comma secondo, d.lgs. cit., nella sua versione attuale) che affida al comitato, tra l’altro, il compito di «vigila(re) sul corretto andamento della Scuola». Quanto sopra va però ulteriormente coordinato con l’introduzione della nuova figura del segretario generale [159], al quale l’art. 17-bis, novellamente introdotto, affida tra l’altro il compito di «responsabile della gestione amministrativa», oltre che quello di «coordina(re) tutte le attività della Scuola con esclusione di quelle afferenti alla didattica». Può dunque ritenersi che ora il potere di direzione e di controllo sul personale assegnato – e dunque tutti i poteri di gestione del personale – competano al segretario generale, ovviamente sotto la vigilanza del direttivo, tenuto, per l’appunto, come si è appena visto, a «vigila(re) sul corretto andamento della Scuola», in tutti gli aspetti, sia amministrativi che didattici. Sarà comunque opportuno che questo punto sia chiarito con maggior precisione dallo statuto.

Come osservato a commento dell’originaria versione del d.lgs. n. 26 del 2006 [160], le regole di riferimento per l’esercizio dei poteri del comitato non sono dettate dal decreto legislativo, né dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, perché il comitato ha un potere normativo, che si esplica innanzi tutto nell’adozione dello statuto della Scuola e quindi nella formulazione dei regolamenti interni che si renderanno necessari per il buon funzionamento dell’istituto. Sul punto il decreto legislativo, nel silenzio della legge delega, che neppure menziona i poteri regolamentari, stabilisce soltanto la basilare regola per l’adozione delle relative delibere.

La regola generale è quella della deliberazione a maggioranza relativa, con un quorum strutturale di otto membri sui dodici che compongono il comitato (cfr. art. 7, d.lg.s cit., nella sua versione attualmente in vigore). La maggioranza assoluta dei voti (sette) è invece richiesta «per gli atti di straordinaria amministrazione», tranne che per l’adozione dello statuto che, ai sensi dell’art. 3 d.lgs. cit., nella sua versione attualmente in vigore, richiede il voto favorevole di almeno otto componenti. Sul punto (introduzione di un principio generale per gli atti di straordinaria amministrazione) il nuovo art. 7, primo comma, del d.lgs. cit., nel distaccarsi dalla versione anteriore alla riforma del 2007 (che richiedeva la maggioranza assoluta soltanto per l’adozione dello statuto e per l’elezione al proprio interno del presidente), viene a porre una regola che potrà dal luogo a non poche contestazioni, essendo il discrimen tra ordinaria e straordinaria amministrazione, come noto, assai labile. Si prevede poi che, in caso di parità, prevalga il voto del presidente e che il voto sia sempre palese. Il secondo comma dell’art. 7 cit., rimasto invariato, continua a stabilire che «Il  componente  che  si  trova  in  conflitto  di  interesse in relazione a una specifica deliberazione ovvero se ricorrono motivi di opportunità,  dichiara  tale situazione al comitato e si astiene dal partecipare alla discussione e alla relativa deliberazione». Infine, come già ricordato nel paragrafo precedente, gli artt. 8, 9 e 10, pure rimasti invariati, si occupano dell’indipendenza dei componenti, delle loro incompatibilità e del trattamento economico. 

Da notare, infine, che l’abrogazione della disposizione di cui al primo dell’art. 5 d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione originale, secondo cui il comitato si sarebbe dovuto riunire nella sede individuata per i distretti ricompresi nelle regioni Marche, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise e Sardegna, viene a consentire (molto opportunamente) l’eventualità di un direttivo, per così dire, «itinerante», pronto a riunirsi in ciascuna delle tre sedi a seconda delle esigenze del momento. La questione è peraltro legata al tema, già affrontato, della pluralità delle sedi della Scuola: un’improvvida scelta i cui effetti pesantemente negativi potranno essere attenuati esclusivamente assegnando, come si è detto, ad ogni sede distinte competenze «per materia» [161].

 

 

25.  Gli altri organi della Scuola dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111: presidente del comitato direttivo,  responsabili di settore e segretario generale.

       

Nel sistema del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26 il presidente del comitato direttivo è l’organo che ha la rappresentanza della Scuola e il principio è rimasto invariato anche dopo la promulgazione della l. 30 luglio 2007, n. 111. Il disegno della normativa italiana si scosta qui in maniera evidente da quello delle Scuole e degli istituti di formazione della maggior parte degli altri Paesi europei, poiché non prevede la figura del direttore, che è l’organo cui spettano non solo i poteri di rappresentanza verso l’esterno, ma anche, e soprattutto, poteri di direzione e gestione. Da notare che, nell’ottica della legge delega [162], le funzioni di direzione avrebbero dovuto essere riconosciute, semmai, al comitato direttivo nel suo complesso, con quale risultato per la funzionalità dell’istituto non è certo difficile immaginare. Il d.lgs. n. 26 del 2006 si muoveva linearmente in tale ottica (di sicuro non condivisibile), sovranamente disinteressandosi delle questions d’intendance, frettolosamente e genericamente rimesse ai comitati di gestione (oggi soppressi).

Il tema viene invece – anche se solo timidamente e parzialmente – affrontato dalle modifiche introdotte dalla l. 30 luglio 2007, n. 111. Ci si intende qui riferire in particolare alla disposizione di cui all’art. 12, comma primo, lett. b), d.lgs. cit., nel testo oggi vigente, che affida ai responsabili di settore «l’attuazione del programma annuale dell’attività didattica approvato dal comitato direttivo», nonché alla regola contenuta nell’attuale primo comma dell’art. 11 d.lgs. cit., che rimette allo stesso presidente del comitato direttivo il potere, tra l’altro, di «adotta(re) i provvedimenti d’urgenza, con riserva di ratifica se essi rientrano nella competenza di altro organo». Attesa la tacitiana laconicità del testo normativo (e a parte le amare constatazioni sul pregiudizio, tanto diffuso in questo nostro curioso Paese, per cui realizzare una qualche iniziativa significa esclusivamente limitarsi a «partorire idee», dimenticandosi poi completamente del fatto che le idee possono camminare solo sulle gambe degli uomini…), non rimarrà che confidare nello statuto e nei regolamenti attuativi, perché in tali documenti siano fissati (e specificati con chiarezza!) i poteri e doveri di intervento attuativo dei vari soggetti coinvolti, e vengano tracciate le linee di demarcazione, necessarie al fine di evitare quelle pericolosissime actiones finium regundorum, che – croce e delizia dei troppi italici nostalgici di Bisanzio – finiscono con il paralizzare del tutto anche le più geniali e innovative intraprese.

Ai sensi dell’art. 11 d.lgs. cit. «Il presidente (…) è eletto tra i componenti del comitato direttivo a maggioranza assoluta». L’impiego della preposizione «tra», anziché di quella «dai» rende evidente che la scelta non può ricadere se non su uno dei membri del comitato stesso [163].

La l. 30 luglio 2007, n. 111 ha quindi soppresso i comitati di gestione, previsti dagli artt. da 12 a 17 del d.lgs. n. 6 del 2006 [164], introducendo la nuova figura dei responsabili di settore, i quali, a differenza dei comitati di gestione, non costituiscono, formalmente, «organi» della Scuola, non comparendo nell’elenco di cui all’art. 4 d.lgs. cit., nella sua versione attualmente in vigore. Ma l’esclusione da questa lista non sembra poter determinare effetti di sorta, atteso che il sistema normativo in vigore non pare collegare peculiari disposizioni o effetti al possesso della qualifica formale di «organo della Scuola». Per ciò che attiene alla nomina, va detto che i responsabili di settore altro non sono se non gli stessi membri del comitato direttivo (cfr. l’art. 12, comma primo, d.lgs. cit., nella sua versione attualmente in vigore, secondo cui «I componenti del comitato direttivo svolgono anche i compiti di responsabili di settore»), ai quali il direttivo stesso, «conferisce (…) l’incarico di curare ambiti specifici di attività» (cfr. art. 5, comma secondo, d.lgs. n. 26 del 2006, nella versione attualmente in vigore).

Secondo il testo normativo, dunque, anche il presidente del comitato direttivo è, ipso iure, un potenziale responsabile di settore, anche se appare opportuno che lo statuto e i regolamenti di attuazione chiariscano questo punto. Per quanto riguarda invece gli «ambiti specifici di attività» il pensiero corre immediatamente alle «classiche» ripartizioni delle scienze giuridiche (civile, commerciale, industriale, lavoro, famiglia, minorile, penale, procedure, ecc.), anche se nulla esclude l’individuazione di «ambiti» intesi in senso diverso e più legato alle funzioni della Scuola e della realtà giudiziaria (ad es.: penale requirente, penale giudicante, rapporti internazionali, funzioni direttive, magistratura onoraria, ecc.). Una summa divisio che si imporrà immediatamente al comitato direttivo sarà quella tra formazione iniziale e formazione continua (e complementare), anche se, atteso l’inquietante rapporto tra il numero ridottissimo di componenti a tempo pieno (sette su dodici) e la ciclopica mole di lavoro da svolgere, non sembra irragionevole immaginare che la ripartizione finirà con l’effettuarsi, innanzi tutto, per materie, mentre, per ognuna di esse, i «Cirenei» di turno saranno chiamati a portare entrambe le «croci» (formazione iniziale e formazione permanente)…

Ecco ora come vengono, testualmente, elencate dall’art. 12 cit. le funzioni dei responsabili di settore:

«a) la predisposizione della bozza di programma annuale delle attività didattiche, da sottoporre al comitato direttivo, elaborata tenendo conto delle linee programmatiche sulla formazione pervenute dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, nonché delle proposte pervenute dal Consiglio nazionale forense e dal Consiglio universitario nazionale;

b) l’attuazione del programma annuale dell’attività didattica approvato dal comitato direttivo;

c) la definizione del contenuto analitico di ciascuna sessione;

d) l’individuazione dei docenti chiamati a svolgere l’incarico di insegnamento in ciascuna sessione, utilizzando lo specifico albo tenuto presso la Scuola, e la proposta dei relativi nominativi, in numero doppio rispetto agli incarichi, al comitato direttivo;

e) la proposta dei criteri di ammissione alle sessioni di formazione;

f) l’offerta di sussidio didattico e di sperimentazione di nuove formule didattiche;

g) lo svolgimento delle sessioni presentando, all’esito di ciascuna di esse, relazioni consuntive».

Particolarmente opportuna appare la previsione dell’obbligo per i responsabili di settore di predisporre il materiale didattico per le varie sessioni formative e, soprattutto, di curare la sperimentazione di metodologie didattiche, così come di presentare (è da presumere: al consiglio direttivo) relazioni consuntive sullo svolgimento delle sessioni, anche se la già ricordata esiguità della pattuglia dei componenti del direttivo (e in particolare di quelli attivi full time) non consente di formulare previsioni ottimistiche al riguardo.

        Un’ultima considerazione critica s’impone sul punto. Come già rilevato da chi scrive in sede di valutazione di un progetto di Scuola della magistratura, ormai risalente, che prevedeva, al vertice dell’istituto, uno sdoppiamento tra consiglio scientifico e comitati di gestione [165], un siffatto tipo di soluzione «bicefala», pur se aliena al modello francese – nel quale l’Ecole è dotata di un solo consiglio d’amministrazione – meglio si adatterebbe, con ogni probabilità, alla peculiare realtà del nostro Paese. In esso, invero, l’idea che molti giuristi hanno circa qualità e quantità del contributo da fornire in seno ad un comitato o consiglio direttivo si limita al «parto di idee» (o alla critica, magari feroce, di quelle altrui!), nel corso di tanto interminabili quanto inconcludenti discussioni. In realtà, l’organizzazione di una moderna struttura formativa, in grado di rispondere alle attese dei magistrati destinatari della formazione, richiede che anche i membri di siffatti alti consessi sappiano «rimboccarsi le maniche» e non disdegnino di compiere tutta una serie di attività, tanto umili (cercare numeri di telefono, redigere documenti al computer, inviare e ricevere corrispondenza di ogni tipo e, oggi soprattutto, elettronica, correre letteralmente dietro ai – sovente introvabili – docenti e relatori, ecc.), quanto assolutamente indispensabili per la buona riuscita delle attività di formazione.

Ecco dunque la ragione di quell’astuto espediente: un consiglio scientifico per soddisfare ambizioni togate o baronali; uno o più comitati di gestione per consentire a chi abbia veramente voglia di «sporcarsi le mani» la possibilità di tradurre in un concreto, quotidiano operare le necessità concrete della formazione. Sotto questo profilo (e, ovviamente, solo in questa particolarissima ottica) l’opzione della l. 30 luglio 2007, n. 111, per un direttivo che deve necessariamente svolgere attività di gestione materiale e non solo di «alto indirizzo» (come comprovato dal fatto che sono stati eliminati i comitati di gestione previsti dalla versione originale del d.lgs. n. 26 del 2006, nonché dal fatto che ora si prevede che i responsabili di settore siano scelti proprio tra i membri del comitato direttivo) non può non destare perplessità. Il rischio, sul piano pratico, è infatti quello che la scelta, in merito ai componenti, di figure di troppo «alto profilo» finisca con il condannare, di fatto, la nuova struttura alla paralisi [166]. Sotto questo peculiare profilo, dunque (e, sia ben chiaro, avendo di mira la sola preoccupazione che qui si è cercato di enucleare, anche sulla base dell’esperienza personale), sarebbe forse stato meglio affiancare ad un comitato direttivo, composto da un numero più ristretto di persone, un vasto comitato di gestione.

        Venendo ora a trattare della figura del segretario generale andrà detto che essa è stata introdotta ex novo dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, che ha inserito nel d.lgs. n. 26 del 2006 un’apposita sezione (la IV-bis), composta dagli artt. 17-bis e 17-ter. A norma del primo dei due articoli citati, le funzioni di quest’organo sono così elencate:

«a) è responsabile della gestione amministrativa e coordina tutte le attività della Scuola con esclusione di quelle afferenti alla didattica;

        b) provvede all’esecuzione delle delibere del comitato direttivo esercitando anche i conseguenti poteri di spesa;

        c) predispone la relazione annuale sull’attività della Scuola;

        d) esercita le competenze eventualmente delegategli dal comitato direttivo;

        e) esercita ogni altra funzione conferitagli dallo statuto e dai regolamenti interni».

        La figura si ispira a quella analoga presente presso il C.S.M., disciplinata dall’art. 7, l. 24 marzo 1958 n. 195 (come sostituito dall’art. 1, l. 9 dicembre 1977 n. 908), nonché dall’art. 9 del regolamento interno dell’organo di autogoverno [167]. Essa, come rilevato dal C.S.M. nel più volte citato parere emesso in data 31 maggio 2007 [168], «si connota come figura dotata di ampi poteri, per la funzione di coordinamento di tutte le attività della Scuola, ancorché con esclusione di quelle afferenti alla didattica; per l’attribuzione del compito di predisposizione della relazione annuale sull’attività della scuola, ma soprattutto per la possibilità di esercizio delle competenze a lui eventualmente delegate dal comitato direttivo che, come si è rilevato, è onerato di compiti e limitato nel numero».

Dal sistema, così come delineato dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, emerge una distinzione tra:

(i)                         funzioni conferite al segretario generale direttamente dalla legge;

(ii)                      funzioni delegate al segretario generale dal comitato e

(iii)                   funzioni conferite al segretario generale dallo statuto e dai regolamenti interni.

Per le funzioni sub (i) provvede, come si è detto, direttamente la norma. Vengono in rilievo in proposito le ipotesi delineate dalle lett. a), b), c) del citato art. 17-bis. Con particolare riguardo alla prima di esse, potrà ricordarsi [169] che l’attribuzione della responsabilità della gestione amministrativa e del coordinamento di tutte le attività della Scuola con esclusione di quelle afferenti alla didattica comporta anche il potere di direzione e di controllo (sotto la vigilanza del comitato direttivo) sul personale assegnato e dunque tutti i poteri di gestione del personale, sia pure nel ristretto ambito delineato dalla posizione di personale soltanto comandato ed in organico presso il Ministero della giustizia o altre amministrazioni. La conclusione appare del resto confermata dal raffronto con la «figura di riferimento», costituita dal segretario generale del C.S.M., cui l’art. 9, lett. f), del regolamento interno dell’organo di autogoverno attribuisce il compito di «assicura(re) il buon andamento dei servizi e degli uffici e sovraintende(re) al personale addetto al Consiglio», anche se va ribadita l’opportunità che questo punto sia chiarito con maggior precisione dallo statuto.

Venendo ora a dire delle funzioni sub (ii) – vale a dire quelle delegabili – fermo restando che sarebbe stata certamente ausipicabile la predisposizione di un preciso elenco da parte dell’articolo novellamente introdotto dalla legge in esame, dovrà necessariamente pensarsi tanto a possibilità di delega di carattere generale, sulla base di disposizioni statutarie o regolamentari, così come anche a delege di volta in volta formulate sulla base di deliberazioni assunte ad hoc.

Ad avviso dello scrivente non appare comunque concepibile che la delega, vuoi generale, vuoi speciale, possa investire funzioni che costituiscono il proprium dell’attività del comitato direttivo. Così, avuto riguardo all’elenco delle funzioni di cui all’art. 5 del citato d.lgs. nella sua versione attualmente in vigore, non sembra possibile che il comitato possa delegare al segretario generale materie quali l’adozione e la modifica dello statuto e dei regolamenti interni, l’adozione e la modifica del programma annuale dell’attività didattica, l’approvazione della relazione annuale (che, come si è appena visto, va predisposta proprio dal segretario generale), la nomina dei docenti, la determinazione dei criteri di ammissione ai corsi, il conferimento ai responsabili di settore dell’incarico di curare ambiti specifici di attività, la nomina (per ovvie ragioni) dello stesso segretario generale e l’approvazione del bilancio di previsione e di quello consuntivo. Si può dunque pensare che i settori nei quali la delega in discorso possa esercitarsi siano quelli della tenuta dell’albo dei docenti (fermo restando che ogni eventuale contestazione e comunque ogni decisione, in caso di dubbio, sull’inserimento o sulla cancellazione dei nominativi, non potrà essere se non di pertinenza del comitato), nonché lo svolgimento delle procedure di ammissione dei partecipanti ai corsi, per lo meno per quanto attiene alla materiale applicazione dei criteri determinati dal comitato in relazione ad ogni singola attività formativa, con riserva al comitato direttivo del potere di decidere su ogni eventuale contestazione.

Per ciò che attiene, invece, alla «vigilanza sul corretto andamento della Scuola», la disposizione di cui all’art. 5 cit., che attribuisce, appunto, siffatta competenza al comitato, va coordinata con quanto previsto dalla lett. a) dell’art. 17-bis, secondo cui il segretario generale «è responsabile della gestione amministrativa e coordina tutte le attività della Scuola con esclusione di quelle afferenti alla didattica». Ne consegue che, mentre per quanto attiene alle attività di carattere amministrativo la concreta gestione compete al segretario generale, spettando al comitato esclusivamente un potere di vigilanza, per ciò che riguarda le attività didattiche la concreta gestione è di pertinenza di ogni responsabile di settore (cfr. art. 12, lett. b), c), f), g), d.lgs. cit.), competendo la vigilanza al comitato, con l’ulteriore precisazione che, come si è già detto, l’individuazione dei docenti appare il frutto di una sorta di «concerto» tra responsabili di settore e comitato (cfr. art. 12, lett. d), d.lgs. cit.: al comitato compete la scelta di uno dei due nomi proposti per ogni incarico), mentre la determinazione dei criteri di ammissione è di competenza del comitato su proposta dei responsabili di settore (cfr. art. 12, lett. e), d.lgs. cit.).

Infine, per le funzioni sub (iii) occorre pensare ad attività che, oltre a non essere, per l’appunto, conferite dalla legge, non compaiano neppure nell’elenco di quelle normativamente attribuite al comitato (poiché in tale ultima ipotesi si potrebbe semmai pensare ad attività delegabili, secondo quanto sopra chiarito, vuoi in linea generale sulla base dello statuto e dei regolamenti, vuoi di volta in volta sulla base di delibere del comitato). Così si può, ad esempio, immaginare – conformemente del resto a quanto verrà oltre chiarito [170] – che statuto e regolamenti si occupino di individuare competenze proprie del segretario generale in tema di rapporti tra Scuola e C.S.M. per ciò che attiene all’utilizzo della rete della formazione decentrata, così come in materia di creazione, mantenimento, implementazione e aggiornamento di un portale web della Scuola, nonché di intrattenimento di  rapporti con il C.E.D. della Corte di cassazione [171]; ancora, si può pensare alla gestione dei rapporti con gli uffici giudiziari per la diffusione dei programmi annuali di formazione permanente e per la organizzazione della raccolta delle domande di partecipazione ai corsi, l’organizzazione di un sistema di  rilevazione periodica delle esigenze formative, di valutazione dell’esito degli incontri di studio, ecc.

La nomina del segretario generale è, ai sensi dell’art. 17-ter del citato d.lgs. n. 26 del 2006, così come modificato dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, di competenza del comitato direttivo. La scelta deve avvenire tra i magistrati ordinari, ovvero tra i dirigenti di prima fascia, attualmente in servizio, di cui all’articolo 23 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. I magistrati ordinari devono aver conseguito la quarta valutazione di professionalità. Al segretario generale si applica l’articolo 6, commi terzo (nella parte in cui si prevede il divieto di far parte delle commissioni di concorso per magistrato ordinario) e quarto (secondo cui i componenti cessano dalla carica per dimissioni o per il venire meno dei requisiti previsti per la nomina).

Sul punto perplessità sono state espresse dal C.S.M. nel suo parere del 31 maggio 2007 [172], in cui l’organo di autogoverno ha rilevato che, in considerazione dell’ampiezza e dell’importanza dei compiti affidati al segretario generale, «lo spazio decisionale del Consiglio, in relazione alla sua nomina, dovrebbe essere maggiore». Va notato al riguardo che il d.d.l. che ha portato alla l. 30 luglio 2007, n. 111, nella sua originale versione, prevedeva che la nomina del segretario generale da parte del consiglio dovesse avvenire nell’ambito di una rosa di candidati (magistrati ordinari che avessero conseguito almeno la quarta valutzione di professionalità), di cui «due indicati dal Consiglio superiore della magistratura e due dal Ministro della giustizia, tenendo conto dei criteri di valutazione di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 11 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e successive modificazioni». In proposito osservava il C.S.M. nel sopra ricordato parere che «ragioni di rispetto del principio dell’indipendenza della magistratura suggerirebbero la designazione da parte del Consiglio su una rosa eventualmente formulata con il contributo del Comitato Direttivo, fatta salva la eventualità del concerto con il Ministro ovvero (soluzione tuttavia meno auspicabile) la nomina da parte del Comitato Direttivo tra una rosa di nomi individuati dal Consiglio». E’ evidente che ancor meno rispettosa del principio di indipendenza della magistratura appare la previsione, di cui alla norma in vigore, della possibilità che un ruolo così delicato come quello del segretario generale sia affidato ad un soggetto non proveniente dai ranghi della magistratura.

        Ai sensi del secondo comma dell’art. 17-ter cit. il segretario generale dura in carica cinque anni durante i quali, se magistrato, è collocato fuori dal ruolo organico della magistratura. L’attribuzione dell’incarico ad un dirigente di prima fascia non magistrato comporta il divieto di coprire la posizione in organico lasciata vacante nell’amministrazione di provenienza. Infine, per il terzo comma, l’incarico, per il quale non sono corrisposti indennità o compensi aggiuntivi, «può essere rinnovato per una sola volta per un periodo massimo di due anni e può essere revocato dal comitato direttivo, con provvedimento motivato adottato previa audizione dell’interessato, nel caso di grave inosservanza delle direttive e degli indirizzi stabiliti dal comitato stesso». Si verifica dunque un’opportuna «sfasatura» tra la durata in carica del segretario generale e quella del direttivo, che consente di assicurare continuità di gestione al momento, sempre delicato, della passation des pouvoirs da un comitato direttivo all’altro.

 

 

CAPITOLO VI

FORMAZIONE INIZIALE E FORMAZIONE PERMANENTE DEI MAGISTRATI ITALIANI NEL SISTEMA RIFORMATO.

CONCLUSIONI

 

 

«L’abito di rendere giustizia assai meglio s’acquista col tirocinio giovanile che in qualunque altro modo».

(L. Mortara, Istituzioni di ordinamento giudiziario, Firenze, 1890, p. 149).

 

Sommario:

26. La formazione iniziale nel sistema del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, prima della riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

27.  La formazione iniziale dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

28. La formazione continua nel sistema del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, prima della riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

29. La formazione continua dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111. Spunti in tema di formazione decentrata.

30. Conclusioni. La Scuola italiana di fronte ai principi internazionali sulla formazione dei magistrati ed agli altri istituti di formazione giudiziaria europei. Il permanere di una competenza del C.S.M. nel campo della formazione dei magistrati.

 

26. La formazione iniziale nel sistema del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, prima della riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

 

Nel sistema di cui al d.lgs. n. 26 del 2006, prima della riforma del 2007, il comitato di gestione per la formazione iniziale era chiamato (cfr. art. 22) ad esprimere le valutazioni dei risultati del tirocinio, che si doveva svolgere secondo quanto stabilito dagli artt. da 18 a 21, nella versione in allora in vigore, per un periodo complessivo di ventiquattro mesi, suddivisi in due fasi, di cui una presso la Scuola e l’altro presso gli uffici giudiziari [173]. La formazione iniziale, riduttivamente denominata «tirocinio», si articolava in modo che sei mesi fossero trascorsi presso la Scuola superiore della magistratura e diciotto mesi nell’uditorato presso gli uffici giudiziari. All’interno di questi diciotto mesi si distingueva un periodo di sette mesi da riservare all’uditorato presso un collegio giudicante, un periodo di tre mesi per l’uditorato in un ufficio requirente di primo grado e otto mesi in un ufficio corrispondente a quello di prima destinazione.

La legge delega (art. 2, comma secondo, lett. d), e), f), g), h), i), l. 25 luglio 2005, n. 150) prescriveva che il tirocinio avesse modalità differenti in riferimento alla diversità delle funzioni che avrebbero dovuto essere svolte dagli uditori, giudicanti e requirenti; quindi stabiliva che per ogni sessione, e cioè per la sessione presso la Scuola superiore e per quella presso gli uffici giudiziari, fosse compilata una scheda valutativa dell’uditore e che, all’esito del tirocinio complessivamente inteso, la Scuola esprimesse un giudizio di idoneità all’assunzione delle funzioni giudiziarie, tenendo conto di tutti i giudizi espressi sull’uditore nel corso del tirocinio medesimo. Sulla base del giudizio di idoneità spettava poi al C.S.M. deliberare in via finale. Per il caso in cui la deliberazione consiliare fosse negativa, la legge delega disponeva che l’uditore potesse essere ammesso ad un ulteriore periodo di tirocinio per non più di un anno, e che in caso di ulteriore deliberazione di inidoneità si avesse la cessazione del rapporto d’impiego.

Si era rilevato al riguardo che la disciplina della legge delega era particolarmente puntuale, certamente assai di più di quanto non stabilisse la legge di ordinamento giudiziario, che con gli artt. 129, r.d. n. 12 del 1941, e 48, d.p.r. n. 916 del 1958, rimetteva al C.S.M. la regolamentazione del tirocinio degli uditori, limitandosi a fissarne la durata in almeno due anni, da trascorrere presso i tribunali e le procure della Repubblica con opportuni avvicendamenti, con possibilità che fossero conferite le funzioni dopo almeno un anno di tirocinio [174].

Il decreto legislativo n. 26 del 2006, nella sua primitiva versione, dettava la normativa di dettaglio con la previsione che:

·        la sessione presso la Scuola dovesse essere la prima in ordine temporale e solo successivamente l’uditore svolgesse il tirocinio presso gli uffici giudiziari;

·        gli uditori frequentassero presso le sedi della Scuola corsi di approfondimento teorico-pratico riguardanti il diritto civile, il diritto penale, il diritto processuale civile, il diritto processuale penale ed il diritto amministrativo, con eventuale approfondimento anche di altre materie tra quelle comprese nella prova orale del concorso per l’accesso;

·        la sessione presso la Scuola dovesse in ogni caso tendere al perfezionamento delle capacità operative e della deontologia dell’uditore giudiziario;

·        le schede valutative fossero compilate al termine della sessione dai singoli docenti per ciascun uditore e tali schede venissero poi trasmesse al comitato di gestione della sezione per il tirocinio per le conseguenti valutazioni.

Come si diceva, la sessione presso gli uffici giudiziari si articolava invece in tre periodi, l’uno di sette mesi presso i tribunali, che impegnava nella partecipazione all’attività giurisdizionale presso gli organi giudicanti di composizione collegiale [175], ivi compresa la partecipazione alle camere di consiglio; l’altro di tre mesi, presso le procure della Repubblica; l’altro ancora di otto mesi, che era svolto presso un ufficio corrispondente a quello di prima destinazione.

Il programma di tirocinio presso gli uffici giudiziari, svolto presso gli uffici del capoluogo del distretto di residenza dell’uditore, doveva essere approvato dal comitato di gestione, che poteva autorizzare, per gravi e motivate esigenze, lo svolgimento presso altra sede. Spettava al comitato di gestione l’individuazione dei magistrati affidatari, che all’esito avrebbero dovuto compilare le schede di valutazione per ciascun uditore e trasmetterle al comitato di gestione. Il giudizio di idoneità all’assunzione delle funzioni era formulato dal comitato di gestione sulla base delle schede di valutazione redatte dai docenti e dai magistrati affidatari e sulla base di ogni altro elemento rilevante a fini valutativi, raccolto durante le sessioni di tirocinio. I giudizi di idoneità avrebbero dovuto quindi essere inviati al C.S.M., che sulla loro base e tenuto conto di ogni altro elemento eventualmente acquisito avrebbe dovuto deliberare sull’idoneità all’assunzione delle funzioni. In caso di valutazione negativa, si prevedeva che l’uditore venisse ammesso ad un nuovo periodo di tirocinio della durata di un anno, di cui due mesi impiegati presso le sedi della Scuola ed il restante periodo in una sessione presso gli uffici giudiziari. Per l’ipotesi che si avesse una seconda valutazione negativa, il C.S.M. avrebbe dovuto disporre la cessazione del rapporto d’impiego [176].

Sull’articolazione del tirocinio la Commissione giustizia del Senato aveva rilevato in sede di parere, reso nella seduta del 1° dicembre 2005, che appariva assai poco funzionale la suddivisione netta in due distinti periodi, del periodo presso la Scuola superiore e del periodo da trascorrere presso gli uffici giudiziari. Aveva osservato che i sei mesi consecutivi presso la Scuola erano «assai difficili da sopportare, soprattutto per chi non risiede in loco» e che era infelice la formula didattica sostanzialmente riproduttiva di quella universitaria, articolata interamente secondo programmi di studio teorico [177].

Si era poi osservato, in sede di commento delle citate disposizioni [178], che, nel sistema di cui al d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione originale, l’uditore giudiziario era valutato per il periodo di tirocinio in cui non esercitava le funzioni, e dopo l’accesso alle funzioni era sottoposto ad una nuova valutazione da parte del C.S.M. (sempre che non volesse partecipare al concorso per il mutamento di funzioni nel triennio dall’assunzione delle funzioni giudiziarie), al settimo anno di ingresso in magistratura, previa frequentazione obbligatoria di un corso di aggiornamento e formazione presso la Scuola superiore. Per il caso di valutazione consiliare negativa il magistrato, che avrebbe dovuto possedere già alle sue spalle ben sette anni di esercizio di funzioni giudiziarie e quindi almeno nove anni di anzianità di ruolo a far data dall’ingresso in magistratura, sarebbe stato sottoposto a nuove valutazioni, per non più di due volte a distanza di almeno un biennio tra ogni valutazione. Ove le due valutazioni avessero dato esito negativo, il magistrato avrebbe dovuto essere dispensato dal servizio per inettitudine.

Il meccanismo di controllo della professionalità era, in buona sostanza, di minor rigore di quello precedente, dal momento che per la nomina a magistrato di tribunale, in precedenza, l’uditore giudiziario doveva avere svolto almeno un anno di effettive funzioni giudiziarie, e che l’esercizio effettivo delle funzioni era oggetto privilegiato del controllo valutativo del C.S.M., e ciò a poco più di due anni dall’ingresso in magistratura, con possibilità quindi di rimediare assai più celermente ad eventuali inettitudini professionali rivelatesi sul campo. Il d.lgs. n. 26 del 2006, invece, spostava in avanti il momento del primo controllo consiliare sulle concrete capacità professionali del magistrato, lasciando un periodo iniziale di esercizio delle funzioni giudiziarie, il più delicato e quello se si vuole di maggiore impatto, senza la previsione di momenti di verifica di professionalità. Si aveva così la dilatazione irragionevole di un necessario periodo di prova del magistrato appena assunto, che poteva durare ben undici anni nella sua estensione massima, con possibilità che il magistrato fosse dispensato per inettitudine a tredici anni dalla nomina ad uditore giudiziario [179].

A quanto sopra s’aggiunga ancora che, come rilevato dall’A.N.M. [180], e dal C.S.M. [181], la previsione di attribuire ai comitati di gestione il compito di individuare, presso ciascun ufficio giudiziario, i magistrati affidatari appariva contraria a qualsiasi criterio di razionalità e di efficienza sotto molteplici profili, quali:

·        la mancanza di organiche informazioni sulla vita professionale dei singoli magistrati, di cui è unico depositario legittimo il C.S.M.;

·        l’assenza di compiuta conoscenza, da parte di un organismo centrale al di fuori del circuito dell’autogoverno che si avvale dell’insostituibile ruolo dei Consigli giudiziari, della realtà dei singoli uffici giudiziari;

·        l’impossibilità di ovviare con tempestività alle eventuali modifiche del piano di tirocinio locale alla luce di sopravvenuti impedimenti di singoli affidatari;

·        l’esiguità del numero dei membri dei Comitati di gestione e la molteplicità dei compiti ad essi affidati.

Conclusivamente sul punto, non vi è dubbio che la normativa delegata, nella sua originaria formulazione, non sciogliesse i dubbi espressi dal C.S.M. circa la legittimità di una post-selezione rispetto a chi aveva superato un concorso sulla base di prove scritte ed anonime valutate da commissioni interamente nominate dal Consiglio superiore, atteso che questa post-selezione si fondava sul risultato di corsi non certo caratterizzati dalle stesse garanzie del concorso per l’ammissione in magistratura. A prescindere dunque dalla correttezza personale dei singoli docenti, era il sistema di garanzie istituzionali creato dal Costituente a venir meno, con grave rischio che l’indipendenza dei magistrati non fosse più protetta da condizionamenti, anche culturali, provenienti da soggetti non inquadrati nel sistema previsto dalla nostra Carta fondamentale.

 

 

27.  La formazione iniziale dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

 

La l. 30 luglio 2007, n. 111 dispone, innanzi tutto, che la rubrica del titolo II del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 sia sostituita dalla seguente: «Disposizioni sui magistrati ordinari in tirocinio». La novella elimina dal panorama legislativo italiano il termine «uditore giudiziario» [182],  sostituito dall’espressione «magistrato ordinario in tirocinio», quasi a voler rimarcare la (peraltro indiscussa) appartenenza di tali soggetti alla magistratura, forse nell’intento di contribuire in tal modo a sottrarre la posizione di questi soggetti a possibili manovre, eventualmente volte a privarli delle garanzie che competono agli appartenenti all’ordine giudiziario. Dal punto di vista terminologico vi è da notare che la legge non usa, in relazione ai magistrati di carriera, l’espressione «formazione iniziale», impiegato solo relativamente alla formazione della magistratura onoraria. D’altro canto, non essendovi dubbio che la formazione iniziale ricade nel più ampio concetto di «formazione», cui fa richiamo l’art. 2, lett. a) e b) del citato d.lgs., la Scuola debba ritenersi investita di siffatta competenza. Peraltro andrà subito aggiunto che precisi limiti, in questo settore, paiono posti dal fatto che la successiva lett. o) del menzionato art. 2 restringe l’attività della Scuola alla semplice «collaborazione alle attività connesse con lo svolgimento del tirocinio dei magistrati ordinari nell’ambito delle direttive formulate dal Consiglio superiore della magistratura e tenendo conto delle proposte dei consigli giudiziari». Può dunque dirsi che la formazione iniziale dei magistrati ordinari costituisce, nel disegno riformatore, il frutto di un’opera sinergetica del C.S.M. e della Scuola, come del resto verrà illustrato tra breve.

La durata del tirocinio dei magistrati ordinari nominati a seguito di concorso per esame, di cui all’articolo 1, comma primo, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e successive modificazioni, viene ridotta da ventiquattro (secondo quanto stabilito dall’originaria versione dell’art. 18 d.lgs. cit.)  a diciotto mesi e dunque riportata alla durata stabilita dalla legislazione in vigore prima della riforma del 2006 [183]. Si tratta di una soluzione sicuramente criticabile [184], specie alla luce delle esperienze straniere [185], in relazione alle quali deve rilevarsi che il periodo di tirocinio – pur senza spingersi agli «eccessi» di determinate legislazioni (si pensi al caso olandese, in cui la formazione iniziale degli uditori neolaureati dura sei anni!) – non è mediamente inferiore ai due anni.

La norma prevede poi che il tirocinio si articoli in sessioni, una delle quali della durata di sei mesi, anche non consecutivi, effettuata presso la Scuola ed una della durata di dodici mesi, anche non consecutivi, effettuata presso gli uffici giudiziari. Le modalità di svolgimento delle sessioni del tirocinio sono definite con delibera del Consiglio superiore della magistratura.   

Per quanto attiene alla sessione effettuata presso le sedi della Scuola, dispone l’attuale art. 20 d.lgs. cit. che i magistrati ordinari in tirocinio frequentino corsi di approfondimento teorico-pratico su materie individuate dal Consiglio superiore della magistratura con le delibere di cui al comma 1 dell’articolo 18, nonché su ulteriori materie individuate dal comitato direttivo nel programma annuale. La sessione presso la Scuola deve in ogni caso tendere al perfezionamento delle capacità operative e professionali, nonché della deontologia del magistrato ordinario in tirocinio. I corsi, come già ricordato, «sono tenuti da docenti di elevata competenza e professionalità, nominati dal comitato direttivo al fine di garantire un ampio pluralismo culturale e scientifico». Tra i docenti sono designati i tutori che assicurano anche l’assistenza didattica ai magistrati ordinari in tirocinio. Al termine delle sessioni presso la Scuola il comitato direttivo trasmette al Consiglio superiore della magistratura una relazione concernente ciascun magistrato. Sebbene non vi siano disposizioni al riguardo, non sembra dubbio che anche alla formazione iniziale presso la Scuola debba trovare applicazione quanto disposto, in tema di formazione continua, dall’art. 24 d.lgs. cit., a mente del quale i docenti vanno «individuati nell’albo esistente presso la Scuola». Parimenti dovrà ritenersi applicabile la regola (su cui pure si tornerà in seguito), a mente della quale «Lo statuto determina il numero massimo degli incarichi conferibili ai docenti anche tenuto conto della loro complessità e onerosità».

