7. Primo corollario: i rapporti con l’azione revocatoria.

 

Enunciata la conclusione secondo cui tanto la separazione consensuale, che il divorzio su domanda congiunta, che le singole condizioni dell’una o dell’altro possono essere riconosciuti come simulati, cercherò ora di derivarne alcuni corollari.

Il primo attiene ai rapporti con l’azione pauliana. Sul punto, rammentato quanto già anticipato in generale sulle relazioni tra frode e simulazione ([1]), va detto che, alcune interferenze tra le due situazioni sembrano emergere proprio con riguardo ai contratti della crisi coniugale, per ciò che attiene al profilo della consapevolezza in capo al terzo (nella specie: il coniuge del debitore) del pregiudizio arrecato al creditore. In effetti, la giurisprudenza di merito ha già avuto modo di occuparsi in alcune occasioni del problema della revocabilità ex art. 2901 c.c. non già del negozio di separazione nel suo complesso, bensì di accordi ben determinati, conclusi in seno ad una crisi coniugale. Emblematico è il caso dei trasferimenti immobiliari ([2]). Al riguardo, l’astratta ammissibilità del rimedio ex artt. 2901 ss. è stata affermata da una decisione del tribunale di Milano del 1996, che peraltro ha respinto la domanda per difetto di prova del consilium fraudis in capo al soggetto destinatario dell’attribuzione patrimoniale ([3]). Accoglimento hanno invece trovato quattro analoghe domande proposte dinanzi ai tribunali di Bologna ([4]), di Casale Monferrato ([5]), di Roma ([6]) e di Torino ([7]).

Da un punto di vista generale, andrà subito detto che indubbiamente, essendo il trasferimento operato dalla volontà delle parti e non già dal provvedimento d’omologazione, la particolare sede nella quale il negozio viene posto in essere (udienza presidenziale di separazione, seguita da decreto di omologazione da parte del tribunale, o udienza collegiale di divorzio su domanda congiunta, seguita da sentenza) non dispiega influenza alcuna sull’ammissibilità del rimedio: sul punto le pronunzie edite non mostrano certo esitazioni ([8]).

Per ciò che attiene poi, più specificamente, al consilium fraudis in capo al debitore, ovverosia la conoscenza, da parte di quest’ultimo, del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori dal trasferimento, basterà ricordare che, come noto, tale elemento non presuppone in alcun modo l’esistenza di un animus nocendi ([9]); così, il tribunale casalese desume la presenza di tale stato soggettivo dal fatto che il debitore, consapevole di aver contratto quel certo debito (nella specie: sottoscrivendo una fideiussione) «ben sapeva di non essere proprietario di altri beni, oltre quelli che conferiva alla moglie» ([10]), mentre quello bolognese perviene alle medesime conclusioni in base al rilievo secondo cui i finanziamenti da cui originava il debito in questione erano stati «concessi nei mesi immediatamente antecedenti l’atto di disposizione, ed erano tutti di rilevantissimo importo. [Il marito] non poteva dunque ignorare di ledere le ragioni dei creditori spogliandosi degli unici cespiti di sua proprietà» ([11]).

La presenza di un consilium fraudis anche in capo al destinatario dell’attribuzione è richiesta, come noto, in relazione ai soli atti a titolo oneroso (art. 2901, n. 2, c.c.). Sul punto influiscono svariate considerazioni ampiamente svolte in altre sedi in punto causa dei contratti della crisi coniugale e delle attribuzioni in discorso ([12]), cui non rimane che fare rinvio. In base ad esse andrà affermata la natura essenzialmente onerosa del trasferimento, pur senza escludere che, in qualche ipotesi del tutto eccezionale, sia invece ravvisabile la presenza di una donazione ([13]).

Peraltro, anche qui vale la regola secondo cui, come più volte ribadito dalla Suprema Corte, ad integrare tale presupposto «non si richiede l’animus nocendi, e cioè la prova della collusione tra terzo e debitore, essendo sufficiente che il terzo (cioè, nella specie, il coniuge del debitore) abbia la consapevolezza del fatto che il suo dante causa, già vincolato verso creditori, mediante l’atto di disposizione, diminuisca la sua sostanza patrimoniale, e con essa la garanzia spettante alle ragioni di credito altrui, arrecando così pregiudizio» ([14]). Il tribunale di Casale Monferrato ha ritenuto ([15]), per esempio, di poter ravvisare tale elemento in capo alla moglie, destinataria del trasferimento, atteso che la lettera di richiesta del pagamento era stata ricevuta dal marito presso il domicilio coniugale (ove i coniugi ancora convivevano) e pertanto «la moglie non poteva ignorare l’esistenza del debito del marito, così come non poteva ignorare la consistenza del patrimonio dello stesso» ([16]), mentre il tribunale ambrosiano, dopo aver accertato, a seguito di un’ampia istruttoria sul punto, che la convivenza tra i coniugi era cessata alcuni anni prima della separazione consensuale, che questi non si erano più frequentati e che la moglie si era trasferita da tempo in località «abbastanza lontana da quella in cui il marito viveva ed operava economicamente», ha ritenuto insufficiente la prova fornita dal creditore, concludendo nel senso che «Niente (…) poteva indurre, una persona che da tempo non aveva rapporti di confidenza e convivenza con il debitore a comprendere che l’attribuzione delle porzioni degli immobili, di cui già deteneva la metà in forza della comunione dei beni, avrebbe privato di garanzia dei creditori che in quel momento erano già insoddisfatti» ([17]).

