6. Sull’applicabilità ai negozi (e ai contratti) della crisi coniugale delle disposizioni dettate in materia d’esistenza e d’integrità del consenso contrattuale.

 

Venendo ora a svolgere qualche osservazione conclusiva sulla tesi di chi nega l’impugnabilità del negozio di separazione per simulazione, vizi del consenso o  incapacità naturale, fondando le proprie argomentazioni sul ruolo del presidente del tribunale in sede di udienza ex art. 708 c.p.c., andrà ribadito in questa sede ([88]) che gli adempimenti svolti da quest’ultimo (o dal collegio, se si tratta di divorzio su domanda congiunta), non dissimilmente da quelli prescritti al notaio rogante, non appaiono di per sé in grado di escludere a priori (esattamente come avviene per un rogito notarile) che la volontà dei contraenti possa essere in qualche modo viziata. Si pensi all’ipotesi paradigmatica della violenza morale, così come a quella della presenza di una situazione di incapacità naturale non manifesta, oppure a quella della simulazione, ove nessun «segno esteriore» può ingenerare il sospetto che la volontà dei paciscenti sia, in realtà, inesistente ([89]).

Voler attribuire a tutti i costi al presidente (o al collegio) l’improprio ruolo di «garante» dell’esistenza e della genuinità del consenso delle parti significa presupporre una norma che non esiste nel nostro ordinamento ([90]): una norma, anzi, che, se esistesse, dovrebbe essere dichiarata incostituzionale per contrasto con l’art. 24 Cost., per il fatto di inibire al soggetto altrimenti legittimato il diritto di far valere in giudizio l’invalidità dell’accordo ([91]). Orbene, la sentenza in commento viene a confermare proprio tale impostazione, ammettendo senza riserve – come si è visto più volte – l’esperibilità di un’azione diretta all’accertamento della simulazione dell’accordo di separazione consensuale.

Questa posizione rinviene – proprio con specifico riguardo alla simulazione – dei precedenti, nella giurisprudenza di legittimità, che, come si è già detto, aveva ammesso (ancorché in astratto, ma comunque con il peso della ratio decidendi) la facoltà per i terzi (nella specie: conduttore, nei confronti dei quali il locatore, non assegnatario della casa coniugale intendeva opporre la cessazione della proroga legale, ex art. 4, n. 1, l. 23 maggio 1950, n. 253) di dimostrare la simulazione «della procedura» di separazione ([92]). Ma, a ben vedere, neppure nella giurisprudenza di merito fanno difetto voci favorevoli a tale impostazione.

Invero, a parte alcuni precedenti risalenti già al codice abrogato ([93]), il tribunale di Genova, ormai diversi anni or sono, aveva aperto uno spiraglio alla prova, da parte del conduttore, della simulazione della separazione del locatore, in seguito alla quale quest’ultimo aveva perso il diritto di abitare in un altro alloggio (la casa coniugale), così agendo in recesso per ottenere la disponibilità dell’appartamento concesso in locazione ([94]). Più di recente, la Corte d’appello di Bologna ha ammesso la revocabilità del decreto di omologazione della separazione consensuale nell’ipotesi di simulazione degli accordi stipulati dai coniugi e da questi espressamente ammessa, applicando a tali intese le disposizioni  sui contratti in generale ed osservando conclusivamente che «l’istituto della simulazione trova applicazione anche nella materia matrimoniale, tanto è vero che l’art. 123 cod. civ. prevede espressamente l’impugnazione del matrimonio per simulazione» ([95]). Ora, a parte l’erroneo riferimento alla necessaria revoca del decreto d’omologazione, in contrasto, come s’è visto, con la decisione di legittimità qui in commento ([96]), non vi è dubbio che il riconoscimento del carattere negoziale dell’intesa di separazione rappresenti l’indice di un’incipiente ben diversa sensibilità anche da parte dei giudici di merito verso la considerazione sub specie negotii degli accordi di cui si discute.

Sarà poi il caso di aggiungere qui che le osservazioni di cui sopra, sviluppate con riguardo alla separazione consensuale, appaiono applicabili anche alle intese che si pongono alla base del divorzio su domanda congiunta, nel quale – secondo quanto si è in altra sede cercato di dimostrare – gli effetti d’ordine patrimoniale vanno direttamente ricollegati al contratto di divorzio concluso dai coniugi, rispetto al quale la pronuncia del tribunale assume il mero carattere di omologa emessa all’esito di un procedimento di controllo sul rispetto delle norme inderogabili del vigente ordinamento ([97]).

 

PARAGRAFO

PRECEDENTE

RITORNO AL SOMMARIO

PARAGRAFO SUCCESSIVO

 

 

 



([88]) Cfr. Oberto, La natura dell’accordo  di separazione consensuale  e le regole contrattuali ad esso applicabili (II), cit., 88 ss.

([89]) Per analoghe considerazioni cfr. Dogliotti, op. cit., 13 s.; Figone, Sull’annullamento del verbale di separazione consensuale per incapacità naturale, cit., 442; per l’impugnabilità del negozio di separazione in caso di vizi del consenso cfr. anche Doria, «Negozio» di separazione consensuale dei coniugi e revocabilità del consenso, cit., 513; Delconte, Il rapporto tra omologazione del giudice e consenso dei coniugi nella separazione consensuale, in Arch. civ., 1992, 642; Mora, La separazione consensuale, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da G. Bonilini e G. Cattaneo, I, Famiglia e matrimonio, Torino, 1997, 531.

([90]) Di analogo avviso è Dogliotti, op. cit.,  13 s.

([91]) Ciò significa che, con particolare riguardo all’ipotesi dell’annullabilità per incapacità naturale, la norma cui andrà fatto riferimento è data dal capoverso dell’art. 428 c.c. (In questo senso v. anche Figone, Sull’annullamento del verbale di separazione consensuale per incapacità naturale, cit., 443), secondo cui «L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d’intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell’altro contraente».

([92]) Cfr. la pronunzia citata supra, alla nota 79.

([93]) Cfr. le pronunzie citate da Azzolina, nel brano riportato supra, alla nota 86.

([94]) Trib. Genova, 9 marzo 1983, in Arch. locaz. e cond., 1983, 104: «L’assegnazione della casa coniugale alla moglie, anche in sede di separazione consensuale, legittima il marito ad agire in recesso per ottenere la disponibilità di un proprio appartamento locato, essendo onere del conduttore provare semmai in modo adeguato la simulazione della separazione». In motivazione si legge che «non può escludersi in via teorica l’ipotesi di una separazione simulata al fine di eludere le disposizioni vincolistiche delle locazioni poste a tutela dei conduttori», essendo però pur sempre onere della parte conduttrice «dimostrare (…) la mancanza di genuinità delle dette pattuizioni».

([95]) Cfr. App. Bologna, 17 maggio 2000, in Foro it., 2000, I, 3616, con nota di Casaburi; in Giur. it., 2001, 66 (la pronunzia risulta ivi indicata come Trib. Bologna, 7 maggio 2000).

([96]) Il tema verrà approfondito infra, nel § dal titolo Secondo corollario: i rapporti con il decreto di omologazione della separazione consensuale (e con la sentenza di divorzio su domanda congiunta).

([97]) Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., 1340 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., 232 ss.

1