Venendo a trattare della sessione presso gli uffici giudiziari, va osservato che questa (cfr. l’art. 21 d.lgs. cit.) si articola in tre periodi:  il  primo,  della durata di quattro mesi, è svolto presso  i  tribunali  e  consiste  nella partecipazione all’attività giurisdizionale  relativa  alle  controversie  o  ai reati rientranti nella  competenza  del tribunale in composizione collegiale e monocratica, compresa la  partecipazione  alla  camera  di  consiglio,  in  maniera che sia garantita al magistrato ordinario in tirocinio la formazione di una equilibrata esperienza nei diversi  settori;  il  secondo  periodo, della durata di due mesi, è svolto  presso  le  procure  della  Repubblica presso i tribunali; il terzo periodo, della durata di sei mesi, è svolto presso un ufficio corrispondente a quello di prima destinazione del magistrato ordinario in tirocinio.

  Il comitato direttivo approva per ciascun magistrato ordinario in tirocinio il programma di  tirocinio da svolgersi presso gli uffici giudiziari del capoluogo del distretto di residenza del magistrato ordinario in tirocinio, salva diversa autorizzazione dello  stesso  comitato direttivo per gravi e motivate esigenze; il programma  garantisce  all’uditore un’adeguata formazione nei settori civile, penale e dell’ordinamento giudiziario e una specifica preparazione nelle funzioni che sarà chiamato a svolgere nella sede di prima destinazione. Su questa disposizione specifica il C.S.M., nel più volte ricordato parere formulato il 31 maggio 2007 [186], ha espresso una valutazione negativa, rilevando che «contrariamente al regime vigente, la competenza relativa all’approvazione del programma di tirocinio del magistrato trasmigra dal Consiglio al comitato direttivo della scuola, mentre la designazione dei magistrati affidatari rimane prerogativa del Consiglio. Si ritiene che sarebbe più coerente il mantenimento in capo all’organo di autogoverno del potere di programmazione delle attività insieme a quello della designazione dei magistrati affidatari in quanto trattasi di profili complementari che la previsione normativa disgiunge senza ragione». I magistrati affidatari presso i quali i magistrati in tirocinio svolgono i prescritti periodi di stage sono – come si è appena visto – designati dal Consiglio superiore della magistratura, su proposta del competente consiglio giudiziario. Al  termine  della  sessione,  i  singoli magistrati affidatari compilano,  per ciascun magistrato in tirocinio loro assegnato, una scheda valutativa, che trasmettono al comitato direttivo ed al Consiglio superiore.

L’art. 22 d.lgs. cit. stabilisce poi la procedura per il riconoscimento dell’idoneità al conferimento delle funzioni giudiziarie, prevedendo che al termine del tirocinio siano trasmesse al C.S.M. le relazioni redatte all’esito delle sessioni unitamente ad una relazione di sintesi predisposta dal comitato direttivo della Scuola. A questo punto spetta al C.S.M. operare il giudizio di idoneità, «tenendo conto» dei seguenti elementi:

·        la relazione redatta dal comitato direttivo all’esito delle sessioni presso la Scuola,

·        le relazioni redatte dai singoli magistrati affidatari,

·        la relazione di sintesi predisposta dal comitato direttivo,

·        il parere del consiglio giudiziario,

·        ogni altro elemento rilevante ed oggettivamente verificabile eventualmente acquisito.

Il giudizio di idoneità, se positivo, contiene uno specifico riferimento all’attitudine del magistrato allo svolgimento delle funzioni giudicanti o requirenti. 

In caso di deliberazione finale negativa (cfr. art. 22, comma quarto, d.lgs. cit.), il Consiglio superiore della  magistratura  comunica  la  propria  decisione  al comitato direttivo. Il magistrato ordinario in tirocinio valutato negativamente è in tal caso ammesso ad un nuovo periodo di  tirocinio  della  durata  di un anno, consistente in una sessione presso  le  sedi della Scuola della durata di due mesi, che si svolge con  le modalità previste dall’articolo 20, e in una sessione presso gli  uffici  giudiziari [187].  Al  termine  di questo ulteriore  periodo  di  tirocinio  ed all’esito  del  procedimento  rinnovato secondo le procedure descritte per la prima valutazione, il Consiglio superiore   della   magistratura   delibera  nuovamente;  la  seconda deliberazione  negativa  determina  la  cessazione  del  rapporto  di impiego del magistrato ordinario in tirocinio.

Il giudizio complessivo sulle novità introdotte dalla l. 30 luglio 2007, n. 111 rispetto al sistema disegnato dal d.lgs. n. 6 del 2006, nella sua originaria formulazione, non può essere che positivo. A parte l’eliminazione di alcune incomprensibili assurdità (si pensi, ad es., alla limitazione del tirocinio negli uffici giudiziari giudicanti al solo «tribunale in composizione collegiale»), si è varato un complesso di regole rispettoso delle prerogative consiliari (cfr. art. 105 Cost.) in materia di selezione e reclutamento dei magistrati, istituendosi una procedura complessa cui concorre certamente, e in misura determinante, la Scuola, ma nella quale all’organo di autogoverno sono riservate le seguenti, determinanti, funzioni:

1)                               definire le modalità di svolgimento delle sessioni del tirocinio;

2)                               individuare (almeno in parte) le materie dei corsi di approfondimento teorico-pratico;

3)                               ricevere la relazione predisposta su ciascun magistrato in tirocinio dal comitato direttivo al termine delle sessioni presso la Scuola;

4)                               designare, su proposta del competente consiglio giudiziario, i magistrati affidatari presso i quali i magistrati ordinari svolgono i prescritti periodi di tirocinio;

5)                               ricevere dai magistrati affidatari le schede valutative su ciascun magistrato ordinario in tirocinio (schede che vanno trasmesse anche al comitato direttivo [188]);

6)                               ricevere, al termine del tirocinio, le relazioni redatte all’esito delle sessioni unitamente ad una relazione di sintesi predisposta dal comitato direttivo della Scuola;

7)                               operare il giudizio di idoneità al conferimento delle funzioni giudiziarie, tenendo conto delle relazioni redatte all’esito delle sessioni trasmesse dal comitato direttivo, della relazione di sintesi dal medesimo predisposta, del parere del consiglio giudiziario e di ogni altro elemento rilevante ed oggettivamente verificabile eventualmente acquisito (da notare che il giudizio di idoneità, se positivo, contiene uno specifico riferimento all’attitudine del magistrato allo svolgimento delle funzioni giudicanti o requirenti);

8)                               in caso di deliberazione finale negativa, comunicare la  propria  decisione  al comitato direttivo;

9)                               deliberare nuovamente sui magistrati in tirocinio su cui sia stata emessa una prima deliberazione finale negativa, all’esito del periodo  di  tirocinio supplementare.

Un profilo negativo è costituito dall’assenza, nel sistema di formazione iniziale, così come delinato dalle norme in commento, della figura dei magistrati collaboratori, che nella concreta esperienza, si sono rivelati di fondamentale importanza per assicurare agli uditori un costante punto di riferimento in merito ad ogni necessità del tirocinio, per stimolare il loro apporto propositivo, per garantire le necessarie forme di coordinamento anche dell’opera dei singoli affidatari, per favorire la circolarità delle esperienze sulla base di un metodo formativo ispirato alla massima dialettica e al pluralismo dei valori e delle idee, per acquisire ogni utile fonte di conoscenza sulla base della quale formulare attendibili giudizi di idoneità al conferimento delle funzioni giudiziarie.

L’omissione non sembra però irrimediabile: invero, l’art. 20, terzo comma, d.lgs. cit., prevede che «Tra i docenti sono designati i tutori che assicurano anche l’assistenza didattica ai magistrati ordinari in tirocinio». Ora, se è vero che la disposizione appare testualmente riferita al solo periodo di permanenza presso la Scuola, nulla impedisce di estenderla anche alla fase di tirocinio presso gli uffici giudiziari, posto che le esigenze di apprendimento e di coordinamento dei vari momenti formativi si pongono in misura eguale in entrambe le fasi del tirocinio (ed anzi, forse, a maggior ragione durante lo stage presso gli uffici giudiziari, maggiormente caratterizzato dal rischio di frammentarietà).

 

 

28. La formazione continua nel sistema del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, prima della riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

 

        Alla formazione continua, riduttivamente confusa con la semplice attività di «aggiornamento professionale» [189], il d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione originale, dedicava gli artt. da 23 a 36, stabilendo che al comitato di gestione deputato ai corsi di formazione continua, sia di mero aggiornamento che di formazione per le promozioni, l’assunzione di incarichi direttivi ed i passaggi da una funzione all’altra, spettasse il potere di valutare il rendimento formativo dei magistrati partecipanti.

L’art. 26 d.lgs. cit., ora abrogato, specificamente rivolto ai corsi di formazione e di aggiornamento professionale cui i magistrati avevano l’obbligo di prendere parte ogni cinque anni, prevedeva che, al termine del corso, il comitato di gestione formulasse una sintetica valutazione finale sul livello di preparazione del magistrato e sugli specifici elementi attitudinali allo svolgimento delle funzioni sulla base dei pareri espressi da docenti in merito ai risultati delle prove sostenute dai partecipanti ed in base alla diligenza dimostrata nella frequenza del corso. Se ne deduceva che i corsi avrebbero dovuto essere strutturati con la previsione di momenti di verifica del rendimento, almeno finali, per dare modo ai docenti e al comitato di gestione di operare le valutazioni, destinate ad essere inserite nel fascicolo personale del magistrato in modo che il C.S.M. ne tenesse contro ai fini delle determinazioni in cui poteva entrare in gioco un giudizio sulla professionalità [190].

Questo modulo valutativo era poi osservato per lo svolgimento dei corsi che i magistrati avrebbero dovuto frequentare al settimo anno dall’ingresso in magistratura, se non avessero preso parte al concorso per il passaggio da una funzione all’altra a tre anni dalla nomina. Le valutazioni del comitato di gestione avrebbero così costituito uno degli elementi che il C.S.M. avrebbe dovuto prendere in esame per il giudizio di idoneità all’esercizio definitivo delle funzioni giudiziarie [191]. Anche nel corso della carriera, ove il magistrato non avesse preso parte ai concorsi per le funzioni di secondo grado o di legittimità, si sarebbe dovuto reiterare il meccanismo valutativo del comitato di gestione come esito dell’obbligatoria partecipazione ai corsi di formazione e di aggiornamento, funzionali alle valutazioni di professionalità del C.S.M. al compimento del tredicesimo, ventesimo e ventottesimo anno dall’ingresso in magistratura.

Per quanto concerne i corsi di formazione diretti invece al conseguimento delle promozioni ed all’assunzione di incarichi direttivi, l’art. 28, comma sesto, d.lgs. cit., ora abrogato, prescriveva che «al termine dei corsi ogni docente esprime un parere su ciascuno dei partecipanti che tenga conto del livello di professionalità manifestato dal magistrato», senza peraltro far menzione di prove sostenute dai partecipanti, come invece accadeva all’art. 26, che faceva riferimento ai corsi di formazione e di aggiornamento professionale. Si è rilevato al riguardo [192] che l’art. 30 d.lgs. cit., oggi abrogato, dalla rubrica «valutazione della Scuola» (inserito nella sezione I, intitolata alla «prima valutazione», del Capo IV, relativo alle «valutazioni periodiche dei magistrati»), introduceva a tal proposito qualche elemento di incertezza perché, con riferimento generico «al termine di ciascun corso», prescriveva che il comitato di gestione formulasse una sintetica valutazione finale «sulla base dei pareri espressi dai docenti ai sensi dell’art. 28, comma 3, dei risultati delle prove sostenute dai partecipanti». Sembrava così doversene dedurre che anche i corsi funzionali alle promozioni, all’assunzione di incarichi direttivi ed al passaggio da una funzione all’altra, appunto disciplinati all’art. 38, oggi abrogato, si caratterizzassero per lo svolgimento di prove e quindi di formalizzati momenti di verifica sul risultato formativo.

Si era pure osservato che l’inserimento delle valutazioni del comitato di gestione nel fascicolo personale del magistrato avrebbe reso queste ultime utilizzabili da parte del C.S.M., il quale non avrebbe però potuto astenersi dal sollecitare, prima della decisione finale, l’intervento del magistrato interessato per lo svolgimento di eventuali osservazioni e deduzioni critiche sulle valutazioni stesse, in ossequio al principio generale che vuole che ogni elemento di valutazione sia utilizzabile previo il contraddittorio partecipativo con il magistrato destinatario del provvedimento finale [193].

 

 

29. La formazione continua dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111. Spunti in tema di formazione decentrata.

 

Come già anticipato, la l. 30 luglio 2007, n. 111 ha correttamente sgombrato il campo dal sopra descritto sistema di valutazioni, inutilmente macchinoso e praticamente ingestibile [194]. La frequenza ai corsi di formazione continua (o permanente) – sebbene, come si vedrà, in una certa misura obbligatoria – non comporta più alcuna forma di valutazione dei partecipanti, mentre l’unico punto di incontro tra valutazione e formazione continua è rappresentato dall’art. 11 del d.lgs. n. 160 del 2006, così come sostituito dall’art. 2, comma secondo, della l. 30 luglio 2007, n. 111, secondo cui, nell’ambito delle valutazioni quadriennali di professionalità, il C.S.M. dovrà tenere conto, nella valutazione dell’impegno, tra altri elementi (quali la disponibilità per sostituzioni di magistrati assenti e la collaborazione alla soluzione dei problemi di tipo organizzativo e giuridico), anche della «frequenza di corsi di aggiornamento organizzati dalla Scuola superiore della magistratura» [195]. In tema di formazione continua (o permanente) dispongono dunque oggi i soli artt. 23, 24 e 25 del d.lgs. cit., il cui contenuto è stato quasi interamente riformulato dalla novella del 2007.

Così, ai sensi dell’art. 23, il comitato direttivo deve annualmente approvare il «piano dei corsi»:

1)                                              relativi alla formazione e dell’aggiornamento professionale;

2)                                              per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa e

3)                                              per lo svolgimento delle funzioni direttive.

Tale approvazione deve avvenire «nell’ambito dei programmi didattici deliberati, tenendo conto della diversità delle funzioni svolte dai magistrati». La disposizione sembra presupporre che «piano dei corsi» e «programmi didattici deliberati» siano due cose distinte. Peraltro il comma secondo del successivo art. 24 stabilisce che «I  corsi  sono  teorici  e  pratici,  secondo il programma e le modalità previste dal piano approvato dal comitato direttivo»: da tale disposizione è dunque dato arguire che il «programma» (da intendersi come «programmazione») altro non è se non un effetto del «piano» predisposto dal comitato direttivo, come del resto confermato dall’art. 5 d.lgs. cit., espressamente richiamato dall’art. 23, che affida al comitato il compito di «adotta(re) e modifica(re), tenuto conto delle linee programmatiche proposte annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, il programma annuale dell’attività didattica». «Piano dei corsi» e «programma» sono dunque due espressioni che, nel contesto del d.lgs. in esame, assumono il medesimo significato, con il risultato che la disposizione (art. 23 d.lgs. cit.), secondo cui il comitato direttivo approva annualmente il «piano dei relativi corsi nell’ambito dei programmi didattici deliberati», contiene un’endiadi di valore meramente tautologico.

Da notare, poi, che siffatta attività presuppone la già ricordata elaborazione, da parte dei responsabili di settore, «della bozza di programma annuale delle attività didattiche, da sottoporre al comitato direttivo, elaborata tenendo conto delle linee programmatiche sulla formazione pervenute dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, nonché delle proposte pervenute dal Consiglio nazionale forense e dal Consiglio universitario nazionale» (cfr. art. 12 d.lgs. cit., nella sua versione attuale).

Dispone quindi l’art. 24 cit. che «i corsi  di  formazione  e  di  aggiornamento professionale si svolgono  presso le sedi della Scuola e consistono nella frequenza di sessioni  di  studio  tenute  da  docenti  di  elevata  competenza  e professionalità, individuati nell’albo esistente presso la Scuola. Lo statuto determina il numero massimo degli incarichi conferibili ai docenti anche tenuto conto della loro complessità e onerosità». Come già ricordato, l’albo è aggiornato annualmente dal comitato direttivo in base alle nuove disponibilità fatte pervenire alla Scuola e alla valutazione assegnata a ciascun docente tenuto conto anche del giudizio contenuto nelle schede compilate dai partecipanti al corso.

I  corsi  sono  teorici  e  pratici, secondo il programma e le modalità previste dal piano approvato dal comitato direttivo. Ai sensi del comma 2-bis, aggiunto dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, il comitato direttivo e i responsabili di settore, secondo le rispettive competenze, usufruiscono delle strutture per la formazione decentrata eventualmente esistenti presso i vari distretti di corte d’appello per la realizzazione dell’attività di formazione decentrata e per la definizione dei relativi programmi.

L’art. 25, d.lgs. cit. impone l’obbligo, a tutti i magistrati in servizio, di «partecipare almeno una volta ogni quattro anni ad uno dei corsi di cui all’articolo 24, individuato dal consiglio direttivo in relazione alle esigenze professionali, di preparazione giuridica e di aggiornamento di ciascun magistrato e tenuto conto delle richieste dell’interessato». Per le modalità di partecipazione ai corsi la norma rinvia «al regolamento adottato dalla Scuola». Opportunamente, poi, il terzo comma dell’art. cit., dispone che il periodo di partecipazione all’attività di formazione indicata nel comma secondo è considerato attività di servizio a tutti gli effetti. Sul punto potrà notarsi che, quasi per «compensare» lo smantellamento del macchinoso sistema di valutazioni di cui alla originaria versione del d.lgs. n. 26 del 2006, la l. 30 luglio 2007, n. 111, è venuta ad introdurre una più intensa attività di formazione continua obbligatoria, predendosi ora, per l’appunto, l’obbligo di partecipare almeno una volta ogni quattro anni – anziché, come prima, ogni cinque – ad uno dei corsi in oggetto.

Infine, il quarto comma dell’art. 25 cit. prevede un’ipotesi di formazione complementare obbligatoria, rivolta ai «giovani magistrati», stabilendo che «Nei primi quattro anni successivi all’assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati devono partecipare almeno una volta l’anno a sessioni di formazione professionale». La disposizione può ritenersi opportuna e ha corrispondenti nelle disposizioni di altri Paesi (si pensi, ad esempio, al già riportato caso del Portogallo [196]).

Il richiamo, di cui al citato art. 24 cit., alla formazione decentrata, che costituisce ormai da anni un imprescindibile punto di riferimento del sistema di formazione professionale dei magistrati (e non solo di essi, visto il successo che le relative iniziative riscuotono anche presso il mondo accademico e forense), appare quanto mai opportuno e viene a colmare una lacuna del d.lgs. segnalata da più parti. La formulazione della disposizione – secondo cui il comitato direttivo e i responsabili di settore, secondo le rispettive competenze, «usufruiscono delle strutture per la formazione decentrata eventualmente esistenti presso i vari distretti di corte d’appello» per la realizzazione dell’attività di formazione decentrata e per la definizione dei relativi programmi – lascia intendere che non è intenzione del legislatore smantellare la rete consiliare di formazione decentrata oggi esistente, sostituendola con una rete della Scuola.

Il risultato, desumibile, per l’appunto, dall’impiego dell’espressione «usufruiscono delle strutture per la formazione decentrata eventualmente esistenti presso i vari distretti di corte d’appello», sembrerebbe, a tutta prima, porsi in contraddizione con il disposto dell’art. 2, comma primo, lett. f), a mente del quale «la Scuola è preposta (…)  f) alle attività di formazione decentrata». La precipua attribuzione delle funzioni in questo settore ben potrebbe indurre a ritenere che la Scuola sarebbe autorizzata a porre in essere una sua struttura ad hoc e dunque una sua rete di formatori in sede locale. A tale conclusione potrebbe indurre anche la considerazione del fatto che, nell’originaria versione del d.d.l. governativo n. 1447/S/XV, si proponeva per la citata lett. f) la formulazione seguente: «la Scuola è preposta (…)  f) alla partecipazione alle attività di formazione decentrata». La Commissione giustizia del Senato ha invece espunto le parole «alla partecipazione», ricollegando dunque la preposizione della Scuola tout court «alle attività di formazione decentrata».

Peraltro, con uno sforzo ermeneutico non esente da una certa dose di buona volontà, si può pervenire al risultato di intendere siffatta «preposizione alle attività di formazione decentrata» come relativa, per l’appunto, alle sole «attività» e non alla struttura: del resto, proprio in termini di preposizione «alle attività di formazione decentrata» e non, tout court, «alla formazione decentrata», si esprime il legislatore. Ne consegue che la predetta «preposizione» andrà riferita alla sola determinazione di modalità di utilizzo (oltre che, ovviamente, all’utilizzo in concreto) della rete di formatori predisposta dal C.S.M.: una rete che dovrebbe, quindi, continuare ad essere costituita e organizzata nei suoi profili strutturali dall’organo di autogoverno (che in tal modo riceverebbe, tra l’altro, per tale attività di organizzazione della struttura, un preciso, sebbene indiretto, riconoscimento legislativo, rilevante sul piano ordinamentale).

Anche su questo punto è già intervenuto il C.S.M., nel ricordato parere emesso in data 31 maggio 2007 [197], in cui l’organo di autogoverno ha rimarcato che la mancata previsione di una disciplina apposita per la formazione decentrata fa concludere per il mantenimento di quest’ultima «in capo al C.S.M., nel tessuto articolato dell’autogoverno, salva la collaborazione di cui all’art. 2 lett. f)». Il Consiglio ha peraltro esattamente soggiunto che «tale rapporto andrebbe meglio chiarito, anche in relazione alle previsioni di cui all’art. 24 comma 2-bis, che stabilisce che il comitato direttivo e i responsabili di settore usufruiscono delle strutture della formazione decentrata per la realizzazione delle attività e per la definizione dei relativi programmi. La dizione adottata, per la genericità della previsione, conferma anche la permanenza in capo al Consiglio delle competenze in materia di formazione decentrata della magistratura onoraria attualmente svolta in sede distrettuale da parte delle commissioni miste istituite con delibera consiliare in data 8 aprile 2004. Il Consiglio in sede normativa secondaria potrebbe garantire l’introduzione di una disciplina volta a regolamentare la collaborazione con la Scuola in questo settore».   

 

 

30. Conclusioni. La Scuola italiana di fronte ai principi internazionali sulla formazione dei magistrati ed agli altri istituti di formazione giudiziaria europei. Il permanere di una competenza del C.S.M. nel campo della formazione dei magistrati.

 

Si è già avuto modo di dire che, con l’approvazione della l. 30 luglio 2007, n. 111, la nuova disciplina sulla Scuola della magistratura italiana è venuta fortunatamente a liberarsi di quegli elementi che più la rendevano non solo in (forte) odore di contrasto con la Carta fondamentale, ma anche del tutto «disassata» rispetto ai principi internazionali sulla formazione dei magistrati, nonché all’esperienza degli altri istituti di formazione giudiziaria europei. Sul punto sarà, infatti, il caso di ricordare che l’idea di istituire un collegamento tra formazione (continua) e valutazione dei magistrati ha ricevuto le censure più nette da parte del Consiglio consultivo dei giudici del Consiglio d’Europa [198], cui vanno aggiunte le conclusioni della Rete di Lisbona, organo del medesimo Consiglio d’Europa, all’esito dell’assemblea del 18-19 novembre 2003 a Bucarest, dove si è discusso della valutazione delle prestazioni dei partecipanti ai corsi di formazione. In quella sede si è affermato infatti che «da una parte, si ritiene che la formazione possa essere veramente fruttuosa solo se la stessa non è influenzata da considerazioni di carriera; d’altra parte, si è ritenuto possibile immaginare che l’aver ricevuto una formazione specifica potrebbe essere utile al momento della nomina a determinate funzioni specializzate (come giudice di famiglia o minorile). Oltre a ciò, la sola soluzione possibile per attribuire peso alla formazione, potrebbe essere quella che il fatto della partecipazione, in sé oggettivamente considerato, possa essere preso in considerazione ai fini di una valutazione di professionalità» [199].

Al di là di queste considerazioni, sono ben noti gli accenti critici con cui il d.lgs. in esame, nella sua versione originale, era stato accolto dal C.S.M. Nella Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia per l’anno 2003 l’organo di autogoverno aveva chiaramente affermato che le finalità della formazione non possono che essere solamente quelle della crescita culturale e professionale dei magistrati, perché proprio la sua strutturazione come autoformazione «comporta (...) la necessità di liberarla da condizionamenti esterni di qualsiasi genere, che necessariamente nascerebbero nel momento in cui chi vi ha partecipato si trovasse soggetto a momenti valutativi». A giudizio del C.S.M., l’attribuzione di poteri valutativi agli incaricati della formazione era fattore di alterazione della genuinità sia dell’offerta che della partecipazione, «perché gli uni, i formatori, sono più preoccupati di giudicare, e gli altri, i formandi, sono assai più interessati all’obiettivo di immediato riscontro, che si sostanzia appunto nella valutazione, per le loro aspettative di carriera. Si perde così di vista che la formazione rettamente intesa non può che avere obiettivi di medio-lungo periodo, perché i suoi benefici effetti non possono che apprezzarsi a distanza di tempo attraverso la maturazione di una coscienza del ruolo che ne costituisce il profilo di maggiore importanza in un sistema che voglia affidarsi non già ai desueti modelli gerarchici ma all’innalzamento dei livelli di professionalità per il mantenimento in ciascun magistrato di una forte necessaria tensione deontologica, come argine molto più efficace contro le degenerazioni dei comportamenti» [200].

Per quanto attiene, poi, alla composizione del comitato direttivo della Scuola, non vi è dubbio che il principio fissato dal Consiglio consultivo dei giudici del Consiglio d’Europa secondo cui «Le pouvoir judiciaire devrait jouer un rôle majeur ou être lui-même chargé d’organiser et de contrôler la formation» [201] non appariva certo rispettato dalla versione originale del d.lgs. n. 26 del 2006; lo stesso poteva dirsi dell’altro principio dettato dallo stesso organo, secondo il quale «Pour soustraire l’établissement aux influences extérieures inappropriées, le CCJE recommande que le personnel de direction et les formateurs de cet établissement soient nommés par le pouvoir judiciaire ou un autre organe indépendant chargé d’organiser et de contrôler la formation» [202]. Per non dire poi del fatto che, come già ricordato [203], la Carta europea sullo statuto dei giudici, approvata dal Consiglio d’Europa nel 1998, prevede, tra l’altro, che sia un organo «indipendente dal potere esecutivo e da quello legislativo, in seno al quale siedano almeno per la metà giudici eletti da loro pari, secondo modalità che ne garantiscano la rappresentanza più ampia» a vigilare «all’adeguamento dei programmi di formazione e delle strutture che li mettono in pratica alle esigenze di apertura, competenza e imparzialità connesse all’esercizio delle funzioni giudiziarie» (artt. 2.3 e 2.1), laddove la scelta di due soli membri (su sette) del consiglio direttivo da parte del C.S.M., oltre tutto su di una platea del tutto ingiustificatamente limitata, veniva a violare nella maniera più sfacciata una regola che è ormai avvertita a livello europeo come indispensabile presidio dell’autonomia e dell’indipendenza della funzione formativa del potere giudiziario.

Ciò detto, il sistema di nomina dei componenti del comitato direttivo, così come disegnato dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, appare certamente più in linea con i parametri sopra posti in luce, anche se le penetranti competenze attribuite al Ministro della giustizia inducono a sollevare ancora qualche perplessità, avuto riguardo, in modo particolare al fatto che, come già ricordato, a quest’ultimo è riservato il potere di nomina di ben cinque membri su dodici.

Ancora, nonostante l’eliminazione del macchinoso sistema valutativo collegato alla formazione continua, la perdurante obbligatorietà della frequenza, ogni quattro anni, ai corsi «di formazione e di aggiornamento professionale» di cui all’art. 24 d.lgs. cit. si pone in netto contrasto con il già ricordato [204] parere del Consiglio consultivo dei giudici del Consiglio d’Europa (oltre che – sia consentito dirlo – con ogni regola di buon senso [205]), sebbene occorra ammettere che proprio nella fissazione di un obbligo non solo etico, ma anche giuridicamente vincolante, di formazione sembra essere la soluzione anche in altri Paesi additata a problemi e a disfunzioni le cui cause andrebbero cercate altrove che non in un supposto difetto di professionalità addebitabile ai giudici. Evidente il caso francese, ove, come già ricordato [206], una legge del 2007 è venuta, sull’onda dell’ «affaire d’Outreau», ad imporre ai magistrati un’ «obligation de formation continue». Eppure, andrà ribadito che, secondo il Consiglio consultivo, la formazione continua potrebbe avere carattere obbligatorio solo in relazione a circostanze eccezionali, da identificarsi per lo più con il tramutamento di funzioni [207], ciò che del resto continua a rispondere alla realtà della maggior parte dei Paesi europei [208].

Infine, come già accennato, l’istituzione di tre distinte sedi della Scuola viene, contro ogni logica, a contrastare con l’esperienza degli altri principali Paesi europei. E ciò, in particolare, se, contrariamente a quanto sopra suggerito [209], dovesse essere intesa come riferita alla necessità di replicare il medesimo tipo di formazione in tre sedi distinte, «competenti» per aree geografiche distinte (rispettivamente, per l’Italia settentrionale, centrale e meridionale), anziché per distinti settori di formazione (iniziale, continua, magistrati onorari, ecc.). Sul punto sarà il caso di precisare che la divisione dell’ENM in due antennes, una situata a Bordeaux e l’altra a Parigi, non risponde certo alla scelta di «regionalizzare» la formazione (magari riproponendo l’ormai superata contrapposizione tra pays de droit écrit e pays de droit coutumier…), bensì a quella, ben diversa e assai più ragionevole, di tenere distinte formazione iniziale e continua (e lo stesso discorso vale per la Spagna), mentre la presenza di due sedi distinte della Rechtsakademie si spiega con il retaggio storico della divisione della Germania, oltre che con l’estensione territoriale e il numero di magistrati della Repubblica Federale Tedesca (circa 25.000 tra giudici e pubblici ministeri).

Naturalmente, la critica verso la preconizzata predisposizione di tre distinte sedi per la Scuola italiana non deve intaccare l’apprezzamento per la (ben diversa) soluzione della formazione decentrata, secondo la fruttuosa esperienza italiana (e francese) di questi anni. Proprio la presenza di una formazione centrale «nazionale» comporta la necessità di una formazione «integrativa» [210], a livello locale, secondo lo schema in precedenza sommariamente presentato [211]. L’infelice soluzione-«spezzatino» voluta dal d.lgs. per la Scuola superiore della magistratura viene a porsi in contrasto con il principio, riconosciuto dal Consiglio consultivo dei giudici del Consiglio d’Europa, della necessaria unitarietà della funzione formativa, al fine di «promouvoir une cohésion et une cohérence accrue dans l’ensemble de ce pouvoir». Ciò che, come si diceva, vale a vietare l’erezione di ogni sorta di compartimento stagno, sia in senso «orizzontale», che «verticale». E al riguardo, di fronte ad un testo che tende ad accentuare le spinte verticistiche e gerarchiche sempre in agguato nella magistratura, sarà opportuno ricordare ancora una volta come la formazione, secondo il più volte ricordato documento del CCJE, dovrebbe, tutto al contrario, contribuire, non certo a favorire, ma, tutto al contrario, «à briser les tendances hiérarchiques»!

Il felice superamento, da parte della l. 30 luglio 2007, n. 111, dell’ottica in cui si poneva il complessivo disegno dei decreti legislativi emanati nel 2006 in attuazione della l. n. 150 del 2005 (ottica nella quale la Scuola veniva utilizzata quale «strumento di contenimento del potere decisorio del C.S.M. in materia di carriera dei magistrati» [212]), pone con minore urgenza e gravità il problema della sussistenza di una residua competenza dell’organo di autogoverno nel settore della formazione professionale dei magistrati. L’interrogativo conserva peraltro un suo rilievo, se si pone mente ai più che legittimi dubbi sull’idoneità (se ci si passa l’espressione) «fisica» della nuova struttura a far fronte all’impressionante serie di competenze che la novella le attribuisce.

E’ noto che la prima versione del disegno di legge governativo che ha portato alla l. 30 luglio 2007, n. 111 [213] prevedeva la soppressione, all’articolo 1, comma secondo, del d.lgs. n. 26 del 2006, delle parole: «in via esclusiva». La proposta, salutata con favore dal C.S.M. nel più volte citato parere emesso il 31 maggio 2007 [214], è però caduta nel corso dei lavori del Senato. Ciò che peraltro non viene, ad avviso dello scrivente, a mutare i termini del problema.

Si è esattamente fatto notare in proposito che la legge delega del 2005 non faceva menzione di una competenza in via esclusiva in materia di aggiornamento e formazione della Scuola [215]. Lo stesso è a dirsi tanto per il d.lgs. n. 26 del 2006, che per la l. 30 luglio 2007, n. 111. Non vi è dubbio, quindi, che, ove tale esclusività dovesse desumersi dall’art. 1 cpv. del d.lgs. cit., rimasto in vigore, siffatta disposizione dovrebbe ritenersi incostituzionale per eccesso di delega [216]. Peraltro, a ben vedere, la norma citata si limita a disporre che «La Scuola ha competenza in via esclusiva in materia di aggiornamento e formazione dei magistrati». Il carattere esclusivo ben può dunque essere riferito non già ai soggetti erogatori, bensì a quelli destinatari della formazione, nel senso che la Scuola può solo fornire formazione ai magistrati e non ad altri operatori professionali (con le eccezioni, peraltro, ricavabili dall’art. 2 d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione attuale [217]); senza escludere che altri soggetti (in primis il C.S.M.) possano svolgere attività di formazione dei magistrati.

Del resto, il riconoscimento di una competenza in subiecta materia in capo al C.S.M. non solo non appare in contrasto con l’art. 105 Cost., ma si profila, anzi, quale naturale conseguenza della regola della Carta fondamentale, che vuole rimessa all’organo di governo autonomo ogni determinazione attinente alla «vita» professionale del magistrato: dal reclutamento al termine della carriera [218]. Già si sono enumerate le numerose competenze che la riforma espressamente rimette al C.S.M. in questo settore [219], competenze cui va aggiunto il già ricordato [220] settore della formazione decentrata, per quanto attiene alla predisposizione della relativa rete di formatori. A ben vedere, alla luce delle considerazioni sin qui svolte, non appare azzardato ipotizzare che il C.S.M. possa continuare ad utilizzare parte delle proprie energie organizzative e dei suoi fondi per fornire ai magistrati italiani iniziative formative di carattere complementare rispetto a quelle realizzate dalla Scuola. Appare del resto oltre modo opportuno che l’esperienza acquisita nel corso di interi decenni di attività, nel complesso sempre estremamente apprezzata dai magistrati italiani e stranieri, non vada dispersa.

 

Inizio del testo

Indice sommario

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APPENDICI

 

Appendice I

 

 

DECRETO LEGISLATIVO

30 gennaio 2006, n. 26

 

Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n. 150

 

(Pubblicato in Gazz. Uff., n. 28 del 3 febbraio 2006 – Suppl. Ordinario n. 26/L)

 

In vigore dal 4 maggio 2006

 

 

TESTO COORDINATO CON LA

 

 

LEGGE

30 luglio 2007, n. 111

 

Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario

 

(Pubblicata in Gazz. Uff., n. 175 del 30 luglio 2007 – Suppl. Ordinario n. 171)

 

In vigore dal 31 luglio 2007

 

Le disposizioni aggiunte o modificate vengono riportate

in corsivo

 

 

TITOLO I

ISTITUZIONE DELLA SCUOLA SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

 

CAPO I

FINALITÀ E FUNZIONI

 

Art. 1.

Scuola superiore della magistratura

 1. È istituita la Scuola superiore della magistratura, di seguito denominata: «Scuola».

 2. La Scuola ha competenza in via esclusiva in materia di aggiornamento e formazione dei magistrati.

 3. La Scuola è una struttura didattica autonoma, con personalità giuridica di diritto pubblico, piena capacità di diritto privato e autonomia organizzativa, funzionale e gestionale, negoziale e contabile, secondo le disposizioni del proprio statuto e dei regolamenti interni, nel rispetto delle norme di legge.

 4. Per il raggiungimento delle proprie finalità, la Scuola si avvale di personale, che alla data di entrata in vigore del presente decreto, risulti già nell’organico del Ministero della giustizia, ovvero comandato da altre amministrazioni, in numero complessivamente non superiore a cinquanta unità.

5. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono individuate tre sedi della Scuola, nonché quella delle tre in cui si riunisce il comitato direttivo preposto alle attività di direzione e di coordinamento delle sedi.

 

Art. 2.

Finalità

1. La Scuola è preposta:

 a) alla formazione e all’aggiornamento professionale dei magistrati ordinari;

 b) all’organizzazione di seminari di aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati e, nei casi previsti dalla lettera n), di altri operatori della giustizia;

 c) alla formazione iniziale e permanente della magistratura onoraria;

 d) alla formazione dei magistrati titolari di funzioni direttive e semidirettive negli uffici giudiziari;

 e) alla formazione dei magistrati incaricati di compiti di formazione;

 f) alle attività di formazione decentrata;

 g) alla formazione, su richiesta della competente autorità di Governo, di magistrati stranieri in Italia o partecipanti all’attività di formazione che si svolge nell’ambito della Rete di formazione giudiziaria europea ovvero nel quadro di progetti dell’Unione europea e di altri Stati o di istituzioni internazionali, ovvero all’attuazione di programmi del Ministero degli affari esteri e al coordinamento delle attività formative dirette ai magistrati italiani da parte di altri Stati o di istituzioni internazionali aventi ad oggetto l’organizzazione e il funzionamento del servizio giustizia;

 h) alla collaborazione, su richiesta della competente autorità di Governo, nelle attività dirette all’organizzazione e al funzionamento del servizio giustizia in altri Paesi;

 i) alla realizzazione di programmi di formazione in collaborazione con analoghe strutture di altri organi istituzionali o di ordini professionali;

 l) alla pubblicazione di ricerche e di studi nelle materie oggetto di attività di formazione;

 m) all’organizzazione di iniziative e scambi culturali, incontri di studio e ricerca, in relazione all’attività di formazione;

 n) allo svolgimento, anche sulla base di specifici accordi o convenzioni che disciplinano i relativi oneri, di seminari per operatori della giustizia o iscritti alle scuole di specializzazione forense;

 o) alla collaborazione alle attività connesse con lo svolgimento del tirocinio dei magistrati ordinari nell’ambito delle direttive formulate dal Consiglio superiore della magistratura e tenendo conto delle proposte dei consigli giudiziari.