Ed è proprio qui che affiorano i rapporti con la questione dell’eventuale simulazione della separazione, che i coniugi ben potrebbero inscenare al fine di fornire una (apparentemente) idonea cornice per l’effettuazione dell’attribuzione in discorso. Come peraltro correttamente posto in luce dalla già citata decisione bolognese, l’eventuale accertamento del carattere fittizio del negozio di separazione personale non può ancora indurre, di per sé, a ritenere invalido il negozio traslativo, laddove risulti che «i coniugi intesero realizzare effettivamente, mediante le convenzioni stipulate avanti al Presidente del Tribunale, il trasferimento della proprietà delle porzioni immobiliari in questione» ([18]). La simulazione – come noto – presuppone che le parti non vogliano conseguire gli effetti del negozio posto in essere, laddove è chiaro che, nel caso di specie, ciò che non sono volute sono solo le conseguenze di carattere personale, mentre i coniugi intendono assolutamente conseguire quell’effetto traslativo che – qui più che mai – appare del tutto svincolato dalle vicende relative agli «effetti» della separazione. E’ peraltro chiaro che, come pure posto in luce dalla sentenza da ultimo citata, l’eventuale accertamento di una simulazione della separazione costituisce la miglior prova dell’esistenza di un consilium fraudis (se non addirittura di una dolosa preordinazione, in caso di debiti non ancora contratti) in capo ad entrambi i coniugi ([19]).

 

 

 

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([1]) Cfr. supra, nel primo § (dal titolo La prospettiva storica).

([2]) Sul tema, anche per gli ulteriori rinvii, si fa richiamo a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., in particolare 214 ss.

([3]) Trib. Milano, 29 gennaio 1996, in Fallimento, 1996, 781, con nota di Figone.

([4]) Trib. Bologna, 6 febbraio 1995, in Gius, 1995, 3881.

([5]) Trib. Casale Monferrato, 14 dicembre 1998, in Gius, 1999, 7.

([6]) Trib. Roma, 5 marzo 1999, in Nuovo dir., 1999, 827.

([7]) Trib. Torino, 18 agosto 1999, in Giust. civ., 2000, I, 2762.

([8]) In questo senso, con riguardo alle attribuzioni in sede di separazione consensuale, v. anche Trib. Milano, 29 gennaio 1996, cit.; Figone, Separazione consensuale, trasferimento di beni ed azione revocatoria, nota a Trib. Milano, 29 gennaio 1996, in Fallimento, 1996, 784; quanto mai chiara in questo senso è Trib. Torino, 18 agosto 1999, cit.: «Occorre considerare che i provvedimento di omologa si limita a giudicare sulla astratta idoneità di quanto deciso dai coniugi a rispondere al modello di separazione previsto dall’ordinamento, ed a decidere sulla sua carenza di potenziale lesività di norme imperative o di ordine pubblico. Il giudizio intrinseco sulla omologazione non è un giudizio di valore sulla non lesività comunque e per tutti i soggetti direttamente od indirettamente coinvolti nell’evento che determina la cessazione, legalmente, sanzionata, dell’obbligo di convivere tra coniugi».

([9]) Cfr. per tutti De Ruggiero e Maroi, Istituzioni di diritto civile, II, Milano-Messina, 1965, 561; Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, II, Torino, 1955, 106.

([10]) Soggiungendo che «quand’anche ciò non bastasse è sufficiente pensare che fra la richiesta di pagamento inviatagli dal creditore in data 21 ottobre 1992, e il deposito, da parte sua, del ricorso per separazione, in data 27 ottobre 1992, trascorsero solo 6 giorni, di tal che più che di consapevolezza, ben può parlarsi, nel caso di specie, di dolosa preordinazione»: cfr. Trib. Casale Monferrato, 14 dicembre 1998, cit. Peraltro il riferimento alla «dolosa preordinazione» non appare qui corretto, dal momento che tale elemento si riferisce, ex art. 2901, n. 1 e 2, c.c. al caso in cui l’atto dispositivo preceda la nascita del credito.

([11]) Trib. Bologna, 6 febbraio 1995, cit.

([12]) Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., 634 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., 91 ss.

([13]) Per la negazione (non motivata) del carattere oneroso di un trasferimento immobiliare in sede di separazione cfr. invece Trib. Casale Monferrato, 14 dicembre 1998, cit.

([14]) Cass., 8 novembre 1985, n. 5451.

([15]) Ancorché a livello di mero obiter, avendo lo stesso giudice escluso la natura onerosa dell’atto.

([16]) Trib. Casale Monferrato, 14 dicembre 1998, cit.

([17]) Trib. Milano, 29 gennaio 1996, cit.

([18]) Per un accenno alla questione trattata nel testo cfr. anche Figone, Separazione consensuale, trasferimento di beni ed azione revocatoria, cit., 784.

([19]) La questione che rimane ancora da affrontare – relativamente al tema specifico della revocabilità ex artt. 2901 ss. c.c. delle intese in discorso – concerne la possibile obiezione circa la natura di atto di adempimento (dell’obbligo di contribuzione al mantenimento o di corresponsione dell’assegno di divorzio) proprio del negozio traslativo. Per una trattazione di essa si fa rinvio a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, 217 ss., cui si rinvia anche per la disamina dei profili attinenti alla revocatoria fallimentare delle attribuzioni in discorso.

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