 2. All’attività di ricerca non si applica l’articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382.

 3. L’organizzazione della Scuola è disciplinata dallo statuto e dai regolamenti adottati ai sensi dell’articolo 5, comma 2.

 

CAPO II

ORGANIZZAZIONE

Sezione I

STATUTO E ORGANI

 

Art. 3.

Statuto

1. La Scuola è retta da un proprio statuto, adottato dal comitato direttivo con il voto favorevole di almeno otto componenti.

 2. La Scuola adotta regolamenti di organizzazione interna, in conformità alle disposizioni dello statuto.

 

Art. 4.

Organi

1. Gli organi della Scuola sono:

 a) il comitato direttivo;

 b) il presidente;

 c) il segretario generale.

 

Sezione II

IL COMITATO DIRETTIVO

 

Art. 5.

Composizione e funzioni

1. Il comitato direttivo è composto da dodici membri.

 2. Il comitato direttivo adotta e modifica lo statuto e i regolamenti interni; cura la tenuta dell’albo dei docenti; adotta e modifica, tenuto conto delle linee programmatiche proposte annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, il programma annuale dell’attività didattica; approva la relazione annuale che trasmette al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura; nomina i docenti delle singole sessioni formative, determina i criteri di ammissione ai corsi dei partecipanti e procede alle relative ammissioni; conferisce ai responsabili di settore l’incarico di curare ambiti specifici di attività; nomina il segretario generale; vigila sul corretto andamento della Scuola; approva il bilancio di previsione e il bilancio consuntivo.

 

Art. 6.

Nomina

1. Fanno parte del comitato direttivo dodici componenti di cui sette scelti fra magistrati, anche in quiescenza, che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità, tre fra professori universitari, anche in quiescenza, e due fra avvocati che abbiano esercitato la professione per almeno dieci anni. Le nomine sono effettuate dal Consiglio superiore della magistratura, in ragione di sei magistrati e di un professore universitario, e dal Ministro della giustizia, in ragione di un magistrato, di due professori universitari e di due avvocati.

2. I magistrati ancora in servizio nominati nel comitato direttivo sono collocati fuori del ruolo organico della magistratura per tutta la durata dell’incarico.

3. I componenti del comitato direttivo sono nominati per un periodo di quattro anni; essi non possono essere immediatamente rinnovati e non possono fare parte delle commissioni di concorso per magistrato ordinario.

4. I componenti cessano dalla carica per dimissioni o per il venire meno dei requisiti previsti per la nomina.

 

Art. 7.

Funzionamento

1. Il comitato direttivo delibera a maggioranza con la presenza di almeno otto componenti. Per gli atti di straordinaria amministrazione è necessario il voto favorevole di sette componenti. In caso di parità prevale il voto del presidente. Il voto è sempre palese.

2. Il componente che si trova in conflitto di interesse in relazione a una specifica deliberazione ovvero se ricorrono motivi di opportunità, dichiara tale situazione al comitato e si astiene dal partecipare alla discussione e alla relativa deliberazione.

 

Art. 8.

Indipendenza dei componenti

 1. I componenti del comitato direttivo esercitano le proprie funzioni in condizioni di indipendenza rispetto all’organo che li ha nominati.

 

Art. 9.

Incompatibilità

 1. Salva l’attività di studio e di ricerca, l’ufficio di componente del comitato direttivo è incompatibile con qualsiasi carica pubblica elettiva o attività di componente di organi di controllo di enti pubblici e privati.

 

Art. 10.

Trattamento economico

 1. L’indennità di funzione del presidente ed il gettone di presenza dei componenti del comitato direttivo sono stabiliti, rispettivamente fino ad un massimo di Euro 20.000 annui e di Euro 600 per seduta, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di efficacia delle disposizioni del presente decreto, tenuto conto del trattamento attribuito per analoghe funzioni pressa la Scuola superiore della pubblica amministrazione.

 

Sezione III

IL PRESIDENTE

 

Art. 11.

Funzioni

1. Il presidente ha la rappresentanza legale della Scuola ed è eletto tra i componenti del comitato direttivo a maggioranza assoluta. Il presidente presiede il comitato direttivo, ne convoca le riunioni fissando il relativo ordine del giorno, adotta i provvedimenti d’urgenza, con riserva di ratifica se essi rientrano nella competenza di altro organo, ed esercita i compiti attribuitigli dallo statuto.

 2. Le modalità di sostituzione del presidente in caso di assenza o impedimento sono disciplinate dallo statuto.

 

Sezione IV

I RESPONSABILI DI SETTORE

 

Art. 12.

Funzioni

1. I componenti del comitato direttivo svolgono anche i compiti di responsabili di settore, curando, nell’ambito assegnato dallo stesso comitato direttivo:

 a) la predisposizione della bozza di programma annuale delle attività didattiche, da sottoporre al comitato direttivo, elaborata tenendo conto delle linee programmatiche sulla formazione pervenute dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, nonché delle proposte pervenute dal Consiglio nazionale forense e dal Consiglio universitario nazionale;

 b) l’attuazione del programma annuale dell’attività didattica approvato dal comitato direttivo;

 c) la definizione del contenuto analitico di ciascuna sessione;

 d) l’individuazione dei docenti chiamati a svolgere l’incarico di insegnamento in ciascuna sessione, utilizzando lo specifico albo tenuto presso la Scuola, e la proposta dei relativi nominativi, in numero doppio rispetto agli incarichi, al comitato direttivo;

 e) la proposta dei criteri di ammissione alle sessioni di formazione;

 f) l’offerta di sussidio didattico e di sperimentazione di nuove formule didattiche;

 g) lo svolgimento delle sessioni presentando, all’esito di ciascuna di esse, relazioni consuntive.

 

Sezione IV-bis.

IL SEGRETARIO GENERALE

 

Art. 17-bis.

Segretario generale

1. Il segretario generale della Scuola:

 a) è responsabile della gestione amministrativa e coordina tutte le attività della Scuola con esclusione di quelle afferenti alla didattica;

 b) provvede all’esecuzione delle delibere del comitato direttivo esercitando anche i conseguenti poteri di spesa;

 c) predispone la relazione annuale sull’attività della Scuola;

 d) esercita le competenze eventualmente delegategli dal comitato direttivo;

 e) esercita ogni altra funzione conferitagli dallo statuto e dai regolamenti interni.

 

Art. 17-ter.

Funzioni e durata

 1. Il comitato direttivo nomina il segretario generale, scegliendolo tra i magistrati ordinari ovvero tra i dirigenti di prima fascia, attualmente in servizio, di cui all’articolo 23 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. I magistrati ordinari devono aver conseguito la quarta valutazione di professionalità. Al segretario generale si applica l’articolo 6, commi 3, nella parte in cui si prevede il divieto di far parte delle commissioni di concorso per magistrato ordinario, e 4.

 2. Il segretario generale dura in carica cinque anni durante i quali, se magistrato, è collocato fuori dal ruolo organico della magistratura. L’attribuzione dell’incarico ad un dirigente di prima fascia non magistrato comporta il divieto di coprire la posizione in organico lasciata vacante nell’amministrazione di provenienza.

 3. L’incarico, per il quale non sono corrisposti indennità o compensi aggiuntivi, può essere rinnovato per una sola volta per un periodo massimo di due anni e può essere revocato dal comitato direttivo, con provvedimento motivato adottato previa audizione dell’interessato, nel caso di grave inosservanza delle direttive e degli indirizzi stabiliti dal comitato stesso

 

TITOLO II

DISPOSIZIONI SUI MAGISTRATI ORDINARI IN TIROCINIO

 

CAPO I

DISPOSIZIONI GENERALI

 

Art. 18.

Durata

1. Il tirocinio dei magistrati ordinari nominati a seguito di concorso per esame, di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e successive modificazioni, ha la durata di diciotto mesi e si articola in sessioni, una delle quali della durata di sei mesi, anche non consecutivi, effettuata presso la Scuola ed una della durata di dodici mesi, anche non consecutivi, effettuata presso gli uffici giudiziari. Le modalità di svolgimento delle sessioni del tirocinio sono definite con delibera del Consiglio superiore della magistratura».

 

CAPO II

SESSIONE PRESSO LA SCUOLA

 

Art. 20.

Contenuto e modalità di svolgimento

1. Nella sessione effettuata presso le sedi della Scuola, i magistrati ordinari in tirocinio frequentano corsi di approfondimento teorico-pratico su materie individuate dal Consiglio superiore della magistratura con le delibere di cui al comma 1 dell’articolo 18, nonché su ulteriori materie individuate dal comitato direttivo nel programma annuale. La sessione presso la Scuola deve in ogni caso tendere al perfezionamento delle capacità operative e professionali, nonché della deontologia del magistrato ordinario in tirocinio.

 2. I corsi sono tenuti da docenti di elevata competenza e professionalità, nominati dal comitato direttivo al fine di garantire un ampio pluralismo culturale e scientifico.

 3. Tra i docenti sono designati i tutori che assicurano anche l’assistenza didattica ai magistrati ordinari in tirocinio.

 4. Al termine delle sessioni presso la Scuola, il comitato direttivo trasmette al Consiglio superiore della magistratura una relazione concernente ciascun magistrato.

 

CAPO III

SESSIONE PRESSO GLI UFFICI GIUDIZIARI

 

Art. 21.

Contenuto e modalità di svolgimento

1. La sessione presso gli uffici giudiziari si articola in tre periodi: il primo periodo, della durata di quattro mesi, è svolto presso i tribunali e consiste nella partecipazione all’attività giurisdizionale relativa alle controversie o ai reati rientranti nella competenza del tribunale in composizione collegiale e monocratica, compresa la partecipazione alla camera di consiglio, in maniera che sia garantita al magistrato ordinario in tirocinio la formazione di una equilibrata esperienza nei diversi settori; il secondo periodo, della durata di due mesi, è svolto presso le procure della Repubblica presso i tribunali; il terzo periodo, della durata di sei mesi, è svolto presso un ufficio corrispondente a quello di prima destinazione del magistrato ordinario in tirocinio.

 2. Il comitato direttivo approva per ciascun magistrato ordinario in tirocinio il programma di tirocinio da svolgersi presso gli uffici giudiziari del capoluogo del distretto di residenza del magistrato ordinario in tirocinio, salva diversa autorizzazione dello stesso comitato direttivo per gravi e motivate esigenze; il programma garantisce all’uditore un’adeguata formazione nei settori civile, penale e dell’ordinamento giudiziario e una specifica preparazione nelle funzioni che sarà chiamato a svolgere nella sede di prima destinazione.

3. I magistrati affidatari presso i quali i magistrati ordinari svolgono i prescritti periodi di tirocinio sono designati dal Consiglio superiore della magistratura, su proposta del competente consiglio giudiziario.

 4. Al termine della sessione, i singoli magistrati affidatari compilano, per ciascun magistrato ordinario in tirocinio loro assegnato, una scheda valutativa che trasmettono al comitato direttivo ed al Consiglio superiore.

 

Art. 22.

Procedimento

 1. Al termine del tirocinio sono trasmesse al Consiglio superiore della magistratura le relazioni redatte all’esito delle sessioni unitamente ad una relazione di sintesi predisposta dal comitato direttivo della Scuola.

2. Il Consiglio superiore della magistratura opera il giudizio di idoneità al conferimento delle funzioni giudiziarie, tenendo conto delle relazioni redatte all’esito delle sessioni trasmesse dal comitato direttivo, della relazione di sintesi dal medesimo predisposta, del parere del consiglio giudiziario e di ogni altro elemento rilevante ed oggettivamente verificabile eventualmente acquisito. Il giudizio di idoneità, se positivo, contiene uno specifico riferimento all’attitudine del magistrato allo svolgimento delle funzioni giudicanti o requirenti.

3. In caso di deliberazione finale negativa, il Consiglio superiore della magistratura comunica la propria decisione al comitato direttivo.

 4. Il magistrato ordinario in tirocinio valutato negativamente è ammesso ad un nuovo periodo di tirocinio della durata di un anno, consistente in una sessione presso le sedi della Scuola della durata di due mesi, che si svolge con le modalità previste dall’articolo 20, e in una sessione presso gli uffici giudiziari. La sessione presso gli uffici giudiziari si articola in tre periodi: il primo periodo, della durata di tre mesi, è svolto presso il tribunale e consiste nella partecipazione all’attività giurisdizionale relativa alle controversie o ai reati rientranti nella competenza del tribunale in composizione collegiale e monocratica, compresa la partecipazione alla camera di consiglio, in maniera che sia garantita al magistrato ordinario in tirocinio la formazione di una equilibrata esperienza nei diversi settori; il secondo periodo, della durata di due mesi, è svolto presso la procura della Repubblica presso il tribunale; il terzo periodo, della durata di cinque mesi, è svolto presso un ufficio corrispondente a quello di prima destinazione del magistrato ordinario in tirocinio.

 5. Al termine del periodo di tirocinio di cui al comma 4 ed all’esito del procedimento indicato ai commi 1 e 2, il Consiglio superiore della magistratura delibera nuovamente; la seconda deliberazione negativa determina la cessazione del rapporto di impiego del magistrato ordinario in tirocinio.

 

TITOLO III

DISPOSIZIONI IN TEMA DI AGGIORNAMENTO

PROFESSIONALE E FORMAZIONE DEI MAGISTRATI

 

CAPO I

DISPOSIZIONI GENERALI

 

Art. 23.

Tipologia dei corsi

1. Ai fini della formazione e dell’aggiornamento professionale, nonché per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa e per lo svolgimento delle funzioni direttive, il comitato direttivo approva annualmente, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, il piano dei relativi corsi nell’ambito dei programmi didattici deliberati, tenendo conto della diversità delle funzioni svolte dai magistrati.

 

CAPO II

CORSI DI FORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE

 

Art. 24.

Oggetto

1. I corsi di formazione e di aggiornamento professionale si svolgono presso le sedi della Scuola e consistono nella frequenza di sessioni di studio tenute da docenti di elevata competenza e professionalità, individuati nell’albo esistente presso la Scuola. Lo statuto determina il numero massimo degli incarichi conferibili ai docenti anche tenuto conto della loro complessità e onerosità. L’albo è aggiornato annualmente dal comitato direttivo in base alle nuove disponibilità fatte pervenire alla Scuola e alla valutazione assegnata a ciascun docente tenuto conto anche del giudizio contenuto nelle schede compilate dai partecipanti al corso;

 2. I corsi sono teorici e pratici, secondo il programma e le modalità previste dal piano approvato dal comitato direttivo.

2-bis. Il comitato direttivo e i responsabili di settore, secondo le rispettive competenze, usufruiscono delle strutture per la formazione decentrata eventualmente esistenti presso i vari distretti di corte d’appello per la realizzazione dell’attività di formazione decentrata e per la definizione dei relativi programmi.

 

Art. 25.

Obbligo di frequenza

1. Tutti i magistrati in servizio hanno l’obbligo di partecipare almeno una volta ogni quattro anni ad uno dei corsi di cui all’articolo 24, individuato dal consiglio direttivo in relazione alle esigenze professionali, di preparazione giuridica e di aggiornamento di ciascun magistrato e tenuto conto delle richieste dell’interessato, fatto salvo quanto previsto dal comma 4.

 2. La partecipazione ai corsi è disciplinata dal regolamento adottato dalla Scuola.

 3. Il periodo di partecipazione all’attività di formazione indicata nel comma 2 è considerato attività di servizio a tutti gli effetti.

 4. Nei primi quattro anni successivi all’assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati devono partecipare almeno una volta l’anno a sessioni di formazione professionale.

 

TITOLO IV

DISPOSIZIONI FINALI

 

Art. 37.

Copertura finanziaria

 1. Agli oneri finanziari conseguenti alla applicazione del presente decreto, con esclusione dell’articolo 1, comma 4, si provvede mediante l’utilizzo dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 2, comma 37, della legge 25 luglio 2005, n. 150.

 2. All’attuazione della disposizione di cui all’articolo 1, comma 4, si provvede con le risorse umane del Ministero della giustizia, all’uopo utilizzando le risorse finanziarie a tale scopo già destinate e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Art. 38.

Abrogazioni

 1. Oltre a quanto previsto dal decreto legislativo di attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 25 luglio 2005, n. 150, sono abrogati, dalla data di efficacia delle disposizioni contenute nel presente decreto:

 a) l’articolo 128, primo comma, dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12;

 b) l’articolo 129 dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni;

 c) l’articolo 129-bis dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, introdotto dall’articolo 16 della legge 13 febbraio 2001, n. 48;

 d) l’articolo 11, comma 5, della legge 13 febbraio 2001, n. 48;

 e) l’articolo 14, commi 2, 3 e 4, della legge 13 febbraio 2001, n. 48;

 f) la legge 30 maggio 1965, n. 579;

 g) l’articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, n. 916, nonchè le disposizioni emanate in attuazione di tale articolo.

 

Art. 39.

Efficacia

 1. Le disposizioni del presente decreto hanno effetto a decorrere dal novantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

 

 Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

 

 Dato a Roma, addì 30 gennaio 2006

 

 CIAMPI

 Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri

 Castelli, Ministro della giustizia

 Tremonti, Ministro dell’economia e delle finanze

 

Visto, il Guardasigilli: Castelli

 

Appendice II

 

TABELLA COMPARATIVA DEL TESTO ORIGINALE DEL D.LGS. N. 26 DEL 2006

E DELLE RELATIVE DISPOSIZIONI DELLA L. 30 LUGLIO 2007, N. 111

 

DECRETO LEGISLATIVO

30 gennaio 2006, n. 26

 

Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n. 150

 

 (Pubblicato in Gazz. Uff., n. 28 del 3 febbraio 2006 – Suppl. Ordinario n. 26/L)

 

In vigore dal 4 maggio 2006

 

LEGGE

30 luglio 2007, n. 111

 

Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario

 

(Pubblicata in Gazz. Uff., n. 175 del 30 luglio 2007 – Suppl. Ordinario n. 171)

 

In vigore dal 31 luglio 2007

 

 

TITOLO I

ISTITUZIONE DELLA SCUOLA SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

 

Rubrica invariata

CAPO I

FINALITÀ E FUNZIONI

 

Rubrica invariata

 

Art. 1.

Scuola superiore della magistratura

 1. È istituita la Scuola superiore della magistratura, di seguito denominata: «Scuola».

 2. La Scuola ha competenza in via esclusiva in materia di aggiornamento e formazione dei magistrati.

 3. La Scuola è una struttura didattica autonoma, con personalità giuridica di diritto pubblico, piena capacità di diritto privato e autonomia organizzativa, funzionale e gestionale, negoziale e contabile, secondo le disposizioni del proprio statuto e dei regolamenti interni, nel rispetto delle norme di legge.

 4. Per il raggiungimento delle proprie finalità, la Scuola si avvale di personale, che alla data di entrata in vigore del presente decreto, risulti già nell’organico del Ministero della giustizia, ovvero comandato da altre amministrazioni, in numero complessivamente non superiore a cinquanta unità.

 

Invariati i commi da 1 a 4

5. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale, vengono individuate tre sedi della Scuola: una per i distretti ricompresi nelle regioni Lombardia, Trentino-Alto Adige/Sudtirol, Valle d’Aosta/Vallee d’Aoste, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Piemonte, Liguria ed Emilia Romagna; una per i distretti ricompresi nelle regioni Marche, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise e Sardegna; una per i distretti ricompresi nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia.

Comma 5 sostituito dal seguente:

«5. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono individuate tre sedi della Scuola, nonché quella delle tre in cui si riunisce il comitato direttivo preposto alle attività di direzione e di coordinamento delle sedi».

 

 

Art. 2.

Finalità

 1. La Scuola è stabilmente preposta:

 a) all’organizzazione e alla gestione del tirocinio e della formazione degli uditori giudiziari, curando che entrambi siano attuati sotto i profili tecnico, operativo e deontologico;

 b) all’organizzazione dei corsi di aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati, curando che entrambi siano attuati sotto i profili tecnico, operativo e deontologico;

 c) alla promozione di iniziative e scambi culturali, incontri di studio e ricerca;

 d) all’offerta di formazione di magistrati stranieri, nel quadro degli accordi internazionali di cooperazione tecnica in materia giudiziaria.

 2. Per il raggiungimento delle finalità indicate alle lettere a) e b) del comma 1, la Scuola è composta da due distinte articolazioni.

 

Sostituito dal seguente:

«Art. 2. - (Finalità). – 1. La Scuola è preposta:

 a) alla formazione e all’aggiornamento professionale dei magistrati ordinari;

 b) all’organizzazione di seminari di aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati e, nei casi previsti dalla lettera n), di altri operatori della giustizia;

 c) alla formazione iniziale e permanente della magistratura onoraria;

 d) alla formazione dei magistrati titolari di funzioni direttive e semidirettive negli uffici giudiziari;

 e) alla formazione dei magistrati incaricati di compiti di formazione;

 f) alle attività di formazione decentrata;

 g) alla formazione, su richiesta della competente autorità di Governo, di magistrati stranieri in Italia o partecipanti all’attività di formazione che si svolge nell’ambito della Rete di formazione giudiziaria europea ovvero nel quadro di progetti dell’Unione europea e di altri Stati o di istituzioni internazionali, ovvero all’attuazione di programmi del Ministero degli affari esteri e al coordinamento delle attività formative dirette ai magistrati italiani da parte di altri Stati o di istituzioni internazionali aventi ad oggetto l’organizzazione e il funzionamento del servizio giustizia;

 h) alla collaborazione, su richiesta della competente autorità di Governo, nelle attività dirette all’organizzazione e al funzionamento del servizio giustizia in altri Paesi;

 i) alla realizzazione di programmi di formazione in collaborazione con analoghe strutture di altri organi istituzionali o di ordini professionali;

 l) alla pubblicazione di ricerche e di studi nelle materie oggetto di attività di formazione;

 m) all’organizzazione di iniziative e scambi culturali, incontri di studio e ricerca, in relazione all’attività di formazione;

 n) allo svolgimento, anche sulla base di specifici accordi o convenzioni che disciplinano i relativi oneri, di seminari per operatori della giustizia o iscritti alle scuole di specializzazione forense;

 o) alla collaborazione alle attività connesse con lo svolgimento del tirocinio dei magistrati ordinari nell’ambito delle direttive formulate dal Consiglio superiore della magistratura e tenendo conto delle proposte dei consigli giudiziari.

 2. All’attività di ricerca non si applica l’articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382.

 3. L’organizzazione della Scuola è disciplinata dallo statuto e dai regolamenti adottati ai sensi dell’articolo 5, comma 2»

 

CAPO II

ORGANIZZAZIONE

Rubrica invariata

 

Sezione I

STATUTO E ORGANI

Rubrica invariata

 

Art. 3.

Statuto

 1. La Scuola è retta da un proprio statuto, adottato dal comitato direttivo con il voto favorevole di almeno cinque componenti.

 

All’articolo 3, comma 1, la parola: «cinque» è sostituita dalla seguente: «otto».

2. La Scuola adotta regolamenti di organizzazione interna, in conformità alle disposizioni dello statuto.

Comma 2: invariato

 

Art. 4.

Organi

 1. Gli organi della Scuola sono:

 a) il comitato direttivo;

 b) il presidente;

 c) i comitati di gestione.

 

Sostituito dal seguente:

«Art. 4. - (Organi). – 1. Gli organi della Scuola sono:

 a) il comitato direttivo;

 b) il presidente;

 c) il segretario generale»

 

Sezione II

IL COMITATO DIRETTIVO

 

Rubrica invariata

 

Art. 5.

Composizione e funzioni

 1. Il comitato direttivo è composto dal presidente e da altri sei membri. Esso si riunisce nella sede individuata per i distretti ricompresi nelle regioni Marche, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise e Sardegna.

 2. Il comitato direttivo delibera in ordine alle finalità e all’attività della Scuola, salvo quanto di competenza dei comitati di gestione ed esercita funzioni di indirizzo, nonchè di controllo sul personale assegnato.

 3. Il comitato direttivo adotta lo statuto, i regolamenti interni ed il bilancio; nomina i membri dei comitati di gestione; programma l’attività didattica della Scuola, avvalendosi delle proposte del Consiglio superiore della magistratura, del Ministro della giustizia, del Consiglio nazionale forense, dei consigli giudiziari, del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, nonchè delle proposte dei componenti del Consiglio universitario nazionale esperti in materie giuridiche.

 

Sostituito dal seguente:

«Art. 5. - (Composizione e funzioni). – 1. Il comitato direttivo è composto da dodici membri.

 2. Il comitato direttivo adotta e modifica lo statuto e i regolamenti interni; cura la tenuta dell’albo dei docenti; adotta e modifica, tenuto conto delle linee programmatiche proposte annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, il programma annuale dell’attività didattica; approva la relazione annuale che trasmette al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura; nomina i docenti delle singole sessioni formative, determina i criteri di ammissione ai corsi dei partecipanti e procede alle relative ammissioni; conferisce ai responsabili di settore l’incarico di curare ambiti specifici di attività; nomina il segretario generale; vigila sul corretto andamento della Scuola; approva il bilancio di previsione e il bilancio consuntivo»

 

Art. 6.

Nomina

 1. Del comitato direttivo fanno parte di diritto il primo presidente della Corte di cassazione, o il magistrato dallo stesso delegato alla Scuola, con funzioni non inferiori a quelle direttive giudicanti di legittimità, nonchè il procuratore generale presso la Corte di cassazione, o il magistrato dallo stesso delegato alla Scuola, con funzioni non inferiori a quelle direttive requirenti di legittimità.

 

Comma 1 sostituito dal seguente:

 «1. Fanno parte del comitato direttivo dodici componenti di cui sette scelti fra magistrati, anche in quiescenza, che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità, tre fra professori universitari, anche in quiescenza, e due fra avvocati che abbiano esercitato la professione per almeno dieci anni. Le nomine sono effettuate dal Consiglio superiore della magistratura, in ragione di sei magistrati e di un professore universitario, e dal Ministro della giustizia, in ragione di un magistrato, di due professori universitari e di due avvocati.»;

 

 2. Del comitato direttivo fanno altresì parte due magistrati ordinari scelti dal Consiglio superiore della magistratura, che esercitano le funzioni di secondo grado da almeno tre anni, un avvocato con almeno quindici anni di esercizio della professione nominato dal Consiglio nazionale forense, un professore universitario ordinario in materie giuridiche nominato dal Consiglio universitario nazionale ed un componente nominato dal Ministro della giustizia, scelti tutti tra insigni giuristi.

 

Comma 2 sostituito dal seguente:

«2. I magistrati ancora in servizio nominati nel comitato direttivo sono collocati fuori del ruolo organico della magistratura per tutta la durata dell’incarico»

 

3. I componenti del comitato direttivo sono nominati per un periodo di quattro anni; fatta eccezione per i soggetti indicati al comma 1, essi non possono essere immediatamente rinnovati e non possono fare parte delle commissioni di concorso per uditore giudiziario.

 

Al comma 3, le parole: «fatta eccezione per i soggetti indicati al comma 1,» sono soppresse e le parole: «per uditore giudiziario» sono sostituite dalle seguenti: «per magistrato ordinario»

 4. I componenti cessano dalla carica per dimissioni o per il venire meno dei requisiti previsti per la nomina.

Comma 4: invariato

 

Art. 7.

Funzionamento

 1. Il comitato direttivo delibera con la presenza di almeno cinque componenti e a maggioranza relativa, salvo i casi di cui agli articoli 3, comma 1, e 11, comma 1. In caso di parità prevale il voto del presidente. Il voto è palese.

 

Comma 1 sostituito dal seguente:

«1. Il comitato direttivo delibera a maggioranza con la presenza di almeno otto componenti. Per gli atti di straordinaria amministrazione è necessario il voto favorevole di sette componenti. In caso di parità prevale il voto del presidente. Il voto è sempre palese»

 2. Il componente che si trova in conflitto di interesse in relazione a una specifica deliberazione ovvero se ricorrono motivi di opportunità, dichiara tale situazione al comitato e si astiene dal partecipare alla discussione e alla relativa deliberazione.

 

Comma 2: invariato

 

Art. 8.

Indipendenza dei componenti

 1. I componenti del comitato direttivo esercitano le proprie funzioni in condizioni di indipendenza rispetto all’organo che li ha nominati.

 

Invariato

Art. 9.

Incompatibilità

 1. Salva l’attività di studio e di ricerca, l’ufficio di componente del comitato direttivo è incompatibile con qualsiasi carica pubblica elettiva o attività di componente di organi di controllo di enti pubblici e privati.

 

Invariato

Art. 10.

Trattamento economico

 1. L’indennità di funzione del presidente ed il gettone di presenza dei componenti del comitato direttivo sono stabiliti, rispettivamente fino ad un massimo di Euro 20.000 annui e di Euro 600 per seduta, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di efficacia delle disposizioni del presente decreto, tenuto conto del trattamento attribuito per analoghe funzioni pressa la Scuola superiore della pubblica amministrazione.

 

Invariato

 

Sezione III

IL PRESIDENTE

 

Rubrica invariata

 

Art. 11.

Funzioni

 1. Il presidente ha la rappresentanza legale della Scuola ed è eletto tra i componenti del comitato direttivo a maggioranza assoluta. Il presidente presiede il comitato direttivo, ne convoca le riunioni fissando il relativo ordine del giorno ed esercita i compiti attribuitigli dallo statuto.

 2. Le modalità di sostituzione del presidente in caso di assenza o impedimento sono disciplinate dallo statuto.

 

Sostituito dal seguente:

«Art. 11. – (Funzioni). – 1. Il presidente ha la rappresentanza legale della Scuola ed è eletto tra i componenti del comitato direttivo a maggioranza assoluta. Il presidente presiede il comitato direttivo, ne convoca le riunioni fissando il relativo ordine del giorno, adotta i provvedimenti d’urgenza, con riserva di ratifica se essi rientrano nella competenza di altro organo, ed esercita i compiti attribuitigli dallo statuto.

 2. Le modalità di sostituzione del presidente in caso di assenza o impedimento sono disciplinate dallo statuto»

 

Sezione IV

I COMITATI DI GESTIONE

 

Rubrica sostituita dalla seguente:

«I RESPONSABILI DI SETTORE».

 

 

Art. 12.

Funzioni

 1. Per ciascuna delle articolazioni previste dall’articolo 2, comma 2, è istituito un comitato di gestione composto da cinque membri che eleggono, tra loro, un presidente.

 2. I comitati di gestione si riuniscono nella sede individuata per i distretti ricompresi nelle regioni Marche, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise e Sardegna.

 3. Ciascun comitato di gestione:

 a) attua la programmazione annuale dell’attività per il proprio ambito di competenza;

 b) definisce il contenuto analitico di ciascuna sessione;

 c) individua i docenti chiamati a svolgere l’incarico di insegnamento in ciascuna sessione;

 d) fissa i criteri di ammissione alle sessioni di formazione;

 e) offre sussidio didattico e sperimenta nuove formule didattiche;

 f) segue lo svolgimento delle sessioni e presenta, all’esito di ciascuna di esse, relazioni consuntive;

 g) cura il tirocinio o l’aggiornamento professionale nelle fasi effettuate presso la Scuola, selezionando i tutori, nonchè i docenti incaricati anno per anno e quelli occasionali.

 Sostituito dal seguente:

 «Art. 12. - (Funzioni). – 1. I componenti del comitato direttivo svolgono anche i compiti di responsabili di settore, curando, nell’ambito assegnato dallo stesso comitato direttivo:

 a) la predisposizione della bozza di programma annuale delle attività didattiche, da sottoporre al comitato direttivo, elaborata tenendo conto delle linee programmatiche sulla formazione pervenute dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, nonché delle proposte pervenute dal Consiglio nazionale forense e dal Consiglio universitario nazionale;

 b) l’attuazione del programma annuale dell’attività didattica approvato dal comitato direttivo;

 c) la definizione del contenuto analitico di ciascuna sessione;

 d) l’individuazione dei docenti chiamati a svolgere l’incarico di insegnamento in ciascuna sessione, utilizzando lo specifico albo tenuto presso la Scuola, e la proposta dei relativi nominativi, in numero doppio rispetto agli incarichi, al comitato direttivo;

 e) la proposta dei criteri di ammissione alle sessioni di formazione;

 f) l’offerta di sussidio didattico e di sperimentazione di nuove formule didattiche;

 g) lo svolgimento delle sessioni presentando, all’esito di ciascuna di esse, relazioni consuntive»

 

Art. 13.

Nomina

 1. I componenti dei comitati di gestione sono nominati, dal comitato direttivo, tra i magistrati ordinari che esercitano le funzioni giudicanti o quelle requirenti da almeno quindici anni, nonchè tra gli avvocati con non meno di quindici anni di esercizio della professione e tra i professori universitari in materie giuridiche.

 2. I componenti dei comitati sono nominati per un periodo di quattro anni e non possono essere immediatamente rinnovati; essi non possono fare parte delle commissioni di concorso per uditore giudiziario.

 3. I componenti cessano dalla carica per dimissioni o per il venire meno dei requisiti previsti per la nomina.

 

 

Abrogato

 

 

 

 

 

 

 

Art. 14.

Funzionamento

 1. I comitati di gestione deliberano a maggioranza relativa, con la presenza di almeno tre componenti. In caso di parità prevale il voto del presidente. Il voto è palese.

 2. Il componente, che si trovi in conflitto di interesse in relazione a una specifica deliberazione ovvero se ricorrono motivi di opportunità, dichiara tale situazione al comitato e si astiene dal partecipare all’attività del medesimo, nonchè alle discussioni e relative deliberazioni.

 3. L’astensione è obbligatoria nei casi in cui il componente del comitato direttivo svolga attività professionale o di lavoro autonomo in procedimenti trattati da magistrati che frequentano i corsi presso la Scuola superiore della magistratura e comunque fino alla valutazione di cui all’articolo 30 e la discussione o la deliberazione riguardi tali magistrati.

 

 

Abrogato

 

Art. 15.

Indipendenza dal comitato direttivo

 1. I componenti dei comitati di gestione esercitano le proprie funzioni in condizioni di indipendenza rispetto all’organo che li ha nominati.

 

 

Abrogato

 

Art. 16.

Incompatibilità

 1. Salva l’attività di studio e di ricerca, l’ufficio di componente del comitato di gestione è incompatibile con qualsiasi carica pubblica elettiva o di componente di organi di controllo di enti pubblici e privati.

 

 

Abrogato

 

Art. 17.

Trattamento economico

 1. Ai componenti dei comitati di gestione è corrisposto un gettone di presenza per ciascuna seduta, la cui entità è stabilita, fino ad un massimo di Euro 300 per seduta, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di efficacia delle disposizioni del presente decreto, tenuto conto del trattamento attribuito per analoghe funzioni presso la Scuola superiore della

pubblica amministrazione.

 2. Ai componenti dei comitati di gestione che si recano fuori della sede di cui all’articolo 12, comma 2, è riconosciuto, oltre al gettone di presenza, il rimborso delle spese di trasferta.

Abrogato

 

 

 

Dopo la sezione IV del capo II del titolo I è aggiunta la seguente:

 

«Sezione IV-bis.

IL SEGRETARIO GENERALE

 Art. 17-bis. - (Segretario generale). – 1. Il segretario generale della Scuola:

 a) è responsabile della gestione amministrativa e coordina tutte le attività della Scuola con esclusione di quelle afferenti alla didattica;

 b) provvede all’esecuzione delle delibere del comitato direttivo esercitando anche i conseguenti poteri di spesa;

 c) predispone la relazione annuale sull’attività della Scuola;

 d) esercita le competenze eventualmente delegategli dal comitato direttivo;

 e) esercita ogni altra funzione conferitagli dallo statuto e dai regolamenti interni.

 Art. 17-ter. - (Funzioni e durata). – 1. Il comitato direttivo nomina il segretario generale, scegliendolo tra i magistrati ordinari ovvero tra i dirigenti di prima fascia, attualmente in servizio, di cui all’articolo 23 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. I magistrati ordinari devono aver conseguito la quarta valutazione di professionalità. Al segretario generale si applica l’articolo 6, commi 3, nella parte in cui si prevede il divieto di far parte delle commissioni di concorso per magistrato ordinario, e 4.

 2. Il segretario generale dura in carica cinque anni durante i quali, se magistrato, è collocato fuori dal ruolo organico della magistratura. L’attribuzione dell’incarico ad un dirigente di prima fascia non magistrato comporta il divieto di coprire la posizione in organico lasciata vacante nell’amministrazione di provenienza.

 3. L’incarico, per il quale non sono corrisposti indennità o compensi aggiuntivi, può essere rinnovato per una sola volta per un periodo massimo di due anni e può essere revocato dal comitato direttivo, con provvedimento motivato adottato previa audizione dell’interessato, nel caso di grave inosservanza delle direttive e degli indirizzi stabiliti dal comitato stesso»

 

 

TITOLO II

DISPOSIZIONI SUL TIROCINIO DEGLI UDITORI GIUDIZIARI

 

 

Rubrica sostituita dalla seguente: «Disposizioni sui magistrati ordinari in tirocinio»

CAPO I

DISPOSIZIONI GENERALI 

 

Rubrica invariata

 

Art. 18.

Durata

 1. Il tirocinio degli uditori giudiziari ha una durata di ventiquattro mesi.

 

Sostituito dal seguente:

«Art. 18. - (Durata). – 1. Il tirocinio dei magistrati ordinari nominati a seguito di concorso per esame, di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e successive modificazioni, ha la durata di diciotto mesi e si articola in sessioni, una delle quali della durata di sei mesi, anche non consecutivi, effettuata presso la Scuola ed una della durata di dodici mesi, anche non consecutivi, effettuata presso gli uffici giudiziari. Le modalità di svolgimento delle sessioni del tirocinio sono definite con delibera del Consiglio superiore della magistratura».

 

 

Art. 19.

Articolazione

 1. Il tirocinio si articola in sessioni, una delle quali della durata di sei mesi, anche non consecutivi, effettuata presso la Scuola ed una della durata di diciotto mesi, anche non consecutivi, effettuata presso uffici giudiziari di primo grado. Le modalità delle sessioni sono stabilite dal Comitato direttivo.

 

 

Abrogato

 

CAPO II

SESSIONE PRESSO LA SCUOLA

 

Rubrica invariata

 

Art. 20.

Contenuto e modalità di svolgimento

 1. Nella sessione effettuata presso le sedi della Scuola, gli uditori giudiziari frequentano corsi di approfondimento teorico-pratico, approvati dal competente comitato di gestione nell’ambito della programmazione dell’attività didattica deliberata dal comitato direttivo della Scuola medesima, riguardanti il diritto civile, il diritto penale, il diritto processuale civile, il diritto processuale penale ed il diritto amministrativo, con eventuale approfondimento anche di altre materie tra quelle comprese nella prova orale del concorso per l’accesso in magistratura, previste dal decreto legislativo di attuazione della delega contenuta nell’articolo 2, comma 1, lettera a), numero 2), della legge 25 luglio 2005, n. 150, nonchè delle ulteriori materie scelte dal Comitato direttivo. La sessione presso la Scuola deve in ogni caso tendere al perfezionamento delle capacità operative e della deontologia dell’uditore giudiziario.

 2. I corsi sono tenuti da docenti di elevata competenza e professionalità, scelti dal comitato di gestione al fine di garantire un ampio pluralismo culturale e scientifico.

 3. Tra i docenti sono designati i tutori degli uditori giudiziari; i tutori assicurano agli uditori l’assistenza didattica.

 4. Al termine della sessione, i singoli docenti compilano una scheda valutativa per ciascun uditore giudiziario loro assegnato; la scheda è trasmessa al comitato di gestione della sezione per le conseguenti valutazioni.

 

Sostituito dal seguente:

 «Art. 20. - (Contenuto e modalità di svolgimento). – 1. Nella sessione effettuata presso le sedi della Scuola, i magistrati ordinari in tirocinio frequentano corsi di approfondimento teorico-pratico su materie individuate dal Consiglio superiore della magistratura con le delibere di cui al comma 1 dell’articolo 18, nonché su ulteriori materie individuate dal comitato direttivo nel programma annuale. La sessione presso la Scuola deve in ogni caso tendere al perfezionamento delle capacità operative e professionali, nonché della deontologia del magistrato ordinario in tirocinio.

 2. I corsi sono tenuti da docenti di elevata competenza e professionalità, nominati dal comitato direttivo al fine di garantire un ampio pluralismo culturale e scientifico.

 3. Tra i docenti sono designati i tutori che assicurano anche l’assistenza didattica ai magistrati ordinari in tirocinio.

 4. Al termine delle sessioni presso la Scuola, il comitato direttivo trasmette al Consiglio superiore della magistratura una relazione concernente ciascun magistrato»

 

CAPO III

SESSIONE PRESSO GLI UFFICI GIUDIZIARI

 

Rubrica invariata

 

 

Art. 21.

Contenuto e modalità di svolgimento

 1. La sessione presso gli uffici giudiziari si articola in tre periodi: il primo periodo, della durata di sette mesi, è svolto presso i tribunali e consiste nella partecipazione all’attività giurisdizionale relativa alle controversie o ai reati rientranti nella competenza del tribunale in composizione collegiale, compresa la partecipazione alla camera di consiglio, in maniera che sia garantita all’uditore la formazione di una equilibrata esperienza nei diversi settori; il secondo periodo, della durata di tre mesi, è svolto presso le procure della Repubblica presso i tribunali; il terzo periodo, della durata di otto mesi, è svolto presso un ufficio corrispondente a quello di prima destinazione dell’uditore.

 2. Il comitato di gestione approva per ciascun uditore il programma di tirocinio da svolgersi presso gli uffici giudiziari del capoluogo del distretto di residenza dell’uditore, salva diversa autorizzazione dello stesso comitato di gestione per gravi e motivate esigenze; il programma garantisce all’uditore un’adeguata formazione nei settori civile e penale e una specifica preparazione nelle funzioni che sarà chiamato a svolgere nella sede di prima destinazione.

 3. Il comitato di gestione provvede, altresì, ad individuare, presso ciascun ufficio giudiziario, i magistrati affidatari presso i quali gli uditori svolgono i prescritti periodi di tirocinio.

 4. Al termine della sessione, i singoli magistrati affidatari compilano, per ciascun uditore loro assegnato, una scheda valutativa che trasmettono al comitato di gestione.

 

Modificato come segue:

 a) la parola: «uditore», ovunque ricorra, è sostituita dalle seguenti: «magistrato ordinario in tirocinio»;

 b) al comma 1, le parole: «della durata di sette mesi» sono sostituite dalle seguenti: «della durata di quattro mesi»; dopo la parola «collegiale» sono inserite le seguenti: «e monocratica»; le parole: «della durata di tre mesi» sono sostituite dalle seguenti: «della durata di due mesi»; le parole: «della durata di otto mesi» sono sostituite dalle seguenti: «della durata di sei mesi»;

 c) al comma 2, le parole: «di gestione» sono sostituite dalla seguente: «direttivo» e le parole: «civile e penale» sono sostituite dalle seguenti: «civile, penale e dell’ordinamento giudiziario»;

 d) il comma 3 è sostituito dal seguente:

 «3. I magistrati affidatari presso i quali i magistrati ordinari svolgono i prescritti periodi di tirocinio sono designati dal Consiglio superiore della magistratura, su proposta del competente consiglio giudiziario.»;

 e) al comma 4, le parole: «di gestione» sono sostituite dalle seguenti: «direttivo ed al Consiglio superiore»

 

CAPO IV

VALUTAZIONE FINALE

 

Rubrica invariata

 

Art. 22.

Procedimento

 1. Al termine del periodo di tirocinio ordinario, il comitato di gestione della sezione, sulla base delle schede valutative redatte dai docenti e dai magistrati affidatari, nonchè di ogni altro elemento rilevante a fini valutativi raccolto durante le sessioni del tirocinio, formula per ciascun uditore giudiziario un giudizio di idoneità all’assunzione delle funzioni giudiziarie.

 2. I giudizi sono trasmessi al Consiglio superiore della magistratura che, sulla base di essi e di ogni altro elemento eventualmente acquisito, delibera sulla idoneità di ciascun uditore all’assunzione delle funzioni giudiziarie.

 3. In caso di deliberazione finale negativa, il Consiglio superiore della magistratura comunica la propria decisione al comitato di gestione.

 4. L’uditore valutato negativamente è ammesso ad un nuovo periodo di tirocinio della durata di un anno, consistente in una sessione presso le sedi della Scuola della durata di due mesi, che si svolge con le modalità previste dall’articolo 20, e in una sessione presso gli uffici giudiziari. La sessione presso gli uffici giudiziari si articola in tre periodi: il primo periodo, della durata di tre mesi, è svolto presso i tribunali e consiste nella partecipazione all’attività giurisdizionale relativa alle controversie o ai reati rientranti nella competenza del tribunale in composizione collegiale, compresa la partecipazione alla camera di consiglio, in maniera che sia garantita all’uditore la formazione di una equilibrata esperienza nei diversi settori; il secondo periodo, della durata di due mesi, è svolto presso le procure della Repubblica presso i tribunali; il terzo periodo, della durata di cinque mesi, è svolto presso un ufficio corrispondente a quello di prima destinazione dell’uditore.

 5. Al termine del periodo di tirocinio di cui al comma 4 ed all’esito del procedimento indicato ai commi 1 e 2, il Consiglio superiore della magistratura delibera nuovamente; la seconda deliberazione negativa determina la cessazione del rapporto di impiego dell’uditore giudiziario.

 

Modificato come segue:

 a) le parole: «uditore» e «uditore giudiziario», ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: «magistrato ordinario in tirocinio»;

 b) il comma 1 è sostituito dal seguente:

 «1. Al termine del tirocinio sono trasmesse al Consiglio superiore della magistratura le relazioni redatte all’esito delle sessioni unitamente ad una relazione di sintesi predisposta dal comitato direttivo della Scuola.»;

 c) il comma 2 è sostituito dal seguente:

 «2. Il Consiglio superiore della magistratura opera il giudizio di idoneità al conferimento delle funzioni giudiziarie, tenendo conto delle relazioni redatte all’esito delle sessioni trasmesse dal comitato direttivo, della relazione di sintesi dal medesimo predisposta, del parere del consiglio giudiziario e di ogni altro elemento rilevante ed oggettivamente verificabile eventualmente acquisito. Il giudizio di idoneità, se positivo, contiene uno specifico riferimento all’attitudine del magistrato allo svolgimento delle funzioni giudicanti o requirenti.»;

 d) al comma 3, le parole: «di gestione» sono sostituite dalla seguente: «direttivo»;

 e) al comma 4, dopo la parola: «collegiale» sono inserite le seguenti: «e monocratica»; le parole: «i tribunali», ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: «il tribunale» e le parole: «le procure della Repubblica» sono sostituite dalle seguenti: «la procura della Repubblica».

 

 

TITOLO III

DISPOSIZIONI IN TEMA DI AGGIORNAMENTO

PROFESSIONALE E FORMAZIONE DEI MAGISTRATI

 

Rubrica invariata

CAPO I

DISPOSIZIONI GENERALI

 

Rubrica invariata

 

Art. 23.

Tipologia dei corsi

 1. Ai fini della formazione e dell’aggiornamento professionale, nonchè della formazione per il passaggio a funzioni superiori rispetto a quelle esercitate, per il passaggio da funzioni giudicanti a requirenti e viceversa e per l’accesso a funzioni direttive, il comitato di gestione della sezione competente approva annualmente il piano dei corsi nell’ambito dei programmi didattici deliberati dal comitato direttivo, tenendo conto della diversità delle funzioni svolte dai magistrati.

 

Sostituito dal seguente:

Art. 23. - (Tipologia dei corsi). – 1. Ai fini della formazione e dell’aggiornamento professionale, nonché per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa e per lo svolgimento delle funzioni direttive, il comitato direttivo approva annualmente, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, il piano dei relativi corsi nell’ambito dei programmi didattici deliberati, tenendo conto della diversità delle funzioni svolte dai magistrati»

 

CAPO II

CORSI DI FORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE

 

Rubrica invariata

 

Art. 24.

Oggetto

 1. I corsi di formazione e di aggiornamento professionale si svolgono presso le sedi della Scuola e consistono nella frequenza di sessioni di studio tenute da docenti di elevata competenza e professionalità.

 2. I corsi sono teorici e pratici, secondo il programma e le modalità previste dal piano approvato dal comitato di gestione.

 

Modificato come segue:

 a) al comma 1, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, individuati nell’albo esistente presso la Scuola. Lo statuto determina il numero massimo degli incarichi conferibili ai docenti anche tenuto conto della loro complessità e onerosità. L’albo è aggiornato annualmente dal comitato direttivo in base alle nuove disponibilità fatte pervenire alla Scuola e alla valutazione assegnata a ciascun docente tenuto conto anche del giudizio contenuto nelle schede compilate dai partecipanti al corso»;

 b) al comma 2, le parole: «di gestione» sono sostituite dalla seguente: «direttivo»;

 c) dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:

 «2-bis. Il comitato direttivo e i responsabili di settore, secondo le rispettive competenze, usufruiscono delle strutture per la formazione decentrata eventualmente esistenti presso i vari distretti di corte d’appello per la realizzazione dell’attività di formazione decentrata e per la definizione dei relativi programmi»

 

Art. 25.

Obbligo di frequenza e durata

 1. Tutti i magistrati in servizio hanno l’obbligo di partecipare ai corsi di cui all’articolo 24 ogni cinque anni, a decorrere dalla assunzione delle prime funzioni di merito.

 2. Per la partecipazione ai corsi, al magistrato è riconosciuto un periodo di congedo retribuito.

 3. Il differimento della partecipazione ai corsi, che può essere disposto dal capo dell’ufficio giudiziario di appartenenza per comprovate e motivate esigenze di organizzazione o di servizio, non può in ogni caso arrecare pregiudizio al magistrato.

 4. I corsi hanno una durata fino a due settimane anche non consecutive.

 5. Il magistrato può partecipare a ulteriori corsi di aggiornamento solo dopo che sia trascorso un anno dalla precedente partecipazione.

Sostituito dal seguente:

«Art. 25. - (Obbligo di frequenza). – 1. Tutti i magistrati in servizio hanno l’obbligo di partecipare almeno una volta ogni quattro anni ad uno dei corsi di cui all’articolo 24, individuato dal consiglio direttivo in relazione alle esigenze professionali, di preparazione giuridica e di aggiornamento di ciascun magistrato e tenuto conto delle richieste dell’interessato, fatto salvo quanto previsto dal comma 4.

 2. La partecipazione ai corsi è disciplinata dal regolamento adottato dalla Scuola.

 3. Il periodo di partecipazione all’attività di formazione indicata nel comma 2 è considerato attività di servizio a tutti gli effetti.

 4. Nei primi quattro anni successivi all’assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati devono partecipare almeno una volta l’anno a sessioni di formazione professionale»

 

Art. 26.

Valutazione finale

 1. Al termine del corso di aggiornamento professionale, il comitato di gestione, in base ai pareri espressi dai docenti ai risultati delle prove sostenute dai partecipanti ed alla diligenza dimostrata da ciascun partecipante durante il corso, formula una sintetica valutazione finale che tiene conto del livello di preparazione del magistrato e di specifici elementi attitudinali allo svolgimento delle funzioni giudiziarie.

 2. La valutazione è inserita nel fascicolo personale del magistrato e il Consiglio superiore della magistratura ne tiene conto ai fini delle determinazioni relative al magistrato medesimo.

 

Abrogato

CAPO III

CORSI DI FORMAZIONE PER IL PASSAGGIO A FUNZIONI SUPERIORI, PER IL PASSAGGIO DA FUNZIONI GIUDICANTI A REQUIRENTI E VICEVERSA E PER L’ACCESSO A FUNZIONI DIRETTIVE.

 

Abrogato

Art. 27.

Oggetto

 1. I corsi di formazione per il passaggio a funzioni superiori, per il passaggio da funzioni giudicanti a requirenti e viceversa e per l’accesso a funzioni direttive si svolgono presso le sedi della Scuola e consistono in sessioni di studio tenute da professori universitari, associati, straordinari ed ordinari in materie giuridiche, da magistrati che svolgono funzioni di secondo grado, nonchè delle giurisdizioni superiori, ordinaria e amministrativa, anche a riposo, e da avvocati dello Stato con non meno di quindici anni di servizio nominati dal comitato di gestione nell’ambito del piano di cui all’articolo 23.

 2. I corsi di formazione per il passaggio a funzioni superiori, nonchè per il passaggio da funzioni giudicanti a requirenti e viceversa, debbono prevedere una parte teorica e una parte pratica. La parte pratica prevede lo studio e la discussione di casi giudiziari e la redazione di provvedimenti aventi ad oggetto questioni relative all’esercizio delle funzioni richieste dal magistrato.

 3. I corsi di formazione per l’accesso a funzioni direttive hanno ad oggetto lo studio delle problematiche teoriche e pratiche relative all’esercizio delle funzioni del dirigente, con riferimento sia a quelle di natura giudiziaria che a quelle di amministrazione della giurisdizione.

 

Abrogato

Art. 28.

Frequenza e durata

1.       Ciascun magistrato ha diritto a partecipare ai corsi.

 2. Per la partecipazione ai corsi, al magistrato è riconosciuto un periodo di congedo retribuito.

 3. Il differimento della partecipazione ai corsi può essere disposto dal capo dell’ufficio giudiziario di appartenenza per un periodo non superiore a sei mesi per comprovate e motivate esigenze di organizzazione o di servizio.

 4. Il comitato di gestione dispone la partecipazione del magistrato al primo corso successivo alla scadenza del termine di cui al comma 3. Non sono ammessi ulteriori differimenti.

 5. I corsi hanno una durata di due settimane consecutive.

 6. Al termine dei corsi ogni docente esprime un parere su ciascuno dei partecipanti che tenga conto del livello di professionalità manifestato dal magistrato.

 

Abrogato

CAPO IV

VALUTAZIONI PERIODICHE DEI MAGISTRATI

Sezione I

PRIMA VALUTAZIONE

 

Abrogato

Art. 29.

Periodicità

 1. I magistrati che, al settimo anno dall’ingresso in magistratura, non hanno effettuato il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, o viceversa, hanno l’obbligo di frequentare un corso di aggiornamento e di formazione professionale relativo alle funzioni da essi svolte, che si tiene secondo le modalità previste dall’articolo 24.

 

Abrogato

Art. 30.

Valutazione della Scuola

 1. Al termine di ciascun corso, il comitato di gestione, sulla base dei pareri espressi dai docenti ai sensi dell’articolo 28, comma 6, dei risultati delle prove sostenute dai partecipanti e della diligenza dimostrata da ciascun partecipante durante il corso, formula una sintetica valutazione finale che tiene conto del livello di preparazione del magistrato e di specifici elementi attitudinali inerenti le funzioni svolte. La valutazione è inserita nel fascicolo personale del magistrato e il Consiglio superiore della magistratura ne tiene conto ai fini delle proprie determinazioni relative al magistrato medesimo.

 

Abrogato

Art. 31.

Valutazione del Consiglio superiore della magistratura

 1. Il Consiglio superiore della magistratura, all’esito del corso, esprime un giudizio di idoneità del magistrato all’esercizio definitivo delle funzioni giudiziarie.

 2. Ai fini del giudizio di cui al comma 1, il Consiglio superiore della magistratura si basa sui seguenti elementi:

 a) il giudizio valutativo della Scuola, espresso all’esito del corso di aggiornamento professionale e di formazione svolto dal magistrato;

 b) la laboriosità e produttività;

 c) la capacità tecnica;

 d) l’attività giudiziaria e scientifica;

 e) l’equilibrio;

 f) la disponibilità alle esigenze del servizio;

 g) il comportamento nei confronti dei soggetti processuali;

 h) il rispetto della deontologia.

 3. In caso di esito negativo, il corso viene ripetuto per non più di due volte, con le stesse modalità previste per il primo.

 4. Tra un giudizio e l’altro deve intercorrere un periodo di tempo di due anni.

 5. In caso di tre giudizi negativi consecutivi, il magistrato è dispensato dal servizio ai sensi dell’articolo 3 del regio decreto 31 maggio 1946, n. 511, e successive modificazioni.

 

Abrogato

Sezione II

VALUTAZIONI SUCCESSIVE

 

Abrogata

Art. 32.

Periodicità

 1. I magistrati che non hanno sostenuto i concorsi per le funzioni di secondo grado o di legittimità sono sottoposti, da parte del Consiglio superiore della magistratura, a valutazioni di professionalità al compimento del tredicesimo, ventesimo e ventottesimo anno dall’ingresso in magistratura.

 

Abrogato

Art. 33.

Corso di formazione presso la Scuola

 1. Ciascuna delle valutazioni di cui all’articolo 32 è preceduta dalla partecipazione, da parte del magistrato interessato, ad un corso di aggiornamento e di formazione professionale presso le sedi della Scuola che termina con un giudizio trasmesso al Consiglio superiore della magistratura; si applicano le disposizioni di cui agli articoli 24 e 30.

 2. La partecipazione ai corsi di cui al comma 1 non è suscettibile di differimento.

 

Abrogato

Art. 34.

Valutazione del Consiglio superiore della magistratura

 1. Il Consiglio superiore della magistratura, all’esito del corso presso la Scuola, esprime sul magistrato il giudizio valutativo di cui all’articolo 32.

 2. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 31, commi 2, 3, 4 e 5.

 

Abrogato

Art. 35.

Progressione economica

 1. Il passaggio alla quinta, sesta e settima classe stipendiale può essere disposto solo se il magistrato è stato positivamente valutato dal Consiglio superiore della magistratura.

 

Abrogato

Art. 36.

Magistrati che non hanno ottenuto l’idoneità nei concorsi

per il conferimento delle funzioni di secondo grado o di legittimità.

 1. All’esito dei concorsi per il conferimento delle funzioni di secondo grado o di legittimità, la commissione di concorso comunica al Consiglio superiore della magistratura l’elenco dei magistrati che non hanno ottenuto i relativi posti e che, in quanto giudicati non idonei, devono essere sottoposti alle valutazioni di professionalità di cui all’articolo 32.

 

Abrogato

 

 

TITOLO IV

DISPOSIZIONI FINALI

 

Invariato

 

Art. 37.

Copertura finanziaria

 1. Agli oneri finanziari conseguenti alla applicazione del presente decreto, con esclusione dell’articolo 1, comma 4, si provvede mediante l’utilizzo dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 2, comma 37, della legge 25 luglio 2005, n. 150.

 2. All’attuazione della disposizione di cui all’articolo 1, comma 4, si provvede con le risorse umane del Ministero della giustizia, all’uopo utilizzando le risorse finanziarie a tale scopo già destinate e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 

Invariato

Art. 38.

Abrogazioni

 1. Oltre a quanto previsto dal decreto legislativo di attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 25 luglio 2005, n. 150, sono abrogati, dalla data di efficacia delle disposizioni contenute nel presente decreto:

 a) l’articolo 128, primo comma, dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12;

 b) l’articolo 129 dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni;

 c) l’articolo 129-bis dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, introdotto dall’articolo 16 della legge 13 febbraio 2001, n. 48;

 d) l’articolo 11, comma 5, della legge 13 febbraio 2001, n. 48;

 e) l’articolo 14, commi 2, 3 e 4, della legge 13 febbraio 2001, n. 48;

 f) la legge 30 maggio 1965, n. 579;

 g) l’articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, n. 916, nonchè le disposizioni emanate in attuazione di tale articolo.

 

 

Invariato

Art. 39.

Efficacia

 1. Le disposizioni del presente decreto hanno effetto a decorrere dal novantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

 

 Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

 

 Dato a Roma, addì 30 gennaio 2006

 

 CIAMPI

  Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri

  Castelli, Ministro della giustizia

  Tremonti, Ministro dell’economia e delle finanze

 

Visto, il Guardasigilli: Castelli

Invariato

 

 

Appendice III

 

TABELLA COMPARATIVA DEL TESTO ORIGINALE DEL D.D.L. N. 1447/S/XV

E DEL TESTO DEL MEDESIMO D.D.L.

APPROVATO DALLA COMMISSIONE GIUSTIZIA DEL SENATO,

SUCCESSIVAMENTE APPROVATO COME L. 30 LUGLIO 2007, N. 111

(le modifiche sono evidenziate in neretto;

si riportano esclusivamente le disposizioni attinenti alla Scuola superiore della magistratura)

 

DISEGNO DI LEGGE

N. 1447/S/XV

DISEGNO DI LEGGE

N. 1447/S/XV

D’iniziativa del Governo

Testo approvato dalla Commissione Giustizia del Senato

(conforme a quello della l. 30 luglio 2007, n. 111)

 

—-

Riforma dell’ordinamento giudiziario

Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario

 

 

Art. 3.

Art. 3.

(Modifiche al decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26)

(Modifiche al decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26)

    1. All’articolo 1 del decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26, sono apportate le seguenti modificazioni:

    1. All’articolo 1 del decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26, il comma 5 è sostituito dal seguente:

        a) al comma 2, le parole: «in via esclusiva» sono soppresse;

 

        b) il comma 5 è sostituito dal seguente:

 

    «5. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono individuate tre sedi della Scuola, nonché quella delle tre in cui si riunisce il comitato direttivo preposto alle attività di direzione e di coordinamento delle sedi».

    «5. Identico».

    2. L’articolo 2 del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente:

    2.  Identico:

    «Art. 2. – (Finalità). – 1. La Scuola è preposta:

    «Art. 2. – (Finalità). – 1. Identico:

        a) alla formazione e all’aggiornamento professionale dei magistrati ordinari;

        a)  identica;

        b) all’organizzazione di seminari di aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati e, nei casi previsti dalla lettera o), di altri operatori della giustizia;

        b) all’organizzazione di seminari di aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati e, nei casi previsti dalla lettera n), di altri operatori della giustizia;

        c) alla formazione iniziale e permanente della magistratura onoraria;

        c)  identica;

        d) alla formazione dei magistrati titolari di funzioni direttive e semidirettive negli uffici giudiziari;

        d)  identica;

        e) alla formazione dei magistrati incaricati di compiti di formazione;

        e)  identica;

        f) alla partecipazione alle attività di formazione decentrata;

        f) alle attività di formazione decentrata;

        g) alla formazione, su richiesta del Consiglio superiore della magistratura o del Ministro della giustizia, di magistrati stranieri in Italia o partecipanti all’attività di formazione che si svolge nell’ambito della Rete di formazione giudiziaria europea ovvero nel quadro di progetti dell’Unione europea e di altri Stati o di istituzioni internazionali, ovvero all’attuazione di programmi del Ministero degli affari esteri e al coordinamento delle attività formative dirette ai magistrati italiani da parte di altri Stati o di istituzioni internazionali aventi ad oggetto l’organizzazione e il funzionamento del servizio giustizia;

        g) alla formazione, su richiesta della competente autorità di Governo, di magistrati stranieri in Italia o partecipanti all’attività di formazione che si svolge nell’ambito della Rete di formazione giudiziaria europea ovvero nel quadro di progetti dell’Unione europea e di altri Stati o di istituzioni internazionali, ovvero all’attuazione di programmi del Ministero degli affari esteri e al coordinamento delle attività formative dirette ai magistrati italiani da parte di altri Stati o di istituzioni internazionali aventi ad oggetto l’organizzazione e il funzionamento del servizio giustizia;

        h) alla collaborazione, su richiesta del Consiglio superiore della magistratura o del Ministro della giustizia, nelle attività dirette all’organizzazione e al funzionamento del servizio giustizia in altri Paesi;

        h) alla collaborazione, su richiesta della competente autorità di Governo, nelle attività dirette all’organizzazione e al funzionamento del servizio giustizia in altri Paesi;

        i) alla realizzazione di programmi di formazione in collaborazione con analoghe strutture di altri organi istituzionali o di ordini professionali;

        i)  identica;

        l) alla pubblicazione di ricerche e di studi nelle materie oggetto di attività di formazione;

        l)  identica;

        m) all’organizzazione di conferenze, convegni, incontri e seminari di studio aventi ad oggetto il miglior funzionamento del sistema giustizia;

        m)  all’organizzazione di iniziative e scambi culturali, incontri di studio e ricerca, in relazione all’attività di formazione;

        n) allo svolgimento di attività di ricerca, documentazione e consulenza in relazione al sistema giustizia;

        soppressa

        o) allo svolgimento, anche sulla base di specifici accordi o convenzioni che disciplinano i relativi oneri, di seminari per operatori della giustizia o iscritti alle scuole di specializzazione forense;

        n)  identica;

        p) allo svolgimento delle altre attività che sono richieste dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia;

        soppressa

        q) alla collaborazione alle attività connesse con lo svolgimento del tirocinio dei magistrati ordinari nell’ambito delle direttive formulate dal Consiglio superiore della magistratura e dai consigli giudiziari.

        o) alla collaborazione alle attività connesse con lo svolgimento del tirocinio dei magistrati ordinari nell’ambito delle direttive formulate dal Consiglio superiore della magistratura e tenendo conto delle proposte dei consigli giudiziari.

    2. All’attività di ricerca non si applica l’articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382.

    2. Identico.

    3. L’organizzazione della Scuola è disciplinata dallo statuto e dai regolamenti adottati ai sensi dell’articolo 5, comma 2».

    3. Identico».

    3. All’articolo 3, comma 1, del citato decreto legislativo n. 26 del 2006, la parola: «cinque» è sostituita dalla seguente: «otto».

    3. Identico.

    4. L’articolo 4 del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente:

    4. Identico.

    «Art. 4. – (Organi). – 1. Gli organi della Scuola sono:

 

        a) il comitato direttivo;

 

        b) il presidente;

 

        c) il segretario generale».

 

    5. L’articolo 5 del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente:

    5. Identico:

    «Art. 5. – (Composizione e funzioni). – 1. Il comitato direttivo è composto da dodici membri.

    «Art. 5. – (Composizione e funzioni). – 1. Identico.

    2. Il comitato direttivo adotta lo statuto e i regolamenti interni; cura la tenuta dell’albo dei docenti; adotta, tenuto conto delle linee programmatiche proposte annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, il programma annuale dell’attività didattica; approva la relazione annuale che trasmette al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura; nomina i docenti delle singole sessioni formative, determina i criteri di ammissione ai corsi dei partecipanti e procede alle relative ammissioni; conferisce ai responsabili di settore l’incarico di curare ambiti specifici di attività; nomina il segretario generale; vigila sul corretto andamento della Scuola; approva il bilancio di previsione e il bilancio consuntivo».

    2. Il comitato direttivo adotta lo statuto e i regolamenti interni; cura la tenuta dell’albo dei docenti; adotta e modifica, tenuto conto delle linee programmatiche proposte annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, il programma annuale dell’attività didattica; approva la relazione annuale che trasmette al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura; nomina i docenti delle singole sessioni formative, determina i criteri di ammissione ai corsi dei partecipanti e procede alle relative ammissioni; conferisce ai responsabili di settore l’incarico di curare ambiti specifici di attività; nomina il segretario generale; vigila sul corretto andamento della Scuola; approva il bilancio di previsione e il bilancio consuntivo».

    6. All’articolo 6 del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 sono apportate le seguenti modificazioni:

    6.  Identico:

        a) il comma 1 è sostituito dal seguente:

        a)  identico:

    «1. Dei dodici componenti del comitato direttivo sette sono scelti fra magistrati, anche in quiescenza, che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità, tre fra docenti universitari, anche in quiescenza, e due fra avvocati che abbiano esercitato la professione per almeno dieci anni. Le nomine sono effettuate dal Consiglio superiore della magistratura, in ragione di cinque magistrati e di un docente universitario, e dal Ministro della giustizia, in ragione di due magistrati, di due docenti universitari e di due avvocati, d’intesa tra loro.»;

    «1. Fanno parte del comitato direttivo dodici componenti di cui sette scelti fra magistrati, anche in quiescenza, che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità, tre fra professori universitari, anche in quiescenza, e due fra avvocati che abbiano esercitato la professione per almeno dieci anni. Le nomine sono effettuate dal Consiglio superiore della magistratura, in ragione di sei magistrati e di un professore universitario, e dal Ministro della giustizia, in ragione di un magistrato, di due professori universitari e di due avvocati.»;

        b) il comma 2 è sostituito dal seguente:

        b)  identica;

    «2. I magistrati ancora in servizio nominati nel comitato direttivo sono collocati fuori del ruolo organico della magistratura per tutta la durata dell’incarico.»;

 

        c) al comma 3, le parole: «fatta eccezione per i soggetti indicati al comma 1,» sono soppresse e le parole: «per uditore giudiziario» sono sostituite dalle seguenti: «per magistrato ordinario».

        c)  identica.

    7. All’articolo 7 del citato decreto legislativo n. 26 del 2006, il comma 1 è sostituito dal seguente:

    7.  Identico.

    «1. Il comitato direttivo delibera a maggioranza con la presenza di almeno otto componenti. Per gli atti di straordinaria amministrazione è necessario il voto favorevole di sette componenti. In caso di parità prevale il voto del presidente. Il voto è sempre palese.».

 

 

    8. L’articolo 11 del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 11. – (Funzioni). – 1. Il presidente ha la rappresentanza legale della Scuola ed è eletto tra i componenti del comitato direttivo a maggioranza assoluta. Il presidente presiede il comitato direttivo, ne convoca le riunioni fissando il relativo ordine del giorno, adotta i provvedimenti d’urgenza, con riserva di ratifica se essi rientrano nella competenza di altro organo, ed esercita i compiti attribuitigli dallo statuto.

 

    2. Le modalità di sostituzione del presidente in caso di assenza o impedimento sono disciplinate dallo statuto».

    8. La rubrica della sezione IV del capo II del titolo I del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 è sostituita dalla seguente: «I responsabili di settore».

    9.  Identico.

    9. L’articolo 12 del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente:

    10.  Identico:

    «Art. 12. – (Funzioni). – 1. I componenti del comitato direttivo in posizione di fuori ruolo presso la Scuola svolgono anche i compiti di responsabili di settore, curando, nell’ambito assegnato dallo stesso comitato direttivo:

    «Art. 12. – (Funzioni). – 1. I componenti del comitato direttivo svolgono anche i compiti di responsabili di settore, curando, nell’ambito assegnato dallo stesso comitato direttivo:

        a) la predisposizione della bozza di programma annuale delle attività didattiche, da sottoporre al comitato direttivo, elaborata tenendo conto delle linee programmatiche sulla formazione pervenute dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, nonché delle proposte pervenute dal Consiglio nazionale forense e dal Consiglio universitario nazionale;

        a)  identica;

        b) l’attuazione del programma annuale dell’attività didattica approvato dal comitato direttivo;

        b)  identica;

        c) la definizione del contenuto analitico di ciascuna sessione;

        c)  identica;

        d) l’individuazione dei docenti chiamati a svolgere l’incarico di insegnamento in ciascuna sessione, utilizzando lo specifico albo tenuto presso la Scuola, e la proposta dei relativi nominativi, in numero doppio rispetto agli incarichi, al comitato direttivo;

        d)  identica;

        e) la proposta dei criteri di ammissione alle sessioni di formazione;

        e)  identica;

        f) l’offerta di sussidio didattico e di sperimentazione di nuove formule didattiche;

        f)  identica;

        g) lo svolgimento delle sessioni presentando, all’esito di ciascuna di esse, relazioni consuntive».

        g)  identica».

    10. Dopo la sezione IV del capo II del titolo I del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 è aggiunta la seguente:

    11.  Identico:

«Sezione IV-bis.

«Sezione IV-bis.

IL SEGRETARIO GENERALE

IL SEGRETARIO GENERALE

Art. 17-bis.

Art. 17-bis.

(Segretario generale)

(Segretario generale)

    1. Il segretario generale della Scuola:

    1.  Identico:

        a) è responsabile della gestione amministrativa e coordina tutte le attività della Scuola con esclusione di quelle afferenti alla didattica;

        a)  identica;

        b) provvede all’esecuzione delle delibere del comitato direttivo esercitando anche i conseguenti poteri di spesa;

        b)  identica;

        c) adotta i provvedimenti d’urgenza, con riserva di ratifica se essi rientrano nella competenza di altro organo;

        soppressa

        d) predispone la relazione annuale sull’attività della Scuola;

        c)  identica;

        e) esercita le competenze eventualmente delegategli dal comitato direttivo;

        d)  identica;

        f) esercita ogni altra funzione conferitagli dallo statuto e dai regolamenti interni.

        e)  identica.

Art. 17-ter.

Art. 17-ter.

(Funzioni e durata)

(Funzioni e durata)

    1. Il comitato direttivo nomina il segretario generale, scegliendolo tra quattro magistrati ordinari, due indicati dal Consiglio superiore della magistratura e due dal Ministro della giustizia, tenendo conto dei criteri di valutazione di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 11 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e successive modificazioni; i magistrati ordinari indicati devono aver conseguito almeno la quarta valutazione di professionalità. Al segretario generale si applica l’articolo 6, commi 3, ultima parte, e 4.

    1. Il comitato direttivo nomina il segretario generale, scegliendolo tra i magistrati ordinari ovvero tra i dirigenti di prima fascia di cui all’articolo 23 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. I magistrati ordinari devono aver conseguito la quarta valutazione di professionalità. Al segretario generale si applica l’articolo 6, commi 3, nella parte in cui si prevede il divieto di far parte delle commissioni di concorso per magistrato ordinario, e 4.

    2. Il segretario generale dura in carica cinque anni, durante i quali è collocato fuori dal ruolo organico della magistratura.

    2. Il segretario generale dura in carica cinque anni durante i quali, se magistrato, è collocato fuori dal ruolo organico della magistratura.

    3. L’incarico può essere rinnovato per una sola volta per un periodo massimo di due anni e può essere revocato dal comitato direttivo, con provvedimento motivato adottato previa audizione dell’interessato, nel caso di grave inosservanza delle direttive e degli indirizzi stabiliti dal comitato stesso».

    3. L’incarico, per il quale non sono corrisposti indennità o compensi aggiuntivi, può essere rinnovato per una sola volta per un periodo massimo di due anni e può essere revocato dal comitato direttivo, con provvedimento motivato adottato previa audizione dell’interessato, nel caso di grave inosservanza delle direttive e degli indirizzi stabiliti dal comitato stesso».

    11. La rubrica del titolo II del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 è sostituita dalla seguente: «Disposizioni sui magistrati ordinari in tirocinio».

    12.  Identico.

    12. L’articolo 18 del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente:

    13.  Identico:

    «Art. 18. – (Durata). – 1. Il tirocinio dei magistrati ordinari nominati a seguito di concorso per esame, di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e successive modificazioni, ha la durata di diciotto mesi e si articola in sessioni, una delle quali della durata di sei mesi, anche non consecutivi, effettuata presso la Scuola ed una della durata di dodici mesi, anche non consecutivi, effettuata presso gli uffici giudiziari. Le modalità di svolgimento delle sessioni del tirocinio sono definite con delibera del Consiglio superiore della magistratura.

    «Art. 18. – (Durata). – 1. Identico».

    2. Con la delibera di cui al comma 1 il Consiglio superiore della magistratura può ridurre la durata del tirocinio fino alla metà in presenza di particolare urgenza nella copertura di posti vacanti negli uffici giudiziari. In tal caso adotta i provvedimenti necessari per ottimizzare l’articolazione del tirocinio alla minore durata».

    Soppresso

    13. L’articolo 20 del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente:

    14.  Identico:

    «Art. 20. – (Contenuto e modalità di svolgimento). – 1. Nella sessione effettuata presso le sedi della Scuola, i magistrati ordinari in tirocinio frequentano corsi di approfondimento teorico-pratico su materie individuate dal Consiglio superiore della magistratura con le delibere di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 18, nonché su ulteriori materie individuate dal comitato direttivo nel programma annuale. La sessione presso la Scuola deve in ogni caso tendere al perfezionamento delle capacità operative e professionali, nonché della deontologia del magistrato ordinario in tirocinio.

    «Art. 20. – (Contenuto e modalità di svolgimento). – 1. Nella sessione effettuata presso le sedi della Scuola, i magistrati ordinari in tirocinio frequentano corsi di approfondimento teorico-pratico su materie individuate dal Consiglio superiore della magistratura con le delibere di cui al comma 1 dell’articolo 18, nonché su ulteriori materie individuate dal comitato direttivo nel programma annuale. La sessione presso la Scuola deve in ogni caso tendere al perfezionamento delle capacità operative e professionali, nonché della deontologia del magistrato ordinario in tirocinio.

    2. I corsi sono tenuti da docenti di elevata competenza e professionalità, nominati dal comitato direttivo al fine di garantire un ampio pluralismo culturale e scientifico.

    2.  Identico.

    3. Tra i docenti sono designati i tutori che assicurano anche l’assistenza didattica ai magistrati ordinari in tirocinio.

    3.  Identico.

    4. Al termine delle sessioni presso la Scuola, il comitato direttivo trasmette al Consiglio superiore della magistratura una scheda concernente, per ogni magistrato, il programma delle attività cui ha partecipato, l’assiduità e la puntualità nella frequenza delle lezioni, le eventuali pubblicazioni o elaborati prodotti durante i corsi e i comportamenti specifici rilevanti sotto il profilo della deontologia professionale».

    4. Al termine delle sessioni presso la Scuola, il comitato direttivo trasmette al Consiglio superiore della magistratura una relazione concernente ciascun magistrato».

    14. All’articolo 21 del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 sono apportate le seguenti modificazioni:

    15.  Identico:

        a) la parola: «uditore», ovunque ricorra, è sostituita dalle seguenti: «magistrato ordinario in tirocinio»;

        a)  identica;

        b) al comma 1, dopo la parola: «collegiale» sono inserite le seguenti: «e monocratica»;

        b) al comma 1, le parole: «della durata di sette mesi» sono sostituite dalle seguenti: «della durata di quattro mesi»; dopo la parola «collegiale» sono inserite le seguenti: «e monocratica»; le parole: «della durata di tre mesi» sono sostituite dalle seguenti: «della durata di due mesi»; le parole: «della durata di otto mesi» sono sostituite dalle seguenti: «della durata di sei mesi»;

        c) al comma 2, le parole: «di gestione» sono sostituite dalla seguente: «direttivo» e le parole: «civile e penale» sono sostituite dalle seguenti: «civile, penale e dell’ordinamento giudiziario»;

        c)  identica;

        d) il comma 3 è sostituito dal seguente:

        d)  identica;

    «3. I magistrati affidatari presso i quali i magistrati ordinari svolgono i prescritti periodi di tirocinio sono designati dal Consiglio superiore della magistratura, su proposta del competente consiglio giudiziario.»;

 

        e) al comma 4, le parole: «di gestione» sono sostituite dalle seguenti: «direttivo ed al Consiglio superiore».

        e)  identica.

    15. All’articolo 22 del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 sono apportate le seguenti modificazioni:

    16.  Identico:

        a) le parole: «uditore» e «uditore giudiziario», ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: «magistrato ordinario in tirocinio»;

        a)  identica;

        b) il comma 1 è sostituito dal seguente:

        b) identico:

    «1. Al termine del tirocinio sono trasmesse al Consiglio superiore della magistratura le schede di valutazione redatte all’esito delle sessioni.»;

    «1. Al termine del tirocinio sono trasmesse al Consiglio superiore della magistratura le schede di valutazione redatte all’esito delle sessioni unitamente ad una relazione di sintesi predisposta dal comitato direttivo della Scuola.»;

        c) il comma 2 è sostituito dal seguente:

        c) identico:

    «2. Il Consiglio superiore della magistratura opera il giudizio di idoneità al conferimento delle funzioni giudiziarie, tenendo conto delle schede di valutazione trasmesse dal comitato direttivo, del parere del consiglio giudiziario e di ogni altro elemento rilevante ed oggettivamente verificabile eventualmente acquisito. Il giudizio di idoneità, se positivo, contiene uno specifico riferimento all’attitudine del magistrato allo svolgimento delle funzioni giudicanti o requirenti.»;

    «2. Il Consiglio superiore della magistratura opera il giudizio di idoneità al conferimento delle funzioni giudiziarie, tenendo conto delle schede di valutazione trasmesse dal comitato direttivo, della relazione di sintesi dal medesimo predisposta, del parere del consiglio giudiziario e di ogni altro elemento rilevante ed oggettivamente verificabile eventualmente acquisito. Il giudizio di idoneità, se positivo, contiene uno specifico riferimento all’attitudine del magistrato allo svolgimento delle funzioni giudicanti o requirenti.»;

        d) al comma 3, le parole: «di gestione» sono sostituite dalla seguente: «direttivo»;

        d)  identica;

        e) al comma 4, dopo la parola: «collegiale» sono inserite le seguenti: «e monocratica»; le parole: «i tribunali», ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: «il tribunale» e le parole: «le procure della Repubblica» sono sostituite dalle seguenti: «la procura della Repubblica».

        e)  identica.

    16. L’articolo 23 del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente:

    17.  Identico.

    «Art. 23. – (Tipologia dei corsi). – 1. Ai fini della formazione e dell’aggiornamento professionale, nonché per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa e per lo svolgimento delle funzioni direttive, il comitato direttivo approva annualmente, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, il piano dei relativi corsi nell’ambito dei programmi didattici deliberati, tenendo conto della diversità delle funzioni svolte dai magistrati».

 

    17. All’articolo 24 del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 sono apportate le seguenti modificazioni:

    18.  Identico.

        a) al comma 1, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, individuati nell’albo esistente presso la Scuola. Lo statuto determina il numero massimo degli incarichi conferibili ai docenti anche tenuto conto della loro complessità e onerosità. L’albo è aggiornato annualmente dal comitato direttivo in base alle nuove disponibilità fatte pervenire alla Scuola e alla valutazione assegnata a ciascun docente tenuto conto anche del giudizio contenuto nelle schede compilate dai partecipanti al corso»;

 

        b) al comma 2, le parole: «di gestione» sono sostituite dalla seguente: «direttivo»;

 

        c) dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:

 

    «2-bis. Il comitato direttivo e i responsabili di settore, secondo le rispettive competenze, usufruiscono delle strutture per la formazione decentrata eventualmente esistenti presso i vari distretti di corte d’appello per la realizzazione dell’attività di formazione decentrata e per la definizione dei relativi programmi.».

 

    18. L’articolo 25 del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente:

    19.  Identico:

    «Art. 25. – (Obbligo di frequenza). – 1. Tutti i magistrati in servizio hanno l’obbligo di partecipare almeno una volta ogni quattro anni ad uno dei corsi di cui all’articolo 24, fatto salvo quanto previsto dal comma 4.

    «Art. 25. – (Obbligo di frequenza). – 1. Tutti i magistrati in servizio hanno l’obbligo di partecipare almeno una volta ogni quattro anni ad uno dei corsi di cui all’articolo 24, individuato dal consiglio direttivo in relazione alle esigenze professionali, di preparazione giuridica e di aggiornamento di ciascun magistrato e tenuto conto delle richieste dell’interessato, fatto salvo quanto previsto dal comma 4.

    2. La partecipazione ai corsi è disciplinata dal regolamento adottato dalla Scuola.

    2.  Identico.

    3. Il periodo di partecipazione all’attività di formazione indicata nel comma 2 è considerato attività di servizio a tutti gli effetti.

    3.  Identico.

    4. Nei primi quattro anni successivi all’assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati devono partecipare almeno una volta l’anno a sessioni di formazione professionale».

    4.  Identico».

 

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[1] Sul tema della formazione del giurista in generale e dell’avvocato in particolare cfr., tra i tanti contributi (ovviamente, oltre a quelli che verranno citati infra, in relazione a singoli profili), Pisani Massamormile, La legge professionale forense e l’esigenza di formazione dell’avvocato, in Giur. it., 1990, IV, c. 1 ss.; A. Padoa Schioppa, Per una riforma degli studi universitari di giurisprudenza in Italia, in Foro it., 1991, V, c. 517 ss.; Consolo e Mazzarolli, La formazione dell’avvocato. L’Università, in Giur. it., 1993, IV, c. 381 ss.; Franchini, La formazione professionale e scientifica nell’Università, in Dir. e società, 1993, p. 363 ss.; Padoa Schioppa, Il modello dell’ insegnamento del diritto in Italia, in Foro it., 1995, V, c. 413 ss.; Spantigati, La formazione del giurista strumentale alla costruzione del «sistema», in Pol. dir., 1997, p. 125 ss.; Donati, Storicismo e antistoricismo nella formazione del giurista, in Jus, 1998, p. 307 ss.; Mariani Marini, I problemi irrisolti della formazione comune tra avvocati e magistrati, in Rass. forense, 1998, p. 827 ss.; Padoa Schioppa, Una formazione professionale unitaria per superare le diffidenze tra le categorie, in Guida al Diritto, Il Sole 24 ore, 1998, n. 42, p.11, ss.;  Alpa, L’accesso alla professione forense: nuove prospettive per l’avvocatura, in Nuova giur. civ. comm., 1999, II, p. 193 ss.; Dogliani e Sicardi, La riforma degli ordinamenti didattici e il diritto costituzionale, in Quaderni costituz., 1999, p. 563 ss.; Mariani Marini, Una formazione a servizio dell’avvocatura per governare le trasformazioni in atto, in Guida al Diritto, Il Sole 24 ore, 1999, n. 9, p. 11, ss.; Mariani Marini, Tradizione e innovazione nella formazione dell’avvocato, in Rass. forense, 1999, p. 47 ss.; Moccia, La formazione dell’«avvocato europeo»: questioni e risposte di prospettiva, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, p. 567 ss.; Mariani Marini, Agli antipodi dell’azzeccagarbugli (un modello formativo per l’avvocatura), in Rass. forense, 2000, p. 501 ss.; Fragola, Prime riflessioni sulle nuove lauree universitarie, in Riv. giur. scuola, 2001, p. 3 ss.; Pascuzzi, La formazione del giurista: il ruolo dell’informatica, in Dir. e formazione, 2002, p. 287 ss.; Danovi, Le iniziative del C.C.B.E. per la formazione dell’avvocato in Europa: analisi e proposte, in Dir. e formazione, 2002, p. 293 ss.; Ranieri, Giuristi per l’Europa: come fare e come non fare una riforma degli studi di diritto in Italia, disponibile al sito web seguente: http://www.jura.uni-sb.de/projekte/Bibliothek/text.php?id=296. Per una panoramica sulla legal education oltre Oceano cfr. Levine, Legal Education, New York, 1993; v. inoltre la ricca bibliografia in Carrick e Walters,  A Bibliography of United States Legal Education: From Litchfield to Lexis, Buffalo, 2003. Sulla questione specifica della comparazione tra il sistema italiano e quello tedesco di formazione e di tirocinio professionale dei giuristi v. infine l’interessante e sempre attuale studio di Cappelletti, Studio del diritto e tirocinio professionale in Italia e Germania, Milano, 1957.

[2] «In mente iudicis debent esse duo sales, scilicet sal scientiae, alias est insipida et sal securae conscientiae, alias est diabolica» (Baldo degli Ubaldi, Commentaria in vj, vjj, vjj, vjjj, jx, x et xj Codicis lib., Venetiis, 1572, f. 274). L’argomento troverà un’eco nelle opere di svariati dottori del diritto comune, da Aimone Cravetta (Cravetta, Tractatus de antiquitate temporis, Venetiis, 1576, f. 12) a Giovanni da Nevizzano (Nevizzano, Sylvae nuptialis libri sex, Lugduni, 1592, p. 532) a Giacomo Menochio (Menochio, De arbitrariis iudicum, Francofurti ad Moenum, 1576, f. 279).

[3] ab Ecclesia, Observationes forenses Sacri Senatus Pedemontani, I, Parmae, 1727, p. 2. Si noti però che non facevano difetto, presso i dottori del diritto comune, opinioni secondo le quali il giudice avrebbe potuto anche essere imperitus. Si potrà ricordare al riguardo l’avviso del Cardinal De Luca (cfr. De Luca, Theatrum veritatis et justitiae, XV, De judiciis, Venetiis, 1706, p. 205), secondo cui «Juris imperitus Judex esse non prohibetur; sub ea tamen lege, ut jurisperitum in consiliarium assumat, vel assessorem». La questione appare del resto in qualche modo legata al tema della motivazione delle sentenze in diritto comune (sull’argomento cfr. Oberto, La motivazione delle sentenze civili in Europa: spunti storici e comparatistici, articolo disponibile al seguente sito web: http://utenti.lycos.it/giacomo305604/csm2004/sommario.htm; in particolare si v. il cap. I, § 2), che gli studiosi dell’epoca ritenevano non solo non necessaria, ma addirittura da evitarsi, per non correre il rischio che l’indicazione di una falsa causa potesse inficiare la validità di una decisione eventualmente giusta, onde si riteneva ad esempio possibile che il giudice effettuasse una mera relatio al parere di un giurisperito, seguita dalla seguente dicitura: «Nos talis iudex, etc., sententiamus, et pronunciamus, prout in suprascripto consilio continetur», apponendo quindi la propria firma, alias nulla esset sententia, come attestato, ad esempio, dal venosino Roberto Maranta nella sua celeberrima praxis civilis. L’Autore (cfr. Maranta, Speculum aureum. et lumen advocatorum praxis civilis, Venetiis, 1578, f. 104) notava in proposito, non senza una certa dose di disprezzo nei riguardi dei giudici del tempo, che «Quotidie evenit, maxime in curiis, in quibus sunt isti officiales idiotae, qui ferunt sententias de consilio iurisperiti, et solum legunt consilium (…), quod non est sententia unde poteris opponere et impedire executionem. Et ego bis obtinui. non sunt multi dies, quibus impedivi duas executiones per dictam oppositionem unde sint cauti iudices idiotae ut in calce consilii faciant scribi: Nos talis iudex, etc., sententiamus, et pronunciamus, prout in suprascripto consilio continetur».

[4] Domat, Le droit public, suite des loix civiles dans leur ordre naturel, in Les loix civiles dans leurs ordre naturel, II, Paris, 1756, p. 167.

[5] L’affermazione precede di oltre due secoli quella di Lord Denning, secondo cui «The law is a science that requires long study and experience before a man attains proficiency in it» (Lord A. Denning, The Road to Justice, London, 1955, p. 24).

[6] «L’essentiel est de vous former d’abord un plan général des études que vous êtes sur le point d’entreprendre ; de suivre ce plan avec ordre et avec fidélité, et sur-tout de ne point vous effrayer de son étendue. Ce n’est pas ici l’ouvrage d’un jour, ni même d’une année ; mais quelque long qu’il puisse être, si vous êtes exact à en exécuter tous les jours une partie, vous serez comme ceux qui dans les travaux qu’ils font faire, suivent toujours un bon plan sans jamais en changer. Comme ils ne perdent point de temps, ils mettent à profit toute la dépense qu’ils font. Insensiblement l’édifice s’éleve, les ouvrages s’avancent ; et quelque lent qu’en soit le progrès, on arrive toujours à la fin qu’on se propose, pourvû que l’on marche constamment sur la même ligne, et qu’on ne perde jamais de vûe le plan qu’on s’est une fois formé» (D’Aguesseau, Instructions sur les études propres à former un magistrat, in Œuvres de M. le Chancelier D’Aguesseau, I, Paris, 1759, p. 258 ss.; il brano citato reca la data del 27 settembre 1716).

[7] Non è certo un caso che le Instructions sur les études propres à former un magistrat fossero indirizzate al Fils aîné dello stesso Cancelliere.

[8] «The prophecies of what the courts will do in fact, and nothing more pretentious, are what I mean by the law» (Holmes, Collected Legal Papers, 1921, p. 173; la frase citata risale al 1897). Holmes fu il capofila della scuola definita degli American Realists, per i quali il diritto sarebbe stato semplicemente «what the courts will do in fact» (sul punto v. Seagle, The Quest for Law, New York, 1941, p. 17 s., 376 s., nota 32; per una tesi analoga a quella di Holmes v. anche Cardozo, The Growth of the Law, New Haven, 1924, p. 43 ss.), posizione, questa, aspramente criticata, per esempio, da Hermann Kantorowicz, il quale umoristicamente osservava che, così stando le cose, la funzione delle facoltà giuridiche avrebbe dovuto essere quella «to train men like Mr. Sherlock Holmes rather than Mr. Justice Holmes» (Kantorowicz, in Yale Law Journal, Vol. XLIII, 1934, p. 1252; per una critica delle tesi di Holmes e di Cardozo v. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello stato, Milano, 1952, p. 171; sul tema cfr. anche Cordero, Riti e sapienza del diritto, Bari, 1985, p. 543 ss.; sui rapporti tra giurimetria e judicial predicting cfr. Taddei Elmi, Corso di informatica giuridica, Napoli, 2000, p. 11 s.).

[9] Si pensi a concetti quali «buona fede», «diligenza», «ordine pubblico», «buon costume» (v. artt. 1175, 1176, 1343, 1375 c.c.; 1133 e 1134 Code Napoléon; §§ 138 e 242 BGB; sul tema delle clausole generali v., anche per i rinvii, Mengoni, Problema e sistema nella controversia sul metodo giuridico, in Diritto e valori, Bologna, 1985, p. 18 s.).

[10] Cfr. le Sections 21, 24 e 35 (1) del Matrimonial Causes Act (1973). Su questo tema specifico v. Salter e Jeavons, Humphreys’ Matrimonial Causes, London, 1989, p. 246 ss. Nel senso che la giurisprudenza tedesca interpreta il concetto di Treu und Glauben di cui al § 242 BGB come una norma che fornisce al giudice il potere di scoprire lacune nella legge e di colmarle con il ricorso a giudizi di valore extrapositivi (cfr. Rüters, Die unbegrenzte Auslegung. Zum Wandel der Privatrechtsordnung im Nazionalsozialismus, Frankfurt a.M., 1973, p. 48 ss.) e lo stesso è certamente a dirsi per la Sittenwidrigkeit di cui al § 138 BGB. Si noti che, per curiosa (ma non certo casuale) coincidenza, tanto il BVG che il BGH sono pervenuti, in tempi relativamente recenti, ad affermare la possibilità per il giudice di intervenire, a determinate condizioni, sul contenuto di un Ehevertrag, proprio in base al citato principio di contrarietà ai «buoni costumi» (sul punto v. amplius Oberto, Contratto e famiglia, in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di Roppo, VI, Interferenze, a cura di Roppo, Milano, 2006, p. 267 ss.).

[11] «Aristoteles Peripateticae, ac communis denique Philosophiae principes, Rhetoricorum primo scriptum reliquit: illas leges optime constitutas esse, quae in omnibus, qui incidere possunt casibus sancitae sunt: quaeque paucissima Iudicis arbitrio reliquerunt» (Menochio, op. cit., f. 1); «Iudices tamen plerique tali arbitrio abutuntur ob id relinqui debet arbitrio iudicis minus, quam sit possibile» (Cravetta, op. cit., f. 110). Del resto, già Bartolo da Sassoferrato osservava che il giudice «debet servare aequitatem in his, quae suo arbitrio committuntur, in his vero, quae a lege sunt decisa debet legis decisionem servare» (Bartolo da Sassoferrato, Commentaria, VII, In Primam Codicis Partem, Venetiis, 1602, f. 26).

[12] «Il re vuole (...) che il linguaggio del magistrato sia il linguaggio delle leggi, che egli parli allorché esse parlano e si taccia allorché esse non parlano o almeno non parlano chiaro». Questo auspicio, espresso oltre due secoli fa da Gaetano Filangieri (Filangieri, Riflessioni politiche sull’ultima legge del nostro sovrano che riguarda l’amministrazione della giustizia, in La scienza della legislazione e gli opuscoli scelti, Livorno, 1826-1827, p. 350; Gaetano Filangieri, nato nel 1752, morì nel 1788; La scienza della legislazione fu pubblicata tra il 1780 e il 1785), non è che il riflesso dell’illusione – propria al secolo dei Lumi – secondo cui un sistema complesso, quale quello delle moderne legislazioni, potrebbe e dovrebbe esprimersi attraverso leggi sempre chiare, semplici e comprensibili da parte di ogni cittadino. Tra i tanti esempi v. Beccaria, Dei delitti e delle pene, IV, Interpretazione Delle Leggi (in Beccaria, Dei delitti e delle pene, a cura di Piero Calamandrei, Firenze, 1945, p. 174 ss.; l’opera venne pubblicata per la prima volta nel 1764): «In ogni delitto si deve fare dal giudice un sillogismo perfetto; la [premessa] maggiore dev’essere la legge generale; la minore, l’azione conforme, o no, alla legge; la conseguenza, la libertà o la pena. Quando il giudice sia costretto, o voglia fare anche soli due sillogismi, si apre la porta all’incertezza. Non v’è cosa più pericolosa di quell’assioma comune, che bisogna consultare lo spirito della legge. Questo è un argine rotto al torrente delle opinioni. Questa verità, che sembra un paradosso alle menti volgari, più percosse da un picciol disordine presente, che dalle funeste ma rimote conseguenze che nascono da un falso principio radicato in una nazione, mi sembra dimostrata. (…) Un disordine che nasce dalla rigorosa osservanza della lettera di una legge penale, non è da mettersi in confronto co’ disordini che nascono dalla interpretazione. Un tale momentaneo inconveniente spinge a fare la facile e necessaria correzione alle parole della legge, che sono la cagione dell’incertezza; ma impedisce la fatale licenza di ragionare, da cui nascono le arbitrarie e venali controversie. Quando un codice fisso di leggi, che si debbono osservare alla lettera, non lascia al giudice altra incombenza, che di esaminare le azioni de’ cittadini, e giudicarle conformi o difformi alla legge scritta; quando la norma del giusto o dell’ingiusto, che deve diriger le azioni sì del cittadino ignorante, come del cittadino filosofo, non è un affare di controversia, ma di fatto: allora i sudditi non sono soggetti alle piccole tirannie di molti, tanto più crudeli, quanto è minore la distanza fra chi soffre e chi fa soffrire (…). Così acquistano i cittadini quella sicurezza di loro stessi, che è la giusta, perché è lo scopo per cui gli uomini stanno in società» (sul tema qui in discussione v. inoltre G. Zagrebelsky, Ordinamenti giuridici pluralistici ed applicazione automatica della legge, in Informatica e attività giuridica, Atti del 5° Congresso Internazionale, a cura di Fanelli e Giannantonio, Roma, 3-7 maggio 1993, I, Roma, 1994, p. 273 ss.; Id., Il diritto mite, Torino, 1992, p. 20 ss.; sull’argomento della discrezionalità del giudice e dei suoi rapporti con le fonti normative cfr. Barak, Judicial Discretion, ed. italiana dal titolo La discrezionalità del giudice, Milano, 1995, passim).

[13] Se i giudici di merito, invero, fossero autorizzati ad astenersi dall’emettere il proprio giudizio per via dell’oscurità della legge applicabile, sarebbero sollevati da gran parte del loro lavoro; i magistrati della Corte di cassazione, dal canto loro, rischierebbero di trovarsi puramente e semplicemente… disoccupati. Sarà interessante rimarcare come questa consapevolezza fosse già chiaramente espressa in svariate opere degli antichi civilisti e canonisti; si veda al riguardo cosa osserva, per esempio, Prospero Fagnani (Fagnani, De opinione probabili, Romae, 1665, p. 167 s.): «ubi sunt opiniones discordes, Iudex tenetur sequi communem (…) rursus in dubiis praeferendum quod benignius est, quod verisimilius, quod plerumque fieri solet. l. Semper in dubiis, l. In obscuris, et l. Quoties idem, ff. De regu. iur. Et quamplures aliae his consimiles, quae compendiose recensentur a Matth. Matthesil. in d. opusc. Electionis verioris opinionis inter tractatus communes. Sed huiusmodi regulae funditus everterentur, et frustra legislatores in iis praescribendis tantopere laborassent, si pro cuiusque abirtratu liceret sequi quamcumque opinionem probabilem. Et tamen ut Ambros. ait in c. Iudicet, 3. qu. 7 [Bonus Iudex nihil ex arbitrio suo facit, et domesticae proposito voluntatis, sed iuxta leges, et iura pronunciat.] Quod adeo verum est, ut Matth. Matthesil. ubi sup. num. 10. Si res prorsus ambigua sit, censeat aut Principem esse consulendum, aut omnino abstinendum  a consilio, et iudicio: sed si omnino, inquit, sunt penitus paria, quod raro accidit, dimittas consulere cum sigillo in tali dubio, et si sis Iudex, neutram opinionem sequaris». Proprio per evitare tali conseguenze il Code Napoléon – dando prova d’un realismo (o, se si preferisce, d’un cinismo) proprio di ogni moderna legislazione – abbandonò su questo punto l’illusione del secolo che s’era appena concluso, stabilendo solennemente che «Le juge qui refusera de juger, sous prétexte du silence, de l’obscurité ou de l’insuffisance de la loi, pourra être poursuivi comme coupable de déni de justice» (art. 4); sul tema si veda il parere espresso da Portalis durante la seduta del Consiglio di Stato del 14 Termidoro anno IX sul Titolo preliminare del codice civile: «... le cours de la justice serait interrompu, s’il n’était permis aux juges de prononcer que lorsque la loi a parlé. Peu de causes sont susceptibles d’être décidées d’après une loi, d’après un texte précis : c’est par les principes généraux, par la doctrine, par la science du droit, qu’on a toujours prononcé sur la plupart des contestations. Le Code civil ne dispense pas de ces connaissances ; au contraire il les suppose» (cfr. Jouanneau e Solon, Discussions du Code civil dans le Conseil d’Etat, I, Paris, 1805).

[14] «Wir wissen, daß nicht nur Generalklauseln, sondern eine Vielzahl von unbestimmten Rechtsbegriffen die eigentliche Normsetzung auf den Richter delegieren oder doch semantische Spielräume eröffnen, die nicht nur die eine richtige Ent­scheidung erkennen lassen. Richterliches Entscheiden ist nicht nur Erkenntnis, sondern immer auch Rechtsgewinnung» (Limbach, »In Namen des Volkes« - Richterethos in der Demokratie, in Deutsche Richterzeitung, 1995, p. 428).

[15] La pertinente immagine è proposta da Garapon, Del giudicare. Saggio sul rituale giudiziario, Ed. italiana, Milano, 2007, p. 276.

[16] Per una storia dei sistemi giudiziari europei si veda Meyer, Esprit, origine et progrès des institutions judiaciaires des principaux pays de l’Europe, Parte antica, I, l’Aia, 1818; Parte moderna, II, Parigi 1819; Parte moderna, V, Amsterdam, 1822. Per un moderno approccio comparativo ai moderni sistemi di reclutamento, nomina e formazione dei magistrati nei Paesi aderenti all’Unione internazionale dei magistrati, cfr. Aa. Vv., Traité d’organisation judiciaire comparée, I, Zurigo-Bruxelles, 1999; Oberto, Recrutement et formation des magistrats en Europe. Etude comparative, Strasbourg, 2003, passim; Id., Magistrati. Reclutamento e formazione. Studio comparato fra sistemi europei, Collana «Inchieste e proposte», diretta da Giuseppe Salerno, n. 37, Roma, 2003, passim. Su questi temi si vedano inoltre: Borgna e Cassano, Il giudice e il principe. Magistratura e potere politico in Italia e in Europa, Roma, 1997, p. 107 ss.; Oberto, Verardi e Viazzi, Il reclutamento e la formazione professionale dei magistrati in Italia e in Europa, in Aa. Vv., L’esame di uditore giudiziario, Milano, 1997, p. 41 ss. Per un’illustrazione più recente dei sistemi giudiziari europei, cfr. l’opera a cura del Consiglio d’Europa dal titolo L’Europe judiciaire, Strasburgo, 2000 (il libro contiene anche informazioni sul reclutamento e la formazione dei magistrati relative ad alcuni Paesi europei); sullo stesso argomento cfr. anche Council of Europe/Conseille de l’Europe, La formation des juges et des magistrats du parquet en Europe, Atti della riunione multilaterale organizzata dal Consiglio d’Europa in collaborazione con il Centro studi giudiziari di Lisbona (Lisbona 27-28 aprile 1995), Strasbourg, 1996. Sulle specificità del reclutamento dei magistrati italiani cfr. Oberto, Recrutement, formation et carrière des magistrats en Italie (articolo disponibile dal 29 giugno 1999 alla seguente pagina web:

 https://www.giacomooberto.com/tbilissi.htm); Id., Recrutement, formation et carrière des magistrats dans le système juridique et constitutionnel italien, in Aa. Vv., Que formação para os magistrados hoje?, Lisbona, 2000, p. 185-209 (articolo disponibile dal 25 gennaio 2000 alla seguente pagina web: https://www.giacomooberto.com/portugal/rapport.htm); Id., L’autonomie de la justice dans sa gestion: l’expérience italienne (articolo disponibile dal 9 novembre 2000 alla seguente pagina web: https://www.giacomooberto.com/download/rapportzurich.pdf); Id., Recrutement et formation des magistrats: le système italien dans le cadre des principes internationaux sur le statut des magistrats et l’indépendence du pouvoir judiciaire, in Riv. Dir. priv., 2001, p. 717 ss.; Bartole, Per una valutazione comparativa dell’ordinamento del potere giudiziario nei Paesi dell’Europa continentale, in Studium juris, 1996, p. 531 ss.; Caianiello, Formazione e selezione dei giudici in un’ipotesi comparativa, in Giur. it., 1998, p. 387 ss. Per una prospettiva comparata dei sistemi giudiziari di alcuni Paesi dell’Europa continentale e orientale, entrati nel 2004 a far parte dell’Unione Europea, si veda l’opera dell’Open Society Institute/Eu Accession, Monitoring Programme, Monitoring the EU Accession Process: Judicial Independence, Budapest, 2001 (il libro è disponibile gratuitamente anche alla seguente pagina web: http://www.eumap.org/reports); cfr, infine: Phare Orizontal Program on Justice and Home Affairs, Reinforcement of the Rule of Law, Nimega, 2002.

I sistemi di reclutamento dei magistrati si possono astrattamente classificare in quattro fondamentali categorie, la prima delle quali consiste nel reclutare i magistrati facendoli selezionare dal potere esecutivo o da quello legislativo: in questo caso, se – per un verso – la legittimità del giudice ne risulta rafforzata, vi sono – per altro verso – per la magistratura evidenti rischi di forte dipendenza dagli altri poteri, nonché dal contesto politico. L’elezione da parte del corpo elettorale è il metodo che conferisce ai giudici il più elevato livello di legittimazione, quello direttamente proveniente dal popolo. Questo sistema costringe, tuttavia, il giudice a organizzare una campagna elettorale umiliante e, a volte, demagogica, con l’inevitabile supporto finanziario di un partito politico che, prima o poi, potrebbe richiedere la restituzione del favore. Inoltre, il giudice può essere tentato di piegare i suoi giudizi nel senso del proprio elettorato. La cooptazione da parte della stessa magistratura offrirebbe il vantaggio di potere scegliere giudici tecnicamente preparati, ma vi è un forte rischio di conservatorismo e di preferenze in base all’amicizia. Infine, la scelta da parte di una commissione di magistrati e di docenti di diritto (scelti, preferibilmente, da un organo indipendente e rappresentativo dei magistrati), effettuata tramite un concorso pubblico in base a criteri oggettivi e attraverso procedure trasparenti, costituisce il sistema in grado di garantire nel modo migliore una selezione esclusivamente fondata sul merito e sulle attitudini professionali dei nuovi magistrati. Tutti e quattro sistemi appena enunciati sono noti e praticati attualmente nel mondo, con molteplici varianti. Tale varietà è presente anche in Europa, dove si conoscono probabilmente tutte le forme immaginabili di selezione dei candidati alla funzione di giudice, compresa, ad esempio, l’elezione da parte del popolo, praticata in alcuni cantoni svizzeri (sul tema per approfondimenti si rinvia a Oberto, Recrutement et formation des magistrats en Europe. Etude comparative, cit., p. 11 ss.).

[17] Questo processo è cominciato con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni unite nel 1948, che all’art. 10 prevede: «ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata imparzialmente,pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente ed imparziale». Lo stesso principio è stato espresso dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottoscritta a Roma nel 1950 (art. 6), così come nella Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, del 1966 e nella Risoluzione del Parlamento europeo sul rapporto annuale relativo al rispetto dei diritti dell’uomo nell’Unione Europea (1988 e 1999) (11350/1999 – C5-0265/1999 – 199/2001 [INI]), adottata il 19 marzo 2000 (che «raccomanda agli Stati membri di garantire l’indipendenza dei giudici e dei tribunali in rapporto al potere esecutivo e di fare in modo che la nomina del personale di questi ultimi non sia motivata da ragioni politiche»). Infine, anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, adottata a Nizza il 7 dicembre 2000, all’art. 47 («Diritto a un effettivo ricorso e ad accedere a un tribunale imparziale», 2° capoverso), stabilisce, peraltro in conformità con l’art. 6 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, che «ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata in modo equo, pubblicamente ed entro un ragionevole intervallo di tempo, da un tribunale indipendente e imparziale, precostituito per legge».

[18] Tra i quali andrà in primo luogo menzionata l’Unione Internazionale dei Magistrati, la cui Prima Commissione di Studio ha elaborato una serie di risoluzioni in tema di ordinamento giudiziario, nell’ambito delle quali potranno ricordarsi quelle del 1996 in tema di reclutamento e formazione dei magistrati.

[19] Il cui testo è disponibile al sito web seguente: http://www.iaj-uim.org/ENG/07.html.

[20] Sul ruolo svolto in questo campo dal Consiglio d’Europa cfr. ad esempio Piana, Reforms and judicial cooperation in the European policy of promotion of the “rule of law”. A comparative analysis of new members, disponibile alla pagina web seguente: http://www.eumap.org/journal/submitted/piana.pdf; Ead., Training judges “à la française”. The logic of domestic actors in the transfer of a French model of judicial training towards new European members, paper presentato alle ECPR Joint Sessions, Nicosia Cyprus, 26-28 April 2006, ove l’Autrice rimarca, tra l’altro, che «For sure the Council of Europe does not provide any binding mechanism to enforce the soft law that is created within the intergovernmental committees. Notwithstanding, it is enabled to make pressure on the national governments to adopt policies of judicial education which are in tune with its standards. This holds a fortiori for new democracies. For them, the legitimacy of a democratic judiciary is also linked to the training of judges, which are expected to be socialised to a liberal legal culture. Therefore, in CEECs [Central and Eastern European Countries, n.d.a.], judicial education has come up as one of the most sensitive fields to the international and to the domestic legitimacy as well».

[21] Il Consiglio consultivo dei giudici europei (Conseil Consultatif de Juges EuropéensCCJE / Consultative Council of European Judges – CCEJ) è un organo consultivo del Consiglio d’Europa, costituito nel 2000, il cui compito è quello di elaborare ed approvare pareri sulle questioni sulle questioni concernenti l’indipendenza, l’imparzialità e la competenza dei giudici. Esso è composto da giudici provenienti da tutti i Paesi membri del Consiglio d’Europa. E’ da notare che nel 2006 è stato costituito anche un Consiglio consultivo dei pubblici ministeri europei (Consultative Council of European Prosecutors – CCEP / Conseil Consultatif de Procureurs Européens – CCPE), che per il momento non ha ancora elaborato pareri.

[22] Nella favola intitolata: L’asino che trasporta reliquie.

[23] Nell’exposé des motifs che accompagnano il testo il Consiglio d’Europa sostiene, tra l’altro, che «la formazione dei giuristi è un aspetto importante per assicurare che siano nominati giudici gli individui più adatti. I giudici professionisti devono dimostrare un’adeguata formazione giuridica. Inoltre, la formazione contribuisce all’indipendenza del potere giudiziario. Se i giudici infatti possiedono sufficienti conoscenze teoriche e pratiche, nonché competenze, potranno operare in modo più autonomo rispetto all’amministrazione e, se vogliono, cambiare professione senza continuare per forza la carriera» (cfr. l’Exposé des motifs della citata Raccomandazione n. R (94) 12 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri sull’indipendenza, l’efficacia e il ruolo dei giudici).

[24] Sull’incontro si veda: Council of Europe/Conseille de l’Europe, La formation des juges et des magistrats du parquet en Europe, cit.

[25] Sul Codice etico dei magistrati italiani cfr. Oberto, Les droits et les obligations des juges. Leur responsabilité disciplinaire, in Aa. Vv., Le rôle du juge dans une société démocratique, Strasburgo, 1997, p. 39 ss.; Aa. Vv., Le statut des juges – Recrutement et indépendance, Strasbourg, 1997, p. 35 ss.

[26] Su cui v. infra, §§ 18 ss.

[27] Sul tema specifico v. infra, § 29.

[28] Per ulteriori informazioni si veda la seguente pagina web: http://www.ejtn.eu/www/fr/resources/5_1518_3710_file.1731.pdf.

[29] Da notare, sul piano terminologico, che, in Italia, nè il d.lgs. n. 26 del 2006, nè la l. 30 luglio 2007, n. 111 contengono l’espressione «formazione continua» (corrispondente all’espressione francese formation continue, a quella tedesca Fortbildung e a quelle inglesi continuous, ovvero in-service, ovvero ongoing training); il secondo dei testi citati si limita a parlare di «formazione permanente» per il solo caso della formazione dei magistrati onorari, utilizzando per il resto l’impropria e riduttiva dizione «aggiornamento professionale». Nel corso del presente lavoro si useranno peraltro indifferentemente i termini «formazione continua» e «formazione permanente», per designare l’attività di formazione dei magistrati in funzione, ulteriormente distinta dalla «formazione complementare», rivolta ai magistrati che hanno ricevuto le funzioni da breve tempo (c.d. «giovani magistrati»), e dalla «formazione preliminare», che caratterizza l’attività delle scuole di preparazione al concorso per l’accesso in magistratura (si pensi, in Italia, alle Scuole di specializzazione per le professioni legali).

[30] Viene specificato inoltre che «Les personnes chargées de la formation des juges ne devraient pas être, en outre, directement responsables de leur nomination ni de leur promotion. Si l’organe (par exemple un conseil supérieur de la magistrature) mentionné dans l’Avis n°1 du CCJE aux paragraphes 73 (3), 37 et 45 est compétent pour la formation et la nomination ou la promotion, une séparation claire devrait exister entre les sections de cet organe qui sont responsables de ces tâches».

[31] «28. Tenant compte de la diversité des systèmes applicables à la formation des juges en Europe, le CCJE recommande :

i. que tous les candidats retenus aux fonctions judiciaires bénéficient ou acquièrent avant d’entrer en fonction des connaissances juridiques étendues dans les domaines du droit substantiel national et international ainsi que de la procédure ;

ii. que les programmes de formation plus spécifiques à l’exercice de la profession de juge soient déterminés par l’établissement en charge de la formation, les formateurs et les juges eux-mêmes ;

iii. que ces programmes théoriques et pratiques ne soient pas limités aux techniques du domaine purement juridique mais comportent également une formation à l’éthique ainsi qu’une ouverture sur d’autres domaines pertinents pour les activités judiciaires, comme par exemple la gestion des affaires et l’administration des tribunaux, les technologies de l’information, les langues étrangères, les sciences sociales et les modes alternatifs de solution des litiges ;

iv. que la formation soit pluraliste afin de garantir et renforcer l’ouverture d’esprit du juge ;

v. qu’en fonction de l’existence et de la durée d’une expérience professionnelle antérieure, la formation ait une durée significative afin d’éviter son caractère purement formel.

29. Le CCJE recommande la pratique consistant à assurer une période de formation commune aux différentes professions juridiques et judiciaires (par exemple les avocats, les procureurs pour les pays où ceux-ci exercent des fonctions séparées de celles des juges). Cette pratique est en effet de nature à favoriser une meilleure connaissance et compréhension réciproque entre les juges et d’autres professions.

30. Le CCJE a constaté aussi que de nombreux pays subordonnaient l’accès aux fonctions judiciaires à une expérience professionnelle antérieure. S’il n’apparaît pas possible d’imposer à tous un tel modèle et si l’adoption d’un système mêlant différents types de recrutement peut aussi présenter l’avantage de la diversité de l’origine des juges, il importe que la période de formation initiale comporte, pour les candidats issus de l’université, des stages d’une durée significative dans le milieu professionnel (avocats, entreprises, etc…)».

[32] Su cui v. infra, §§ 19, 30.

[33] «37. Le CCJE recommande en conséquence :

i. que la formation continue devrait normalement être fondée sur le volontariat des juges ;

ii. que, par exception, une formation continue pourrait être imposée en certaines circonstances, un exemple en pourrait être (si le pouvoir judiciaire ou un autre organe responsable en a décidé ainsi) quand un juge accepte un nouveau poste ou un type de travail ou de fonction différent ou de fonctions particulières, ou en cas de changements fondamentaux de la législation ;

iii. que les programmes de formation devraient être définis sous l’autorité d’un organe judiciaire ou autre chargé de la formation initiale et continue ainsi que par les formateurs et les juges eux-mêmes ;

iv. que ces programmes, mis en œuvre sous l’autorité du même organe, devraient être axés sur des questions juridiques et sur d’autres questions relatives aux fonctions exercées par les juges et répondre aux besoins des ceux-ci (voir paragraphe 27 ci-dessus);

v. que les juridictions elles-mêmes devraient inciter leurs membres à suivre des stages de formation continue ;

vi. que les programmes devraient s’attacher à et promouvoir un environnement dans lequel les membres des différents secteurs et niveaux des juridictions puissent se rencontrer et échanger leurs expériences et réaliser des idées communes ;

vii. que, alors que la formation est pour le juge un devoir déontologique, il est également du devoir des Etats membres de mettre à la disposition des magistrats les ressources financières, le temps et les autres moyens nécessaires à la formation continue».

[34] Queste sono le raccomandazioni finali sul punto:

«42. Au vu de ce qui précède, le CCJE recommande :

i. que les programmes et méthodes de formation soient contrôlés régulièrement par les organes responsables de la formation judiciaire ;

ii. que les performances des juges dans le cadre de la formation ne soient, en principe, pas soumises à une évaluation qualitative, leur participation en tant que telle à cette formation pouvant cependant être prise en compte dans leur évaluation professionnelle ;

iii. que les performances des participants aux programmes de formation soient, néanmoins, évaluées dans les systèmes où la formation initiale fait partie intégrante du processus de recrutement».

[36] Cfr. Aikens, The Current Situation in the Council of Europe Member States, in e-Newsletter della European Association of Judges ­– Regional group of the International Association of Judges, July 2007, No. 1, p. 13 ss.

[37] Durante la sua ottanunesima riunione plenaria, nel corso dell’anno 2006, il Comitato Europeo per la Cooperazione Giuridica (European Committee on Legal Co-operation – CDCJ) del Consiglio d’Europa ha deciso di aggiornare la Raccomandazione Nr. R (94) 12 «in the light of new ideas and practices concerning judicial services and their functioning in Europe, which have emerged since its adoption». Un gruppo di specialisti (Group of Specialists on the Independence, Efficiency and Role of Judge – CJ-S-JUST) è quindi stato all’uopo creato (sul punto v. le informazioni alla pagina web seguente: http://www.coe.int/t/e/legal_affairs/legal_co-operation/steering_committees/cdcj/CJ_S_JUST/Default.asp#TopOfPage).

[38] Cfr. il Meeting report (p. 15 s.) della prima riunione della citata commissione, disponibile alla pagina web seguente: http://www.coe.int/t/e/legal_affairs/legal_co-operation/steering_committees/cdcj/cj_s_just/CJ-S-JUST_2007_2%20report%201st%20meeting%20March%2007_en.pdf.

[39] Sull’esportazione del modello dell’Ecole francese in svariati Paesi dell’Europa centrale e orientale cfr. Piana, Unpacking Policy Transfer, Discovering Actors: The French Model of Judicial Education Between Enlargement and Judicial Cooperation in the EU, in French Politics, Vol. 5, Nr. 1, April 2007, p. 33 ss. L’Autrice rimarca, tra l’altro, nel summary del suo contributo, che «Since the EU has no ‘European’ models to offer, it has relied upon the models in old member States. The entrepreneurial strategies of such states have been a key factor in the process of policy transfer toward Central and Eastern European countries (CEECs). This article provides an actor-centred analysis of the process of transfer. It explains why the French catalogue of courses offered to judges and prosecutors has been imitated in CEECs. Then it shows that for the candidate countries the French model was not only a blueprint to reform their systems of judicial. The partnership with the Ecole Nationale de la Magistrature allowed them to enter into a legitimate ‘transnational network’ to socialize judicial staff. Finally, unpacking policy transfer, we show that a differentiated pattern occurs in CEECs. We analyse the process in Hungary, the Czech Republic, Romania and Bulgaria, showing that even if the French catalogue of courses has been almost entirely imitated, the French organizational model has been imitated only where (1) a domestic actor has been able to set the agenda of the reform and drive the process of transfer and (2) the model did not radically change the system of governance set up in the judiciary during the democratic transition. The comparison among the processes of transfer occurred in Hungary, the Czech Republic, Bulgaria and Romania makes clear the existence of a path dependence effect».

[40] I giudici dei tribunaux de commerce sono eletti da delegati che rappresentano il mondo imprenditoriale, per due anni, all’atto della prima elezione, poi per quattro anni, senza potere superare i quattordici anni consecutivi. Lo scrutinio si svolge con voto plurinominale, maggioritario, in due tornate. La giurisdizione degli échevins (scabini) esiste in Alsazia, in Lorena e nei territori d’oltremare. I giudici del conseil de prud’hommes (collegio dei probiviri) sono eletti per cinque anni. Per la nomina si compongono, da un lato, liste elettorali di lavoratori, dall’altro di impiegati. Lo scrutinio ha luogo per sezioni, con rappresentanza proporzionale (cfr. Kriegk, France, in Aa. Vv., Traité d’organisation judiciaire comparée, cit., p. 135 ss.).

[41] In generale, sul sistema di reclutamento dei magistrati francesi e sulla Scuola nazionale della magistratura, cfr. Royer, Les systèmes judiciaires: Cadres istitutionnels et statuts de la magistrature, Lille, 1993, p. 52 ss.; Mestiz, Selezione e formazione professionale dei magistrati e degli avvocati in Francia, Padova, 1990; Boigeol, La création d’une école de la magistrature en France : dynamiques et résistances, Relazione presentata al Seminario italo-francese sul tema «Ordinamento giudiziario comparato con particolare riferimento al pubblico ministero», Roma, 23-25 ottobre 1995; Ludet, Le système français de recrutement et formation des magistrats, Relazione presentata al Seminario italo-francese sul tema «Ordinamento giudiziario comparato con particolare riferimento al pubblico ministero», cit.; Kriegk, op. cit., p. 135 ss.

[42] Le prove di questi concorsi di ammissione comportano lo studio o la consulenza giuridica a partire da documenti relativi al diritto civile, un tema di diritto penale o di diritto pubblico, e una prova consistente nella redazione di una nota di sintesi. Il successivo esame d’ammissione prevede un colloquio con la commissione, un’interrogazione in diritto penale o in diritto pubblico, non scelti nello scritto, e un’altra che verte sul diritto sociale, commerciale, o sulla procedura civile e penale, in base a una scelta fatta precedentemente. Alla fine del concorso, i candidati ammessi sono nominati come tirocinanti presso la Scuola nazionale della magistratura ed effettueranno un corso di formazione di sei mesi (e non un tirocinio di prova, come nel caso dei precedenti concorsi straordinari). Dovranno poi seguire una formazione prolungata di due mesi, per i quattro anni successivi alla loro nomina (cfr. Kriegk, op. cit., p. 135 ss.).

[43] Per ciò che attiene alla nomina dei consiglieri e avvocati generali della Corte di cassazione en service extraordinaire, vale a dire per un periodo di otto anni, non rinnovabile, cfr. gli artt. da 40-1 a 40-7 della citata legge organica del 1958. Per le critiche rispetto a siffatta forma di reclutamento cfr. Kriegk, France, in Traité d’organisation judiciaire comparée, cit., p. 135 et s. Sui juges de proximité cfr. gli artt. da 41-17 a 41-24 della citata legge organica.

[44] Sulla distribuzione dei compiti si veda il decreto n. 72-355 del 4 maggio 1972 e sue modificazioni, artt. 1-9.

[45] Per quanto attiene più specificamente agli organi diversi dal direttore, potranno qui citarsi i seguenti:

1. Il consiglio di amministrazione

Art. 8 del decreto n. 72-355 del 4 maggio 1972 e successive modificazioni:

«Il consiglio di amministrazione delibera sulle questioni che gli sono sottoposte dal Guardasigilli, Ministro della giustizia. È’ consultato obbligatoriamente su quelle che riguardano l’organizzazione e il funzionamento della scuola.

Delibera del pari sul regolamento interno della scuola, che è stabilito dal direttore e deve essere approvato dal Guardasigilli, Ministro della giustizia. Delibera inoltre su:

a. le questioni che sono di sua competenza in virtù dei testi legislativi o dei regolamenti in vigore e in particolare degli artt. 14-25 del decreto del 10 dicembre 1953 e 151-180 del decreto del 29 dicembre 1962;

b. i rapporti annuali del direttore sull’attività e il funzionamento amministrativo e finanziario della scuola, prima che sia trasmesso al Guardasigilli, Ministro della giustizia.

Le deliberazioni del consiglio di amministrazione che comportano una decisione sono in linea di principio esecutive un mese dopo che sono state trasmesse al Guardasigilli, Ministro della giustizia, a meno che quest’ultimo non faccia opposizione ad esse.

Tuttavia, le deliberazioni relative al bilancio e alle sue modificazioni, il calcolo finanziario e i prestiti non sono esecutivi se non dopo l’approvazione del Guardasigilli, Ministro della giustizia, e del Ministro dell’economia e delle finanze. Questi ministri possono non concedere l’approvazione a determinate deliberazioni relative a modifiche di bilancio».

2. Docenti (Maestri conferenzieri): sono nominati in applicazione delle disposizioni del titolo 1 bis del decreto n. 58-372 del 23 giugno 1959 e successive modificazioni. I magistrati delegati alla formazione (a livello delle Corti d’appello) e i direttori di centro di tirocinio (a livello dei tribunali della procura) hanno l’incarico dell’organizzazione del tirocinio forense e sono assimilati a maestri conferenzieri.

3. Conferenzieri esterni, cui il direttore della scuola può ricorrere».

[46] L’art. 9 dell’ordinanza del 22 dicembre 1958 prevede anche alcune incompatibilità, totali, limitate o temporanee, dell’esercizio della funzione di uditore giudiziario con un mandato politico:

a. totale incompatibilità con l’esercizio del mandato parlamentare, con il mandato al parlamento europeo o al Consiglio economico e sociale;

b. incompatibilità limitata con l’esercizio del mandato di consigliere regionale, generale, o comunale, nell’ambito della giurisdizione di appartenenza dell’uditore giudiziario (Bordeaux e la città in cui si svolge lo stage);

c. incompatibilità temporanea negli ambiti in cui l’uditore giudiziario ha esercitato da meno di cinque anni una funzione pubblica elettiva, o si candida a una funzione pubblica elettiva, con l’eccezione del mandato di rappresentante al parlamento europeo.

Peraltro, ogni dichiarazione politica, ogni manifestazione di ostilità al principio o alla forma del governo della Repubblica, ogni azione concreta atta a bloccare o a ostacolare il funzionamento delle giurisdizioni, sono vietate agli uditori giudiziari, allo stesso modo di qualsiasi dimostrazione di carattere politico incompatibile con il dovere di riservatezza imposto loro dalle funzioni esercitate (art. 10, ordinanza del 22 dicembre 1958).

[47] Per ulteriori dettagli in tema di assenze giustificate, esercizio dei diritti sindacali, retribuzione, indennità, cfr. Oberto, Recrutement et formation des magistrats en Europe. Etude comparative, cit., p. 70 ss.

[48] Per i dettagli del programma di formazione iniziale cfr. la pagina web seguente: http://www.enm.justice.fr/formation_initiale/. Per i dettagli, ad esempio, della formazione iniziale della promotion dell’anno 2001 cfr. Oberto, Recrutement et formation des magistrats en Europe. Etude comparative, cit., p. 76 s.: «La formazione iniziale comprende due periodi distinti: uno cosiddetto di formazione generale, dedicato alla conoscenza di tutte le funzioni giudiziarie; il secondo, tecnico e finalizzato a una determinata funzione, riservato alla preparazione intensiva alle funzioni prescelte dall’uditore giudiziario. Ognuno dei due periodi è costituito da una fase di insegnamento comune e una fase di tirocinio.

a. Primo periodo (formazione generale): dal 4 gennaio 2001 al febbraio 2003

Fase I: dal 4 gennaio a fine dicembre 2001

       Presentazione del tirocinio esterno: 4 e 5 gennaio 2001.

       Accoglienza a Bordeaux, dal 29 gennaio al 2 febbraio 2001 (Scuola nazionale della magistratura): prestazione di giuramento e preparazione del tirocinio esterno.

       Tirocinio denominato «scoperta degli uffici giudiziari»: dal 5 al 9 febbraio (o dal 5 al 16 febbraio per gli uditori che vanno all’estero); questo tirocinio, concepito come presa di contatto, rapida ma concreta, con la vita di un ufficio giudiziario, deve consentire la scoperta delle varie funzioni del magistrato.

       Tirocinio esterno: dal 12 febbraio al 20 aprile 2001; questo tirocinio si svolge per un periodo ininterrotto di due mesi e mezzo all’esterno dell’istituzione giudiziaria, in un’impresa pubblica o privata, eventualmente in un servizio o in un organismo appartenente al settore economico e sociale, o in un’amministrazione o in una collettività territoriale, oppure all’estero.

       Frequenza scolastica comune a Bordeaux: dal 23 aprile al 27 luglio, dal 3 settembre al 14 dicembre 2001; i corsi teorici hanno lo scopo di fornire all’uditore giudiziario gli strumenti per affrontare, nel modo più completo possibile, le funzioni giudiziarie nel loro complesso, non solo dal punto di vista del ruolo del giudice nella vita sociale, ma anche a partire dai diversi atti professionali che fondano il suo intervento, indipendentemente dalle sue attribuzioni. Comprende vari campi di insegnamento, il cui obiettivo è soprattutto quello di consentire l’apprendistato degli atti professionali comuni a tutte le funzioni, nonché la metodologia di ciascuna di queste, e di procurare una cultura in grado di illuminare dall’esterno il funzionamento dell’istituzione giudiziaria. I metodi impiegati – lavori in gruppi, laboratori e conferenze – favoriscono la forma di partecipazione attiva di questi insegnamenti.

Fase II: da gennaio 2002 a febbraio 2003

       Tirocinio in uffici giudiziari ed altre forme di praticantato. Questa fase consente all’uditore di concretizzare, partendo dalle conoscenze generali acquisite durante la frequenza scolastica comune, la sua comprensione globale dell’organizzazione e del funzionamento delle giurisdizioni. È costituita da tirocini, da un lato in tutte le funzioni suscettibili di essere esercitate all’uscita dalla scuola, dall’altro in alcuni servizi esterni che, in ragione delle loro attività, sono in permanente connessione con ciascuna di queste funzioni e, infine, presso un avvocato. Il tirocinio in uno studio legale si svolge in due mesi (gennaio e febbraio 2003) e mette l’uditore in posizione di responsabilità (gli si chiede, in particolare, di patrocinare in udienza).

       Esame finale: febbraio 2003.

b. Secondo periodo (formazione specializzata): da marzo a settembre 2003

Fase I: marzo 2003: perfezionamento funzionale. Una volta avvenuta la scelta dei posti, gli uditori sono suddivisi in gruppi, a seconda delle loro future funzioni. Questa fase si incentra sulla preparazione all’esercizio del primo incarico e, su un piano metodologico, è costituita da lezioni, seminari e conferenze.

Fase II: da aprile ad agosto 2003: tirocinio di pre-assegnazione. Gli uditori effettuano un tirocinio presso un ufficio giurisdizionale nelle funzioni che saranno chiamati a occupare, nonché tirocini di breve durata in servizi specializzati connessi a tale funzioni.

Settembre 2003: insediamento in carica».

[49] Più esattamente si tratta dei seguenti:

a. I mezzi audiovisivi

La Scuola nazionale della magistratura dispone di una sala audiovisiva, di un «piccolo anfiteatro», nonché delle nuove sale della nuova torre, che sono attrezzate per permettere simulazioni di udienza, o qualsiasi altra applicazione pratica. La Scuola dispone di vari televisori, telecamere, videoregistratori e unità videomobili per proiettare cassette e trasmissioni televisive satellitari e per il trattamento dei dati informatici. Certi documenti di ricerca si possono anche realizzare in forme di audiovisivi. La limitata attrezzatura della scuola non consente di realizzare in proprio film; tuttavia, entro i limiti dei crediti di bilancio, si possono affittare alcuni materiali complementari. Gli uditori possono prendere in prestito dalla biblioteca, avendo consultato lo schedario delle pellicole, una cassetta e visionarla. Esiste una sala apposita, dotata di videoregistratore e di monitor. Gli uditori possono disporre di questi materiali secondo determinate modalità.

b. I mezzi informatici

Per sensibilizzare e preparare all’informatica i futuri magistrati, la Scuola nazionale della magistratura ha istituito un corso di insegnamento specifico durante la fase di studi.

c. La biblioteca

La biblioteca conta circa 30.000 volumi e riceve circa 200 giornali e riviste. Destinata in primo luogo a completare e ad aggiornare le conoscenze giuridiche degli uditori giudiziari, essa contiene le collezioni delle principali raccolte di giurisprudenza e di riviste giuridiche, nonché numerose opere di attualità; per ciò che attiene alla giustizia e alle professioni legali, essa contiene opere relative ai vari aspetti del diritto: civile e commerciale, penale, pubblico e amministrativo, diritto agrario e diritto del lavoro, diritto internazionale e, in particolare, diritto comunitario. La biblioteca è anche largamente fornita di opere generali relative soprattutto alle scienze sociali e umane. Due terminali di consultazione consentono di eseguire ricerche, per autore, per titoli o per argomenti, sullo schedario informatizzato

[50] Per gli uditori reclutati in base all’art. 18-1 dell’ordinanza del 22 dicembre 1958, la relazione sul tirocinio esterno è sostituita da una relazione, su un argomento approvato dalla scuola, che riguarda l’ambiente economico, istituzionale, sociale o culturale dell’istituzione giudiziaria. La relazione dà luogo a una valutazione scritta, dopo un colloquio con due esaminatori.

[51] Per ulteriori approfondimenti, con l’illustrazione di casi pratici, circa oggetto e metodologie della formazione permanente in seno all’ENM francese cfr. Oberto, Recrutement et formation des magistrats en Europe. Etude comparative, cit., p. 139 ss.

[52] Cfr. Staats, Einleitung, in Deutsches Richtergesetz, Materialen zur Politik und Gesellschaft in der Bundesrepublik Deutschland, Bonn, 1993, p. 5; Fenge, Die Zukunft der Juristenausbildung im Europa von morgen, Rapporto tedesco al Convegno «La formazione giuridica nell’Europa di domani», organizzato dalla Commissione delle comunità europee a Metz, 28-29 ottobre 1994, p. 6 ss.; cfr. inoltre: Thomas, Richterrecht, Colonia, 1986; Basedow, Juristen für den Binnenmarkt – Die Ausbildungsdiskussion im Lichte einer Arbeitsmarktanlyse, in NJW, 1990, p. 959 ss.; Coing, Europäisierung der Rechtswissewnschaft, in NJW, 1990, p. 937 ss.; Martinek e Keine, «Angst vor Europa» – Plädoyer für eine Ausbildung mit Augenmass, in JZ, 1990, p. 795 ss.; Wassermann, Welche Massnahmen empfehlen sich - auch im Wettbewerb zwischen Juristen aus den EG-Staaten - zur Verkürzung und Straffung der Juristenausbildung?, in NJW, 1990, p. 1877 ss.; Willoweit e Grossfeld, Juristen für Europa, in JZ, 1990, p. 606 ss.; Grunsky, Juristenausbildung in Deutschland, in Anwaltsberuf und Richterberuf in der heutigen Gesellschaft, Baden-Baden, 1991, p. 209 ss.; Hesse, Juristenausbildung im Reich der Fiktionen, in JZ, 1991, p. 129 ss.; Fürst, Richtergesetz, Berlin, 1992; Gressmann, Germany, in Aa. Vv., Traité d’organisation judiciaire comparée, cit., p. 153 ss.; Staats, Rapport, in Council of Europe/Conseil de l’Europe, La formation des juges, cit., p. 9 ss.; Gas, La formation et le recrutement des magistrats du siège et du parquet en Allemagne, ottobre 2000, alla pagina web seguente: http://www.enm.justice.fr/centre_de_ressources/dossiers_reflexions/justice_politique/allemagne.htm. Sulla legge del 2000 relativa alla riforma della Juristenausbildung in Germania, cfr. Busse, Zur deutschen Reform der Juristenausbildung; Peters, Die Juristenausbildung in Deutschland e Staats, Die deutsche Reform der Juristenausbildung (i tre articoli già disponibili alla pagina web http://www.Goethe.de/it/tur/dejustiz.htm, non sono ora più reperibili). Per un’analisi comparativa dei sistemi di formazione dei giuristi in Germania e in Italia, si veda l’interessante e sempre attuale saggio di Cappelletti, Studio del diritto e tirocinio professionale in Italia e in Germania, Milano, 1957.

[53] Gas, La formation et le recrutement, cit., osserva che «una nozione sacrosanta del sistema tedesco è il giurista generalista (Einheitsjurist), vale a dire che non c’è una formazione distinta per le varie professioni giuridiche». Da notare al riguardo che il punto n. 29 del già citato parere del Consiglio consultivo dei giudici europei in materia di formazione (su cui v. supra, § 3) raccomanda «la pratique consistant à assurer une période de formation commune aux différentes professions juridiques et judiciaires (par exemple les avocats, les procureurs pour les pays où ceux-ci exercent des fonctions séparées de celles des juges). Cette pratique est en effet de nature à favoriser une meilleure connaissance et compréhension réciproque entre les juges et d’autres professions».

[54] Gas, op. cit.

[55] Cfr. http://www.jum.baden-wuerttemberg.de/servlet/PB/show/1207375/Jahresbericht%202006.pdf.

A livello federale sono regolamentate solo le linee generali del primo esame, lasciando le sistemazioni di dettaglio alla discrezione dei Länder. L’esame si divide in una parte scritta e in una parte orale. Come in Francia e in Italia, bisogna ottenere un voto minimo agli scritti per essere ammessi agli orali. I candidati non saranno automaticamente esaminati dopo un determinato periodo, ma devono sottoporre la propria candidatura al Ministro della giustizia del Land. La candidatura sarà accettata automaticamente se sono rispettati i requisiti necessari. Per quanto riguarda le prove scritte, vi sono Länder che richiedono sette od otto prove di cinque ore ciascuna e altri in cui il numero delle prove è considerevolmente ridotto, ma in cui si aggiunge un lavoro a casa di varie settimane. Se la candidatura è accolta, si deve decidere per la scelta di una materia. Si può scrivere a casa il proprio lavoro su questa materia o nella materia obbligatoria «corrispondente» (ad esempio, il diritto pubblico se si è scelto il diritto comunitario, il diritto penale se si è scelto criminologia, il diritto civile se si è scelto il diritto societario, ecc.). Gli orali sono suddivisi in quattro parti, che coprono ancora una volta le materie obbligatorie in diritto civile, penale e pubblico e la materia a scelta. In genere, si esaminano insieme cinque studenti, per circa quattro ore (cfr. Gas, op. cit.).

[56] In Bassa Sassonia, ad esempio, la legge e il regolamento sulla formazione giuridica regolano i particolari (cfr. il Niedersächsisches Gesetz zur Ausbildung der Juristinnen und JuristienNJAG e il relativo regolamento: Verordnung zum Niedersächsischen Gesetz zur Ausbildung von Juristinnen und JuristienNJAVO). Stando al paragrafo 7, comma 1, NJAVO, le tappe sono le seguenti:

– sei mesi in un tribunale di diritto civile;

– tre mesi alla pretura;

– tre mesi in una pubblica amministrazione;

– tre mesi presso un avvocato;

– quattro mesi in una delle succitate istituzioni

– cinque mesi a scelta. (Cfr. Gas, op. cit.).

[57] Si veda Gas, op. cit. L’autore osserva inoltre: «Le prove dei due esami di Stato vanno superate in blocco. Le qualifiche universitarie valgono solo per potere essere ammessi, il che vuol dire che, una volta ammessi, i voti precedentemente ottenuti non contano più e che tutto si concentra sull’esame»; questo significa dire che «le qualifiche universitarie non hanno un valore autonomo. In Francia, chi non ha l’abilitazione può ancora dire di avere la laurea, ma chi non ha il primo esame di Stato non ha niente, anche se ha studiato parecchi anni e può già essere ammesso all’esame di Stato».

[58] Si vedano le informazioni alla seguente pagina web: http://www.deutsche-richterakademie.de/.

[59] Cfr. Doek, Rapporto olandese al Convegno «La formazione giuridica nell’Europa di domani» cit.; cfr. inoltre Broekhoven, Netherlands, in Aa. Vv., Traité d’organisation judiciaire comparée, cit. p. 241 ss.

[60] Cfr. Broekoven, Pays-Bas, alla pagina web seguente: http://www.enm.justice.fr/relations_internationales/ecoles/paysbas/paysbas.htm; si veda anche la seguente pagina web: http://www.ssr.nl/index_en.php.

[61] Cfr. Beleza, Rapporto portoghese al Convegno «La formazione giuridica nell’Europa di domani», cit.; v. inoltre Leandro, Portugal, in Aa. Vv., Traité d’organisation judiciaire comparée, cit. p. 279 ss. Per una riflessione sul significato attuale della formazione dei magistrati in Portogallo, così come più in generale sui temi dell’indipendenza della magistratura, cfr. Viegas Martins Afonso, Poder judicial. Independência in dependência, Coimbra, 2004, p. 186 ss.

[62] Il Consiglio è indipendente da qualsiasi altro potere, è presieduto dal presidente della Corte suprema di giustizia (eletto dai suoi pari) ed e composto di altri sedici membri:

       due nominati dal presidente della Repubblica;

       sette eletti dal parlamento;

       sette giudici eletti da loro pari, in base al principio della rappresentanza proporzionale.

Il Consiglio superiore è competente nella nomina, trasferimento, valutazione, promozione dei giudici e nell’esercitare su di essi l’azione disciplinare (cfr. Leandro, Portugal, cit.).

[63] Secondo la Costituzione, i magistrati del pubblico ministero sono magistrati responsabili e gerarchicamente subordinati; non possono essere trasferiti, sospesi, mandati in pensione o dimessi dalle loro funzioni se non nei casi previsti dalla legge. La Costituzione stabilisce inoltre che la nomina, il trasferimento e la promozione dei magistrati del pubblico ministero sono di competenza della Procuradoría General da República (in Portogallo, le funzioni corrispondenti a quelle del Guardasigilli nel sistema francese sono assicurate dal procuratore generale della Repubblica, le cui funzioni sono distinte da quelle del Ministro della giustizia). Quest’organo superiore del pubblico ministero è presieduto dal procuratore generale della Repubblica, che è nominato, per un mandato di sei anni, dal presidente della Repubblica, su proposta del governo. Quest’organo ingloba anche il Consiglio superiore del pubblico ministero, che comprende membri eletti dal parlamento e magistrati del pubblico ministero eletti da loro pari.

[64] Per quanto riguarda le Corti d’appello, tribunali di seconda istanza (Tribunais da Relaçao), i giudici di prima istanza sono nominati per promozione a seguito di un concorso per titoli; si richiede la valutazione di «ottimo» o di «distinto». Il criterio per distribuire i magistrati in possesso di più o meno uguale punteggio è quello dell’anzianità. I primi due posti sono riservati ai giudici più anziani con valutazione di «ottimo» e il terzo posto al giudice con maggiore anzianità e con valutazione di «distinto». L’accesso alla Corte Suprema di giustizia avviene per concorso per titoli, aperto a magistrati giudiziari di Corte d’Appello (tre per i cinque posti alla Corte Suprema), a magistrati del pubblico ministero (uno per cinque posti) e ad altri giuristi meritori (uno per cinque posti). I giudici di Corte d’Appello che si trovano nel terzo superiore dell’elenco per anzianità e che non dichiarano di rinunciare all’accesso alla Corte Suprema sono candidati d’ufficio. Gli altri concorrenti sono volontari. Il concorso per titoli è pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e anche i risultati sono resi pubblici. La legge stabilisce i criteri per il punteggio, connessi essenzialmente alle attività precedenti dei candidati, soprattutto alle note di servizio, alle classifiche, al curriculum universitario e postuniversitario, ai lavori scientifici, alle attività legate ai tribunali e all’insegnamento del diritto. Per l’ammissione alla carriera o per le promozioni, non è ammessa alcuna informazione al di fuori delle prove d’accesso o degli elementi del curriculum vitae. Non si richiedono conoscenze linguistiche né per l’ammissione né per le promozioni (cfr. Leandro, op. cit.).

[65] V. le informazioni reperibili alla pagina web seguente: http://www.cej.pt/PAG1_FRANCES_CEJ.htm.

[66] V. le informazioni al sito seguente: http://www.jsboard.co.uk; cfr. inoltre il documento reperibile alla pagina web seguente: http://www.jsboard.co.uk/downloads/jsb_managementplan_2006_2007.doc; cfr. inoltre A. Campbell, England, in Traité d’organisation judiciaire comparée, cit., p. 117 ss. Il JSB ha anche pubblicato nel proprio sito veri e propri «percorsi di formazione» in ambiti specifici, quali il diritto di famiglia; v. ad esempio la seguente pagina web: http://www.jsboard.co.uk/family_law/index.htm.

[67] Cfr. Castin, Belgique, articolo disponibile alla seguente pagina web: http://www.enm.justice.fr/relations_internationales/ecoles/belgique/belgique.htm.

[68] Si vedano le informazioni alla seguente pagina web: http://www.enm.justice.fr/relations_internationales/ecoles/espagne/espagne.htm.

[69] V. la pagina web seguente: http://www.era.int/web/en/html/index.htm; cfr. inoltre Oberto, Recrutement et formation des magistrats en Europe. Etude comparative, cit., p. 131.

[70] V. la pagina web seguente: http://www.eipa.nl/en/home; cfr. inoltre Oberto, Recrutement et formation des magistrats en Europe. Etude comparative, cit., p. 132.

[72] Cfr. Oberto, Recrutement et formation des magistrats en Europe. Etude comparative, cit., p. 35 ss. ; Id., Les enjeux de la formation des magistrats. Organisation institutionnelle de la formation, in Riv. dir. priv., 1997, p. 214 ss.; dal 16 marzo 1997, l’art. è disponibile alla seguente pagina web: https://www.giacomooberto.com/enjeux/rapport.htm. Sulla formazione dei magistrati in Italia si veda: Consiglio Superiore della Magistratura, Il magistrato: dal reclutamento alla formazione professionale. Esperienze in Italia e nel mondo, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, 1982; Viazzi, Il reclutamento e la formazione professionale dei magistrati: una questione cruciale di politica istituzionale, in Questione giustizia, 1984, p. 307 ss.; Di Federico, Preparazione professionale degli avvocati e dei magistrati: discussione su una ipotesi di riforma, Padova, 1987; Parziale, Il reclutamento e la formazione professionale del magistrato, in Documenti giustizia, 1993, c. 1561 ss.; Civinini, L’esperienza della formazione permanente nei lavori del C.S.M., in Documenti giustizia, 1997, c. 2543 ss.; Verardi, Il reclutamento e la formazione dei magistrati e degli avvocati, in Questione giustizia, 1997, p. 91 ss.; Oberto, Verardi e Viazzi, Il reclutamento e la formazione professionale dei magistrati in Italia e in Europa, in Aa. Vv., L’esame di uditore giudiziario, cit, p. 41 ss.; Oberto, Les enjeux de la formation des magistrats. Organisation institutionnelle de la formation, cit.; Id., Recrutement et formation des magistrats. Etude comparative, cit., p. 42 ss.; Verardi, Spunti per una storia della formazione dei magistrati in Italia: dal tirocinio degli uditori alla formazione permanente, Relazione presentata al Seminario organizzato dal Consiglio superiore della magistratura sul tema «Formazione dei formatori», Roma, 21-23 giugno 1999; Id., Il C.S.M. e la formazione dei magistrati: verso una scuola o un mero servizio di aggiornamento professionale?, in Questione giustizia, n. 2, 1999.

[73] Art. 33: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. […] Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato».

[74] Si veda, ad esempio, l’art. 5 del Grundgesetz della Germania che, al terzo capoverso, stabilisce che «le arti e le scienze, la ricerca e l’insegnamento sono liberi. La libertà d’insegnamento non può tuttavia esimersi dal rispettare la Costituzione» («Kunst und Wissenschaft, Forschung und Lehre sind frei. Die Freiheit der Lehre entbindet nicht von der Treue zur Verfassung»).

[75] In questo senso v. per esempio anche Guarnieri, Le divisioni sulla riforma dell’ordinamento acuiscono il malessere della giustizia, in Guida al diritto - Il sole 24 ore, n. 29 del 21 luglio 2007, p. 11. Per «una scuola che sia autonoma sul piano tecnico e culturale, certo non separata e contrapposta al circuito dell’autogoverno diffuso né estranea alle esperienze che nel quotidiano si vivono negli uffici» si è espresso anche il documento finale approvato nel corso del XXVIII Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati (Roma 24-26 febbraio 2006).

[76] Si veda al riguardo Bonomo, L’indipendenza ‘interna’ della magistratura, in Aa. Vv., L’indipendenza della giustizia, oggi. Judicial Independence, Today, Liber amicorum in onore di Giovanni E. Longo, Milano, 1999, p. 55 ss.

[77] Per un’analisi del progetto cfr. Oberto, Les enjeux de la formation des magistrats. Organisation institutionnelle de la formation, cit., p. 222 ss. Altri progetti sono stati presentati al parlamento italiano durante la successiva legislatura (la XIII) sullo stesso argomento. In particolare, il disegno di legge n. 926 («Istituzione di un centro superiore di studi giuridici per la formazione professionale dei magistrati, denominato ‘Scuola nazionale della magistratura’»), presentato dal senatore Elvio Fassone, il 10 luglio 1996, ha riprodotto il contenuto del progetto n. 2018/S/XII. Gli altri progetti presentati sul tema nel corso della XIII legislatura sono i seguenti: n. 7175/C («Istituzione della «Scuola della magistratura»), n. 3079/C («Istituzione di un centro superiore di studi giuridici per la formazione professionale dei magistrati, denominato ‘Scuola nazionale della magistratura’ e norme in materia di tirocinio»), n. 2500/C («Istituzione di un centro superiore di studi giuridici per la formazione professionale dei magistrati, denominato ‘Scuola nazionale della magistratura’ e norme in materia di tirocinio e di distinzione delle funzioni giudicante e requirente»), n. 1383/S («Istituzione di un centro superiore di studi giuridici per la formazione professionale dei magistrati, denominato ‘Scuola nazionale della magistratura’ e norme in materia di tirocinio e di distinzione delle funzioni giudicante e requirente»), n. 1208/C («Istituzione di un centro superiore di studi giuridici per la formazione professionale dei magistrati, denominato ‘Scuola nazionale della magistratura’»).

[78] Dal punto di vista concreto, invece, non si può prescindere dalla realtà costituita oggi dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, su cui v. in dettaglio infra, §§ 19 ss.

[79] Cfr. il d.p.r. 11 gennaio 1988, n. 116.

[80] Cfr. il d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272.

[81] Cfr. art. 16, d.l. 7 ottobre 1994, n. 571, convertito in l. 6 dicembre 1994, n. 673.

[82] Cfr. peraltro le disposizioni di cui alla l. 5 agosto 1998, n. 303, che, dando attuazione all’art. 106, terzo comma, Cost., prevede la possibilità che docenti universitari e avvocati siano chiamati – «per meriti insigni» – a entrare nei ranghi della Corte di cassazione. Il numero massimo di questi nuovi magistrati non può comunque superare il 10% dei posti previsti in totale per i consiglieri della Corte suprema. Al C.S.M. spetta il compito di selezionare questi nuovi consiglieri della Corte, fra gli elenchi presentati dal Consiglio universitario nazionale e dal Consiglio nazionale forense. Si vedano inoltre le disposizioni in tema di vero e proprio reclutamento parallelo, peraltro mai attuato, aperto agli avvocati tramite un concorso semplificato (nel quale due prove scritte avrebbero dovuto avere un «carattere teorico-pratico»), di cui alla l. 13 febbraio 2001, n. 48, art. 14. Infine andrà tenuto conto delle novità introdotte dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, in materia di requisiti per l’ammissione al concorso la magistratura. In particolare, l’art. 1, comma terzo, della citata legge, dispone testualmente quanto segue:

«3. All’articolo 2 del citato decreto legislativo n. 160 del 2006 sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Requisiti per l’ammissione al concorso per esami»;

          b) il comma 1 è sostituito dal seguente:

      «1. Al concorso per esami, tenuto conto che ai fini dell’anzianità minima di servizio necessaria per l’ammissione non sono cumulabili le anzianità maturate in più categorie fra quelle previste, sono ammessi:

          a) i magistrati amministrativi e contabili;

          b) i procuratori dello Stato che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;

          c) i dipendenti dello Stato, con qualifica dirigenziale o appartenenti ad una delle posizioni dell’area C prevista dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro, comparto Ministeri, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, che abbiano costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;

          d) gli appartenenti al personale universitario di ruolo docente di materie giuridiche in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;

          e) i dipendenti, con qualifica dirigenziale o appartenenti alla ex area direttiva, della pubblica amministrazione, degli enti pubblici a carattere nazionale e degli enti locali, che abbiano costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica o, comunque, nelle predette carriere e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;

          f) gli avvocati iscritti all’albo che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;

          g) coloro i quali hanno svolto le funzioni di magistrato onorario per almeno sei anni senza demerito, senza essere stati revocati e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;

          h) i laureati in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e del diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali previste dall’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni;

          i) i laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche;

          l) i laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica, al termine di un corso di studi della durata non inferiore a due anni presso le scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162”».

[83] Cfr. Oberto, Les enjeux de la formation des magistrats. Organisation institutionnelle de la formation, cit. Sul tema cfr. anche V. Zagrebelsky, A proposito della formazione e dell’aggiornamento professionale dei magistrati, dell’urgenza di istituire una scuola apposita e di aprirla anche agli avvocati, in Studium iuris, 1996, p. 395 ss.

[84] Su cui v. Consiglio Superiore Della Magistratura, Relazione quadriennale sull’attività di formazione professionale (gennaio 1997-dicembre 2000), Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 119, Roma, 2001, p. 221 ss.

[85] Il cui testo è disponibile al seguente sito web: http://www.giustizia.it/cassazione/leggi/dprlug_98.html.

[86] Su cui v. infra, § 17.

[87] Sullo specifico argomento della formazione iniziale dei magistrati italiani cfr. Dovere, L’identità dispersa: il tirocinio ordinario come fase di orientamento dell’uditore giudiziario, in Documenti giustizia, 1997, c. 2521 ss.; Galeotti, Il tirocinio mirato, in Documenti giustizia, 1997, c. 2513 ss.; Nannucci, La formazione iniziale del magistrato. Il ruolo del Consiglio giudiziario nella scelta dei magistrati collaboratori e dei magistrati affidatari. I rapporti con il Consiglio giudiziario di destinazione, in Documenti giustizia, 1997, c. 2495 ss.; Sabato, La nuova disciplina del tirocinio degli uditori giudiziari. Riflessioni in vista dell’entrata in vigore del DPR 17 luglio 1998, Relazione presentata al Seminario organizzato dal Consiglio superiore della magistratura italiano sul tema «Formazione dei formatori», Roma 21-23 giugno 1999. Per un resoconto di un certo interesse su un’esperienza romana nel campo della formazione iniziale, cfr. Lazzaro, Il tirocinio dei giovani magistrati (Antiche prassi e innovazioni introdotte dalla ‘Commissione uditori giudiziari’ presso la Corte d’Appello di Roma), in Documenti giustizia, 1999, p. 34 ss.; Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione quadriennale sull’attività di formazione professionale (Gennaio 1997-dicembre 2000), in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 119, Roma 2001; Id., Relazione al parlamento sullo stato della giustizia (2001), in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 120, Roma 2001, p. 64 ss.; Oberto, La formazione professionale dei magistrati italiani nell’ottica della formazione del giurista europeo, in Riv. dir. priv., 2003, p. 173 ss. (lo scritto è altresì disponibile al seguente indirizzo web: https://www.giacomooberto.com/goethe/relazione.htm).

[88] Più precisamente, dall’inizio del 1994 alla fine del 1996.

[89] Per i dati statistici cfr. Oberto, Recrutement et formation des magistrats en Europe. Etude comparative, cit., p. 48 s. Ecco come lo stesso C.S.M., con più che legittimo orgoglio, riassume l’attività svolta nel settore della formazione in questi ultimi decenni: «Non essendo mai stata istituita una tale Scuola (per esser rimaste le varie proposte di legge relative sempre lettera morta), il Consiglio l’ha creata in via di prassi: ha istituito un’apposita Commissione, la Nona, dedicata al tirocinio e alla formazione professionale e ne ha supportato il lavoro con un Comitato scientifico composto da magistrati, professori universitari, professori che esercitano l’attività di avvocato, ha creato una rete di formatori decentrati su tutto il territorio nazionale, nella convinzione che “soltanto un elevato livello di professionalità diffusa dei magistrati consente all’intervento giudiziario di essere davvero indipendente e autonomo...”, che “soltanto un elevato livello di professionalità conferisce legittimazione all’intervento giudiziario”, e che dai principi costituzionali di cui agli artt. 101 (per cui “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”) e 107, 3° comma (per cui “i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni”) consegue “che non possono essere suggeriti ai giudici indirizzi od orientamenti circa l’interpretazione delle leggi da alcun organo e da alcuna autorità dello Stato, né da poteri esterni né dallo stesso potere giudiziario; e che pertanto il giudice, il quale si trova solo di fronte alla legge che deve interpretare senza alcun ausilio esterno, ha bisogno, più che ogni altro funzionario dello Stato, di una formazione permanente di altissimo livello, dovendo egli da solo ricercare ed acquisire gli strumenti della interpretazione delle leggi, ed assumersene la piena responsabilità” (v. Relazione al Parlamento, 1994).

Grazie a questa coraggiosa e determinata azione consiliare, la formazione della magistratura italiana ha raggiunto livelli qualitativi e quantitativi al passo con quelli di istituzioni di grande e risalente tradizione come l’Ecole Nationale de la magistrature:

– ogni anno si tengono a livello centrale oltre 60 incontri e seminari di formazione permanente (assicurando a poco meno di 5000 magistrati la partecipazione ad almeno un corso) e settimane di studio dedicate agli uditori giudiziari in tirocinio ordinario e mirato;

– in ogni distretto di Corte d’appello operano i referenti per la formazione decentrata, organizzando numerose iniziative sulla base di indicazioni del Consiglio e di esigenze formative espresse dal territorio;

– i corsi del C.S.M. sono diventati un luogo di riflessione ed elaborazione ed un punto di riferimento per tutti gli operatori del diritto: le altre magistrature, l’università, il notariato, l’avvocatura dello Stato e quella del libero foro; tutti danno un contributo importante come docenti, le richieste di partecipazione ed apertura dei nostri corsi (in specie agli ordini professionali e alle altre magistrature) aumentano geometricamente, non vi è rivista giuridica di prestigio che tra i contributi dottrinali non contenga costantemente relazioni e interventi svolti a incontri del C.S.M.;

– il Consiglio svolge un ruolo leader a livello internazionale: per decisione unanime dell’Assemblea Generale della Rete Europea di Formazione Giudiziaria (che raccoglie al suo interno tutte le strutture di formazione dei Paesi membri dell’U.E.), ne esprime il Segretario Generale, dando un importante contributo allo sviluppo e consolidamento della cooperazione giudiziaria ed all’estendersi della fiducia tra le magistrature dei diversi ordinamenti, che ne è presupposto imprescindibile;

– su richiesta del Consiglio d’Europa ha designato un magistrato italiano da assegnare alla Scuola della Magistratura d’Albania, col compito di assistere la Scuola nell’organizzazione dell’attività di formazione;

– ha ideato e realizzato numerosi progetti di formazione cofinanziati dalla Commissione Europea su temi di interesse comunitario, ottenendo solo negli ultimi tre anni finanziamenti per oltre € 750.000,00.

Questi imponenti risultati (incredibilmente liquidati nella relazione che accompagna il d.d.l. come “attuale frammentaria attività formativa”), conseguiti col supporto di una struttura molto motivata ma ridottissima nel numero e pressoché artigianale (laddove le altre strutture europee – l’E.N.M. francese, il Centro de Estudios Judiciales spagnolo, la Deutsche Richterakademie – hanno a disposizione immobili, uomini, strutture e mezzi paragonabili a quelli di università di dimensioni medio-piccole), sono la miglior testimonianza di una conoscenza acquisita attraverso l’esperienza, che il Consiglio, nel riconfermare il suo assoluto favore per l’istituzione di una Scuola della Magistratura, mette a disposizione per la sua realizzazione» (cfr. il parere reso nella seduta del 22 maggio 2003 concernente gli emendamenti approvati dal Consiglio Superiore dei ministri al disegno di legge n. 1296/S recante: «Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e disposizioni in tema di organico della Corte di cassazione e di conferimento delle funzioni di legittimità», in Consiglio Superiore della Magistratura, Ordinamento giudiziario. Pareri del C.S.M. sulle proposte governative di modifica, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 136, Roma, 2003, p. 99 ss.).

[90] Per quanto riguarda le formule pedagogiche usate nella formazione, le attività si presentano in forma di:

       incontri di studio: si tratta di corsi di formazione che seguono il tradizionale modello delle conferenze tenute da magistrati, docenti, avvocati, notai, esperti, ecc., seguite da discussioni aperte a tutti i partecipanti; i lavori possono anche svolgersi all’interno di gruppi di lavoro, ciascuno composto di un numero ristretto di magistrati, sotto la direzione di un coordinatore, cui spetta il compito di presentare all’assemblea dei partecipanti una relazione sulla discussione all’interno del proprio gruppo;

       seminari di pratica professionale: si tratta di corsi di formazione rivolti soprattutto a magistrati che esercitano le stesse funzioni, o funzioni analoghe; hanno lo scopo di aiutare i partecipanti – soprattutto tramite lo scambio di esperienze – a sviluppare una buona preparazione tecnica, tendente a risolvere i problemi pratici della professione;

       laboratori: si tratta di corsi di formazione a carattere sperimentale, basati sul principio della «autodidattica»; l’iniziativa si rivolge a limitati gruppi di lavoro che, sotto la direzione di un esperto in metodologia, analizzano alcuni specifici problemi incontrati nell’esercizio della professione;

       giornate di studio: si tratta di corsi di formazione organizzati per approfondire temi specifici, generalmente in seguito all’introduzione di una riforma; normalmente, la durata di questa formazione è di un giorno;

       confronti: si tratta di incontri con magistrati o altro personale giudiziario di Paesi stranieri, tendenti a stimolare l’approfondimento delle conoscenze di diritto comparativo e transnazionale, specie a livello europeo;

       corsi decentrati: si tratta di incontri organizzati nel quadro della cosiddetta «formazione decentrata».

[91] In generale, sui problemi relativi alla formazione permanente dei magistrati, cfr. Consiglio Superiore della Magistratura, Il magistrato: dal reclutamento alla formazione professionale. Esperienze in Italia e nel mondo, cit.; Viazzi, Il reclutamento e la formazione, cit., p. 307 ss.; Di Federico, Preparazione professionale, cit.; Parziale, Il reclutamento e la formazione, cit., p. 1561 ss.; Civinini, L’esperienza della formazione, cit., c. 2543 ss.; Verardi, Il reclutamento e la formazione, cit., p. 91 ss.; Oberto, Verardi e Viazzi, op. cit., p. 41 ss.; Oberto, Les enjeux de la formation des magistrats. Organisation institutionnelle de la formation, cit.; Verardi, Spunti per una storia, cit.; Id., Il C.S.M. e la formazione, cit.; Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione quadriennale, cit.; Oberto, Recrutement et formation des magistrats en Europe. Etude comparative, cit., p. 47 ss.

[92] Il provvedimento è pubblicato sul supplemento Ordinario n. 26/L alla G.U. n. 28 del 3 febbraio 2006.

[93] Come rilevato da Civinini, Proto Pisani, Salmè, Scarselli, La riforma dell’ordinamento giudiziario tra il Ministro Castelli e il Ministro Mastella, in Foro it., 2007, c. 12 ss. (cui si fa rinvio anche per una veloce rassegna delle novità normative e del loro stato di attuazione, o inattuazione, al gennaio 2007), tra il gennaio e l’aprile del 2006 il governo ha emanato otto decreti legislativi di attuazione della riforma: d.lgs. 16 gennaio 2006 n. 20, che detta la disciplina transitoria per il conferimento degli uffici direttivi; d. lgs. 23 gennaio 2006 n. 24, di modifica dell’organico della Corte di cassazione; d. lgs. 27 gennaio 2006 n. 25, in materia di istituzione del consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei consigli giudiziari; d. lgs. 30 gennaio 2006 n. 26, in materia di istituzione della scuola superiore della magistratura; d. lgs. 2 febbraio 2006 n. 35, sulla pubblicità degli incarichi extragiudiziari conferiti ai magistrati ordinari; d. lgs. 20 febbraio 2006 n. 106, recante disposizioni per la riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero; d. lgs. 23 febbraio 2006 n. 109, in materia di illeciti disciplinari, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità; infine il 5 aprile 2006 è stato approvato il d. lgs. n. 160, in materia di accesso in magistratura, di progressione economica e di funzione dei magistrati. Per un’analisi dei contenuti della legge delega e dei decreti legislativi di attuazione cfr. Pizzorusso, Luciani, Sgubbi, Giovannetti, Iacoboni, Fuzio, Gambineri, Scarselli, Costantino, Verde, Cipriani, Impagnatiello, Giangiacomo, Dal Canto, Panizza, Romboli, La legge di riforma dell’ordinamento giudiziario, in Foro it., 2006, V, c. 1 ss.; Pepino, Santalucia, Castelli, Morosini, Giangiacomo, Gilardi, Erbani, Marini, La controriforma dell’ordinamento giudiziario alla prova dei decreti delegati, in Questione giustizia, 2006, p. 53 ss.; Bertuzzi, Cassano, Erbani, Melillo, Salvato, Santalucia, Il nuovo ordinamento giudiziario: concorso, funzioni, scuola della magistratura, ufficio del pubblico ministero e responsabilita disciplinare (legge delega e decreti delegati), a cura di Carcano, Milano, 2006. I pareri resi dal Consiglio superiore della magistratura, ai sensi dell’art. 10, 2° comma, l. 24 marzo 1958 n. 195, sul disegno di legge delega originario e sulle successive versioni, nonché sulle bozze di decreti legislativi attuativi, sono pubblicati in Consiglio Superiore della Magistratura, Ordinamento giudiziario. Pareri del Consiglio superiore della magistratura sulle proposte governative di modifica, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, 2003, n. 136, e hanno formato oggetto della relazione al parlamento sullo Stato della giustizia per l’anno 2006 dal titolo Il Consiglio superiore della magistratura e le modifiche dell’ordinamento giudiziario, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 151, Roma, 2007, I pareri sugli schemi di decreti legislativi di attuazione sono anche pubblicati in Foro it., 2006, V, c. 11 ss., 84 ss.

[94] Per una valutazione in questi termini del complesso delle riforme varate dalla XIV legislatura in tema di ordinamento giudiziario v. anche, ex multis, Verde, Ritorno a una concezione impiegatizia assai riduttiva del ruolo di magistrato, in Guida al diritto - Il sole 24 ore, n. 20 del 20 maggio 2006, p. 45 ss.

[95] Cfr. il d.d.l. recante «Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e disposizioni in materia di organico della Corte di cassazione e di conferimento delle funzioni di legittimità», approvato dal Consiglio dei ministri nella riunione del 14 marzo 2002 – Atto Senato n. 1296/S, il cui art. 3, comma primo stabiliva testualmente: «1. Nell’attuazione della delega di cui all’art. 1, comma 1, lettera b), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi: a) prevedere l’istituzione presso la Corte di cassazione di una Scuola della magistratura, struttura didattica stabilmente preposta all’organizzazione delle attività di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari e di aggiornamento professionale dei magistrati, che si avvalga delle esperienze e delle professionalità dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione, anche ai fini della progressione in carriera». Come rileva esattamente Santalucia, La scuola della magistratura, in Bertuzzi, Cassano, Erbani, Melillo, Salvato, Santalucia, Il nuovo ordinamento giudiziario: concorso, funzioni, scuola della magistratura, ufficio del pubblico ministero e responsabilità disciplinare (legge delega e decreti delegati), a cura di Carcano, cit., p. 196, «L’indipendenza deve essere innanzitutto dal potere politico, quindi dal Ministro della Giustizia, ma anche dalla Corte di cassazione, che nel sistema di ordinamento giudiziario è giudice della corretta interpretazione della legge, ma non deve rivestire un ruolo di vertice gerarchico per affidare la sua importante funzione nomofilattica all’autorità delle relazioni di superiorità burocratica piuttosto che all’autorevolezza della maggiore forza persuasiva delle soluzioni offerte». Per una valutazione fortemente critica di tale d.d.l. cfr. anche Oberto, La formazione professionale dei magistrati italiani nell’ottica della formazione del giurista europeo, cit., p. 192 ss.

[96] Cfr. il già citato d.d.l. recante «Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e disposizioni in materia di organico della Corte di cassazione e di conferimento delle funzioni di legittimità», approvato dal Consiglio dei ministri nella riunione del 14 marzo 2002 – Atto Senato n. 1296/S, il cui art. 3, comma primo stabiliva testualmente, alla lett. c): «c) prevedere che la Scuola della magistratura sia diretta da un Comitato direttivo composto da due magistrati designati dal Primo Presidente della Corte dì cassazione tra i magistrati della Corte di cassazione, sentito il Procuratore Generale, e da tre componenti, scelti tra avvocati con non meno di venti anni di esercizio della professione, e magistrati con non meno di venti anni di servizio, nominati dal Consiglio superiore della magistratura, di concerto con il Ministro della giustizia, per quattro anni, nell’ambito di tutti i quali è eletto un presidente». Sul punto si vedano i rilievi fortemente critici espressi dal C.S.M. nel suo parere reso nella seduta del 12 giugno 2002, in Consiglio Superiore della Magistratura, Ordinamento giudiziario. Pareri del C.S.M. sulle proposte governative di modifica, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 136, Roma, 2003, p. 34 s.

[97] Cfr. Oberto, La formazione professionale dei magistrati italiani nell’ottica della formazione del giurista europeo, cit., p. 192 ss.

[98] von Jhering, Serio e faceto nella giurisprudenza, ed. ital., Firenze, 1954, Lettera V, Le proposte del giudice Volkmar per la riforma degli studi giuridici e degli esami, p. 83 ss., 106 ss.

[99] Cfr. Consiglio Superiore della Magistratura, Ordinamento giudiziario. Pareri del C.S.M. sulle proposte governative di modifica, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 136, Roma, 2003, p. 99 ss.

[100] Cfr. la Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia - 1985 - 2° quaderno, p. 221.

[101] Sul tema v. anche supra, § 15.

[102] Cfr. Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 197; v. inoltre Civinini, Leo, Morosini, Profiti, Sabato, Idee per l’istituzione di una scuola della magistratura, in Foro it., 2005, V, c. 212 ss.

[103] Per quanto possa dirsi sicuramente eccessivo il livello con cui non poche volte tale organo ha inteso «correggere», sulla base di logiche puramente «correntizie», le scelte dei relatori agli incontri di studio operate dal comitato scientifico.

[104] Così, con valutazioni assolutamente condivisibili, si esprime Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 197; v. inoltre Civinini, Leo, Morosini, Profiti, Sabato, Idee per l’istituzione di una scuola della magistratura, in Foro it., 2005, V, c. 212 ss. Per una serie di specifiche critiche alla luce delle esperienze internazionali e di diritto comparato cfr. infra, § 30.

[105] Pubblicata in Gazz. Uff., n. 175 del 30 luglio 2007 – Suppl. Ordinario n. 171, in vigore dal 31 luglio 2007.

[106] La versione originale del testo approvato dal Consiglio dei ministri è disponibile ai seguenti indirizzi web: http://www.associazionemagistrati.it/HOME/testo%20ddl-0g%20approvato.doc; http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Ddlpres&leg=15&id=00262078&offset=158273&length=192686&parse=no. Il documento venne presentato come d.d.l. n. 1447/S/XV, comunicato alla Presidenza il 30 marzo 2007. Una tavola comparativa, che raffronta il testo del d.d.l. n. 1447/S/XV alla versione del medesimo documento approvata dalla Commissione Guistizia del Senato, è disponibile al sito web seguente: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Ddlcomm&leg=15&id=00273584&offset=4273&length=347959&parse=no. Per la scheda dei relativi lavori parlamentari cfr. la pagina web seguente: http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/trovaschedacamera_wai.asp?PDL=2900.

[108] Cfr. infra, §§ 19, 30.

[109] Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 199.

[110] Sul tema cfr. Varano, Verso le scuole di specializzazione per le professioni legali, in Foro it., 1995, V, c. 68 ss.; Consolo e Mariconda, Quali nuovi esami per avvocati e magistrati?, in Corr. giur., 1997, p. 1245 ss.; Giordano, Le scuole di specializzazione e il valore della formazione comune, in Documenti giustizia, 1997, c. 2529 ss.; A. Padoa Schioppa, Prospettive per le Scuole forensi, in Documenti giustizia, 1997, c. 2487 ss.; Consiglio Superiore della Magistratura, Parere del C.S.M. sullo schema di decreto legislativo concernente «modifica alla disciplina del concorso per uditore giudiziario e scuola di specializzazione per le professioni legali», in Giur. it., 1998, p. 624 ss.; Dittrich, Specializzazione e professioni legali, in Riv. del cons., 2000, p. 54 ss.; Dondi, Il regolamento istitutivo delle Scuole forensi. Rilievi minimi in tema di riforme e di formazione delle professioni legali, in Dir. pen. e proc., 2000, p. 803 ss.; A. Padoa Schioppa, Quell’inevitabile scelta di equiparare la frequenza all’abilitazione professionale, in Guida al diritto – Il sole 24 ore, 2000, n. 6, p. 57 ss.; Id., Scuole di specializzazione: dimezzata la durata, ivi, 2001, n. 11, p. 127 ss.; Oberto, La formazione professionale dei magistrati italiani nell’ottica della formazione del giurista europeo, cit., p. 173 ss., 201 ss. In generale sul ruolo delle università nella formazione dei magistrati cfr. Serio, Note su «L’università e la formazione dei giudici», in Riv. dir. civ., 2000, p. 631 ss.

[111] Un concorso falsamente indicato, tra l’altro, secondo un pregiudizio che si va diffondendo, come di «secondo grado», laddove l’apertura alla classe forense – secondo la previsione della lett. f) del novellato art. 2, comma primo, del d.lgs. n. 160 del 2006, come modificato dall’art. 1 della l. 30 luglio 2007, n. 111, che ammette al concorso «gli avvocati iscritti all’albo che non sono incorsi in sanzioni disciplinari», senza neanche la limitazione dell’esercizio della professione per almeno un triennio, contenuta nella versione originale del d.d.l. «Mastella» – si riferisce ad una (sterminata!) platea di soggetti ammessi all’iscrizione agli albi professionali degli avvocati per effetto del superamento di un esame (tradizionalmente caratterizzato, tra l’altro, da sconcertanti squilibri valutativi a seconda delle diverse sedi in cui il medesimo viene effettuato) e non certo di un concorso.

[112] Le modifiche introdotte dalla Commissione giustizia del Senato rispetto alla versione originale del d.d.l. governativo che ha portato alla l. 30 luglio 2007, n. 111 hanno fortunatamente espunto l’ipotesi prevista dalla lett. h) della proposta nuova versione dell’art. 2, comma primo, del citato d.lgs. n. 160 del 2006, secondo cui al concorso avrebbero potuto comunque essere ammessi, anche se non in possesso dei requisiti di cui alle altre lettere della norma in esame (e dunque anche se non in possesso del diploma delle Scuole di specializzazione) «i laureati che hanno conseguito la laurea magistrale in giurisprudenza al termine di un corso universitario di durata complessivamente non inferiore a cinque anni, o la laurea in giurisprudenza al termine di un corso di studi di durata non inferiore a quattro anni, con una votazione media, calcolata sulla votazione riportata in tutti gli esami sostenuti nell’intero corso di studi universitari necessario per il conseguimento della laurea magistrale o della laurea, in caso di corso quadriennale, pari almeno a ventotto trentesimi e un punteggio della sola laurea magistrale o della laurea, nel caso di laureati all’esito di un corso quadriennale, non inferiore a centosette centodecimi». Inutile dire che l’introduzione di una regola siffatta avrebbe, di fatto, trasformato le Scuole di specializzazione in qualcosa di molto simile alle (certo non rimpiante) «classi differenziali» della scuola elementare d’un tempo, in cui si sarebbero affollati i (soli) laureati meno brillanti, nel tentativo di recuperare il tempo perduto all’università…

[113] Cfr. il parere approvato dalla Commissione giustizia del Senato in data 1 dicembre 2005 sull’atto del governo n. 544 (il testo di tale parere è disponibile al sito web seguente: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=14&id=166871): «In merito alle problematiche concernenti i rapporti fra la Scuola della magistratura ed il Consiglio superiore della magistratura, con specifico riferimento alla materia del tirocinio e della formazione dei magistrati, va evidenziato che vi sono varie disposizioni di legge che hanno espressamente attribuito al Consiglio superiore della magistratura compiti in tema di formazione dei magistrati e che tali disposizioni non sono state né abrogate né modificate dalla delega o dallo schema di decreto delegato. Si deve ricordare, infatti, che il comma 4 dell’articolo 4-bis della legge 21 novembre 1991, n. 374, quale sostituito dall’articolo 2 della legge 24 novembre 1999, n. 468, stabilisce che il CSM è titolare delle direttive che riguardano il tirocinio dei giudici di pace; e, ancor più significativamente, che l’articolo 5 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, attuativo del nuovo codice di procedura penale per la parte afferente i minori, afferma a sua volta che al CSM compete la responsabilità dei “corsi di formazione per magistrati ordinari e onorari addetti agli uffici giudiziari minorili”. Il fatto che il CSM si debba occupare del tirocinio e della formazione non solo di talune categorie di magistrati onorari, ma anche di un settore della magistratura ordinaria pone obiettivamente un problema di coordinamento normativo che la Commissione sottopone alla valutazione del Governo e rispetto al quale ritiene che – mentre per quanto riguarda i magistrati ordinari addetti ai Tribunali minorili può esservi lo spazio, sulla base della delega al coordinamento contenuta nell’articolo 1, comma 3, della legge n. 150 del 2005 per un intervento che attribuisca alla Scuola superiore l’organizzazione dei corsi di formazione per gli stessi – risulterebbe invece al di là della portata della delega un intervento innovativo sulla formazione dei giudici di pace. Si tratta peraltro di un profilo su cui, de iure condendo, un intervento del legislatore appare certamente auspicabile».

[114] Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 199.

[115] Cfr. in questo senso il parere del C.S.M. in data 10 novembre 2005, in Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione al parlamento sullo stato della giustizia. Il Consiglio superiore della magistratura e le modifiche dell’Ordinamento giudiziario, loc. cit.

[116] Cfr. infra, § 29.

[117] Cfr. ad esempio quanto illustrato infra, nel seguente § 20, in tema di formazione internazionale.

[118] Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 200, ricorda che la disciplina del comando nella pubblica amministrazione trova il suo fondamento nell’art. 4 dell’accordo del 16 maggio 2001, integrativo del contratto collettivo nazionale del comparto Ministeri sottoscritto il 16 febbraio 1999.

[119] V. infra, § 30. Di «federalismo formativo» parlano, in termini critici, anche Civinini, Leo, Morosini, Profiti, Sabato, Idee per l’istituzione di una scuola della magistratura, loc. cit.

[120] Cfr. in questo senso il parere del C.S.M. in data 10 novembre 2005, in Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione al parlamento sullo stato della giustizia. Il Consiglio superiore della magistratura e le modifiche dell’Ordinamento giudiziario, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 151, Roma, 2007, p. 248.

[121] Cfr. p. 29 (il documento del C.S.M. è disponibile al seguente indirizzo web: http://www.associazionemagistrati.it/HOME/ParereCSM_OG.pdf; la numerazione delle pagine citate nel presente lavoro si riferisce alla versione del parere reperibile nel sito predetto, in formato .pdf).

[122] Cfr. in questo senso il parere del C.S.M. in data 10 novembre 2005, in Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione al parlamento sullo stato della giustizia. Il Consiglio superiore della magistratura e le modifiche dell’Ordinamento giudiziario, loc. cit.

[123] Cfr. Consiglio Superiore della Magistratura, Ordinamento giudiziario. Pareri del C.S.M. sulle proposte governative di modifica, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 136, Roma, 2003, p. 108 ss.

[124] Il testo della disposizione richiamata è il seguente: «37. Per l’istituzione e il funzionamento della Scuola superiore della magistratura, di cui al comma 2, lettera a), è autorizzata la spesa massima di euro 6.946.950 per l’anno 2005 ed euro 13.893.900 a decorrere dall’anno 2006, di cui euro 858.000 per l’anno 2005 ed euro 1.716.000 a decorrere dall’anno 2006 per i beni da acquisire in locazione finanziaria, euro 1.866.750 per l’anno 2005 ed euro 3.733.500 a decorrere dall’anno 2006 per le spese di funzionamento, euro 1.400.000 per l’anno 2005 ed euro 2.800.000 a decorrere dall’anno 2006 per il trattamento economico del personale docente, euro 2.700.000 per l’anno 2005 ed euro 5.400.000 a decorrere dall’anno 2006 per le spese dei partecipanti ai corsi di aggiornamento professionale, euro 56.200 per l’anno 2005 ed euro 112.400 a decorrere dall’anno 2006 per gli oneri connessi al funzionamento del comitato direttivo di cui al comma 2, lettera m)».

[125] Cfr. il documento approvato il 13 maggio 2006 dal Comitato direttivo centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati, dal titolo L’impatto della legge 150/05 e dei relativi decreti legislativi delegati su alcuni aspetti cruciali dell’organizzazione giudiziaria e sul funzionamento del sistema giustizia, in Diritto & Giustizia, 16 maggio 2006.

[126] Cfr. in questo senso il parere del C.S.M. in data 10 novembre 2005, in Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione al parlamento sullo stato della giustizia. Il Consiglio superiore della magistratura e le modifiche dell’Ordinamento giudiziario, cit., p. 250 ss. Il giudizio di «insufficienza delle risorse finanziarie ed organizzative previste » è stato ripetuto dall’organo di autogoverno anche nel già citato parere del 31 maggio 2007 (p. 29),  emesso con riguardo al disegno di legge governativo che ha dato luogo alla l. 30 luglio 2007, n. 111 (si ricorda che tale documento del C.S.M. è disponibile al seguente indirizzo web: http://www.associazionemagistrati.it/HOME/ParereCSM_OG.pdf).

[127] Per quanto attiene, in particolare, ai corsi di formazione continua di cui alla versione originaria del d.lgs. n. 26 del 2006, il C.S.M. (cfr. il già citato parere del C.S.M. in data 10 novembre 2005, in Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione al parlamento sullo stato della giustizia. Il Consiglio superiore della magistratura e le modifiche dell’Ordinamento giudiziario, loc. cit.) aveva effettuato una propria simulazione relativa all’anno 2009 (e cioè il primo anno in cui sembra prevedibile che la Scuola possa operare a pieno regime), tenendo conto del numero solo dei corsi obbligatori originariamente previsti dalla riforma e del numero dei magistrati che, in ragione dell’anzianità maturata nell’anno preso in considerazione, avrebbero dovuto frequentare i corsi, pervenendo ai risultati seguenti: «Presa come riferimento della situazione attuale la formazione offerta dal Consiglio nell’anno 2004 (i corsi sono stati 95, e vi hanno partecipato 5077 magistrati, per complessive 245 giornate di corso), si è evidenziato:

– che nel 2009 i partecipanti saranno 3962 (il numero è inferiore all’anno 2004 poichè è stata considerata solo la partecipazione obbligatoria);

– che, in ragione del numero dei magistrati per tipologia di corso, e fissato a 69,93 il numero medio dei partecipanti (media desunta dagli anni 2002, 2003, 2004), i corsi saranno complessivamente 57;

– che, in ragione della durata di due settimane di corso e della durata semestrale del tirocinio degli uditori, la Scuola dovrà organizzare complessivamente 1505 giornate di corso, presso le tre sedi, a fronte delle 245 dell’anno 2004.

Ciò significa che ogni sede della Scuola dovrà garantire circa 500 giornate di corso durante l’anno, senza considerare le giornate che dovranno essere assicurate ai circa 2.000 magistrati chiamati a sostenere la formazione quinquennale e a quelli (oggi non quantificabili, ma certo numerosi) che parteciperanno ai corsi finalizzati all’accesso ai posti direttivi e semidirettivi».

[128] Cfr. infra, §§ 22, 24, 25, 27 e 29.

[129] Cfr. il citato parere emesso in data 31 maggio 2007, p. 30.

[130] Potrà ricordarsi sul punto il parere espresso dalla III Commissione permanente della Camera (Affari esteri e comunitari), la quale esaminato, limitatamente alle parti di propria competenza, il disegno di legge n. 2900 Governo, approvato dal Senato, concernente: «Riforma dell’ordinamento giudiziario», ha «valutato positivamente l’ampliamento della proiezione internazionale della Scuola superiore della Magistratura sulla base delle modifiche al decreto legislativo n. 26 del 2006, introdotte dalle lettere g) e h) dell’articolo 3, comma 2, con particolare riguardo all’esplicito riferimento alla Rete di formazione giudiziaria europea, nonché alla collaborazione nelle attività dirette all’organizzazione e al funzionamento del servizio giustizia in altri Paesi». Il medesimo organo ha altresì «auspicato che la Scuola superiore della Magistratura possa, in virtù di tali nuove disposizioni, rafforzare significativamente il ruolo dell’Italia nella cooperazione giudiziaria internazionale, che costituisce uno degli aspetti fondamentali dei processi di stabilizzazione istituzionale e di consolidamento democratico, oltre che uno dei più efficaci strumenti per il contrasto al terrorismo internazionale ed al crimine organizzato» (il testo del parere è disponibile al seguente indirizzo web: http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=15PDL0031340).

[131] Sulla finalità «di garantire un ampio pluralismo culturale e scientifico» v. le sarcastiche notazioni di A. Padoa Schioppa, I giudici tornano sui banchi di scuola: un passo avanti che non cura il male, in Guida al diritto - Il sole 24 ore, n. 7 del 18 febbraio 2006, p. 53: «Quest’ultima prescrizione potrà ingenerare qualche problema. Sarebbe fuorviante e anzi dannoso, a nostro avviso, interpretarla nel senso che il Comitato di gestione per l’uditorato debba misurare col bilancino la vera (o supposta) cifra ideologica dei docenti per comporre così un armonico giardinetto multicolore. Piuttosto, volendole dare un significato, essa potrebbe essere intesa nel senso di non privilegiare unilateralmente una scuola di pensiero o un indirizzo metodologico rispetto a tutti gli altri, in una realtà come l’attuale che conosce divisioni o sottolineature di metodi e di valori tutt’altro che uniformi».

[132] Si noti poi, per la cronaca, che per gli ulteriori corsi previsti dalle disposizioni, ora abrogate, finalizzate alla valutazione dei magistrati, non venivano richiesti neppure tali ultimi requisiti, così potendo indurre qualche maligno a ritenere a contrario che, per tali attività, i docenti avrebbero potuto anche non essere provvisti di alcuna delle summenzionate caratteristiche…

[133] Si ricorda che il relativo testo è disponibile al sito web seguente: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=14&id=166871.

[134] Nel parere emesso in data 10 novembre 2005, in Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione al parlamento sullo stato della giustizia. Il Consiglio superiore della magistratura e le modifiche dell’Ordinamento giudiziario, cit., p. 247.

[135] Anche Pederzoli, Nasce l’obbligo di aggiornamento costante, in Guida al diritto - Il sole 24 ore, n. 7 del 18 febbraio 2006, p. 57, sembra esprimere una preoccupazione del genere, in relazione alla versione originale del d.lgs. n. 26 del 2006: «Come si sa, poi, l’aggiornamento professionale diventa obbligatorio per tutti i magistrati, che almeno ogni cinque anni dovranno partecipare ad attività formative di durata non inferiore a due settimane. A ciò si aggiungano i corsi abilitanti per ogni eventuale passaggio di funzione e quelli che preludono all’avanzamento in carriera. Il tutto va infine rapportato a un corpo giudiziario che nel suo complesso consta di circa 9mila unità. Insomma, sono cifre che lasciano intravedere una macchina organizzativa a dir poco complessa e tuttavia governata da organismi (il comitato direttivo e quelli di gestione) nei quali non è dato ravvisare una sola carica a tempo pieno».

[136] Cfr. l’elenco di attività di cui supra, § 20 in fine, nonché infra, § 24.

[137] Nulla di simile, per intenderci, a quella soluzione «scatolone» attualmente seguita dal sito del C.S.M. (cfr. il sito http://appinter.csm.it/incontri/ele_anno_inc.php), in cui vengono affastellati alla rinfusa (e distinti solo anno per anno) materiali preziosissimi, nei quali solo l’uso del motore di ricerca Google può consentire di districarsi, usando l’accorgimento – una volta digitati i dati di ricerca nell’ambito degli spazi dedicati agli usuali operatori logici (and, or, not, “frase fatta”) – di inserire, nell’apposita pagina destinata alla ricerca avanzata (http://www.google.it/advanced_search?hl=it), l’indirizzo seguente: «http://appinter.csm.it/incontri», in corrispondenza dello spazio bianco legato alla funzione «risultati contenuti nel seguente sito o dominio». A mo’ di esercizio si provi a ricercare il materiale disponibile in tema di rapporti tra usucapione e comunione legale tra coniugi, digitando il termine «usucapione» nello spazio bianco di fianco alla funzione «Trova risultati che contengano tutte le seguenti parole», nonché l’espressione «comunione legale» nello spazio bianco di fianco alla funzione «Trova risultati che contengano la seguente frase».

[138] Riassumono in questo modo i compiti di una Scuola ideale Civinini, Leo, Morosini, Profiti, Sabato, Idee per l’istituzione di una scuola della magistratura, loc. cit.:

 – la formazione iniziale degli uditori giudiziari in tirocinio e la formazione degli uditori con funzioni;

 – la formazione permanente dei giudici e procuratori togati;

 – la formazione dei dirigenti degli uffici giudiziari;

 – la formazione iniziale e permanente della magistratura onoraria;

 – la formazione dei formatori;

 – il coordinamento delle attività di formazione decentrata;

 – la formazione di magistrati stranieri in stage nel nostro paese o partecipanti all’attività di formazione nazionale e all’attività di formazione che si svolge nell’ambito della rete europea di formazione giudiziaria;

 – la partecipazione, anche nel quadro di progetti dell’Unione europea, del consiglio d’Europa o dell’Onu o di programmi del ministero degli esteri, a missioni internazionali che hanno ad oggetto la creazione di istituti di formazione, la formazione dei formatori e la formazione in particolari settori o materie in Paesi terzi;

 – la realizzazione di programmi di formazione con analoghe strutture di altri organi istituzionali o di ordini professionali;

 – la realizzazione di strumenti didattici di consultazione e di strumenti didattici interattivi da diffondere e utilizzare in via telematica (e-learning, ecc.);

 – la realizzazione di studi e ricerche giuridiche;

 – la realizzazione di un «giornale» periodico di informazione sulle attività della scuola;

 – la gestione di una collana di pubblicazioni nelle materie oggetto di attività di formazione.

[139] Si noti che il predetto (preziosissimo) archivio, sebbene scomparso dall’elenco della home page del servizio Italgiure Web (http://213.175.10.214/), appare ancora raggiungibile (per chi, ovviamente, è dotato della password d’accesso al sistema predetto) all’indirizzo web seguente: http://213.175.10.214/xway-4.4.7/application/nif/isapi/hc.dll?db=merito&lang=it.

[140] Cfr. in questo senso il parere del C.S.M. emesso in data 10 novembre 2005, in Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione al parlamento sullo stato della giustizia. Il Consiglio superiore della magistratura e le modifiche dell’Ordinamento giudiziario, cit., p. 257.

[141] Su cui v. supra, § 16.

[142] Cfr. ad es. Cass., 3 marzo 2000 , n. 2433.

[143] Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 204.

[144] Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 205.

[145] Cfr. art. 2, comma secondo, lett. l), l. 25 luglio 2005, n. 150: «l) prevedere che la Scuola superiore della magistratura sia diretta da un comitato che dura in carica quattro anni, composto dal primo Presidente della Corte di cassazione o da un magistrato dallo stesso delegato, dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione o da un magistrato dallo stesso delegato, da due magistrati ordinari nominati dal Consiglio superiore della magistratura, da un avvocato con almeno quindici anni di esercizio della professione nominato dal Consiglio nazionale forense, da un componente professore universitario ordinario in materie giuridiche nominato dal Consiglio universitario nazionale e da un membro nominato dal Ministro della giustizia; prevedere che, nell’ambito del comitato, i componenti eleggano il presidente; prevedere che i componenti del comitato, diversi dal primo Presidente della Corte di cassazione, dal Procuratore generale presso la stessa e dai loro eventuali delegati, non siano immediatamente rinnovabili e non possano far parte delle commissioni di concorso per uditore giudiziario».

[146] Come osservava Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 205.

[147] Rilevava sul punto Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 206, che la scelta del decreto legislativo, oltre che criticabile per l’ingiustificata accentuazione dei gradi funzionali, era poco accorta nella prospettiva di assicurare la presenza all’interno del comitato di tutte le competenze necessarie alla migliore individuazione degli obiettivi formativi, dal momento che non si curava di garantire la presenza contestuale di magistrati con esperienza giudicante e di magistrati con uno specifico sapere investigativo. Anche Pederzoli, Nasce l’obbligo di aggiornamento costante, cit., p. 57, rimarcava che «sfugge, a dire il vero, la ragione per cui i membri designati dal Csm debbano di necessità avere, e da almeno tre anni, la qualifica degli attuali magistrati d’appello, tanto più che la futura configurazione della carriera offrirebbe una ben più ampia gamma di qualifiche e di esperienze alle quali attingere». Nel parere del C.S.M. in data 10 novembre 2005, in Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione al parlamento sullo stato della giustizia. Il Consiglio superiore della magistratura e le modifiche dell’Ordinamento giudiziario, cit., p. 245, si affermava poi che la limitazione della scelta del C.S.M. ai magistrati con funzioni d’appello trovava ragione «nell’approccio burocratico dell’intera normativa e non si rapporta in alcun modo alle esigenze formative che dovrebbero presiedere alla scelta delle persone più idonee».

[148] Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 206.

[149] Così Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 206.

[150] Cfr. il parere reso nella seduta del 22 maggio 2003, concernente gli emendamenti approvati dal Consiglio Superiore dei ministri al disegno di legge n. 1296/S recante: «Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e disposizioni in tema di organico della Corte di cassazione e di conferimento delle funzioni di legittimità», in Consiglio Superiore della Magistratura, Ordinamento giudiziario. Pareri del C.S.M. sulle proposte governative di modifica, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 136, Roma, 2003, p. 102 s.

[151] In questi termini v. il già citato parere reso dal C.S.M. nella seduta del 22 maggio 2003, concernente gli emendamenti approvati dal Consiglio Superiore dei ministri al disegno di legge n. 1296/S recante: «Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e disposizioni in tema di organico della Corte di cassazione e di conferimento delle funzioni di legittimità», in Consiglio Superiore della Magistratura, Ordinamento giudiziario. Pareri del C.S.M. sulle proposte governative di modifica, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, cit., p. 103 s. Dubbi di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 105 Cost. circa il modo di composizione del direttivo della Scuola venivano poi ulteriormente espressi nel parere del C.S.M. in data 10 novembre 2005, in Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione al parlamento sullo stato della giustizia. Il Consiglio superiore della magistratura e le modifiche dell’Ordinamento giudiziario, cit., p. 241 s.

[152] Cit., p. 2.

[153] Cfr. p 33.

[154] Cfr. infra, § 25.

[155] Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 208.

[156] Cfr. l’art. 2, comma secondo, lett. n), l. 25 luglio 2005, n. 150: «n) prevedere che, nella programmazione dell’attività didattica, il comitato direttivo di cui alla lettera l) possa avvalersi delle proposte…».

[157] Cit., p. 31.

[158] Cfr. sempre il citato parere emesso il 31 maggio 2007, pag. 32.

[159] Su cui v. infra, § 25.

[160] Cfr. Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 208 s.

[161] Cfr. supra, § 19.

[162] Cfr. l’art. 2, secondo comma, lett. l), che si esprime nei termini seguenti: «prevedere che la Scuola superiore della magistratura sia diretta da un comitato…».

[163] Contra Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 207, in relazione al testo originario del d.lgs. cit., che, peraltro, in parte qua, è rimasto del tutto invariato.

[164] Per l’esattezza, le disposizioni abrogate prevedevano due comitati di gestione: l’uno preposto alle attività dì tirocinio degli uditori giudiziari, l’altro alle attività di aggiornamento e formazione professionale dei magistrati già in servizio. La legge delega (art. 2, secondo comma, lett. m)) aveva stabilito genericamente che i comitati di gestione avrebbero dovuto essere formati da un «congruo» numero di componenti, comunque non superiore a cinque, senza indicare le categorie professionali al cui interno il comitato direttivo ne avrebbe dovuto scegliere i membri. Il d.lgs. specificava (art. 13, nel testo oggi abrogato) che costoro avrebbero dovuto essere scelti dal comitato direttivo tra i magistrati ordinari che esercitavano le funzioni giudicanti o quelle requirenti da almeno quindici anni, nonché tra gli avvocati con non meno di quindici anni di esercizio della professione e tra i professori universitari in materie giuridiche. Purché operasse la scelta all’interno di queste categorie, il comitato direttivo non aveva alcun vincolo di quote, potendo nominare eventualmente tutti i dieci componenti tra i professori universitari o tutti tra gli avocati, o ovviamente tutti tra i magistrati, e magari tra i soli magistrati giudicanti o solo tra quelli requirenti (cfr. Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 209).

Ai sensi dell’art. 15 d.lgs. cit. (sempre nella versione oggi non più in vigore) i componenti del comitato di gestione godevano di piena indipendenza nei confronti del comitato direttivo, erano nominati per un periodo di quattro anni e non potevano essere immediatamente rinnovati. Essi non potevano poi fare parte delle commissioni di concorso per uditore giudiziario, mentre nulla era detto in merito alla compatibilità, rispetto alla partecipazione alle commissioni di concorso, per la progressione in carriera: ciò che appariva tanto più assurdo, se si poneva mente al fatto che le competenze di uno dei due comitati di gestione erano appunto quelle della formazione in vista dei vari passaggi di carriera dei magistrati (ritiene la disposizione «frutto di una svista» Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 210). La carica in oggetto è inoltre incompatibile con qualsiasi carica pubblica elettiva o attività di componente di organi di controllo di enti pubblici e privati, fatta però salva l’attività di studio e di ricerca.

Diversamente che per il comitato direttivo, il d.lgs. n. 26 del 2006 non dettava alcun criterio di nomina per i componenti dei comitati di gestione. Come rilevato al riguardo dal C.S.M. (cfr. il già citato parere in data 10 novembre 2005, in Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione al parlamento sullo stato della giustizia. Il Consiglio superiore della magistratura e le modifiche dell’Ordinamento giudiziario, cit., p. 246 s.), la mancata indicazione dei requisiti positivi denotava l’intento di lasciare «carta bianca» al comitato direttivo, sia per quanto riguardava la concreta determinazione del rapporto fra le diverse categorie professionali, sia per quanto riguardava i titoli specifici che il singolo componente doveva possedere con riferimento all’attività che era chiamato a svolgere. In teoria, dunque, un comitato avrebbe potuto essere composto con un solo magistrato e con avvocati privi di esperienze nel settore formativo e professori privi di esperienze professionali di avvocato.

La mancanza di criteri per la individuazione dei componenti dei comitati di gestione aggravava così i vizi di costituzionalità denunciati dal Consiglio superiore, soprattutto ove si fosse considerato il ruolo decisivo che i comitati di gestione erano destinati a ricoprire, tra l’altro, con riferimento: a) alla scelta dei docenti e dei tutori; b) alla fissazione dei criteri di ammissione ai corsi; c) al momento di valutazione dei magistrati; d) alla scelta dei magistrati affidatari degli uditori (art. 21, comma terzo, nella versione in vigore prima della l. 30 luglio 2007, n. 111).

Non era previsto, poi, alcun contributo permanente ai Comitati direttivi da parte di professionalità diverse da quelle giuridiche, quali, ad esempio, di esperti di scienza della formazione. Questo limite non appariva in alcun modo compatibile con la previsione di una scuola di formazione permanente e strutturata come quella che il d.lgs. comunque prefigurava.

Per quanto attiene al funzionamento, i comitati di gestione funzionavano con la regola delle deliberazioni a maggioranza relativa, con almeno la presenza alle sedute di tre componenti. L’art. 14 d.lgs. cit., nella sua versione originale, specificava che «in caso di parità prevale il voto del presidente»: disposizione da cui si desumeva pertanto che ogni comitato dovesse eleggere al suo interno un presidente. Anche per i comitati di gestione, come per il comitato direttivo, il voto era palese. Mentre per i componenti del comitato direttivo era previsto in generale un potere di astensione dalla discussione e dalla relativa deliberazione (art. 7, comma secondo, d.lgs. cit.) per i casi in cui si fossero venuti a trovare in conflitto di interesse in relazione ad una specifica deliberazione, ovvero se avessero ravvisato motivi di opportunità, per i componenti dei comitati di gestione si prevedeva (art. 14, commi secondo e terzo, d.lgs. cit.) anche un’ipotesi di astensione obbligatoria per i casi di svolgimento di attività professionale o di lavoro autonomo in procedimenti trattati da magistrati che frequentavano i corsi presso la Scuola e comunque sino alla valutazione finale sul livello di preparazione di detti magistrati e sui loro specifici elementi attitudinali inerenti le funzioni svolte.

I compiti dei comitati di gestione venivano dall’art. 12, comma terzo, d.lgs. cit., nella versione anteriore alla l. 30 luglio 2007, n. 111, specificati come segue:

«3. Ciascun comitato di gestione:

 a) attua la programmazione annuale dell’attività per il proprio ambito di competenza;

 b) definisce il contenuto analitico di ciascuna sessione;

 c) individua i docenti chiamati a svolgere l’incarico di insegnamento in ciascuna sessione;

 d) fissa i criteri di ammissione alle sessioni di formazione;

 e) offre sussidio didattico e sperimenta nuove formule didattiche;

 f) segue lo svolgimento delle sessioni e presenta, all’esito di ciascuna di esse, relazioni consuntive;

 g) cura il tirocinio o l’aggiornamento professionale nelle fasi effettuate presso la Scuola, selezionando i tutori, nonchè i docenti incaricati anno per anno e quelli occasionali».

L’elenco, esattamente definito puntiglioso e fors’anche sovrabbondante almeno per la parte in cui menzionava alla lett. c) il compito di nomina dei docenti incaricati per ciascuna sessione ed alla lett. g) ribadiva la competenza alla nomina dei docenti incaricati per anno e dei docenti occasionali, non conteneva il riferimento alle competenze forse più importanti, che erano quelle di valutazione dei magistrati che partecipano alle sessioni di tirocinio, aggiornamento e formazione (cfr. Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 211). I comitati di gestione assommavano quindi quasi tutte le funzioni decisorie, restando comunque obbligati a rendere il conto della gestione formativa al comitato direttivo, come si arguisce dalla lett. j) dell’elenco poco prima trascritto delle loro funzioni (così Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 211).

[165] Oberto, La formazione professionale dei magistrati italiani nell’ottica della formazione del giurista europeo, cit., p. 191 s.; il progetto cui si fa riferimento è quello, già ricordato, n. 2018/XII, che recava il titolo «Istituzione di un Centro superiore di studi giuridici per la formazione dei magistrati, o “Scuola della magistratura”», presentato al parlamento italiano nel 1995, nel corso della XII legislatura (su cui v. supra, § 15).

[166] Anche se, per converso, la presenza di «illustri personalità» nel comitato potrebbe fornire in contropartita il vantaggio della disponibilità di un certo numero di persone dotate (ben più di coloro che sopra si sono descritti come «Cirenei») dei mezzi e delle entrature necessarie per porre la Scuola al riparo dai rischi rappresentati dagli inevitabili tentativi di sabotaggio che – secondo quanto dimostrato dall’esperienza (sul punto v. quanto osservato supra, § 16) – non mancheranno certo di presentarsi.

[167] «Art. 9

Segretario Generale

1. Il magistrato, che ai sensi dell’art. 7 della legge 24 marzo 1958 n. 195, come sostituito dall’art. 1 della legge 9 dicembre 1977 n. 908, dirige la Segreteria, assume le funzioni di Segretario Generale con le seguenti attribuzioni:

a)            assiste il Vicepresidente ed il Comitato di Presidenza nella predisposizione e nello svolgimento dei lavori attinenti l’organizzazione ed il funzionamento del Consiglio;

b)           cura, nell’ambito delle proprie funzioni, i rapporti con le Segreterie Generali della Presidenza della Repubblica, della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, della Corte Costituzionale, nonché con gli analoghi uffici della Presidenza del Consiglio, degli altri organi di rilevanza costituzionale e della pubblica amministrazione;

c)           propone al Vicepresidente ed al Comitato di Presidenza l’adozione di provvedimenti attinenti l’amministrazione del Consiglio;

d)           assiste alle riunioni del Comitato di Presidenza e ne redige il verbale; provvede alla conservazione degli atti; cura gli adempimenti preparatori delle riunioni stesse e l’esecuzione delle deliberazioni adottate;

e)            coordina l’attività dei magistrati addetti alla Segreteria;

f)             assicura il buon andamento dei servizi e degli uffici e sovraintende al personale addetto al Consiglio;

g)           adempie ad ogni altro compito previsto dai regolamenti del Consiglio o che gli sia affidato dal Vicepresidente, dal Comitato di Presidenza o dal Consiglio.   

        2. Nello svolgimento dei predetti compiti il Segretario generale si avvale di apposita segreteria ed è coadiuvato e sostituito, in caso di impedimento, da un magistrato di merito (Vice Segretario generale). Il Segretario Generale, previa comunicazione al Comitato di Presidenza, può delegare al Vice Segretario Generale il compimento di determinati atti o la cura di settori di attività rientranti nelle sue attribuzioni, fermo restando il potere di direzione e coordinamento spettantegli; la delega può essere revocata con le stesse modalità. Successivamente all’emanazione i provvedimenti di delega o di revoca devono essere, a cura del Comitato di Presidenza, comunicati al Plenum del Consiglio. La nomina del Segretario generale e del Vice Segretario generale è deliberata dal Consiglio su proposta del Comitato di Presidenza, che può avvalersi, a fini istruttori, della Terza Commissione.        

3. Presso la Segreteria Generale è costituito un ufficio informazioni, diretto da un Magistrato Segretario, con il compito di fornire ai magistrati le notizie non riservate relative alle pratiche che li riguardano».

[168] Cfr. p. 33.

[169] Cfr. supra, § 24.

[170] Cfr. infra, § 29.

[171] Cfr. supra, § 21.

[172] Cfr. p. 33 s.

[173] Sul tema cfr. Santalucia, Le nuove norme sull’accesso alla magistratura ordinaria, in Bertuzzi, Cassano, Erbani, Melillo, Salvato, Santalucia, Il nuovo ordinamento giudiziario: concorso, funzioni, scuola della magistratura, ufficio del pubblico ministero e responsabilità disciplinare (legge delega e decreti delegati), cit., p. 41 ss.

[174] Santalucia, Le nuove norme sull’accesso alla magistratura ordinaria, cit., p. 42.

[175] Per una critica all’inspiegabile esclusione degli organi monocratici cfr. il parere del C.S.M. in data 10 novembre 2005, in Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione al parlamento sullo stato della giustizia. Il Consiglio superiore della magistratura e le modifiche dell’Ordinamento giudiziario, cit., p. 253.

[176] Proponeva al riguardo A. Padoa Schioppa, I giudici tornano sui banchi di scuola: un passo avanti che non cura il male, cit., p. 53, che i giudizi espressi dai magistrati affidatari fossero inclusi nel fascicolo personale del magistrato, a fianco del giudizio sintetico del comitato di gestione, soggiungendo che «Per le fasi successive della carriera, i giudizi espressi dai colleghi magistrati, interpellati secondo procedure da definire, dovrebbero essere valorizzati. Tra l’altro, i giudizi espressi sono utili per conoscere non solo chi ne è l’oggetto ma anche chi ne è l’autore. Si potrebbe addirittura suggerire che i giudizi espressi entrino a far parte del fascicolo personale di chi li ha formulati».

[177] Si ricorda che il predetto parere è disponibile al sito web seguente: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=14&id=166871. Sul tema specifico trattato nel testo cfr. anche Santalucia, Le nuove norme sull’accesso alla magistratura ordinaria, cit., p. 44, il quale soggiungeva che, al di là di queste pur condivisibili osservazioni critiche, quel che sembrava poco rispondente ad obiettivi di serio controllo della professionalità era che, dopo le valutazioni di tirocinio, il magistrato immesso nell’esercizio delle funzioni non avesse in tempi ravvicinati ulteriori momenti di verifica sull’idoneità in concreto all’esercizio delle delicate funzioni. Ed infatti, la prima tappa di promozione si aveva, nel sistema originario del d.lgs. n. 26 del 2006, per il conferimento delle funzioni di appello, e qui si evidenziava in negativo la diversità con il sistema precedente, in cui era prevista una valutazione per progressione dalla qualifica di uditore giudiziario a quella di magistrato di tribunale, che si sostanziava in una promozione non solo per la corresponsione del migliore trattamento economico, ma anche per la possibilità di accedere a determinate funzioni (si pensi, ad esempio, che nel settore inquirente il magistrato di tribunale e non l’uditore giudiziario poteva fare parte delle direzioni distrettuali antimafia; nel settore giudicante, invece, l’uditore giudiziario non poteva costituire il tribunale in composizione monocratica e non poteva assumere le funzioni di giudice incaricato dei provvedimenti previsti per la fase delle indagini preliminari nonché di giudice dell’udienza preliminare, come si desumeva agevolmente dalla previsione di un numero minimo – rispettivamente tre anni e due anni – di esercizio della funzione giurisdizionale e specificamente di funzioni di giudice del dibattimento, incompatibile, in linea di massima, con la permanenza nella qualifica iniziale di uditore giudiziario).

[178] Santalucia, Le nuove norme sull’accesso alla magistratura ordinaria, cit., p. 44.

[179] Così Santalucia, Le nuove norme sull’accesso alla magistratura ordinaria, cit., p. 44 s.

[180] Cfr. il già citato documento approvato il 13 maggio 2006 dal Comitato direttivo centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati, dal titolo L’impatto della legge 150/05 e dei relativi decreti legislativi delegati su alcuni aspetti cruciali dell’organizzazione giudiziaria e sul funzionamento del sistema giustizia, in Diritto & Giustizia, 16 maggio 2006.

[181] Nel suo parere in data 10 novembre 2005, in Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione al parlamento sullo stato della giustizia. Il Consiglio superiore della magistratura e le modifiche dell’Ordinamento giudiziario, cit., p. 253.

[182] Che peraltro resta, quale guscio privo di contenuto, nell’intitolazione del d.lgs. n. 26 del 2006 («Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonchè disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n. 150»), rimasta intonsa.

[183] Cfr. supra, § 16.

[184] In senso contrario alla riduzione del periodo di tirocinio si era espresso anche il C.S.M. nel più volte ricordato parere emesso il 31 maggio 2007, p. 34.

[185] Cfr. supra, §§ 6 ss.

[186] Cfr. p. 34.

[187] Questa sessione presso gli uffici giudiziari si articola in tre periodi:

1) il primo periodo, della durata di tre mesi, è svolto presso il tribunale e consiste nella partecipazione all’attività giurisdizionale relativa alle controversie o ai reati rientranti nella competenza del tribunale in composizione collegiale e monocratica, compresa la partecipazione alla camera di consiglio, in maniera che sia garantita al magistrato ordinario in tirocinio la formazione di una equilibrata esperienza nei diversi settori;

2) il secondo periodo, della durata di due mesi, è svolto presso la procura della Repubblica presso il tribunale;

3) il terzo periodo, della durata di cinque mesi, è svolto presso un ufficio corrispondente a quello di prima destinazione del magistrato ordinario in tirocinio (cfr. art. 22, comma quarto, d.lgs. cit.).

[188] Critica quest’ultima disposizione il C.S.M. nel citato parere del 31 maggio 2007, p. 34, secondo il quale «Non si comprende la ragione per cui gli affidatari debbano inviare le schede di valutazione dei magistrati in tirocinio oltre che al Consiglio anche alla Scuola, non essendo prevista alcuna attività della Scuola relativa a tali schede».

[189] Come esattamente rilevato dal C.S.M. nel suo parere reso nella seduta del 12 giugno 2002, in Consiglio Superiore della Magistratura, Ordinamento giudiziario. Pareri del C.S.M. sulle proposte governative di modifica, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 136, Roma, 2003, p. 36, «La moderna formazione in ambito giudiziario deve essere processo continuo di accrescimento della professionalità e non mero ed episodico momento di aggiornamento professionale; deve essere intimamente connessa alla organizzazione del lavoro giudiziario individuale e d’ufficio; ha bisogno, per realizzarsi, dello scambio di esperienze tra i portatori delle varie professionalità coinvolte nell’esercizio della giurisdizione e dell’attivo coinvolgimento degli interessati (che sono professionisti che confrontano idee, interpretazioni ed impostazioni tecniche e non soggetti cui impartire nozioni e da selezionare sulla base del profitto dimostrato nell’apprenderle)».

[190] Cfr. Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 213.

[191] Cfr. Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 214.

[192] Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 214.

[193] Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 214, il quale faceva esattamente presente che si sarebbe trattato, comunque, seppure non sempre, di un contraddittorio talmente differito da rendere poco agevole al magistrato la formulazione di puntuali osservazioni critiche circa le valutazioni del comitato di gestione, magari formulate in riferimento a corsi tenuti qualche anno prima.

[194] Sul punto cfr. anche il giudizio positivo espresso dal C.S.M. nel suo parere espresso in data 31 maggio 2007 sul disegno di legge governativo che ha dato luogo alla l. 30 luglio 2007, n. 111 (cit., p. 28), secondo cui «Altrettanto positiva è la proposta abrogazione degli articoli che riguardano i compiti di valutazione dei magistrati e la loro commistione con le funzioni di aggiornamento e formazione, nell’ambito di una profonda modifica dei meccanismi di progressione in carriera e di attribuzione delle funzioni che pervade l’intero intervento innovativo».

[195] Sul punto è da registrarsi l’apprezzamento positivo espresso dal C.S.M. nel suo più volte richiamato parere del 31 maggio 2007 (cit., p. 10).

[196] Su cui cfr. supra, § 12.

[197] Cit., p. 30.

[198] Cfr. supra, § 3.

[199] Cfr. le Conclusions de la 6ème réunion des membres du Réseau européen d’échanges d’informations entre les responsables et les entités chargés de la formation des magistrats, p. 4; il documento è disponibile al sito web seguente: http://www.coe.int/t/dg1/legalcooperation/judicialprofessions/lisbon/meetings/Plenary/2003Bucarest_fr.pdf.

[200] Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 216.

Ecco come lo stesso C.S.M. inquadra i rapporti tra formazione e valutazione (nel già citato parere reso nella seduta del 22 maggio 2003, concernente gli emendamenti approvati dal Consiglio Superiore dei ministri al disegno di legge n. 1296/S recante: «Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e disposizioni in tema di organico della Corte di cassazione e di conferimento delle funzioni di legittimità», in Consiglio Superiore della Magistratura, Ordinamento giudiziario. Pareri del C.S.M. sulle proposte governative di modifica, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 136, Roma, 2003, p. 106 ss.): «Formazione professionale e valutazione di professionalità sono ontologicamente differenti e devono tenersi distinte avendo ben presenti i diversi piani su cui operano, il loro oggetto, le finalità che attraverso le medesime si perseguono, le modalità di realizzazione.

Le finalità della formazione, sommariamente, sono: incrementare le capacità tecnico-giuridiche, suscitare consapevolezza dei termini culturali dei problemi e dei valori sottesi alle scelte operative, sviluppare il libero confronto ed il reciproco approfondimento tra gli orientamenti, rendere consapevole l’esercizio dell’autonomia; e ancora, fornire la “cassetta degli attrezzi” con la quale affrontare e risolvere le situazioni, gestire i processi e le ìstruttorie; infine, stimolare un’etica alta e un esercizio della professione in armonia coi principi deontologici che la regolano. La formazione, per sua natura, è rivolta al futuro, al miglioramento, all’innalzamento del livello della magistratura come corpo e come singoli, nell’interesse generale della giustizia e dei suoi utenti. I mezzi di realizzazione sono azioni formative, il cui contenuto ed i cui metodi sono conformati su tali finalità educative.

La valutazione di professionalità in senso proprio ha per oggetto la valutazione della prestazione individuale, nei suoi aspetti tecnici e nei suoi aspetti di contesto (comportamenti, autonomia, deontologia), in un quadro di controllo di gestione, di verifica dei risultati generali dell’azione, dell’attuazione degli obbiettivi e delle scelte operative, del miglioramento di qualità. Pur non potendo sottovalutare le difficoltà che le valutazioni di professionalità incontrano all’interno di un’amministrazione – qual è quella della giustizia – che ha fini generalissimi non traducibili in obbiettivi di produzione di beni o servizi, è certamente possibile migliorare l’attuale sistema di valutazioni, elaborando più evoluti indicatori di prestazione (sulla base di standard di capacità e comportamento) e indicatori di formazione e incrementando, nonché rendendo più certe, le fonti di conoscenza.

Qual è la relazione tra i due mondi della formazione e della valutazione? E, soprattutto, è possibile effettuare valutazioni di professionalità in sede formativa?

L’ordinamento giudiziario conosce la giustapposizione in un unico contesto di formazione e valutazione nel tirocinio degli uditori giudiziari, in cui soggetti che hanno superato la selezione concorsuale ma non hanno le funzioni giurisdizionali (e quindi non svolgono la prestazione tìpìca del magistrato) imparano il “mestiere” grazie ad un’azione formativa che si svolge su due livelli: quello teorico degli incontri di studio e quello pratico dello svolgimento di attività corrispondenti alle funzioni giurisprudenziali (gestione di udienza, assunzione di prove, redazione di provvedimenti, …) con apprendimento per imitazione da magistrati più anziani ed esperti che partecipano anche al processo di valutazione, esprimendo pareri parziali. Al di fuori di questo peculiarissimo contesto, l’abbinamento di formazione e valutazione può portare solo alla creazione di corsi “abilitanti”, attraverso i quali acquisire nuove capacità che “abilitano” allo svolgimento di funzioni diverse o agli avanzamenti di carriera, del tutto inidonei a valutare le capacità e le competenze già possedute e fondati sul principio (del tutto opposto a quello dell’interesse dell’utente che è preposto all’idea di formazione su indicata) dell’interesse del soggetto valutato.

Ciò non significa, peraltro, irrilevanza della formazione a fini di valutazione; infatti, la partecipazione a percorsi formativi tracciati dal C.S.M. potrebbe costituire uno dei vari indicatori di conoscenza, sulla base dei quali il Consiglio opera le valutazioni di professionalità.

Ferme tali conclusioni, preme comunque sottolineare da un lato come un sistema che volesse utilizzare la partecipazione ai corsi in chiave valutativa dovrebbe prevedere le modalità attraverso le quali si realizzerebbe la valutazione, indicare il soggetto legittimato a operare la valutazione e gli strumenti di controdeduzione del destinatario; dall’altro che qualunque meccanismo di valutazione deve essere escluso per la partecipazione ai corsi di formazione finalizzati all’affinamento e al miglioramento della professionalità in relazione alle funzioni in atto espletate».

Ulteriori osservazioni sono poi reperibili nel parere emesso dal C.S.M. in data 10 novembre 2005, in Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione al parlamento sullo stato della giustizia. Il Consiglio superiore della magistratura e le modifiche dell’Ordinamento giudiziario, cit., p. 242 s., in cui si rimarca, tra l’altro, che «la funzione valutativa dei corsi, strutturati come veri e propri corsi “abilitanti”, comporta altresì conseguenze discriminatorie sui magistrati in ragione dei tempi di possibile partecipazione, posto che gli ammessi con precedenza acquisiranno prima degli altri i titoli necessari ai fini di avanzamento o di partecipazione alle ulteriori selezioni, di riflesso condiziona le scelte e le competenze consiliari».

Lo stesso parere (cfr. p. 256) poneva poi esattamente in luce ulteriori ragioni di perplessità, posto che il ritardo nell’ammissione al corso «valutativo» avrebbe potuto tradursi per il magistrato in una ritardata partecipazione ai bandi per la progressione in carriera e per la copertura dei posti, circostanza che avrebbe assunto per il magistrato stesso conseguenze ancora più rilevanti ove si fosse considerata la elevata complessità e la durata delle procedure consiliari di tramutamento e di copertura dei posti per come erano delineate dalla legge delega e dai decreti di attuazione, nel sistema anteriore alla l. 30 luglio 2007, n. 111.

Il citato parere continua quindi rimarcando che «Il vizio nella parità di trattamento e l’irragionevolezza della disciplina anche sul piano costituzionale risultano accentuate dalla circostanza che la decisione circa il differimento della partecipazione del magistrato al corso (cui, si presume, era stato ammesso) è rimessa alle valutazioni del magistrato che dirige l’ufficio, cui spetterà, con atto non sindacabile dalla Scuola (…), decidere se le esigenze di servizio e di organizzazione sono tali da non consentire l’assenza del magistrato.

Due ulteriori aspetti di questa disciplina meritano di essere considerati. Il primo riguarda l’assenza nell’art. 28 di qualsiasi riferimento al ruolo ed ai poteri del Consiglio superiore in caso di contrasto del magistrato con il dirigente, così accentuandosi il contrasto della normativa con l’art. 105 della Costituzione, posto che il sistema così delineato consente che un magistrato venga sottratto alla tempestiva valutazione consiliare, con pesanti ricadute non soltanto sulla posizione soggettiva, ma sull’intero sistema di mobilità e progressione. Il secondo riguarda i pericoli per il regolare svolgimento dei corsi e dell’intera procedura valutativa, essendo evidente che il magistrato che vede differita la propria partecipazione potrà far valere in sede di controllo giurisdizionale la propria posizione soggettiva.

Infine, una riflessione deve essere fatta con riferimento alle garanzie di indipendenza “interna” che vanno assicurate al magistrato anche rispetto a disparità di trattamento nell’ufficio in cui opera; disparità che certamente possono derivare dalla casualità, ma che possono anche vedere la penalizzazione dei magistrati più impegnati in attività complesse e delicate oppure costituire elemento di vero e proprio condizionamento».

La questione circa la possibilità per il capo dell’ufficio di differire la partecipazione del magistrato ad uno dei corsi previsti dall’ora abrogato art. 28 del d.lgs. cit., nella sua versione originale, era di una gravità tale da essere segnalata nei termini qui testualmente riportati anche dal già citato parere espresso il 1 dicembre 2005 dalla Commissione giustizia del Senato sullo schema di d.lgs. (parere reperibile, si ricorda, al sito web seguente: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=14&id=166871): «La partecipazione a corsi di formazione funzionali al passaggio alle funzioni superiori costituisce – nell’impianto della delega e dello schema – un diritto per il magistrato. A questo proposito è stato però segnalato come la previsione che consente al capo dell’ufficio di differire la partecipazione ai corsi di formazione finalizzati al passaggio a funzioni superiori per un periodo non superiore a sei mesi potrebbe determinare, in concreto, ingiustificate disparità di trattamento fra i magistrati con riferimento alle possibilità effettive di progressione in carriera. Al riguardo la Commissione ritiene che una possibile soluzione potrebbe essere quella di aggiungere al comma 3 dell’articolo 28 dello schema un periodo dal seguente tenore: “In caso di diniego il magistrato può proporre reclamo al CSM il quale, ove ritenga che la mancata partecipazione al corso arrechi un pregiudizio non rimediabile, accoglie il reclamo e ne da comunicazione al capo dell’ufficio o alla Scuola”».

[201] Cfr. il punto 16. del citato parere n. 4 (su cui v. supra, § 3).

[202] Cfr. il punto 19. del citato parere n. 4 (su cui v. supra, § 3).

[203] Cfr. supra, § 2.

[204] Cfr. supra, § 3.

[205] Anche Pederzoli, Nasce l’obbligo di aggiornamento costante, cit., p. 57, esprimeva (con riguardo al sistema disegnato dal d.lgs. n. 26 del 2006 prima della riforma del 2007), le medesime preoccupazioni: «La formazione continua, anch’essa curata dalla scuola, viene a configurarsi alla stregua di un diritto-dovere, ma si direbbe che l’accento sia posto più sul secondo termine del binomio (…). Regole di questo tipo possono essere comprensibili laddove la formazione interseca la carriera, e di fatto la condiziona, ma lo sono molto meno quando riferite all’aggiornamento professionale, che dovrebbe fare affidamento su altri, e più consoni, stimoli intellettuali».

[206] V. supra, § 2.

[207] Si noti che, paradossalmente, proprio in relazione a quest’ultima ipotesi (rectius: «per il passaggio a funzioni superiori, per il passaggio da funzioni giudicanti a requirenti e viceversa e per l’accesso a funzioni direttive»), gli artt. 27 s. del citato d.lgs., oggi abrogati, prevedevano… un diritto e non già un obbligo a seguire un corso la cui durata veniva d’imperio predeterminata, in ogni caso, in (chissà perché?) «due settimane consecutive».

[208] Cfr. in questo senso le risposte al questionnaire predisposto dal Consiglio consultivo dei giudici europei in occasione della preparazione del parere n. 4, più volte citato; i relativi documenti sono disponibili all’indirizzo web seguente: http://www.coe.int/t/dg1/legalcooperation/judicialprofessions/ccje/textes/Travaux4_fr.asp.

[209] Cfr. supra, § 19.

[210] Non si usa qui il termine «complementare», posto che per tale si intende usualmente designare quel tipo di formazione, in alcuni Paesi (tra cui ora anche l’Italia) obbligatoria, dei magistrati che da poco tempo hanno ricevuto le funzioni.

[211] Cfr. supra, § 17.

[212] Così si esprimeva, del tutto condivisibilmente, Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 216.

[213] Si ricorda che la versione originale del testo approvato dal Consiglio dei ministri è disponibile al seguente indirizzo web: http://www.associazionemagistrati.it/HOME/testo%20ddl-0g%20approvato.doc.

[214] Cit., p. 28: «va valutata positivamente la scelta di eliminare la previsione dell’esclusività della competenza della Scuola in materia di aggiornamento e di formazione dei magistrati, riconoscendosi, così, che altri organismi qualificati possano procedere ad iniziative formative in sede nazionale o locale, sempre ovviamente nell’ambito del sistema di autogoverno. Ciò appare di fondamentale importanza, in particolare, sia per le esperienze già in essere di formazione decentrata (…) sia per la formazione iniziale e il tirocinio dei magistrati che, per sua natura, implica un costante rapporto con gli uffici giudiziari quanto all’individuazione dei magistrati di affidamento, all’attività da svolgere in concreto ed alle caratteristiche peculiari della valutazione».

[215] Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 203 s.

[216] In questo senso cfr. il parere del C.S.M. in data 10 novembre 2005, in Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione al parlamento sullo stato della giustizia. Il Consiglio superiore della magistratura e le modifiche dell’Ordinamento giudiziario, cit., p. 243. Secondo Iacoboni, La carriera e la formazione, in Aa.Vv., La legge di riforma dell’ordinamento giudiziario, in Foro it., 2006, V, c. 15 ss. si sarebbe potuta ipotizzare una incostituzionalità anche per contrasto con l’art. 105 Cost. «laddove mira a sottrarre all’organo di autogoverno i poteri valutativi concernenti la carriera dei magistrati». Quest’ultimo profilo deve peraltro ritenersi superato dalla l. 30 luglio 2007, n. 111.

[217] Su cui v. supra, § 19.

[218] Per un’enumerazione delle disposizioni legislative che, nel corso del tempo, sono venute ad attribuire al C.S.M. competenze nel settore della formazione cfr. supra, § 16.

[219] Cfr. supra, § 15.

[220] Cfr. supra, § 29.